Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 23929 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 23929 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Carmiano il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 13-02-2023 della Corte di appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. udito l’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia dell’imputato, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza.
k
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 febbraio 2020, il Tribunale di Lecce, previo riconoscimento delle attenuanti generiche e operato l’aumento per la continuazione, condannava NOME COGNOME alla pena, condizionalmente sospesa, di anni 1 e mesi 6 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 2 del d. Igs. n. 74 del 2000, a lui contestato per aver indicato, nelle dichiarazioni fiscali relative agli anni di imposta 2010, 2011, 2012 e 2013, elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, al fine di evadere imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Con la medesima pronuncia, veniva altresì disposta la confisca della somma pari a 29.862,22 euro, pari all’importo dell’imposta complessivamente evasa a seguito delle condotte contestate.
Con sentenza del 13 febbraio 2022, la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto, limitatamente all’annualit 2010, perché estinto per prescrizione e, per l’effetto, rideterminava la pena, per le residue imputazioni, in anni 1, mesi 5 e giorni 15 di reclusione, riducendo l’ammontare della confisca nella misura di 20.014 euro.
Avverso la sentenza della Corte di appello salentina, COGNOME, tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, è stata censurata la conferma del giudizio di colpevolezza del ricorrente, essendosi i giudici di secondo grado limitati ad adagiarsi sulla già scarna motivazione del G.U.P., senza operare un adeguato vaglio critico delle fonti di prova, addebitando alla difesa di non essersi attivata nell’offrire spunti pro reo, quasi che vigesse la regola dell’inversione dell’onere probatorio.
Si contesta inoltre il mancato rilievo dell’inutilizzabilità assoluta del dichiarazioni rese da COGNOME, soggetto che spontaneamente rilasciava dichiarazioni, anche autoaccusatorie, agli agenti della Guardia RAGIONE_SOCIALE, in difetto delle garanzie difensive riconosciute ex lege, essendosi ciò riverberato sulla pronuncia di condanna dell’imputato, in un processo peraltro connotato dal ricorso indebito ad accertamenti presuntivi elevati a indizi gravi, precisi e concordanti, non potendosi invece ritenere provato né di che operazioni si sarebbe reso colpevole COGNOME, né se egli abbia agito con il dolo specifico.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è il trattamento sanzionatorio, dolendosi la difesa sia dell’individuazione della violazione più grave, che era quella del 2010 e non quella del 2012, sia della determinazione degli aumenti per la continuazione, ritenuti eccessivi e immotivati, oltre che da rivedere alla luce dell’estinzione per prescrizione del reato rispetto all’anno di imposta 2011, sia della durata delle sanzioni accessorie, fissata in due anni, nonostante il minimo edittale sia stato circoscritto a un periodo non inferiore a un anno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le doglianze in punto di responsabilità e di determinazione della pena sono nel complesso infondate, mentre sono meritevoli di accoglimento le censure in punto di durata delle pene accessorie, da ciò conseguendo sia la rimodulazione del tempo di applicazione delle stesse, sia, stante il tempus commisi delicti, l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, limitatamente al reato relativo alla condotta concernente il periodo di imposta 2011, perché estinto per prescrizione, con eliminazione della pena corrispondente.
l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della
cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti e ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identic convincimento. Tale prova, nel caso di specie, non risulta fornita, da ciò discendendo, avuto riguardo alla loro complessiva genericità, la manifesta infondatezza delle censure in punto di responsabilità.
Passando al secondo motivo, deve osservarsi che il computo della pena operato dalla Corte territoriale risulta immune da censure: ed invero, operata la declaratoria di estinzione per prescrizione rispetto all’annualità 2010, i giudici di secondo grado hanno fissato la pena base (riferita all’annualità 2012) in anni 1 e mesi 6 di reclusione, applicando su di essa prima la riduzione per le attenuanti generiche nella proporzione indicata dal primo giudice (dunque con diminuzione della pena ad anni 1, mesi 1, giorni 10) e poi gli aumenti per la continuazione, nella misura di mesi 2 per ciascuna delle due residue annualità 2012 e 2013 (e non 2013 e 2014, come erroneamente indicato nella sentenza impugnata).
L’entità degli aumenti per la continuazione è stata ragionevolmente ritenuta equa dai giudici di appello “in ragione della rilevanza delle violazione e dell’importo dell’imposta evasa”, valutazione questa non illogica, dovendosi considerare in ogni caso che si è in presenza di aumenti molto contenuti.
Le censure in punto di pena risultano pertanto destituite di fondamento.
Sono invece fondate le doglianze in tema di durata delle pene accessorie. Pur dando atto (a pag. 2 della sentenza impugnata) della richiesta difensiva (espressamente indicata alle pagine 5, 6 e 7 dell’atto di appello) di contenere nel minimo la durata delle sanzioni accessorie di cui all’art. 12 del d. Igs. n. 74 del 2000 in considerazione dell’entità delle somme interessate dalle operazioni illecite, la Corte territoriale non ha tuttavia fornito alcuna risposta sul punto integrando ciò un difetto di motivazione della sentenza rilevabile in questa sede. Prima di esprimersi sulle conseguenze di tale lacuna argomentativa, il Collegio evidenzia che la fondatezza di questa doglianza impone di tener conto del tempus commisi delicti ai fini del computo della prescrizione del reato, dovendosi prendere atto che, rispetto all’annualità 2011, il termine di prescrizione, decorrente dal 30 settembre 2012 (e da computarsi in 10 anni per effetto della previsione di cui all’art. 17, comma 1 bis del d. Igs. n. 74 del 2000), è maturato, tenuto conto delle sospensioni della prescrizione per 8 mesi e 6 giorni, alla data del 5 giugno 2023. Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, limitatamente al reato relativo al periodo di imposta 2011, perché estinto per prescrizione, con conseguente eliminazione della pena corrispondente, che va individuata in 2 mesi di reclusione, essendo questa, come si è visto, l’entità dei singoli aumenti per la continuazione interna fissati dai giudici di merito.
La pena base va quindi rideterminata, in relazione all’annualità 2012, nella misura di anni 1 e mesi 6 di reclusione, pena corrispondente al minimo edittale vigente all’epoca dei fatti, con riduzione per le attenuanti generiche (in misura, seppur di poco, più benevola di quella fissata dai giudici di merito) ad anni 1, mesi 1, giorni 10 e aumento di 2 mesi per la continuazione interna con la residua annualità 2013, con pena finale pari ad anni 1, mesi 3 e giorni di reclusione 10.
3.1. Così rideterminata la pena principale, il Collegio ritiene di poter provvedere, ai sensi dell’art. 620 lett. I) cod. proc. pen., alla rideterminazione della durata delle pene accessorie temporanee previste dall’art. 12 del d. Igs. n. 74 del 2000, risultando eccessiva la durata di anni due fissata dal primo giudice. Dunque, applicando i relativi minimi edittali, le pene accessorie vanno rimodulate, quanto alla durata, come segue: l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese in mesi sei, l’incapacità di contrattare con la P.A. in anni uno, l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria in anni uno, l’interdizione dai pubblici uffici i anni uno. Nel resto, il ricorso di COGNOME deve essere invece disatteso (in sede esecutiva, ove dovesse essere verificata la sussistenza dei presupposti, potrà eventualmente provvedersi in merito alla riduzione dell’importo della confisca per effetto della declaratoria di estinzione del reato riferito all’annualità 2011).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato relativo al periodo di imposta 2011, perché estinto per prescrizione, e, eliminata la pena corrispondente hi mesi due di reclusione ridetermina la pena principale per i restanti reati in anni uno, mesi tre e giorrii dieci di reclusione e quelle accessorie dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese in mesi sei, dell’incapacità di contrattare con la P.A. in anni uno, dell’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria in anni uno e dell’interdizione dai pubblici uffici in anni uno. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 06/02/2024