Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15799 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15799 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BRESCIA nel procedimento a carico di: NOME COGNOME nato a SIRACUSA il 23/05/1955 COGNOME NOME nato a BRESCIA il 29/01/1957 COGNOME NOME nato a VERONA il 09/07/1982 NOME nato a BRESCIA il 31/07/1958 nel procedimento a carico di questi ultimi COGNOME NOME nato a BUSSOLENGO il 26/10/1979 NOME COGNOME NOME COGNOME nato il 26/08/1947 NOME COGNOME nato a JESI il 20/11/1954 avverso la sentenza del 18/07/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente alla dichiarazione di prescrizione del reato di cui al capo a), inammissibilità nel resto. DI BRESCIA
4 Procuratore generale,
udito l’avv. COGNOME per COGNOME Claudio che ha insistito nell’accoglimento del ricorso, udito l’avv. COGNOME per COGNOME e COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso d udito l’avv. COGNOME per COGNOME NOME che ha insistito nell’accoglimento del ricorso per COGNOME NOME che ha chiesto il rigetto del ricorso del Procuratore generale, udito l’avv. COGNOME che ha insistito nell’accoglimento del ricorso, udito l’avv. COGNOME per COGNOME NOME che ha insistito nell’accoglimento del ricorso, udito l’avv. COGNOME che ha insistito nell’accoglimento del ricorso e rige del ricorso del Procuratore generale, udito l’avv. COGNOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e il rigetto del ricorso del Procuratore generale, udito l’avv. COGNOME e COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso d
Procuratore generale.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Brescia, sull’appello proposto dagli imputati NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME Giovanni Emilio COGNOME NOME Antonio COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME in parziale riforma della sentenza di condanna del Tribunale di Brescia, in data 20/09/2023, ha così deciso:
ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME MicheleCOGNOME COGNOME Giovanni Emilio COGNOME COGNOME NOME Antonio COGNOME Renato, COGNOME NOME COGNOME NOME in ordine al reato allora scritto al capo A) – artt. 110 cod.pen., 3 d.l 10 marzo 2000, n. 74, per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione prima della sentenza di primo grado,
esclusa la recidiva contestata a NOME NOMECOGNOME ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del medesimo e di NOME e NOME in ordine al reato a loro ascritto al capo C) – artt. 110 cod.pen., art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, per essere lo stesso estinto per intervenuta prescrizione,
esclusa la contestata recidiva, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato a lui ascritto al capo G) – artt. 110 cod.pen., 5 d. 10 marzo 2000, n. 74, per essere lo stesso estinto per intervenuta prescrizione,
ha rideterminato la pena nei confronti di NOME Sebastiano per il residuo reato contestato al capo B), esclusa la recidiva, in anni uno e mesi quattro di reclusione; nei confronti di NOME per il residuo reato contestato al capo F), in anni due di reclusione con pena sospesa e non menzione, nei confronti di NOME per il residuo reato contestato di cui al capo F), in an due di reclusione, pena sospesa e non menzione; nei confronti di NOME
per i residui reati contestati ai capi B) e F), unificati dal vincolo della continuazio in anni tre mesi uno di reclusione; nei confronti di NOME per il residuo reato contestato al capo F), in anni due e mesi tre di reclusione. Per l’effetto ha ridotto le pene accessorie e ha disposto la revoca della confisca disposta in relazione al contestato capo A), nonché la confisca per equivalente
disposta nei confronti di COGNOME Sebastiano in ordine al capo G).
1.2. A fini di una migliore comprensione della vicenda, sinteticamente, il processo penale era originato dagli esiti delle attività di verifica fiscale e acquisizio documentali svolte in relazione a due operazioni immobiliari, la vendita del complesso immobiliare “INDIRIZZO“, da parte della società RAGIONE_SOCIALE, e la vendita di un terre con fabbricato in Sirmione, da parte della società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Giovanbattista e & (ora in poi RAGIONE_SOCIALE), gestite a vario titolo dalla famiglia COGNOME con l’ausilio di altri soggetti, che avevano disvelato la commissione da parte degli imputati di molteplici violazioni tributarie realizzate attraverso una pluralità di società, anc estere, utilizzate per scopi fraudolenti.
In estrema sintesi, secondo la ricostruzione dei giudici del merito, era stata accertata una complessa frode dichiarativa nella vendita di “INDIRIZZO” (capi A, B, C, e D) attraverso un complesso di atti e segnatamente: costituzione di società estera RAGIONE_SOCIALE da parte di due fiduciarie svizzere (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE su incarico di COGNOME Michele, seguita dalla costituzione di altra società RAGIONE_SOCIALE da parte della società RAGIONE_SOCIALE, atto di vendita, in data 16/01/2009, da parte della RAGIONE_SOCIALE srl del bene immobile alla società estera RAGIONE_SOCIALE al prezzo dichiarato di C 7.050.000,00, in pari data, cessione delle quote della RAGIONE_SOCIALE (detentrice del 99,68 % di RAGIONE_SOCIALE) alla società austriaca RAGIONE_SOCIALE al prezzo di C 12. 233.000,00 e così indicando a bilancio della RAGIONE_SOCIALE srl una plusvalenza patrimoniale di euro 5.700.417,00 inferiore rispetto a quella effettivamente realizzata pari a euro 17.700.417 e mediante l’opzione per il regime previsto dall’articolo 86 comma 4, TUIR, veniva indicato nelle dichiarazioni annuali 2009, 2010, 2011 e 2012 della società quote costanti di plusvalenza di ammontare inferiore rispetto agli importi reali, così sottraendo a tassazione per l’anno 2012, 660.000 C. da cui originavano la contestazione di dichiarazioni fraudolenta mediante (art. 3) e i correlati reati di cui capi B) – art. 5 per gli anni 2013-2015, C) e D),
Lo schema negoziale sopra descritto era utilizzato, con alcune varianti, anche per la vendita del terreno con fabbricato in Sirnnione da parte di RAGIONE_SOCIALE, di cui ai capi F) e G): in data 04.01.2011 le fiduciarie svizzere RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, legalmente rappresentate da NOME COGNOME, fondavano la
società lussemburghese RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi “DESNO”) gestita dal medesimo soggetto e il cui capitale sociale era detenuto dalle due fiduciarie, il 10.01.2011 la RAGIONE_SOCIALE costituita il 9.3.2006 e all’interno dell quale NOME COGNOME ricopriva il ruolo di socio accomandatario ed NOME COGNOME quello di socio accomandante (dal 10.09.2010 al 20.04.2016) cedeva il terreno di Sirmione alla società lussemburghese RAGIONE_SOCIALE al prezzo di euro 240.000,00. Il bonifico di pagamento, eseguito il 28.12.2010, ovvero prima della data di rogito e della costituzione dell’acquirente, ammontava ad euro 280.600,00, comprensivo dell’iva e delle imposte (ipotecaria e catastale); in data 11.03.2013 la RAGIONE_SOCIALE, per il tramite delle fiduciarie svizzere RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, veniva ceduta alla RAGIONE_SOCIALE, società austriaca riconducibile alla famiglia RAGIONE_SOCIALE, al prezzo dichiarato di euro 2.350.000,00. Nell’atto in questione si precisava che all’interno di tale importo era ricompreso quello di euro 280.600,00 – già versato dalla DESNO in favore della RAGIONE_SOCIALE nel 2011 -, indicato sotto forma di cessione di crediti derivante da finanziamento soci, in data 21.10.2013 NOME COGNOME veniva nominato liquidatore della società RAGIONE_SOCIALE con incarico proveniente dai soci; in data 27.10.2014 le due suddette fiduciarie e la RAGIONE_SOCIALE COGNOME stipulavano il c.d. “accordo di chiusura” per la definitiva determinazione del prezzo di vendita delle quote e la somma concordata veniva pagata dalla NOME RAGIONE_SOCIALE mediante otto bonifici bancari eseguiti sui conti correnti intestati alle società svizz RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE accesi presso l’istituto bancario “CH SCHWEIZ”, a cui faceva séguito il versamento dell’importo di C 750.000,00 a NOME e C 180.000,00 a NOME COGNOME.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Corte d’appello di Brescia e i difensori degli imputati NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME ClaudioCOGNOME ne hanno chiesto l’annullamento per i motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione come disposto dall’art. 173 disp att. cod.proc.pen.
2.1. Il Procuratore Generale della Corte d’appello di Brescia deduce, con un unico articolato motivo la violazione delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. relazione all’erronea applicazione della legge penale, art. 86 d.P.R. 917/1986, art. 81 comma 2, con riferimento all’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, artt. 157 cod.pen. 17 d.lgs n. 74 del 2000.
Argomenta il ricorrente che il Tribunale di Brescia aveva ritenuto responsabili gli imputati NOME Michele, NOME COGNOME NOME Emilio COGNOME, COGNOME NOME Antonio COGNOME COGNOME COGNOME NOME e COGNOME NOME del reato, in concorso tra loro, di cui all’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, in relazione al solo anno imposta 2012, pronunciando sentenza di non doversi procedere per prescrizione dei reati per le annualità 2009, 2010, 2011. La Corte territoriale, preso atto che la RAGIONE_SOCIALE aveva optato di ripartire in quote costanti nell’esercizio di realizzazione e n successivi, ma non oltre il quarto anno, la plusvalenza immobiliare che era stata indicata come ufficialmente realizzata con la vendita del complesso immobiliare INDIRIZZO, ai sensi dell’art. 86 comma 4 TUIR, e rilevato che il contribuente non aveva espresso un’analoga scelta per le maggiori plusvalenze non indicate nella dichiarazione, ha ritenuto che il reddito da plusvalenza era imputabile esclusivamente all’annualità del 2009 e cioè all’anno in cui la società aveva realizzato la plusvalenza per la villa per la vendita di INDIRIZZO, con la conseguenza che, alla pronuncia della sentenza di primo grado del 20 settembre 2003, era già decorso il termine di prescrizione.
La Corte territoriale avrebbe fondato la conclusione sull’erroneo presupposto che, nel caso di specie, trovasse applicazione l’articolo 86 comma 4 DPR 917/1986 nella parte in cui stabilisce che in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi “la plusvalenza concorre a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui è stata realizzata”. Tuttavia, tale norma sarebbe stata interpretata e applicata in maniera manifestamente errata poiché la plusvalenza concorre a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui è stata realizzat solamente quando o manchi la manifestazione di questa scelta oppure il contribuente ometta di presentare la dichiarazione dei redditi.
Nel caso di specie invece è pacifico che la società RAGIONE_SOCIALE aveva effettuato l’opzione ai sensi dell’articolo 86 comma 4, TUIR e dunque non vi era alcuno spazio per ritenere applicabile la disciplina prevista in caso di omessa opzione o di omessa dichiarazione. La società aveva concretizzato questa scelta ai sensi delle disposizioni del TUIR nelle dichiarazioni dei redditi presentate per gli anni di imposta 2009, 2010, 2011 e 2012 laddove aveva dichiarato quote costanti di plusvalenza patrimoniale ufficiali per un ammontare inferiore.
La Corte d’appello, disattendendo il dettato della norma, avrebbe attribuito l’intera plusvalenza patrimoniale accertata all’anno d’imposta 2009, allorché era stata realizzata l’operazione di vendita, così facendo sarebbe incorsa in un evidente errore di diritto nell’applicazione dell’articolo 86 comma 4, TUIR ad un’ipotesi diversa da quella disciplinata.
Dall’applicazione errata del dettato normativo dell’articolo 86 deriverebbe un’errata applicazione della disciplina in tema di reato continuato di cui all’articolo 8 comma 2 cod.pen. in quanto la lettura della norma del TUIR offerta dal giudice del gravame determinerebbe la riconducibilità della condotta fraudolenta contestata ad un unico reato commesso nell’anno d’imposta 2009, allorquando era stata realizzata l’operazione immobiliare che aveva generato la maggior plusvalenza patrimoniale accertata anziché a diverse ipotesi delittuosa ex articolo 3 d.lgs. n. 74 del 2000 consumate alla data di presentazione delle singole dichiarazioni dei redditi per gli anni di imposta dal 2009 al 2012, con inevitabile ripercussione sull’applicazione della disposizione in tema di prescrizione del reato.
Infatti, considerato che nel caso in esame gli imputati hanno optato per la scelta di cui all’articolo 86 comma 4 TUIR, l’omessa indicazione della maggior plusvalenza accertata nelle singole dichiarazioni dei redditi per gli anni di imposta in cui opera il frazionamento in quota costante degli elementi attivi del reddito integra diversi delitti di cui all’articolo 3, con la conseguente decorrenza di differenti term di prescrizione in forza del combinato disposto degli artt. 157 e 17 decreto legislativo 74 del 2000, risultando così estinti per decorrenza dei termini di prescrizione i delitt riconducibili alle annualità di imposta 2009, 2010 e 2011, ma non già, all’epoca della decisione di primo grado, la prescrizione per l’esercizio 2012, in quanto la data di consumazione del reato era del 27/09/2013, coincidente con la data di presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2012.
Ne consegue che, in applicazione dell’articolo 578 bis cod.proc.pen., il giudice d’appello avrebbe dovuto mantenere la confisca in via diretta revocando soltanto quella per equivalente. La statuizione in merito alla confisca evidenzia l’interesse del procuratore ad impugnare la sentenza è da ottenere la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione maturata solo dopo la condanna in primo grado con conseguente mantenimento della confisca in via diretta punto per questi motivi chiede il parziale annullamento della sentenza impugnata nei termini esposti.
2.2. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è affidato a tre motivi di ricors
2.2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del delitto di omessa presentazione di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, quale amministratore unico di RAGIONE_SOCIALE, dal 31/05/2016, e liquidatore dal 21/12/2016, per l’anno di imposta 2015, con evasione Ires pari a C 331.441,83 (capo B). Argomenta il ricorrente la carenza di motivazione in relazione all’ammontare dell’imposta evasa e dunque il superamento della soglia di rilevanza penale, non avendo offerto, i giudici del merito, congrua risposta alle doglianze difensive,
incorrendo nel vizio di omessa motivazione. Con l’atto d’appello la difesa dell’imputato aveva specificamente censurato la correttezza dell’ammontare dell’imposta evasa con riferimento all’anno d’imposta 2015, contestando la determinazione dell’imposta evasa mediante accertamento induttivo dell’imponibile in presenza di scritture contabili, senza che il giudice del merito avesse proceduto ad autonoma verifica di tali dati indiziari unitamente ad altri elementi di riscont eventualmente acquisiti anche aliunde che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa. In altri termini, la Corte territoriale avrebbe confermato l’accertamento dell’imposta evasa in modo assolutamente puramente induttivo dal confronto degli importi delle operazioni attive ricostruite mediante l’applicativ spesometro integrato con quelli esposti bilancio di verifica senza al motivare di fronte ai rilievi mossi dalla difesa in punto accertamento induttivo. In un contesto nel quale peraltro gli spesometri integrati a cui si riferisce il tribunale e la Corte territorial sarebbero in atti. Ancora la Corte territoriale non avrebbe tenuto in considerazioni le puntuali specifiche censure con riferimento all’atto di scissione del 28/12/2015 ignorando come la normativa tributaria e segnatamente l’articolo 15 comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 97 prevede un’ulteriore rafforzamento della tutela erariale stabilendo che nei casi di scissione anche parziale di società o di enti ciascuna società o ente è obbligato in solido al pagamento delle somme dovute per violazioni commesse anteriormente alla data dalla quale la scissione produce effetti, sicché la responsabilità solidale non trova alcun limite nei confronti del creditore erariale, co la conseguente illogicità della motivazione laddove sarebbe stata ritenuta la strumentalità dell’atto di scissione. In ogni caso anche a voler ritenere l’operazione strumentale ciò non la renderebbe inesistente o fittizia e pertanto non farebbe venir meno l’imputabilità delle eventuali imposte evasa alla RAGIONE_SOCIALE così come ritenuto dalla corte d’appello. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di omessa presentazione di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, essendo l’imputato NOME una mera testa di legno priva di poteri gestori della società e dunque non dimostrato il dolo di evasione in capo a quest’ultimo.
2.2.3. Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio essendosi discostata, la Corte d’appello, dal minimo edittale con motivazione non congrua facendo riferimento a fatti illeciti commessi dopo il processo, là dove, invece, l’ultimo reato per il quale ha riportato condanna risale al 2013 e dunque in epoca antecedente.
2.3. Il ricorso nell’interesse di NOME è affidato a sei motivi d ricorso.
2.3.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge in relazione all’art. 125 comma 3 cod.proc.pen. il vizio di motivazione in relazione alla motivazione mancante e/o apparente sulla ritenuta responsabilità per i reati di cui ai capi B) e F). La Corte d’appello avrebbe acriticamente confermato la motivazione resa dal tribunale in punto qualifica di amministratore di fatto del ricorrente, senza confrontarsi con lo specifico motivo di appello che aveva contestato la figura di amministratore di fatto riconosciuta in capo al ricorrente. In sostanza la Corte territoriale limitandosi ad elencare gli stessi argomenti posti a base della sentenza di primo grado senza neppure svolgere quel minimo di argomentazione a sostegno della propria decisione, avrebbe reso una motivazione apparente.
2.3.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla motivazione apparente in punto attribuzione della qualifica di amministratore di fatto in capo al COGNOME essendosi limitata, la corte territoriale, a copiare la motivazione del primo grado senza valutare la testimonianza di NOME COGNOME, di COGNOME, di COGNOME NOME e del coimputato COGNOME e travisando il significato reale del portato dichiarativo.
2.3.3 Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 2639 cod. civ., in relazione agli artt. 81, 110 cod.pen. e 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74. La Corte territoriale avrebbe ritenuto che le scelte strategiche della società fossero state per un lungo arco temporale imputabili al Rossi che avrebbe esercitato i poteri tipici dell’amministratore di diritto, essendosi occupato di atti dispositivi della soci rapporti coi clienti con i commercialisti e coi dipendenti. Contrariamente a quanto ritenuto, le condotte descritte non costituirebbero presupposto per riconoscere il ruolo di amministratore di fatto in capo al Rossi a mente dei requisiti previsti dall’art 2639 del cod. civ., non essendo stato dimostrato lo svolgimento in modo continuativo e significativo dei medesimi poteri dell’amministratore di diritto definiti poteri ti inerenti alla qualifica e alla funzione. In conclusione, nessuna delle condotte valorizzate dalla Corte territoriale rientrerebbero in quelle che delineano il ruol gestorio trattandosi al più di singoli sporadici sporadiche condotte distribuite su più anni neppure coeve ai fatti contestati.
2.3.4. Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del delitto di omessa presentazione di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 di cui al capo B) in relazione all determinazione dell’imposta evasa per l’anno 2015, essendosi limitata ad affermare, la corte territoriale, che l’appellante non si era confrontato con la decisione di primo grado. Al contrario, il ricorrente aveva contestato il metodo induttivo utilizzato da
primo giudice e l’assenza di una autonoma valutazione del giudice penale nella determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa e del superamento della soglia di rilevanza penale. La motivazione sul punto sarebbe meramente apparente. Illogica sarebbe la motivazione circa l’ammontare della sopravvenienza attiva non dichiarata. Sul punto la Corte territoriale non avrebbe minimamente tenuto in considerazioni le puntuali precise e censure che si fondavano sulle consulenza tecnica della difesa del dottor COGNOME che nell’ambito delle operazioni di scissione societaria tra soggetti coinvolti dall’operazione segnalava che si trova applicazione il regime legale di responsabilità solidale a norma degli articoli 2506 quater codice civile e 15 del decreto legislativo 472 del 97 che prevede rispetto al codice civile un’ulteriore rafforzamento della tutela erariale stabilendo la responsabilità solidale nel pagamento delle somme dovute per violazioni commesse anteriormente alla data dalla quale la scissione produce effetto. Responsabilità solidale che non trova alcun limite nei confronti del creditore erariale. In conclusione, l’operazione seppur ritenuta insussistente o fittizia non farebbe venir meno l’imputabilità dell’eventuale imposta evasa alla RAGIONE_SOCIALE così come avrebbe ritenuto del tutto erroneamente la Corte territoriale. Pertanto, sarebbe evidente come le eventuali imposte vasa avrebbe dovuto essere posta a carico della RAGIONE_SOCIALE e non già della RAGIONE_SOCIALE con conseguenze sull’omissione della presentazione della dichiarazione.
2.3.5. Con il quinto motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 e art. 1414 cod. civ., e vizio di motivazione. La corte territoriale avrebbe erroneamente applicato l’istituto della simulazione in relazione ai capi B) ed F) e ritenuto che la vendita di Villa Ansaldi fosse un’operazione simulata finalizzata all’evasione di imposta derivante dalla plusvalenza. Contrariamente a quanto ritenuto le parti avrebbero posto effettivamente in essere una vendita effettiva impiegando una pluralità di schemi negoziali tipici leciti e formalmente corretti.
2.3.6. Con il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
2.4. Il ricorso nell’interesse di NOME è affidato a sei motivi.
2.4.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, artt. 5,7,9,109 del TUIR, art. 17 d.lgs n. 74 del 2000, art. 2 del d.P.R. n. 322/98 nel testo in vigore all’epoca del fatto, intervenut prescrizione del reato al tempo della sentenza di merito. Con riguardo alla contestazione mossa al capo F) riguardante la cessione del terreno con fabbricato in Sirmione, da parte della società RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE
società di diritto lussemburghese, avvenuta nel 2011, e la successiva cessione delle quote di quest’ultima alla società RAGIONE_SOCIALE di diritto austriaco nel 2013. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto consumato il reato di dichiarazione fraudolenta nel 2013, traslando l’obbligo dichiarativo in capo alla ricorrente al suddetto anno, laddove più correttamente l’obbligo dichiarativo avrebbe dovuto essere individuato nell’anno 2011, anno nel quale era avvenuta la vendita del bene dalla società RAGIONE_SOCIALE Sotto il profilo fiscale della normativa fiscale da cui discende l’obbligo dichiarativo la cui violazione è contestata nel capo di imputazione non avrebbe alcun rilievo la pretesa simulazione ma rileverebbe unicamente l’atto traslativo ovvero la vendita avvenuta pacificamente nel 2011 il preteso reddito occultato al dall’erario col trasferimento del bene avrebbe dovuto essere accertato con riferimento all’anno di imposta 2011 ed imputato fiscalmente ai soci nell’anno 2011 per effetto del principio della trasparenza fiscale. Pertanto, il reat risulterebbe prescritto quantomeno a far tempo dal 1°gennaio 2023 posto che il termine ultimo per la presentazione della dichiarazione per l’anno 2011 era il 30 settembre 2012. In altri termini il reato contestato correttamente collocato in relazione al periodo di imposta pertinente risultava prescritto prima della pronuncia della sentenza di primo grado.
2.4.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, insussistenza del requisito della falsa rappresentazione nelle scritture contabili, insussistenza della simulazione. In sintesi, argomenta la ricorrente che non sussisterebbe l’elemento costitutivo del reato e segnatamente la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e l’ulteriore elemento dell’avvalersi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento. In sintesi, l’operazione di vendita del terreno e fabbricato, nel 2011, da parte della RAGIONE_SOCIALE era reale ed era stata registrata nella contabilità e nelle scritture contabili, con esat indicazione del ricavo percepito, dunque nessuna falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie sarebbe ravvisabile; nè sarebbe ravvisabile alcun atto fraudolento ulteriore requisito richiesto dalla norma incriminatrice, visto che l vendita a Desnos non sarebbe affatto simulata né in senso oggettivo né in senso soggettivo, essendo stata realmente voluta dalle parti senza alcuna dissimulazione di elementi essenziali o accessori del negozio di compravendita ed essendo rimasta a Desno la piena titolare proprietà del terreno anche dopo il mutamento di proprietà delle quote di partecipazione in Desmo. La sentenza impugnata non si soffermerebbe in alcun modo sul requisito della condotta costituita dalla falsa rappresentazione nelle scritture contabili, essendo peraltro pacifico che la società RAGIONE_SOCIALE aveva documentato l’operazione di vendita del terreno a DESNO con due documenti: l’atto
di compravendita e la fattura di vendita. Dunque, le scritture contabili rifletterebbero esattamente i fatti amministrativi sottostanti e l’evidenza dei documenti fiscali sicché non sarebbe possibile parlarsi di falsificazione delle scritture contabili. In assenza d tale discrepanza verrebbe a mancare completamente il requisito della falsificazione delle scritture contabili. La simulazione evocata nella sentenza impugnata riguarderebbe l’atto di compravendita e non le scritture contabili che non potrebbero dirsi falsificate nel momento in cui riflettono esattamente i fatti amministrati aziendali come risultanti dai contratti dei documenti fiscali. La circostanza poi che i bene non sia rimasto nella disponibilità della società venditrice è confermato dalla circostanza che l’oggetto del trasferimento nel 2013 abbia riguardato la partecipazione di COGNOME e i flussi finanziari non siano entrati nella società bensì confluiti ad una pluralità di soggetti tra cui la ricorrente e NOME COGNOME
2.4.3. Con il terzo motivo deduce l’inosservanza delle norme stabilite a pena di inutilizzabilità, inutilizzabilità di documenti provenienti da fonte anonima, artt. 2 e 191 cod.proc.pen. segnatamente i documenti denominati riepilogo di flussi finanziari da Atlantis a soggetti tra cui NOME COGNOME e COGNOME NOME, nonché tutte le produzioni del P.M. di cui all. 47 e i file elencati all’ali. 57.
2.4.4. Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione al concorso nel reato di cui al capo F) di NOME. Sotto un primo profilo la corte territoriale avrebbe circoscritto la condotta materiale alla presentazione della dichiarazione, senza qualificare ulteriormente il contenuto del contestato concorso del delitto di cui all’art. 3 cit. che è caratterizzato da condotte prodromiche ( falsificazione delle scritture contabili e gli altri atti fraudolenti nel testo in vi all’epoca dei fatti e al momento della presentazione della dichiarazione). La ricorrente peraltro era socio accomandante della RAGIONE_SOCIALE per definizione esclusa dalla gestione sociale riservata al socio accomandatario ossia al padre NOME COGNOME Quindi la motivazione sarebbe in parte contenente ovvie affermazioni nella misura in cui configura il concorso nel reato in quanto era titolare dell’obbligo dichiarativo nell veste di socio accomandante, ma sarebbe illogica laddove avrebbe fatto riferimento ad elementi acquisiti, non meglio specificati, che comunque non sarebbero in alcun modo indicativi di un contributo gestorio di NOME COGNOME. Né l’affermato incasso di somme dall’estero, peraltro mai accertato in concreto, configurerebbe un concorso nella condotta prevista dall’art. 3 cit. Allo stesso modo la Corte territoriale n reiterare le argomentazioni del tribunale di Brescia non avrebbe dato concreto risposto risposta al motivo di appello che censurava appunto la carenza di motivazione in ordine la partecipazione concorsuale nel reato contestato.
2.4.5. Con il quinto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all’elemento psicologico del reato di cui al capo F), travisamento della prova.
La sentenza impugnata avrebbe reso una motivazione illogica in quanto avrebbe valorizzato elementi di fatto privi di effettivo valore inferenziale ossia l titolarità dell’obbligo dichiarativo in capo a NOME COGNOME in quanto socia comandante della NOME Bennet la percezione da parte della medesima della somma di denaro di 750.000 Cricevuta dalla società a nel 2013 l’inverosimile lianza della non consapevolezza da parte della ricorrente in ordine ai fatti gestori di rennen in quanto socia con il padre la sua partecipazione alla decisione in ordine alla liquidazione della società rennen. In tale contesto il primo il quarto elementi sarebbero privi di significato indiziario e non potrebbero sorreggere alcuna deduzione logica in punto elemento soggettivo quanto al primo ossia l’obbligo dichiarativo personale della ricorrente è un dato formale è neutro quanto al quarto sia la partecipazione di NOME COGNOME quale socio accomandante la decisione circa la liquidazione della società trattasi anche questo di un dato del tutto neutro frutto dell’adempimento di un obbligo di legge e di statuto. Per contro l’istruttoria dibattimentale avrebbe evidenziato la totale estraneità di NOME COGNOME da qualsiasi attività gestoria e men che meno da ogni trattativa svolta dal padre e da NOME COGNOME per la cessione del terreno della società.
2.4.6. Con il sesto motivo deduce la nullità della sentenza di primo grado nella qualità di erede di NOME NOME con riferimento alla confisca disposta per i capi A) e B).
2.5. il ricorso nell’interesse di COGNOME Claudio, a firma avv. COGNOME e avv. COGNOME deduce i seguenti motivi
2.5.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 129 cod.proc.pen. mancata assoluzione dell’imputato per evidente prova dell’insussistenza del fatto di cui all’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 in relazione alla vendita di Villa Ansaldi di c al capo A) in presenza di dichiarazioni di estinzione del reato per prescrizione.
2.5.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 129 cod.proc.pen. mancata assoluzione dell’imputato per evidente prova dell’insussistenza del fatto di cui all’art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 per non avere commesso il fatto, di cui al capo C) in presenza di dichiarazioni di estinzione del reato per prescrizione.
2.5.3. Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità per il reato di cui al capo F), mancata assoluzione dell’imputato. I dati processuali non avrebbe dimostrato che l’operazione della vendita del terreno e fabbricato in Sirmione fosse apparente e simulata in quanto diretta tra la società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, e che il prezzo di vendita a Desno e da
questa a NOME COGNOME non fosse identico, come dimostrato, circostanza questa essenziale per ritenere la simulazione degli atti. Nell’atto di appello si er argomentato che non era stato dimostrato che il valore del terreno al momento della prima vendita fosse identico a quello del 2013 (pari a € 2.341.093,88). Su punto vi sarebbe mancanza di motivazione.
Il difensore di COGNOME NOME ha depositato memoria di replica al ricorso del Procuratore generale ed ha chiesto il rigetto del ricorso. Argomenta che la traslazione dell’ipotetica plusvalenza occulta – realizzata, anche nell’assunto dell’accusa, confermato dalla sentenza impugnata, nell’anno 2009 – agli anni 2010, 2011, 2012, 2013, presuppone che la scelta dell’opzione agevolativa, ma se il contribuente non dichiara – come ritenuto in sentenza – la ipotetica plusvalenza, non vi sarebbe dubbio che il carico fiscale vada ad incidere, per competenza ed in ossequio al principio di autonomia del periodo di imposta, al momento del compimento dell’atto realizzativo, nella fattispecie la vendita del bene “Villa Ansaldi” conclusa nell’anno 2009, con la conseguenza che è solo in relazione alla dichiarazione dei redditi inerente l’anno in questione (2009) che potranno essere svolte le relative contestazioni tributarie ed, eventualmente, penali.
Il difensore di COGNOME NOME ha depositato memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale ed ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Il difensore di COGNOME NOME ha depositato memoria di replica alla conclusione del Procuratore generale ed ha chiesto il rigetto del ricorso del Procuratore generale.
Il Procuratore generale ha chiesto, in accoglimento del ricorso del PG, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla dichiarazione di prescrizione del reato di cui al capo a) in epoca antecedente alla sentenza di primo grado e alla revoca della confisca e dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi COGNOME NOMECOGNOME COGNOME SebastianoCOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del Procuratore generale di Brescia è fondato.
La decisione con la quale la Corte d’appello di Brescia ha revocato la confisca disposta dal Tribunale di Brescia, in relazione al reato di cui al capo A) – artt. 11 cod.pen., 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 -, per essere il reato estinto per prescrizione in epoca antecedente alla sentenza di primo grado, è frutto di plurime violazioni di
legge penale e di quella di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale.
1.2. Nel ripercorrere la vicenda processuale, come puntualmente indicato nel ricorso per cassazione del Procuratore generale di Brescia, con sentenze emessa in data 20 settembre 2023, il Tribunale di Brescia condannava COGNOME MicheleCOGNOME COGNOME Giovanni Emilio Augusto, COGNOME NOME Antonio COGNOME COGNOME COGNOME NOME e COGNOME Claudio responsabili del delitto di cui all’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, in relazione all’anno di imposta 2012, contestato nel capo A).
Avverso tale sentenza proponevano appello gli imputati i quali, oltre a contestare le argomentazioni del giudice in relazione alla sussistenza del reato, osservavano che, in ogni caso, il fatto di reato contestato nel capo A) si era ormai prescritto in quanto commesso nel solo anno d’imposta 2009, quando sarebbe stata realizzata la plusvalenza patrimoniale sottratta a tassazione di cui veniva omessa l’indicazione nella dichiarazione dei redditi.
La Corte d’appello investita dell’impugnazione degli imputati, condividendone le considerazioni svolte, ha ritenuto che il tempus commessi delitti coincidesse con la data di presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta 2009, ossia il 5 ottobre 2010, anziché con la diversa data del 27 settembre 2013, ossia la data di presentazione della dichiarazione per l’anno 2012, ed ha rilevato la prescrizione del reato maturata precedentemente l’impugnata sentenza e per l’effetto revocava la disposta confisca del profitto del reato.
La Corte d’appello, accogliendo la prospettazione difensiva, così argomentava: “Ed invero si condivide la osservazione difensiva secondo cui l’articolo 86 del TUIR disciplina la determinazione della base imponibile che deve essere oggetto di dichiarazione da parte del contribuente, e le modalità e tempistiche con cui detta base imponibile deve essere oggetto di dichiarazione. In particolare, l’articolo 86 comma 4 TUIR non ha contenuto sanzionatorio e disciplina il comportamento, senza disciplinare gli effetti del comportamento vietato, cioè la mancata dichiarazione della plusvalenza o di una parte di essa. Va qui ribadito che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, con sentenza del 15/12/2022, si è pronunciata su ricorso della RAGIONE_SOCIALE ed ha affermato che “né è sostenibile che per l’importo di 12.000.000,00, la plusvalenza possa essere « spalmabile » dall’ufficio in quote costanti in cinque esercizi, come invece accaduto per la quota di plusvalenza regolarmente dichiarata, trattandosi di importo omesso e per il quale non è stata effettuata dal contribuente alcuna scelta ex art. 84 co. 4 DPR 917/1986”. Tale ragionamento appare condivisibile, in quanto la società che ricorre alla opzione prevista dall’art. 86 co. 4 T.U.I.R. è tenuta a dichiarare integralmente la plusvalenza
registrata nella dichiarazione trasmessa rispetto alla annualità in cui la plusvalenza è stata generata, e sul presupposto che la plusvalenza è stata integralmente dichiarata, può provvedere alle variazioni in diminuzione ed aumento che consentono il dilazionamento dei relativi elementi attivi nei periodi di imposta successivi. Nel caso in esame, invece, come condivisibilmente chiarito dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, l’importo era stato omesso e non era stata fatta tale scelta dal contribuente. Tanto premesso, deve dunque ritenersi che per il reato contestato al capo A), la data di commissione non va individuata alla data del 27.09.2013 (data della presentazione della dichiarazione per l’anno 2012), bensì alla data del 5.10.2010, data della presentazione della dichiarazione per il periodo di imposta 2009: ne consegue che è maturata la prescrizione del reato già prima della emissione della sentenza di primo grado, del 20.09.2023″ (cfr. pag. sentenza di appello).
1.3. Avverso il capo della sentenza che ha revocato la confisca del profitto del reato di cui al capo A), per effetto della ritenuta prescrizione del reato maturata in epoca precedente alla sentenza di primo grado per effetto della ritenuta consumazione alla data di presentazione della dichiarazione per il periodo di imposta 2009, ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale di Brescia deducendo plurime violazioni di legge. Precisamente: erronea applicazione dell’art. 86 d.P.R 917del 1986, degli artt. 81 cod.pen. in relazione all’articolo 3, del decreto legislativo 74 del 2000, degli artt. 157 cod.pen. e 17 decreto legislativo 74 del 2000.
Premessa la ricostruzione della vicenda relativa alla vendita del complesso immobiliare denominato INDIRIZZO, su cui vedi sopra, deduce il ricorrente la violazione dell’articolo 86 comma 4, Tuir, norma che consente di ripartire la plusvalenza patrimoniale realizzata dalla società in quote costanti nell’esercizio di realizzazione e nei successivi, ma non oltre il quarto anno, così diluendo in un massimo di 5 tranche l’imponibile da considerarsi al fine del calcolo delle imposte dirette.
In forza della scelta operata ai sensi dell’art. 86 Tuir, la RAGIONE_SOCIALE aveva ripart la plusvalenza immobiliare, realizzata con la vendita di INDIRIZZO, in quote costanti dal 2009, esercizio di realizzazione, al 2013, sottoponendo, tuttavia, a tassazione Ires solamente la minore somma di C 1.440.008,83 per ciascun anno d’imposta, ossia un quinto di euro 5.700.417,00, omettendo di sottoporre a tassazione la plusvalenza patrimoniale effettiva, di euro 17.700.417 calcolata sottraendo al valore effettivo di vendita, pari a euro 19.050.000, il costo storico dell’immobile da cui era scaturito, per effetto del minor prezzo di vendita e non di quello effettivo, l’indicazione a bilanci una plusvalenza di soli C 5.700.417,00.
1.4. Ciò premesso, la decisione della corte territoriale è fondata su un’erronea interpretazione dell’art. 86 comma 4, Tuir.
L’art. 86, comma 4, del d.P.R. n. 917/86 stabilisce che “le plusvalenze realizzate…, determinate a norma del comma 2, concorrono a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate, ovvero, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni, o a un anno, per le società sportive professionistiche, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizi stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto. La predetta scelta deve risultare dalla dichiarazione dei redditi; se questa non è presentata la plusvalenza concorre a formare il reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui è stata realizzata….”
La Corte di cassazione ha chiarito che la cessione a titolo oneroso di beni dell’impresa genera una plusvalenza imponibile, data dalla differenza tra il corrispettivo riscosso (al netto degli oneri accessori di diretta imputazione) ed il cost non ammortizzato (costo di acquisto al lordo delle rivalutazioni fiscalmente rilevanti e al netto degli ammortamenti dedotti).
L’art. 86 del TUIR consente alle imprese di rateizzare le plusvalenze derivanti da cessioni a titolo oneroso di beni dell’impresa in un massimo di cinque esercizi, a tal fine è tuttavia richiesto che i beni materiali o immateriali oggetto della cession siano posseduti da almeno tre anni (un anno per le società sportive dilettantistiche) e che la scelta del frazionamento della plusvalenza sia effettuata in dichiarazione dei redditi, nel prospetto “Plusvalenze e sopravvenienze attive” contenuto nel quadro RS del modello REDDITI. In mancanza di tali condizioni, la plusvalenza concorre alla formazione del reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui è stata realizzata.
L’opzione per la rateizzazione della plusvalenza, da esercitare in dichiarazione dei redditi, è irrevocabile. è inoltre richiesta la ripartizione della plusvalenza in qu costanti (Cass. civ., Sez. 5, n. 16242 del 20/06/2018, Rv. 649218 – 01). Una volta operata la scelta, che riguarda la modalità di tassazione in forza della quale la plusvalenza va spalmata, tale scelta non esplica i suoi effetti sul piano del calcolo dell’ammontare della plusvalenza ai fini della tassazione.
La scelta del contribuente attiene, in altri termini, al piano dell’esercizio del facoltà prevista dall’art. 86 comma 4 Tuir, ma non ha effetti nella determinazione del calcolo della plusvalenza che deve essere correttamente determinata secondo i principi generali, e che, quanto al caso in esame, deve essere calcolata tenuto conto della effettiva plusvalenza generata dalla complessiva operazione fraudolenta, come ricostruita su base oggettiva, per effetto della quale e del reale prezzo di vendita, era
stata determinata in difetto pari a C C 5.700.417,00, quelli poi scomputati negli anni, in luogo della maggior plusvalenza patrimoniale effettiva, di euro 17.700.417.
Come correttamente argomentato dal Procuratore generale in sede, nel caso in esame, non essendovi dubbi circa la scelta di rateizzazione della plusvalenza nell’anno di realizzazione e nei quattro anni successivi operata dal contribuente, tale scelta ha avuto ad oggetto il regime da applicare alla plusvalenza unitariamente considerata, comprensiva anche del vantaggio patrimoniale occultato, rispetto al quale sarebbe del tutto incongrua l’applicazione di un diverso regime.
Tale conclusione trova conforto nel dettato normativo prevedendo la norma che, se la dichiarazione non è presentata, “la plusvalenza concorre a formare il reddito per l’intero ammontare”. Dunque, solo nel caso di omessa presentazione, che non ricorre nel caso in esame, la plusvalenza concorre a formare il reddito per l’intero ammontare nell’anno in cui è generata.
Da cui la conclusione che è priva di fondamento giuridico l’interpretazione del giudice di appello, fondata su una errata interpretazione dell’art. 86 comma 4 Tuir, in quanto la norma non prevede la possibilità di rateizzare la plusvalenza solo in parte, applicando regimi diversi ed esclude la possibilità di rateizzazione esclusivamente in caso di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi e non in caso di mancata indicazione di parte dell’incremento patrimoniale nella dichiarazione regolarmente presentata.
1.5. Dalla corretta interpretazione dell’art. 86 comma 4 Tuir consegue che la RAGIONE_SOCIALE, per effetto della scelta operata ai sensi della norma del Tuir nelle dichiarazion dei redditi presentate per gli anni d’imposta 2009, 2010, 2011 e 2012, laddove ha dichiarato quote consistenti di plusvalenze patrimoniali inferiori rispetto a quelle effettivamente conseguite dall’operazione di vendita di Villa Ansaldi, ha integrato diverse violazioni dell’articolo 3 d.lgs. n. 74 del 2000, con la conseguente decorrenza di differenti termini di prescrizioni. In altri termini, l’omessa indicazione de maggiori plusvalenze accertate nelle singole dichiarazioni dei redditi per gli anni di imposta in cui è stato operato il frazionamento in quote costanti degli elementi attivi di reddito integra diversi delitti di cui all’art, 3 cit., negli anni d’imposta dal 2 2012, con la conseguente decorrenza di differenti termini di prescrizione. Per effetto dell’applicazione degli artt. 157 cod.pen. e 17 d.lvo n. 74 del 2000, se risultavano estinti per decorrenza dei termini di prescrizione i delitti riconducibili all’annualit imposta 2009 2010 2011, come già rilevato dal tribunale di Brescia, viceversa non risulta, all’epoca della decisione di primo grado, intervenuta in data 20 settembre 2023, l’estinzione del reato riguardante la dichiarazione per l’esercizio 2012, in quanto, alla data di consumazione fissata il 27 settembre 2013, coincidente con la
data di presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2012, era successiva alla sentenza di primo grado.
Ne consegue che il giudice dell’appello avrebbe dovuto applicare l’articolo 578 bis cod.proc.pen., applicabile anche alla confisca obbligatoria del profitto del reato di cui all’art. 12 – bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, e valutare la sussistenza de presupposti per mantenere la confisca in via diretta (Sez. 3, n. 7882 del 21/01/2022, COGNOME, Rv. 282836 – 01; Sez. 3, n. 15655 del 02/02/2022, COGNOME, Rv. 283275 01; Sez. 3, n. 39157 del 07/09/2021, Rv. 282374 – 01) e valutare la sussistenza dei presupposti per mantenere la confisca diretta del profitto del reato.
1.6. Peraltro, in disparte l’erronea interpretazione dell’art. 86, comma 4, Tuir nei sensi in precedenza precisati, sussiste, in diritto, altra concorrente (e assorbente) ragione che rende erroneo l’esito cui è giunta in parte qua la Corte territoriale.
In tema di reati tributari, l’integrazione di una fattispecie penale incriminatric rende il fatto (di reato) punibile indipendentemente dagli effetti che la violazione d un una norma extrapenale tributaria può produrre.
Al contribuente è fatto divieto di violare le norme tributarie e, a maggior ragione, le norme penali tributarie che puniscono fatti di evasione – ossia i comportamenti maggiormente lesivi delle ragioni erariali e del bene giuridico protetto dalle incriminazioni – cosicché esse, anche quando richiamano elementi normativi propri del diritto tributario, sono autonome e autosufficienti rispetto agli eff previsti da una norma tributaria extrapenale.
Infatti, l’elemento normativo della fattispecie svolge, nell’ambito della struttura del fatto tipico, esclusivamente la funzione di assicurare la puntuale descrizione del precetto penale, così da rispettare il principio di tassatività.
In buona sostanza, il legislatore, nel descrivere con precisione il fatto tipico i maniera che il comportamento attivo od omissivo penalmente rilevante sia estremamente chiaro per i destinatari della norma penale, ricorre all’uso di termini giuridici allo stesso modo in cui, in altre situazioni, fa uso di termini naturalistici
In questi casi, per stabilire se sia o meno integrata una fattispecie penale incriminatrice, è allora necessario avere riguardo ai contenuti precettivi della norma penale di riferimento e, quindi, degli elementi (normativi e/o naturalistici) che l compongono.
Per quanto qui interessa, l’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000 punisce chi, mediante artifici idonei ad ingannare l’amministrazione finanziaria, indica nelle dichiarazioni de redditi “elementi attivi o passivi” che concorrono, in senso positivo o negativo, alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti ai fini dell’applicazio
delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, allorquando siano raggiunte le soglie di punibilità previste dalla fattispecie incriminatrice in relazione alla dichiarazion reddituale presentata per un determinato anno di imposta.
Quindi, gli elementi costitutivi del fatto tipico prescindono, nel caso in esame, dagli effetti che normativa tributaria delinea nel quarto comma dell’art. 86 Tuir, tant’è che il momento consumativo del reato corrisponde, secondo la tipizzazione del fatto punibile, alla presentazione della dichiarazione mendace, quale conseguenza della condotta artificiosa, cosicché l’aver indicato, in singole dichiarazioni annuali dei redditi, quote consistenti di plusvalenze patrimoniali inferiori rispetto a quell effettivamente conseguite dall’operazione della vendita di INDIRIZZO, ha integrato, in presenza del raggiungimento delle soglie di punibilità e degli altri elementi che costituiscono il reato, le rispettive fattispecie incriminatrici consumate alla data d presentazione delle relative dichiarazioni dei redditi.
Diversamente argomentando e seguendo l’errata interpretazione della Corte d’appello, le mendaci (ingannatrici) condotte dichiarative degli imputati si risolverebbero, senza alcuna base giuridica rilevante per il diritto penale, alla stregua di post factum non punibili, pur integrando, ognuna di esse e in concorso con gli altri elementi costitutivi, pienamente il fatto di reato ex art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000.
1.7. Pertanto, in accoglimento del ricorso del Procuratore generale, la sentenza sul punto deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Brescia, la quale dovrà valutare, ai sensi dell’art. 578 bis cod.proc.pen., in presenza di estinzione del reato di cui al capo A) per prescrizione, i presupposti per l’applicazione della confisca diretta del profitto del reato tributario.
Passando all’esame dei ricorsi degli imputati:
Il ricorso di COGNOME Sebastiano è inammissibile.
Occorre premettere che risultano pronunziate nei confronti del ricorrente due sentenze conformi (vi è stata solo la declaratoria di prescrizione in relazione ai capi C) e G), per cui opera in questa sede il principio per cui «le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata» (cfr. Sez. 3, n.13926 del 01/12/2011 Rv.252615 COGNOME; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 Argentieri), come risulta chiaro dal tenore
dei primi due motivi di ricorso che censurano la decisione di condanna in punto determinazione imposta evasa e dolo del reato. E, per il rilievo che assume nel caso concreto, deve altresì aggiungersi che «in tema di integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e di secondo grado, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto o di diritto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, il giudice dell’impugnazione ben può motivare per relationem e l’altrettanto pacifico principio secondo cui «in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione. (cfr. Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988; Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017 Rv. 271227 M e altri). L’emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio opera in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto c sorreggono l’impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017 cit.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1. Passando all’esame, congiunto, dei primi due motivi di ricorso che attengono all’affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all’art. 5 d.l 10 marzo 2000, n. 74, per l’anno di imposta 2015, quale legale rappresentante e liquidatore della RAGIONE_SOCIALE, con evasione di imposta Ires pari a € 331.441,83, osserva il Collegio che gli stessi costituiscono una mera riproduzione delle stesse censure già devolute al giudice dell’impugnazione e da questi respinte con motivazione congrua e non manifestamente illogica.
A logica conclusione sono pervenuti i giudici del merito sia con riguardo alla determinazione dell’imposta evasa che all’imputazione della condotta al ricorrente, legale rappresentante prima e poi liquidatore della SII dal 21/12/2016. Ma prima ancora, osserva il Collegio che le censure devono essere valutate tenuto conto del
contenuto confessorio ed etero-accusatorio (cfr. pag. 24 sentenza di primo grado), circostanza questa che il ricorrente trascura.
La sentenza impugnata, in continuità con quella di primo grado, dopo avere ricostruito l’operazione della vendita di INDIRIZZO (vedi §.1.2. supra) e dopo avere rilevato la genericità della censura in punto modalità di calcolo dell’imposta evasa, ora riproposta (cfr. pag. 284), quanto all’annualità del 2015, unica contestazione per la quale il Cilio ha riportato condanna, argomentava che il calcolo era stato effettuato confrontando i risultati della contabilità con quelle dello spesometro integrato, rilevando l’indicazione di debiti inesistenti per C 795.007,00 per cui sulla base di calcolo, che ha tenuto conto di ciò, di C 1.205.243,00 è stata calcolata l’imposta evasa come indicato nel capo di imputazione. Il procedimento induttivo, che i giudici territoriali hanno autonomamente validato, non è stato contestato dall’imputato né in sede di giudizio di secondo grado (pag. 285) né in sede di ricorso per cassazione con il quale il ricorrente lamenta la carenza di motivazione e l’assenza di valutazione delle doglianze senza superare il giudizio di genericità formulato dai giudici dell’imputazione che avevano già evidenziato la genericità della contestazione del calcolo dell’imposta evasa su base induttiva.
Sul punto, in relazione alla dedotta mancanza agli atti del PVC della Guardia di Finanza, rileva il Collegio la manifesta infondatezza della censura là dove non si confronta con pag. 17 della sentenza di primo grado da cui risulta la produzione dello stesso ai docc. 12 e 13 e sul quale ha deposito il Cap. COGNOME della G.di F.. Sempre con riguardo a tale profilo di censura, non si confronta il ricorrente con la circostanza che dall’Anagrafe Tributaria era emerso che la RAGIONE_SOCIALE, in relazione alle annualit 2013, 2014 e 2015, aveva omesso di presentare le dichiarazioni annuali ai fini delle imposte sui redditi, limitandosi a trasmettere le pertinenti Comunicazioni Annuali Dati IVA, dalle quali è stato possibile calcolare l’imposta sul valore aggiunto evasa, (cfr. pag. 17), adempimento che ben può essere utilizzato, in quanto proveniente dal soggetto legale rappresentante, per la determinazione della imposta evasa (Sez. 3, n. 381 del 14/12/2022, COGNOME, Rv. 283915 – 01).
La corte territoriale ha poi disatteso l’ulteriore profilo di censura, sempre inerente al calcolo dell’imposta evasa, che tenuto conto della scissione del 28/12/2015, argomentava che il debito sarebbe da imputare alla società veneta Immobiliare, evidenziando la strumentalità dell’operazione di scissione del 28/12/2015, ammessa dallo stesso COGNOME (cfr. pag. 53 sentenza di primo grado).
La simulata operazione di scissione, come ha spiegato il primo giudice (cfr. pag. 24), era preordinata a rendere inefficace la procedura di riscossione attiva con l’occultamento di poste attive della società cedente (ovvero la SII) e ciò che veniva
ceduto alla RAGIONE_SOCIALE erano sopravvenienze attive della società cedente, da cui il corretto calcolo dell’imposta evasa.
2.2. In relazione al secondo motivo di ricorso, rileva il Collegio l’inammissibilità per genericità della censura, anche diretta a richiedere una diversa ricostruzione del fatto, là dove i giudici del merito hanno argomentato che il ricorrente, legale rappresentante della società prima e poi liquidatore dal 21/12/2016, soggetto obbligato alla presentazione della dichiarazione omessa, era pienamente consapevole e partecipe delle operazioni che avevano portato alla vendita di Villa Ansaldi secondo il meccanismo fraudolento come ricostruito (cfr. pag. 48- 53 sentenza di primo grado), essendo l’imputato il legale rappresentante e, dunque, soggetto che in ragione del ruolo formale ricoperto e non di mera testa di legno, responsabile del reato contestato, in un contesto come descritto a pag. 24, di consapevolezza delle operazioni che coinvolgevano la SII, di cui era legale rappresentante, e di consapevolezza per avere redatto i bilanci, dell’ammontare dell’imposta evasa.
2.3. Il terzo motivo di ricorso che censura il trattamento sanzionatorio è manifestamente infondato. La corte territoriale è pervenuta alla determinazione del trattamento sanzionatorio, all’esito della declaratoria di prescrizione dei reati di cu ai capi C) e D), attraverso un procedimento di commisurazione che, in applicazione dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen. è congruamente motivato. A pag. 294, i giudici territoriali hanno argomentato le ragioni per la quali si discostavano dal minimo edittale e ciò in ragione della personalità del predetto e dei precedenti penali (all’imputato era contestata la recidiva) avendo riportato ben sei condanne. La motivazione non solo è puntale ma anche congrua.
Il ricorso è inammissibile con tutte le conseguenze di legge.
Il ricorso di COGNOME NOME è sotto tutti i profili devoluti inammissibil
3.1. Il primo motivo di ricorso che contesta l’assenza di motivazione/motivazione apparente in relazione alla qualificazione di amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE è manifestamente infondato.
La nullità della sentenza per l’assenza di motivazione, ravvisabile quando il provvedimento giudiziario non contiene un nucleo di argomentazioni pertinenti al caso in concreto dal quale sia evincibile l’iter logico seguito della corte per addivenire alla decisione del caso concreto, che deve essere percepibile dal lettore (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893), costituisce la sanzione per la violazione del principio costituzionale di cui all’art. 111 comma 6 Cost., secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, affinchè soddisfi l’obbligo di cui all’art. 111 Cost, la motivazion
dei provvedimenti a contenuto decisorio deve contenere, di regola, «l’esposizione di quanto basti ad individuare il processo logico giuridico che il giudice ha seguito nel pervenire alla risoluzione delle questioni sottoposte al suo esame» (Corte cost. n. 143 del 1976) e ciò per garantire quel controllo sugli atti giurisdizionali adottati d giudice secondo legge, quale corollario del principio democratico di controllo generalizzato e diffuso sull’amministrazione della giustizia.
Si è chiarito, nella giurisprudenza di legittimità, che l’apparenza della motivazione si configura “soltanto quando sia del tutto avulsa dalla risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro stile o di asserzioni o di proposizione prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutto i casi in cui il ragionament espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente”(Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 263100; Sez. 5, n. 24862 del 19/05/2010, COGNOME, Rv. 247682).
3.2. Tutto ciò premesso, nel caso in esame, la sentenza non contiene una motivazione apparente e/o inesistente.
La sentenza impugnata, dopo avere ripercorso la decisione di primo grado e aver esposto i motivi di appello, ha reso una motivazione, con cui ha disatteso le censure, che non appare per nulla apparente, secondo i canoni sopra enunciati, essendo evincibile l’iter argomentativo sulla base del quale ha confermato il giudizio di penale responsabilità sufficiente ad esporre le ragioni a fondamento della conferma della statuizione di condanna di primo grado.
A tale riguardo deve osservarsi che la motivazione, per essere effettiva, deve essere letta nel suo complesso, e la congruità della stessa deve essere valutata anche in relazione ai motivi di censura, sicchè se questi riguardano profili di censura meramente riproduttive di censure già risolte dal primo giudice o di censure manifestamente infondate, deve ritenersi che il giudice abbia disatteso implicitamente le stesse e non sia prospettabile una mancanza di motivazione. Va da sé che non è il numero delle pagine a rendere la motivazione presente e non apparente ma il contenuto di queste sicchè anche una motivazione succinta, ma che consente di apprezzare il percorso logico giuridico seguito dal giudice del merito nel disattendere le censure, è idonea a soddisfare l’obbligo, nascente dall’art. 111 Cost., di motivazione dei provvedimenti.
3.3. Tutto ciò premesso, la sentenza impugnata, in continuità con quella di primo grado, che in presenza di c.d. doppia conforme si saldano costituendo un unico complesso argomentativo, ha disatteso la censura argomentando, con riguardo al capo B) (mente per il capo F) l’imputato è socio accomandatario e amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e &), che il COGNOME rivestiva la qualifica di
amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE, sulla scorta del testimoniale e segnatamente delle dichiarazioni di Peschiera NOME che indicava il COGNOME come proprietario della c srl insieme al figlio NOME sino a quando erano iniziati i primi contratti contatti tr COGNOME e il COGNOME, tramite la intermediazione dello stesso Peschiera, relativo alla vendita di Villa Ansaldi. Anche NOME COGNOME, che era intervenuto nella trattativa per la vendita della villa Ansaldi, ha indicato il COGNOME come uno dei suoi principal interlocutori nella trattativa, che si era perfezionata nel 2009, come soggetto che decideva il prezzo di vendita, soggetti questi che avevano avuto un ruolo di rilievo della trattativa relativa alla vendita di INDIRIZZO, che costituisce la premessa p la contestazione elevata nel capo B). Lo stesso coimputato COGNOME aveva indicato il COGNOME come gestore di fatto e COGNOME NOME, commercialista della società negli anni 2011- 2012, ha dichiarato di aver ricevuto l’incarico direttamente del COGNOME, mentre COGNOME NOME ha dichiarato di aver sostenuto con il COGNOME il colloquio per la sua assunzione. Il giudice dell’impugnazione ha, poi, fatto riferimento a riscontri documentali a tali dichiarazioni riportati dal giudice di primo grado a pag. 39, da cui ha la conclusione che le scelte strategiche della società fossero state prese per un lungo arco temporale proprio dal COGNOME anche negli anni successivi alla vendita di Villa COGNOME. Sulla scorta di tale dato probatorio i giudici del merito hanno ritenuto che l’imputato esercitasse i poteri tipici dell’amministratore occupandosi degli atti dispositivi dei rapporti coi clienti coi commercialisti coi dipendenti in un contesto ne quale la difesa appellante non aveva allegato seri elementi idonei a confutare tali chiari evidenze. Non solo la motivazione è presente ed effettiva, ma anche congrua. Risulta manifestamente infondato il primo motivo di ricorso anche in parte generico là dove censura la mancata risposta al primo articolato motivo senza nulla aggiungere. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.4. Risulta altresì inammissibile perché diretto a richiedere una rivalutazione delle prove il collegato secondo motivo di ricorso che nel censurare la sentenza per vizio di motivazione apparente sul ruolo di amministratore di fatto, contesta le dichiarazioni del Peschiera, di COGNOME, di COGNOME di cui si chiede a questa Corte di interpretare il reale significato probatorio. Esclusa sulla base di quanto argomentato supra, la mancanza/apparenza di motivazione, va rammentato che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed è esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio. L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato al giudice di legittimità essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle
argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, esulando dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone ed altri, Rv. 207944).
3.5. Il terzo motivo di ricorso rubricato “Inosservanza dell’art. 2639 cod. civ. in relazione agli artt. comma 2, 110 cod.pen. 3 d.lgs n. 74 del 2000”, è inammissibile perché manifestamente infondato.
A parte l’evidente refuso del riferimento al reato di cui all’ad 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 che riguardava la contestazione sub A), per cui è intervenuta declaratoria di prescrizione del reato, la censura, ricondotta alla contestazione di cui al capo B), come riferito nel corpo del motivo, è manifestamente infondata.
I giudici del merito, sulla scorta del testimoniale sopra indicato (par. 3.3. hanno fatto corretta applicazione dei principi ermeneutici indicati dalla giurisprudenza di legittimità e individuato la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in diverse fasi della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, come reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277540 – 01; Sez. 3, n. 22108 del 19/12/2014, COGNOME, Rv. 264009-01, in relazione ai reati tributari, e Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 246534-01), segnatamente aveva trattato la vendita di Villa Ansaldi indicandone il prezzo, si interfacciava con il commercialista, e con l’intermediario per la vendita della villa, in un contesto nel quale l’oggetto sociale della RAGIONE_SOCIALE era prop l’intermediazione immobiliare. Infine, ritenuto in capo al COGNOME la qualifica d amministratore di fatto, egli risponde del reato tributario, in applicazione del princip di diritto in base al quale l’amministratore di fatto risponde dei reati tributali qu autore principale in quanto titolare di effettivo potere della gestione sociale e pertanto nelle condizioni di compiere l’azione dovuta (Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015, COGNOME, Rv. 264971; Sez. 3, n. 23425 del 28/04/2011, COGNOME, Rv. 250962).
3.6. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile sulla scorta delle seguenti ragioni.
Va in primo luogo rilevato che il COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, nella veste di amministratore di fatto del RAGIONE_SOCIALE, in concorso con NOME NOME, amministratore di diritto dal 31/05/2016,
per l’omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi per gli anni 2013, 2014 e 2015, con complessiva evasione di IRES per C 1.649175,00 (capo B).
Il COGNOME è stato condannato per l’omessa presentazione della dichiarazione fiscale relativa alle imposte sui redditi per tre annualità: 2013, 2014 e, in concorso con NOME COGNOME, per il 2015. Fatta questa premessa, rileva il Collegio che il ricorrente non muove alcuna censura specifica con riguardo all’omessa presentazione per gli anni 2013 e 2014, censurando invece la motivazione in relazione al calcolo dell’imposta evasa con riguardo all’anno di imposta 2015 con argomenti del tutto sovrapponibili alla censura di NOME COGNOME per cui si rimanda al § 2.1. Per completezza, osserva il Collegio che non può condividersi il ragionamento seguito dal ricorrente secondo cui in presenza di scissione l’eventuale imposta evasa avrebbe dovuto essere posta a carico della RAGIONE_SOCIALE e non già della RAGIONE_SOCIALE poiché sia gli immobili che i debiti erano stati ceduti dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE con l’atto di scissione del 28/12/2015, poiché simulata l’operazione, sicchè i beni erano rimasti in capo a SII con tutte le conseguenze in tema.
Ancora una volta, si deve ribadire che i giudici del merito hanno ritenuto simulata la scissione, finalizzata a rendere inefficacie la procedura di riscossione del debito tributario, tant’è che era contestata anche la violazione dell’art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 nel capo C) dichiarata prescritta ma non insussistente, e dunque i beni simulatamente trasferiti componevano le consistenze ai fini del calcolo dell’imposta evasa (cfr. pag. 285).
3.7. Il quinto motivo di ricorso è privo di pertinenza censoria ed è pertanto inammissibile.
Il ricorrente deduce la violazione di legge in relazione all’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 e art. 1414 cod. civ. e vizio di motivazione con riferimento ai capi B9 e F) e con riguardo alla vicenda relativa alla vendita di Villa Ansaldi come emerge chiaramente dal corpo del motivo.
Ora, escluso il riferimento al capo B) che riguardo il diverso reato di cui all’art 5 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, la censura di violazione dell’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 deve essere necessariamente riferita al capo F) anche indicato nel motivo. Non di meno, fatta questa precisazione, la censura, come svolta nel corso del motivo, non si correla con il fatto contestato nel capo F) che riguarda la – diversa – vicenda della vendita da parte della società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e & del terreno con fabbricato sito in Sirmione.
Né può ritenersi che il ricorrente abbia erroneamente indicato il capo F) in luogo del capo A) che riguarda la contestazione di violazione dell’art. 3 con riguardo
alla vicenda relativa alla vendita di INDIRIZZO su cui è intervenuta la dichiarazion di prescrizione del reato, in assenza di evidenza di cause ex art. 129 cod.proc.pen., a cui neppure il ricorrente fa cenno.
Il motivo risulta dunque inammissibile.
3.8. Il sesto motivo di ricorso con cui si censura il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondato.
Il diniego di riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62 bis cod.pen. è stato argomentato in ragione dell’assenza di elementi positivi di valutazione e in presenza di un precedente penale per associazione a delinquere ed esercizio di una casa di prostituzione (cfr. pag. 296). In tema di attenuanti generiche, il giudice de merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fi della concessione o dell’esclusione, essendo sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai precedenti penali dell’imputato (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 – 01).
Il ricorso di NOME deve essere dichiarato inammissibile con tutte le conseguenze di legge.
I separati ricorsi, aventi motivi uguali, nell’interesse di COGNOME NOME sono inammissibilità per manifesta infondatezza e genericità.
4.1. Il primo motivo di ricorso che contesta la mancata applicazione dell’art. 129 cod.proc.pen. e la mancata assoluzione dal reato di cui al capo A), per il quale è stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, è manifestamente infondato.
Il ricorrente contesta la decisione della Corte d’appello che ha respinto la richiesta di assoluzione dichiarando prescritto il reato “non emergendo elementi per giungere ad una pronuncia assolutoria dell’appellante ai sensi dell’articolo 129 cod.proc.pen. dovendosi richiamare le argomentazioni spese dal primo giudice”.
Come affermato da S.U. n. 35490 del 28/05/2009 Tettamanti, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma 2 cod.proc.pen., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento.
In presenza di una causa di estinzione del reato (nella specie, la prescrizione), la formula di proscioglimento nel merito può essere, dunque, adottata solo quando dagli atti risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato e non nel caso d insufficienza o contraddittorietà della prova di responsabilità (Sez. U, Sentenza n. 35490 del 28/05/2009 COGNOME, Rv. 244274; Sez. 6, n. del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 259445; Sez. 1, n. 43853 del 24/09/2013 Giuffrida, Rv. 258441; Sez. 5, n. 39220 del 16/07/2008 COGNOME, Rv. 242191). E ancora, di recente, è stato affermato che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell’imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (così questa Sez. 4, n. 23680 del 7/5/2013, COGNOME ed altro, Rv. 256202; conf. Sez. 6, n. 10284 del 22/1/2014, COGNOME, Rv.259445). Si tratta quindi di un’attività di mera constatazione, ossia di ricognizione immediata di una causa di proscioglimento che emerga ictu oculi, senza necessità di approfondimenti istruttori o valutazioni di sorta.
La Corte d’appello ha correttamente rilevato l’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo A) relativamente all’anno di imposta 2012, in assenza di prova evidente di una causa di proscioglimento di merito, esclusa dalla intervenuta condanna di primo grado. In tale ambito, la censura che tende a rimettere in discussione la stessa sussistenza del fatto in quanto, secondo la prospettazione difensiva, peraltro disattesa in modo corretto dal primo giudice, per cui la SII non aveva alcun obbligo di indicare il reddito derivante dalla vendita di Villa Ansaldi nell dichiarazione presentata il 27/09/2013, si pone fuori dai principi sopra espressi, non appartenendo alla “constatazione” dell’insussistenza del fatto.
4.2. Anche con riguardo al capo C) – art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74valgono le stesse conclusioni. Il ricorso sul punto introduce censure motivazionali in punto idoneità della condotta rendere inefficace la procedura di riscossione nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, preclusa in sede di legittimità, come si è già avuto modo di dir avendo ormai da tempo la giurisprudenza di legittimità chiarito che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi d motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. Un. n. 35490 del 28/5/2009, COGNOME, Rv. 244275, conf. Sez. 6, n. 10074 del 8/2/2005, COGNOME, Rv. 231154; Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003, COGNOME, Rv. 227098) né, per altro verso, è evidente, con una mera attività ricognitiva,
l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell’imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza tenuto conto della condanna in primo grado.
4.3. Infine, l’ultimo motivo di ricorso, afferente all’affermazione d responsabilità di cui al capo F) è inammissibile perché manifestamente infondato.
Argomenta il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe affermato la natura simulata della vendita da COGNOME a Desno del terreno con fabbricato sito a Sirmione perchè ritenuto in realtà oggetto di una vendita diretta da COGNOME a NOME COGNOME omettendo di dimostrare la identità di valore del bene, nonostante fossero trascorsi due anni tra le due operazioni negoziali. Si deduce mancanza di motivazione sul punto.
Le censura mostra di non confrontarsi con la motivazione della sentenza che a pag. 289 ha disatteso, in quanto infondata la tesi difensiva essendo rimasto indimostrato che il terreno fosse stato venduto con gravami e rivenduto senza vincoli reali. Ma, soprattutto, tace il ricorso, da cui anche la genericità estrinseca, e no contiene alcuna critica specifica alla affermazione dei giudici del merito secondo cui l’COGNOME, commercialista del COGNOME, era l’artefice principale e ideatore dell’operazione fraudolenta relativa alla vendita del terreno e fabbricato in Sirmione alla società NOME COGNOME che integra la contestazione di cui all’art. 3 d.lgs n. 74 de 2000.
Sul punto il giudice di primo grado era stato chiaro: il ricorrente, commercialista di fiducia della famiglia COGNOME, era risultato essere l’ideatore e i registra dell’operazione complessiva in concreto attuata e ciò si desumeva dalle dichiarazioni di NOME, consulente impegnato nell’operazione per conto della società acquirente gestita da Benko COGNOME, che aveva dichiarato che l’COGNOME aveva partecipato alla trattativa relativa alla cessione delle quote della RAGIONE_SOCIALE, rimanendo sino all’ultimo il principale interlocutore del consulente dell’acquirente, dichiarazioni che trovavano riscontro nella corposa documentazione rinvenuta presso lo studio del professionista, tra cui gli appunti manoscritti sul terreno della RENBEN con possibili soluzioni di vendita del terreno, vari file e lettere di incarico, indica pagina 68 e 69 della sentenza di primo grado, da cui emergeva, secondo il tribunale, con certezza che NOME NOME avesse preso parte in prima persona sin dall’inizio all’operazione di cessione del terreno, essendo il referente della RENBEN e persino della Desno, rispetto alla quale veniva indicato dallo stesso COGNOME amministratore di diritto della medesima, quale punto di riferimento anche per le questioni di carattere formale amministrativo. Il mancato confronto rende il motivo di ricorso privo di specificità estrinseca.
Quanto alla configurazione del reato di dichiarazione fraudolenta, i plurimi elementi di prova, già indicati dal giudice di primo grado (cfr. pag. 62 e ss), ed
analiticamente riportati nella sentenza di appello (pagg. 287-288: pagamento prima del rogito, bonifico per il medesimo importo sul conto personale di COGNOME NOME il giorno seguente, identità di sede legale delle società Desno e Landgraf, dichiarazioni del teste COGNOME e relativa documentazione di riscontro, e-mail del 11/2/13 rinvenuta nel server dello studio del ricorrente, distribuzione della somma corrisposta da NOME COGNOME tra i membri della famiglia COGNOME) sono stati ritenuti dimostrativi che la cessione immobiliare diretta alla Desno costituiva tutti gli effetti un atto simulato che la vendita effettiva si era perfezionata solo in data 11 marzo 2013 mediante la cessione alla società NOME COGNOME delle quote della Desno, da cui la corretta contestazione del reato con riferimento all’anno di imposta 2013. Trattasi di apparato argomentativo ampio e logico e quindi insindacabile in questa sede, da cui il corretto inquadramento del fatto ai sensi dell’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici in quanto attraverso una serie di operazioni societarie simulate (costituzione della società di diritto lussemburghese Desno ad opera di due fiduciarie svizzere rappresentate da NOME COGNOME, cessione del terreno di Sirmione alla società lussemburghese Desno al prezzo di 240.000 C il 10 gennaio 2011, bonifico di pagamento eseguito prima del rogito e retrocessione dello stesso sul conto di NOME COGNOME, cessione delle quote della Desno, in data 11 marzo 2013, tramite le fiduciarie svizzere, alla società NOME COGNOME al prezzo dichiarato di C 2.350.000, accordo di chiusura del 27 ottobre 2014 tra le fiduciarie e NOME COGNOME e, infine, riversamento della somma pagata dalla società NOME COGNOME mediante otto bonifici bancari, parte dei quali confluiti sui conti personali deg imputati NOME COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME, indicavano nelle dichiarazioni annuali dei soci, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivi, derivanti dalla vendita diretta del terreno al prezzo di C 2.350.00,00, trami la cessione delle quote della Desno, con evasione di imposta Ires superiore, quanto al socio NOME, alle soglie di punibilità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La sentenza impugnata risulta congruamente argomentata là dove ha evidenziato che le quattro operazioni concatenatesi (vedi supra) erano state poste deliberatamente in essere con il concorso dell’imputato, ideatore e principale artefice, per frodare il fisco ed erano state realizzate con mezzi fraudolenti (diversi dall’utiliz di fatture o documenti relativi ad operazioni inesistenti), mezzi certamente idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, tanto che solo un’accuratissima indagine congiunta della Guardia di Finanza aveva posto in luce il complesso intreccio di costituzione societarie e di atti di vendita e cessione d quote, che aveva permesso di indicare nella dichiarazione presentata nel 2013 poste
attive inferiori che consentivano di ottenere un indebito vantaggio fiscale sopra la soglia di punibilità quanto al socio COGNOME NOME
A tale proposito, il reato di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000, caratterizz da struttura bifasica, presuppone la compilazione e presentazione di una dichiarazione mendace nonché la realizzazione di una attività ingannatoria prodromica (su cui vedi infra), purché di quest’ultima, ove posta in essere da altri, il soggetto agente abbia consapevolezza al momento della presentazione della dichiarazione, consapevolezza in capo all’COGNOME derivante dalla circostanza che egli fu l’ideatore dell’operazione (Sez. 3, n. 15500 del 15/02/2019, COGNOME, Rv. 275902 – 02).
La censura che contesta la ricostruzione operata secondo le conformi sentenze di merito, attraverso una lettura parcellizzata e segmentata dell’operazione complessiva ideata dallo stesso COGNOME risulta pertanto manifestamente infondata.
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con tutte le conseguenze di legge.
Il ricorso di NOME è, anch’esso, inammissibile perché manifestamente infondati i motivi.
5.1. I primi due motivi di ricorsi con i quali si deduce la violazione di legge i relazione all’erronea applicazione dell’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 e si eccepisce la prescrizione del reato, risultano manifestamente infondati.
In relazione al primo profilo di censura di violazione di legge, occorre osservare che l’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000 punisce, attualmente, con la pena della reclusione da tre a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento e a indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi purché rico congiuntamente le soglie di punibilità indicate alle lettere a e b del primo comma. I commi secondo e terzo stabiliscono, rispettivamente, che il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria (secondo comma) e che non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di element attivi inferiori a quelli reali.
5.2. I fatti contestati alla COGNOME (in concorso con NOME NOME) sono stati commessi però nella vigenza dell’art. 3 prima della sua sostituzione ad opera dell’art. 3 d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 in vigore dal 22 ottobre 2015. Lo ricorda la ricorrente che ne trae la conclusione circa l’insussistenza del fatto in assenza della falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e la realtà dell’operazione economica di cessione del terreno con fabbricato sito in Sirmione.
L’argomento difensivo è totalmente privo di fondamento, sotto ogni profilo.
5.3. La questione dei rapporti tra vecchia e nuova fattispecie sono ben tratteggiati dalla pronuncia di Questa Terza sezione che, con un percorso argomentativo condiviso dal Collegio, ha chiarito che in tema di reati tributari, sussiste continuità normativa tra il disposto dell’art. 3 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nella formulazione successiva alla novellazione effettuata dall’art. 3 d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, e quello di cui alla medesima norma nella formulazione previgente, costituendo quella sostituita una sotto-fattispecie della nuova figura delittuosa, che resta caratterizzata da una struttura bifasica, presupponente la compilazione e la presentazione di una dichiarazione mendace, nonché la realizzazione di un’attività ingannatoria prodromica (Sez. 3, n. 37642 del 06/06/2024, COGNOME, Rv. 286978 – 01).
Nel confronto strutturale tra la vecchia e la nuova disciplina onde verificare se vi sia continuità normativa tra di esse e se la condotta contestata costituisse reato nella vigenza della precedente disciplina e di quella attuale (Sez. U, n. 24468 del 26/02/2009, Rizzoli, Rv. 243585 – 01; Sez. U, n. 25887 del 26/03/2003, Giordano, Rv. 224607 – 01; Sez. U, n. 35 del 13/12/2000, COGNOME, Rv. 217374 – 01), la sentenza richiamata, ha evidenziato che le fattispecie delittuose contengono elementi comuni: il dolo specifico di evasione, l’oggetto materiale della condotta (la dichiarazione) e il contenuto della dichiarazione (elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi). La nuova fattispecie ha amplia l’ambito della punibilità alle dichiarazioni non annuali e all’oggetto delle dichiarazioni esteso a crediti e ritenute fittizi (estensione oggettiva), nonché a quelle presentate dai sostituti di imposta (estensione soggettiva), che non riguardano il caso concreto. Mentre le due fattispecie divergono, ma solo apparentemente, quanto alle modalità della condotta.
Chiarisce la sentenza che nella versione previgente occorrevano, congiuntamente, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e l’avvalimento di mezzi fraudolenti idonei a ostacolarne l’accertamento (l’accertamento, cioè, della falsità contabile); nella versione attuale le modalità esecutive diventano due, alternative fra loro: (i) compiere operazioni simulate
oggettivamente o soggettivamente; (li) avvalersi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria e, prosegue la sentenza, il documento falso costituisce “mezzo fraudolento” tipico alternativo agli altri, sicché mentre il documento falso non richiede accertamenti sulla sua natura fraudolenta (essendo sufficiente accertarne la falsità, materiale o ideologica che sia), per gli altri “mezzi” tale natura dovrà essere accertata dal giudice tenuto conto della definizione tipica di “mezzi fraudolenti” introdotta dalla lettera g-ter, dell’art. 1, d.lgs n. 74 del 2000, aggiunta dall’art. 1, comma 1, lett. d.lgs. n. 158 del 2015, secondo cui si intendono per tali le «condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà».
5.4. Nel caso in esame, la società RAGIONE_SOCIALE di cui la COGNOME è socia accomandante, ha utilizzato un documento falso, la fattura di vendita dell’immobile a Desno del 2011 perché dissimulava la reale indicazione del prezzo di vendita, in uno con il compimento di un contesto di operazioni simulate tese a fare apparite una pluralità di atti in luogo della operazione reale di vendita diretta dell’immobile dall RAGIONE_SOCIALE a NOME COGNOME nel 2013, secondo la ricostruzione in fatto su cui vedi supra. L’intera operazione posta in essere attraverso le operazioni economiche e giuridiche descritte nel capo di imputazione F), tra cui – si rammenta – l’indicazione nelle scritture contabili della fattura falsa relativa alla vendita a Desno nel 2011 al prezz di C 240.000,00, in un contesto di negozi giuridici tutti tra loro collegati (com descritti nel capo di imputazione) che consentivano, nel 2013, con la cessione delle quote di Desno a NOME COGNOME di fare emergere la reale operazione di vendita diretta dalla COGNOME al NOME galene dell’immobile al prezzo di C 2.341.093,88, ha consentito di indicare nelle dichiarazioni annuali della soda NOME Elisa utili derivant dalla partecipazione sociale per un ammontare inferiore rispetto agli importi reali così sottraendo a tassazione il reddito di C 1.002.240,44.
5.5. Ora, il fatto per cui ha riportato condanna secondo la disposizione previgente, continua ad essere punito ai sensi dell’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 come novellato.
Nella versione vigente, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie non costituisce più elemento strutturale esclusivo della fattispecie, ciò al dichiarato scopo di estendere il precetto anche a chi non è obbligato alla loro tenuta. La falsità nelle scritture contabili costituisce tuttora elemento tipico della fattispe (tuttavia alternativo alle altre possibili modalità esecutive del reato) come quando, per esempio, i documenti falsi vengono registrati nelle scritture contabili obbligatorie (art. 3, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000). La versione vigente, dunque, estende la
punizione a soggetti e a condotte (il compimento di operazioni simulate e l’avvalersi di documenti falsi) la cui penale rilevanza non è più legata alla concorrente falsificazione delle scritture contabili, laddove in passato lo era. Conseguenza della modifica del requisito della falsità nelle scritture contabili da modalità esclusiva tipi di realizzazione della condotta a modalità (pur sempre tipica) ma alternativa di consumazione del reato è l’ampliamento della idoneità della condotta a ostacolare non solo (e non necessariamente) la falsità nelle scritture contabili ma anche l’accertamento dell’imponibile e, dunque, dell’imposta effettivamente dovuta (secondo quanto prevede l’art. 1, lett. f, d.lgs. n. 74 del 2000).
Da cui la continuità normativa in relazione alla sussistenza del reato come contestato alla COGNOME.
5.6. Ne consegue che, esclusa ogni diversa ricostruzione del fatto e di valutazione del compendio probatorio che il secondo motivo introduce, il secondo motivo risulta inammissibile.
5.7. Manifestamente infondato risulta, in conseguenza della data di commissione del fatto al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi della Rossi, per il periodo di imposta 2013, anno di imposta in cui si è realizzata la plusvalenza (si rammenta che proprio nel 2013 la Rossi ha ricevuto il denaro della vendita corrisposto dall’acquirente mediante otto bonifici parte dei quali riversati alla Rossi, vedi supra) che, in quanto reddito di partecipazione del socio doveva essere indicata nella relativa dichiarazione, il reato consumatosi al 18/02/2015, non è ancora prescritto.
5.8. Il terzo motivo di ricorso con cui deduce la violazione di legge in relazione all’inutilizzabilità ex art. 240 cod.proc.pen. dei documenti non proveniente dall’imputata NOME che attestano il versamento di C 750.000,00 alla NOME quale pagamento del prezzo di vendita dalla società acquirente NOME COGNOME risulta manifestamente infondato. Risulta, dalle conformi sentenze di merito (cfr. pag. 64 sentenza di primo grado e pag. 288 sentenza di secondo grado) che all’esito della perquisizione presso lo studio del commercialista COGNOME veniva rinvenuta copiosa documentazione, tra cui il file excel “Flussi ZW” denominato AA+Zwill schema flussi 11-2013″ e dal documento riepilogo flussi RAGIONE_SOCIALE” (cfr. pag. 64 sentenza di primo grado) nei quali oltre agli accrediti provenienti dall’acquirente NOME COGNOME risultavano indicati anche i pagamenti avvenuti in favore di COGNOME e della figlia NOME per un importo di 750.000 C. Nel medesimo documento, in data 13 maggio 2013, risultava poi un ulteriore versamento di C 30.000 in favore di NOME. Si tratta di documenti prodotti dal P.M. e acquisiti nel processo ai sensi dell’art. 234 cod.proc.pen. rispetto ai quali non sussiste alcun profilo d
inutilizzabilità e il cui contenuto, peraltro non censurato, indica, senza tema di smentita, il ricevimento di parte del prezzo della vendita da parte della COGNOME che poi ometteva di dichiararlo nella dichiarazione fiscale personale, quale plusvalenza della partecipazione societaria.
5.9. Il quarto motivo di ricorso che contesta l’affermazione della responsabilità penale è inammissibile perché versato in fatto, richiedendo la ricorrente una diversa ricostruzione del fatto sulla scorta di una rilettura delle dichiarazioni testimoniali parte riportate nel corso del motivo.
5.10. Alla stessa sorte non si sottrae il quinto motivo di ricorso che censura la motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato, non confrontandosi la censura con la circostanza che all’esito dell’operazione come articolata e descritta nelle conforme sentenze di merito, la ricorrente, socia accomandante della società a base famigliare (il padre era legale rappresentante) ha ricevuto ben € 750.000,00 provenienti da società fiduciarie svizzere che a loro volta avevano riversato parte del prezzo di vendita dell’immobile a tutti i famigliari (lei, la madre e il padre), da cu consapevolezza del fine di evasione nella dichiarazione fiscale là dove aveva omesso di indicare la plusvalenza ricavata dalla partecipazione alla società.
5.11. Il sesto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La ricorrente deduce la nullità della sentenza di primo grado nella qualità di erede di NOME COGNOME nella parte in cui avrebbe disposto la confisca in relazione ai capi A) e B) di quanto sequestrato già di proprietà di COGNOME NOME sino alla concorrenza dell’importo complessivo indicato nei suddetti capi A) e B). Argomenta la ricorrente che non sarebbe possibile applicare la confisca sui beni già di proprietà di NOME COGNOME in quanto il sopraggiunto del decesso dell’imputato avrebbe imposto al giudice di cognizione l’immediata declaratoria di estinzione del reato senza la possibilità di proseguire il processo anche al solo fine di accertare o meno il presupposto per la confisca.
La censura non coglie nel segno e non si confronta con la decisione.
Va rilevato che, con separata sentenza a seguito della separazione processuale degli atti nei confronti di COGNOME NOME, il Tribunale di Brescia, con sentenza in data 11/02/2021, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputata in relazione ai reati a lei contestati (tra cui A), B), D) e perché estinti per morte dell’imputata.
Il medesimo Tribunale, con la sentenza resa in data 20/09/2023, aveva pronunciato sentenza di condanna degli imputati, tra cui anche NOME COGNOME per i soli reati di cui ai capi C) ed F).
Non essendo la COGNOME mai stata imputata del reato sub A), unico capo di imputazione per il quale è stata disposta la confisca dei beni già di proprietà della
COGNOME la doglianza è manifestamente infondata in quanto, come argomentato nella sentenza impugnata, non risultava dimostrata la qualità di erede anche pro
quota dei beni di cui chiede la restituzione.
Il ricorso va dichiarato inammissibile con tutte le conseguenze di legge.
6. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di COGNOME, COGNOME
NOME NOME e NOME consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi,
conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza
“versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso del procuratore generale, annulla la sentenza impugnata limitatamente alla confisca del profitto del reato di cui al capo a) della rubrica co rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia. Dichiara inammissibili i ricorsi degli imputati che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 17/02/2025.