Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8652 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8652 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Mantova il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Mantova il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/4/2023 della Corte d’appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità di entrambi i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13 aprile 2023 la Corte d’appello di Brescia ha respinto le impugnazioni proposte da NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 13 novembre 2020 del Tribunale di Mantova, con la quale gli stessi erano stati condannati alla pena di un anno e sei mesi di reclusione in relazione al reato di cui agii artt. 110 cod. pen. e 2 d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, quali amministratori della RAGIONE_SOCIALE e a fine di evasione, indicato elementi passivi fittizi nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi e all’imposta sul valore aggiunto relativa all’anno 2013, avvalendosi di due fatture relative a operazioni oggettivamente inesistenti emesse dall’RAGIONE_SOCIALE, recanti un imponibile complessivo di euro 22.500,00 e iva per complessivi euro 4.950,00.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, mediante l’AVV_NOTAIO, che lo ha affidato a tre motivi.
2.1. Con un primo motivo ha lamentato l’errata applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, sottolineando l’irrilevanza, ai fini della configurabilità del reato dichiarazione fraudolenta, della omessa annotazione nelle scritture contabili dell’emittente, NOME COGNOME, delle due fatture giudicate relative a operazioni oggettivamente inesistenti, in quanto da tale omissione aveva tratto beneficio esclusivamente l’emittente, che aveva percepito il corrispettivo di tali fatture senza corrispondere la relativa iva e senza dichiararlo tra i propri redditi d’RAGIONE_SOCIALE, mentre la società amministrata dai ricorrenti aveva provveduto ad annotare tali fatture (n. 30 e n. 32 del 2013) nella propria contabilità e a pagarne il corrispettivo in modo tracciabile, con un assegno e un bonifico, senza alcuna prova della pretesa restituzione in contanti delle somme corrispondenti all’imponibile iva di tali fatture. Ha aggiunto che neppure la teste COGNOME, dalla cui denuncia aveva avuto inizio il procedimento a carico del ricorrente e del COGNOME e che aveva manifestato risentimento nei confronti di costoro (a causa della cessazione burrascosa del suo rapporto di lavoro), era stata in grado di indicare l’annotazione di tali restituzion nel quaderno utilizzato per tenere la contabilità occulta della società amministrata dal ricorrente e dal COGNOME, con la conseguenza che a fronte della annotazione di dette fatture nella contabilità della società e del loro pagamento con mezzi tracciabili, avrebbe dovuto essere escluso che le stesse fossero relative a operazioni inesistenti.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato un vizio della motivazione, che sarebbe contraddittoria e manifestamente illogica nella parte relativa alla valutazione delle risultanze dell’istruttoria.
Ha censurato, in particolare, la valutazione di attendibilità della teste NOME, che aveva denunciato la falsità delle fatture di cui alla imputazione consegnando alla Guardia di Finanza il quaderno su cui le operazioni fittizie erano state annotate e che aveva riconosciuto nel corso della sua escussione, non essendo stata considerata l’assoluzione degli imputati dal reato di minacce denunciato dalla medesima COGNOME e il fatto che la stessa teste non era stata in grado di precisare quando e con quali modalità sarebbero avvenute le restituzioni da parte del COGNOME delle somme ricevute quale corrispettivo di dette fatture, annotate nel quaderno nel quale la stessa, su indicazione degli imputati, teneva la contabilità parallela della RAGIONE_SOCIALE, nel quale però la stessa non era stata in grado di ritrovare l’annotazione di tali operazioni.
Si censura anche la valutazione di inattendibilità del teste COGNOME, nonostante la documentazione acquisita abbia dato conto dei pagamenti eseguiti in suo favore, riferiti alle due fatture indicate nella imputazione, e lo stesso abbia dichiarato d aver emesso le fatture, eseguito le prestazioni e ricevuto i relativi pagamenti, spiegando la mancata registrazione di tali fatture nella contabilità della propria RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con una omissione della impiegata che vi era addetta, nonché il rilievo attribuito dai giudici di merito alla mancanza di preventivi, accordi scr e documentazione di spesa, in considerazione dei consolidati rapporti di collaborazione tra la RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE e del fatto che i lavori edili svolti quest’ultimo era stati eseguiti in Marminolo, dove aveva la sede, o a poca distanza da tale località, a Rovigo.
Anche la testimonianza del teste COGNOME, all’epoca dei fatti commercialista della RAGIONE_SOCIALE, sarebbe stata indebitamente sottovalutata, giacché questi aveva riferito che dette fatture non presentavano alcuna anomalia, né per importo né per provenienza né per descrizione dell’oggetto, rispetto all’attività imprenditoriale svolta dalla RAGIONE_SOCIALE, erano state regolarmente registrate e su nessuna delle due compariva la dicitura scritta a mano “fattura falsa”.
Quanto riferito dal Maresciallo della Guardia di Finanza NOME, che ha dichiarato di aver accertato che le due fatture in contestazione non risultavano annotate nella contabilità di COGNOME e anche l’assenza di documentazione attestante l’esecuzione delle prestazioni per conto della RAGIONE_SOCIALE presso i cantieri della società RAGIONE_SOCIALE in Rovigo, considerato idoneo riscontro di quanto riferito dalla COGNOME, è, però, incompatibile con il contenuto della fattura n. 32, che si riferisce lavori eseguiti in Marminolo, dall’RAGIONE_SOCIALE di COGNOME presso la sede della RAGIONE_SOCIALE. Non erano, inoltre, stati considerati i pagamenti rateali eseguiti dalla medesima RAGIONE_SOCIALE a COGNOME, anche mediante risorse procuratele dalla RAGIONE_SOCIALE
2.3. Con il terzo motivo ha denunciato l’errata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., a causa della mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista da tale disposizione, alla quale la Corte
d’appello di Brescia era pervenuta omettendo di considerare il versamento di quanto dovuto per iva a COGNOME e la modestia dell’imposta sui redditi non versata.
2.4. Infine, ha prospettato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 d.lgs. n del 2000 con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui detta disposizione non contempla una soglia minima di rilevanza penale della condotta nel caso in cui il soggetto che si è avvalso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti non abbia prodotto alcun danno per l’erario o abbia provocato un danno modesto o, comunque, non superiore alla soglia di punibilità pervista dall’art. 10 ter d.lgs. n. 74 del 2000, stante l’identità del bene protetto dalle due disposizioni.
Avverso la medesima sentenza ha proposto ricorso per cassazione anche NOME COGNOME, mediante l’AVV_NOTAIO, che lo ha affidato a tre motivi, di contenuto identico a quelli del ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME, proponendo anche la medesima questione di legittimità costituzionale.
Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando la dichiarazione di inammissibilità di entrambi i ricorsi, sottolineando l’irrilevanza della questione d legittimità costituzionale, il contenuto non consentito, in quanto estraneo al sindacato di legittimità, del primo e del secondo motivo di entrambi i ricorsi, e la manifesta infondatezza della richiesta di applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
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Entrambi i ricorsi, esaminabili congiuntamente, in ragione della identità delle censure con gli stessi proposte, sono manifestamente infondati.
La questione di legittimità costituzionale prospettata da entrambi i ricorrenti, con riferimento alla mancanza di una soglia di punibilità per il delitto di cui all’ar 2 d.lgs. n. 74 del 2000, che risulterebbe irragionevole rispetto ad altre analoghe ipotesi delittuose (si richiama, in particolare, quella di cui all’art. 10 bis del medesimo d.lgs. n. 74 del 2000), da esaminare, in ordine logico, preliminarmente, è manifestamente infondata.
La configurazione delle fattispecie criminose e la determinazione della pena per ciascuna di esse costituiscono materia affidata alla discrezionalità del legislatore. Gli apprezzamenti in ordine alla “meritevolezza” e al “bisogno di pena” – dunque, sull’opportunità del ricorso alla tutela penale e sui livelli ottimali della stess sono, infatti, per loro natura, tipicamente politici (Corte cost., sentenza n. 394 del 2006).
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Le scelte legislative in materia sono, pertanto, censurabili, in sede di sindacato di legittimità costituzionale, solo ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio (ex plurimis, Corte cost. sentenze n. 273 e n. 47 del 2010, ordinanze n. 249 e n. 71 del 2007, nonché, con particolare riguardo al trattamento sanzionatorio, sentenze n. 179 del 2017, n. 148 e n. 236 del 2016), come avviene quando ci si trovi di fronte a diversità di disciplina tra fattispecie omogenee non sorretta da alcuna ragionevole giustificazione (tra le altre, Corte cost. sentenze n. 40 del 2019, n. 35 del 2018, n. 23 e n. 79 del 2016, n. 185 del 2015 e n. 68 del 2012).
Il confronto tra fattispecie normative, finalizzato a verificare la ragionevolezza delle scelte legislative, presuppone, dunque, necessariamente l’omogeneità delle ipotesi in comparazione (Corte cost. sentenze n. 35 del 2018 e n. 161 del 2009), che nel caso in esame è assente, stante l’ontologica e strutturale differenza esistente tra i reati dichiarativi, quale quello di cui all’art. 2, e quelli che compor un omesso versamento di imposte (quale quello di cui all’art. 10 bis richiamato dai ricorrenti).
Ora, per quanto riguarda i reati tributari cosiddetti dichiarativi, tra cui quel ascritto ai ricorrenti, previsto dall’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, il legisl nell’ambito dell’ampia gamma dei mezzi fraudolenti utilizzabili a supporto di una dichiarazione mendace, ha individuato uno specifico artificio, costituito dall’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, al quale viene annesso, sulla base dell’esperienza, uno spiccato coefficiente di insidiosità per gli interessi dell’erario, stabilendone la punibilità a prescindere dal superamento di una soglia di punibilità, come invece avviene per altre ipotesi, proprio in ragione della particolare insidiosità della condotta, che il legislatore ha scelto, con valutazione che non può dirsi manifestamente irragionevole o arbitraria, di punire indipendentemente dalle sue conseguenze pregiudizievoli per gli interessi erariali.
Si tratta di valutazione che non può certamente dirsi arbitraria o irragionevole, stante l’eterogeneità delle situazioni poste a confronto e la particolare insidiosità della condotta realizzata avvalendosi di fatture o documenti relativi a operazioni inesistenti, che quindi, con valutazione non ingiustificata, il legislator nell’esercizio della sua discrezionalità, ha stabilito di punire indipendentemente da un omesso versamento di imposta.
Ne consegue la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata, posto che la discrezionalità legislativa circa l’individuazione delle condotte punibili, la scelta e la quantificazione delle relati sanzioni può essere censurata, in sede di giudizio di costituzionalità, soltanto ove il suo esercizio ne rappresenti un uso distorto o arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza, conflitto che nella specie non è ravvisabile.
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3. Ciò premesso osserva il Collegio che il primo motivo di entrambi i ricorsi, mediante il quale è stata prospettata una errata applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, conseguente alla impropria valorizzazione di quanto dichiarato dalla teste COGNOME, da cui sarebbe derivata l’errata affermazione della configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta, è inammissibile, essendo volto, tra l’altro in assenza di autentico confronto con la motivazione delle concordi sentenze di merito, a conseguire una rivisitazione e una lettura alternativa delle risultanze istruttorie, volta a sminuire quando dichiarato dalla COGNOME (circa l’inesistenza oggettiva delle operazioni commerciali sottostanti le due fatture emesse da NOME COGNOME e utilizzate nelle dichiarazioni fiscali dell’RAGIONE_SOCIALE amministrata dai ricorrenti, il cui corrispettivo sarebbe stato restituito in contanti da COGNOME oltre che ad attribuire valore decisivo, ai fini della affermazione della effettivi delle operazioni sottostanti tali fatture, alla loro annotazione nella contabilità del società amministrata dai ricorrenti e al pagamento del relativo corrispettivo mediante mezzi tracciabili (un assegno e un bonifico bancario).
Si tratta, chiaramente, di doglianze non consentite nel giudizio di legittimità, nel quale rimane esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, COGNOME ed altro, Rv. 235716).
La Corte d’appello di Brescia, nel disattendere gli analoghi rilievi proposti con l’atto d’appello, ha al riguardo evidenziato sia quanto dichiarato dalla teste COGNOME, che all’epoca si occupava della tenuta della contabilità della RAGIONE_SOCIALE (a proposito della esistenza di una contabilità parallela relativa ai rapporti occulti o fitt registrata su un quaderno blu, dalla stessa consegnato alla polizia giudiziaria allorquando rese le sue prime dichiarazioni; della conclusione di un accordo con COGNOME per l’emissione di due fatture per indicare costi d’RAGIONE_SOCIALE ulteriori, onde ridurre le imposte da versare; del pagamento parziale di tali fatture e della restituzione da parte di COGNOME della somma di 5.000,00 euro in contanti, alla presenza di COGNOME); sia la mancata registrazione di tali fatture nella contabilità dell’emittente COGNOME (nella quale con i medesimi numeri progressivi risultavano annotate fatture relative ad altre prestazioni); sia la mancanza di qualsiasi elemento idoneo a dimostrare l’effettività delle operazioni economiche sottostanti tali fatture (quali contratti, preventivi o documenti di spesa); sia le contraddizion
presenti nelle dichiarazioni di COGNOME; sia le anomalie riscontrate nei movimenti contabili della RAGIONE_SOCIALE (dai quali era emerso la ricezione di un pagamento in contanti della somma di euro 22.000,00 nella stessa data del pagamento di euro 22.366,00 per imponibile a favore di COGNOME).
Sulla base di questi elementi, ritenuti univocamente dimostrativi della fittizietà delle operazioni sottostanti le fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE e utilizzate dalla società amministrata dai ricorrenti, la Corte d’appello ne ha ribadito il giudizio d responsabilità, sottolineando l’univocità di detti elementi e l’assenza di prove di segno contrario, ossia indicative della esecuzione delle prestazioni oggetto delle fatture.
Tali considerazioni, logiche e idonee a giustificare l’affermazione della fittizietà di dette operazioni, sono state censurate dai ricorrenti esclusivamente sul piano della lettura e della valutazione degli elementi di prova, di cui, ignorando le argomentazioni della Corte d’appello, è stata proposta una rivisitazione volta a pervenire a conclusioni alternative a quelle dei giudici di merito, non consentita, in presenza di motivazione idonea e non manifestamente illogica, nel giudizio di legittimità.
4. Analoghe considerazioni possono essere svolte per quanto riguarda il secondo motivo di entrambi i ricorsi, con cui è stato prospettato un vizio della motivazione nella valutazione delle risultanze istruttorie, in particolare dell deposizioni testimoniali, in quanto anch’esso è volto, come si ricava dalla stessa struttura del motivo di ricorso, tutto incentrato su una rilettura di tali deposizion di cui sono riportate nel corpo dei ricorsi ampi stralci, a conseguire una rivisitazione e una rilettura di tali dichiarazioni, volta, in sostanza, a escludere la fittizietà d operazioni commerciali sottostanti le fatture indicate nella imputazione e utilizzate nelle dichiarazioni fiscali dell’RAGIONE_SOCIALE amministrata dai ricorrenti, per sostenerne l’effettività, allo scopo di giungere a conclusioni opposte a quelle dei giudici d merito.
Questi, però, come già osservato a proposito del primo motivo di ricorso, sono pervenuti, concordemente, alla affermazione della inesistenza delle operazioni economiche sottostanti dette fatture, sulla base di considerazioni logiche, frutto di una valutazione non irrazionale delle risultanze istruttorie, fondata sulla sottolineatura di una serie di elementi pacifici, ritenuti univocamente dimostrativi di detta inesistenza.
Le deposizioni testimoniali, in particolare quella della COGNOME e quella del Maresciallo NOME, ma anche quelle di COGNOME e di COGNOME, sono state considerate in modo logico e conforme a quella del Tribunale, con la conseguenza che si è in presenza di una “doppia conforme” statuizione di responsabilità, il che
limita i poteri di rinnovata valutazione delle prove da parte della Corte di legittimità.
Ai limiti conseguenti all’impossibilità per la Corte di cassazione di procedere a una diversa lettura dei dati processuali o a una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, si aggiunge l’ulteriore limite in forza de quale neppure potrebbe evocarsi il tema del “travisamento della prova”, a meno che il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale.
Non è questo però il caso: i ricorrenti, infatti, non lamentano che i giudici del merito abbiano fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, ma pretendono una diversa lettura degli elementi probatori, laddove censurano l’attendibilità della COGNOME e la concludenza delle dichiarazioni del Maresciallo NOME, che, invece, come si è evidenziato, sono state oggetto di attento vaglio in entrambi i gradi di giudizio con motivazione giuridicamente corretta e immune da vizi logici e, dunque, incensurabile in questa sede.
Il terzo motivo di tutti e due i ricorsi, relativo alla esclusione de applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di c all’art. 131 bis cod. pen., è manifestamente infondato, essendo, anch’esso volto a sindacare sul piano del merito il giudizio di gravità della condotta che è stato illustrato dalla Corte d’appello con argomenti idonei, sottolineando la gravità della condotta, realizzata coinvolgendo anche una dipendente della RAGIONE_SOCIALE (la RAGIONE_SOCIALE), imponendole di tenere una contabilità occulta parallela e di ricevere la retrocessione in contanti di pagamenti eseguiti benché non dovuti, e anche la non esiguità del profitto, essendosi comunque determinata una non modesta riduzione dell’imposta dovuta (con la conseguente irrilevanza del pagamento a COGNOME dell’iva).
Tali argomenti, idonei a giustificare la esclusione della lieve entità del fatto all’esito di una valutazione complessiva della condotta, delle sue modalità e delle sue conseguenze, sono stati, anche a questo proposito, censurati esclusivamente sul piano valutativo, ossia proponendo una diversa considerazione della condotta e della sua offensività, così formulando, anche con il terzo motivo, censure estranee al sindacato di legittimità.
Entrambi i ricorsi devono, in conclusione, essere dichiarati inammissibili, a cagione della manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali sono stati affidati compresa la questione di legittimità costituzionale prospettata.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della RAGIONE_SOCIALE delle RAGIONE_SOCIALE, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle RAGIONE_SOCIALE. Così deciso il 17/1/2024