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Dichiarazione fraudolenta plusvalenza: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di appello che aveva dichiarato prescritta una dichiarazione fraudolenta plusvalenza. Il caso riguardava una complessa operazione immobiliare con società estere per nascondere ingenti plusvalenze. La Corte ha stabilito che la scelta di rateizzare la plusvalenza si applica all’intero importo, anche a quello occultato, e che l’omissione in ogni dichiarazione annuale costituisce un reato autonomo. Di conseguenza, il reato relativo all’ultima annualità non era prescritto, imponendo un nuovo giudizio sulla confisca.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Diritto Tributario, Giurisprudenza Penale

Dichiarazione fraudolenta plusvalenza: la Cassazione chiarisce su rateizzazione e prescrizione

La corretta gestione fiscale delle plusvalenze patrimoniali è un tema cruciale per imprese e contribuenti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 15799/2025) ha fornito chiarimenti fondamentali sul reato di dichiarazione fraudolenta plusvalenza, in particolare quando il contribuente sceglie di rateizzare il pagamento dell’imposta ma occulta una parte significativa del guadagno. La decisione interviene su una complessa vicenda di operazioni immobiliari e società estere, definendo principi chiave in materia di consumazione del reato e calcolo della prescrizione.

I Fatti di Causa: Un Complesso Schema Elusivo

La vicenda processuale trae origine da una complessa operazione di vendita di un prestigioso complesso immobiliare. Secondo la ricostruzione, gli imputati avevano architettato un elaborato schema per sottrarre a tassazione un’ingente plusvalenza.

Lo schema prevedeva:
1. La creazione di società estere, tra cui una società veicolo lussemburghese.
2. Una prima vendita fittizia dell’immobile dalla società italiana originaria alla società veicolo estera, a un prezzo notevolmente inferiore a quello di mercato.
3. La successiva cessione delle quote della società veicolo (e quindi, indirettamente, dell’immobile) a una società austriaca, riconducibile all’acquirente finale, al prezzo reale.

In questo modo, la società italiana dichiarava una plusvalenza molto più bassa di quella effettivamente realizzata. Inoltre, la società aveva optato per il regime di tassazione rateizzata della plusvalenza dichiarata, previsto dall’art. 86 del TUIR, spalmandola su cinque annualità. La Procura contestava il reato di dichiarazione fraudolenta per l’occultamento della maggior plusvalenza. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva dichiarato la prescrizione del reato, ritenendo che l’intera condotta illecita si fosse consumata nel primo anno, quello della vendita.

La Decisione della Corte di Cassazione

Accogliendo il ricorso del Procuratore Generale, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello con rinvio. I giudici supremi hanno censurato l’interpretazione della Corte territoriale, stabilendo che la condotta fraudolenta non si esaurisce in un unico atto, ma si ripete per ogni dichiarazione annuale in cui viene riportato un importo rateizzato inferiore al dovuto. Di conseguenza, il reato relativo all’ultima annualità non era ancora prescritto al momento della condanna di primo grado, il che impone una nuova valutazione sulla confisca dei beni.

Le Motivazioni della Sentenza: l’Errore sull’Art. 86 TUIR

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nella corretta interpretazione dell’articolo 86, comma 4, del TUIR. La norma consente al contribuente di scegliere di tassare le plusvalenze in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, fino a un massimo di quattro. La Corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto che, in caso di occultamento di una parte della plusvalenza, questa parte dovesse essere tassata per intero nell’anno di realizzazione, come avviene in caso di omessa presentazione della dichiarazione.

La Cassazione chiarisce che questo principio non si applica al caso di dichiarazione fraudolenta. La scelta di rateizzare, una volta operata, si estende all’intera plusvalenza, comprensiva anche della parte occultata. Pertanto, l’illecito non si consuma solo nel momento della vendita, ma si perpetua con la presentazione di ogni singola dichiarazione dei redditi in cui viene scientemente indicata una quota di plusvalenza inferiore a quella reale. Questo configura una serie di distinti reati, ciascuno con un proprio termine di prescrizione.

Implicazioni sulla Prescrizione e la Confisca

Questa interpretazione ha conseguenze dirette e significative sulla prescrizione. Se ogni dichiarazione mendace costituisce un reato autonomo, il tempus commissi delicti si sposta in avanti per ogni annualità. Nel caso di specie, ciò ha comportato che il reato relativo alla dichiarazione del 2012, presentata nel 2013, non fosse ancora prescritto al momento della sentenza di primo grado.

Di conseguenza, la Corte d’Appello ha errato nel revocare la confisca. L’art. 578-bis del codice di procedura penale prevede infatti che, se la prescrizione matura dopo una sentenza di condanna di primo grado, il giudice d’appello deve comunque decidere sull’impugnazione ai fini della confisca. La Cassazione ha quindi rinviato il caso ad un’altra sezione della Corte d’Appello per una nuova valutazione proprio su questo punto.

La Posizione degli Altri Imputati

La sentenza ha anche dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dagli altri imputati. Le loro censure sono state ritenute generiche, ripropositive di questioni già decise nei gradi di merito o volte a ottenere una rivalutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. In particolare, è stata confermata la responsabilità penale per un amministratore di fatto, il quale, pur senza cariche formali, aveva gestito l’intera operazione, e per altri coimputati coinvolti a vario titolo nello schema fraudolento.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un importante punto fermo nella lotta all’evasione fiscale complessa. Stabilisce un principio chiaro: la scelta di rateizzare una plusvalenza vincola il contribuente per l’intero importo, e l’occultamento di parte di essa non trasforma il reato in un’unica violazione istantanea, bensì in una serie di illeciti che si consumano con ogni dichiarazione infedele. Questa interpretazione rafforza gli strumenti a disposizione dell’accusa, posticipando i termini di prescrizione e garantendo una maggiore efficacia delle misure patrimoniali come la confisca, anche di fronte a schemi elusivi sofisticati.

Se si sceglie di rateizzare una plusvalenza ma se ne dichiara solo una parte, quando si commette il reato di dichiarazione fraudolenta?
La Corte di Cassazione chiarisce che la condotta fraudolenta si integra in ciascuno degli anni in cui l’imposta viene frazionata. L’omissione fraudolenta in ogni dichiarazione dei redditi costituisce un reato autonomo, e il reato si consuma ogni volta che viene presentata una dichiarazione infedele.

L’errata indicazione di una plusvalenza rateizzata è un unico reato commesso nel primo anno o più reati?
Secondo la sentenza, costituisce una pluralità di delitti distinti. L’omessa indicazione della maggiore plusvalenza nelle singole dichiarazioni dei redditi per gli anni in cui opera il frazionamento integra diversi delitti di dichiarazione fraudolenta, con differenti termini di decorrenza della prescrizione.

Cosa succede alla confisca se il reato viene dichiarato prescritto in appello?
Se la prescrizione è maturata dopo la condanna di primo grado, il giudice d’appello deve comunque valutare se sussistono i presupposti per mantenere la confisca diretta del profitto del reato, ai sensi dell’articolo 578-bis del codice di procedura penale. La confisca non viene revocata automaticamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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