Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30106 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30106 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a FAGGIANO il 29/07/1966 NOME COGNOME nato a TARANTO il 14/10/1954 NOME COGNOME nato a SAN GIORGIO IONICO il 01/09/1955 COGNOME NOME nato a TARANTO il 30/11/1970
avverso la sentenza del 08/04/2024 della CORTE APPELLO di Lecce, sez. dist. di Taranto,
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi; udito l’avv. COGNOME che si riporta ai motivi di ricorso. udito l’avv. COGNOME che si riporta ai motivi di ricorso. udito l’avv. COGNOME che si riporta ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa 1’8 aprile 2024, la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Taranto del 2 dicembre 2022, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati di cui ai capi d), e), g), h), i), j), k) dell’imputazione, perché estin prescrizione, ed ha rideterminato la pena rispettivamente irrogata a:
NOME COGNOME in mesi dieci e giorni venti di reclusione per i delitti di cui all 2 del d.lgs. 74 del 2000 (capi b) e c), eliminato l’aumento per il capo c) dell’imputazione;
Primaldo COGNOME in mesi nove e giorni venti di reclusione per i delitti di cui all’ar 2 del d.lgs. 74 del 2000 (capi b) ed f), nonché per il delitto di cui agli artt. cod. pen., 10 d.lgs. 74 del 2000 (capo I);
NOME COGNOME in anni uno, mesi otto e giorni venti di reclusione per i delitti di cui all’art. 2 del d.lgs. 74 del 2000 (capi b) ed f);
NOME COGNOME in anni uno e mesi sei di reclusione per il delitto di cui all’art. 2 del d.lgs. 74 del 2000 (capo f); ed ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza hanno presentato separati ricorsi per cassazione i difensori degli imputati e ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione come dispone l’art. 173 disp. att. cod.proc.pen.
Il ricorso interposto nell’interesse di NOME COGNOME deduce cinque motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione di legge in relazione all’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, artt. 420 ter cod. proc. pen., artt. 157, 159 cod. pen., art. 17 d.lgs n. 74 del 2000, nonché vizio di motivazione in relazione all’intervenuta prescrizione del reato al tempo della sentenza di merito.
Con riguardo alla contestazione mossa al capo f) concernente l’utilizzo di fatture per operazione oggettivamente inesistente, la n. 3/N del 31.10.2012, emessa dalla società RAGIONE_SOCIALE e l’indicazione, nella dichiarazione annuale Mod. Unico società di capitali 2013, relativa al periodo d’imposta 2012, presentata il 29.09.2013, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto consumato il reato di dichiarazione fraudolenta nel 2013, laddove più correttamente l’obbligo dichiarativo avrebbe dovuto essere individuato nell’anno 2010 o al più nell’anno 2011, anno nel quale era avvenuta la realizzazione e il pagamento delle opere edili. Invero, sotto il profilo fiscale, la pretesa dichiarazione fraudolenta avrebbe dovuto essere accertata con riferimento all’anno di imposta 2010, o al più 2011 e comunque in epoca precedente l’entrata in vigore dell’introduzione del comma 1-bis del d.lgs 74 del 2000, dalla legge n. 148 del 2011, che ha elevato di un terzo il termine di prescrizione. Pertanto, il reato contestato, correttamente individuata la consumazione, risultava ampiamente prescritto prima della pronuncia della sentenza di primo grado.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia violazione di legge in relazione all’art. 9 del d.lgs. 74 del 2000 e 110 cod. pen. In sintesi, argomenta il ricorrente che i giudici di merito non avrebbero correttamente applicato la disciplina, in deroga al concorso di persone nel reato, prevista dall’art. 9 del d.lgs. 74 del 2000. Invero, avrebbero punito l’odierno ricorrente, in applicazione della
disciplina del concorso di persone di cui all’art. 110 cod. pen., per l’emissione di fattura falsa e per la sua utilizzazione, in palese violazione del principio del ne bi in idem.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 del d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, essendo l’imputato l’amministratore di diritto, privo di poteri gestori della società, e dunque non dimostrato il dolo i capo a quest’ultimo.
3.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla confisca disposta ai sensi dell’art. 12 bis del d.igs. 74 del 2000.
3.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione di legge in relazione all’eccessività del trattamento sanzionatorio ed in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorso interposto nell’interesse di NOME COGNOME è affidato a cinque motivi di ricorso.
4.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 2, 10 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, art. 424 cod. pen., artt. 420 ter cod. proc. pen., artt. 157, 159 cod. pen., art. 17 d.lgs n. 74 del 2000, nonché vizio di motivazione in relazione all’intervenuta prescrizione dei reati al tempo della sentenza di merito. Invero, argomenta il ricorrente che i giudici della Corte territoriale avrebbero erroneamente riqualificato l’ordinanza di rinvio per legittimo impedimento, pronunciata in data 23 settembre 2022 dal G.U.P. di Taranto, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, quale ordinanza di rinvio per istanza di parte, con la conseguenza che avrebbero computato una sospensione di 70 giorni, pari all’intero periodo, piuttosto che di 60 giorni ai sensi dell’art. comma 1 n. 3 cod. pen.
Con riguardo alla contestazione mossa al capo I), il reato contestato di danneggiamento seguito da incendio, consumato in data 25.08.2015, considerato l’aumento di un quarto ai sensi dell’art. 161 c.p., nonché l’aggiunta del periodo di sospensione della prescrizione pari a giorni 60, risultava prescritto prima della pronuncia della sentenza di primo grado.
Con riguardo alle contestazioni mosse ai capi b) ed f) riguardanti il delitto di cui all’art. 2 del d.lgs 74 del 2000, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto consumato il reato di dichiarazione fraudolenta nel 2013, laddove più correttamente l’obbligo dichiarativo avrebbe dovuto essere individuato nell’anno 2010 o al più nell’anno 2011 e comunque in epoca antecedente all’entrata in vigore del comma 1-bis del d.lgs 74 del 2000, dalla legge n. 148 del 2011, che ha elevato
il termine di prescrizione. Pertanto, i reati contestati, correttamente collocata l loro consumazione, risultavano ampiamente prescritti prima della pronuncia della sentenza di primo grado.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denunzia violazione di legge in relazione all’art. 9 del d.lgs. 74 del 2000 e 110 cod. pen. con conseguente violazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Invero, argomenta il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato, nel caso di specie, la disciplina del concorso di persone di cui all’art. 110 cod. pen., in luogo dell’art. 9 del d.lgs. 74 del 2000 che disciplina il concorso di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. In sintesi, i giudici di merito avrebbero violato il principio del ne bis in id sostanziale e condannato l’odierno ricorrente per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti nonché per il concorso nell’uso delle stesse nella dichiarazione fraudolenta.
4.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 424 e 49 cod. pen.. La sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto integrata la fattispecie di cui all’art. 424 cod. pen.. Invero, argomenta il ricorrent che l’incendio dei documenti sarebbe da inquadrarsi nella disciplina del reato impossibile di cui all’art. 49 cod. pen. alla luce del difetto della necessari offensività della condotta, la concreta inoffensività del bene giuridico protetto nonché il difetto dell’elemento soggettivo e comunque trattasi di condotta non punibile poiché l’incendio è di cosa propria.
4.4. Con il quarto motivo il ricorrente denunzia violazione di legge in relazione alla ritenuta configurabilità della fattispecie di cui all’art. 10 del d.lgs del 2000. In sintesi, argomenta il ricorrente che la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti dell’impossibilità di ricostruire i redditi o il volume di affari ed il dolo specifico per integrare il delit occultamento o distruzione di documenti contabili. Al più, stante la clausola di riserva contenuta nell’art. 10 del d.lgs. 74 del 2000 volta ad evitare che la medesima condotta di occultamento o distruzione sia prevista quale elemento costitutivo di una fattispecie più grave, quale è, nel caso di specie l’art. 424 cod. pen., questo andrebbe ritenuto assorbito, ex art. 15 cod. pen., nella fattispecie di cui all’art. 424 cod. pen.
4.5. Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, si eccepisce violazione di legge in relazione all’eccessività del trattamento sanzionatorio ed in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonché violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla confisca disposta ai sensi dell’art. 12 bis del d.lgs. 74 del 2000.
Il ricorso interposto nell’interesse di NOME COGNOME è affidato a dodic motivi di ricorso.
5.1. Con il primo motivo il ricorrente eccepisce violazione di legge e segnatamente dell’art. 178 comma 1, lettera c) cod. proc. pen. in relazione all’ordinanza disposta dal G.u.p. del Tribunale di Taranto di revoca dell’ammissione dell’esame dell’Ingegnere NOME COGNOME cui era condizionato il giudizio abbreviato.
5.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione, deducendone la mancanza, in relazione alle specifiche censure, avanzate con atto di appello, aventi ad oggetto l’utilizzo- ai fini della dichiarazione dell’anno 201 della società RAGIONE_SOCIALE– di tre fatture emesse dalle società RAGIONE_SOCIALE, quali elementi passivi fittizi nonché violazione di legg travisamento dei fatti in relazione alla prova della falsità delle stesse segnatamente dell’insussistenza degli elementi passivi rappresentati. Il ricorrente, con lo stesso motivo di ricorso, avanza un’ulteriore censura con cui denunzia violazione di legge, vizio di motivazione nonché travisamento dei fatti in relazione all’inadeguatezza dei mezzi e del personale delle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE.
5.3. Con il terzo motivo di ricorso, si eccepisce violazione dell’art. 6 del D.P.R. 633 del 1972 in relazione alla nascita dell’obbligazione tributaria. Invero, i giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto che l’esecuzione della prestazione comporti l’insorgenza dell’obbligazione tributaria e dunque l’obbligo di fatturazione. Argomenta il ricorrente che, secondo la recente giurisprudenza di legittimità, la pretesa fiscale relativa ad una prestazione di servizi diventa esigibil alla data del pagamento ovvero alla data di emissione della fattura.
5.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione nonché travisamento del fatto e segnatamente della perizia redatta dall’ingegnere COGNOME, allegata alla consulenza del Prof. COGNOME in relazione alla sopraelevazione del fabbricato- in assenza di contratto e di qualsivoglia autorizzazione amministrativa- di cui alla fattura n. 9 del 23.11.2012 di euro 169.000,00 emessa dalla società RAGIONE_SOCIALE Argomenta il ricorrente, che la corte territoriale, con motivazione illogica e contraddittoria, avrebbe erroneamente ignorato che in materia di appalto non sussiste l’obbligo di concludere un contratto in forma scritta e che l’eventuale irregolarità urbanistica non costituisce ex se irregolarità fiscale. Sostiene invero il ricorrente che l’opera, come confermato e dimostrato dalle foto tratte da Google earth e da P.P.T.R. del 2009 e del 2011travisate dai giudici di merito che hanno omesso di considerare che il giudizio di obsolescenza e fatiscenza di un immobile è frutto di un giudizio multifattorialedimostrassero che il primo piano del fabbricato nell’anno 2011 non esistesse e che fosse altamente probabile che fosse stato costruito del 2012, come attestato dalla fattura n. 9 del 23.11.2012.
5.5. Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione nonché travisamento del fatto in relazione alle fatture per i canoni di locazione mensili relativi all’affitto di impianti di conglomerato bituminoso di cui a contratto stipulato in data 1.10.2008, a seguito di contratto di comodato stipulato in data 1.6.2008 tra le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE In sintesi, sostiene il ricorre che i giudici di merito- con un percorso argomentativo illogico e contraddittorioavrebbero erroneamente ritenuto provata la falsità delle fatture per i canoni di locazione proprio per la natura simulata dei negozi nonostante la diversità dell’oggetto e l’effettivo trasferimento di denaro.
5.6. Con il sesto motivo di ricorso si eccepisce violazione di legge in relazione alla configurabilità della fattispecie di cui all’art. 2 del d.lgs. 74 del 20 In sintesi, il ricorrente evidenzia che la mera registrazione di fatture fittizie assenza di un riscontro materiale alle 28 fatture emesse dalla società COGNOME come accertato del pvc del 30.06.2015, redatto a carico della società RAGIONE_SOCIALErenda al più configurabile la fattispecie di cui all’art. 3 del d.lgs. 74 del 2000.
5.7. Con il settimo motivo, il ricorrente denunzia violazione di legge e vizio di motivazione nonché travisamento del fatto in relazione alla consapevolezza, in capo allo stesso, della sostituzione- nel corso della verifica effettuata dall’Agenzia delle Entrate- di 28 fatture emesse dalla società COGNOME con altre fatture false emesse dalle società RAGIONE_SOCIALE Argomenta il ricorrente che la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto raggiunta la prova della colpevolezza – idonea a fondare il giudizio di responsabilità- circa la sostituzione di tale documentazione, nonostante l’assenza materiale delle fatture emesse dalla società COGNOME, la consegna effettuata dal commercialista COGNOME in sede di verifica il 12.05.2015 all’interno di una chiavetta elettronica.
5.8. Con l’ottavo motivo di ricorso si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla nota di credito n. 11/NC del 16.12.2013 di euro 1.113.200,00 di storno di cinque fatture che la RAGIONE_SOCIALE aveva emesso nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE In sintesi, i giudici di merito avrebbero errat nel disattendere l’assunto difensivo secondo il quale la nota di credito andasse letta alla luce del reale assetto dei rapporti giuridici che intercorrevano tra le due società e che lo storno servisse a ristabilire il reale assetto dei rapporti.
5.9. Con il nono ed il decimo motivo di ricorso si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione nonché travisamento del fatto in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo necessario ad integrare la fattispecie di cui all’art. 2 del d.lgs. 74 del 2000 di cui ai capi b) e c) dell’imputazione.
5.10. Con l’undicesimo motivo di ricorso, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 12 del d.lgs. 74 del 2000 e artt. 133 62 bis cod. pen., per la mancata riduzione, nel massimo, delle pene accessorie.
5.11. Con il dodicesimo motivo, il ricorrente denunzia vizio di motivazione e violazione delle norme di cui agli artt. 12 bis del d.lgs. 74 del 2000 e 240 cod. pen.. In sintesi, la Corte territoriale avrebbe omesso di fornire adeguata motivazione alla censura con cui l’odierno ricorrente evidenziava l’assoluta carenza dei requisiti della confisca per equivalente che il G.u.p. di Taranto aveva disposto nei suoi confronti.
6. Il ricorso interposto nell’interesse di NOME COGNOME è affidato ad un unico motivo, articolato in tre censure, con cui il ricorrente denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al giudizio di responsabilità dell’odierno ricorrente e segnatamente della consapevolezza in capo a questi della falsità delle fatture di cui all’art. 2 del d.lgs. 74 del 2000.
Censura il ricorrente la mancata acquisizione, mediante rinnovazione dell’istruttoria, del mandato professionale rilasciato all’odierno ricorrente in dat 10 marzo 2011, dal legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME In particolare, si argomenta, che l’acquisizione di tale documento avrebbe permesso di provare che l’odierno ricorrente si sarebbe limitato a protocollare le fatture che venivano emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE Invero, alle società, per mezzo del proprio personale, aveva accesso al sistema informatico contabile tramite il software di contabilità denominato RAGIONE_SOCIALE, e quindi aveva l’onere di caricare, emettere e trasferire le fatture. I giudici di merito avrebber erroneamente disatteso le argomentazioni della difesa, volte a dimostrare l’inconsapevolezza in capo all’odierno ricorrente circa la falsità delle fatture di cu ai delitti di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti -contestati ai capi b) ed f) della rubrica in concorso con il COGNOME ed il COGNOME-. La Corte territoriale avrebbe altresì erroneamente disatteso la deposizione del teste, socio dello studio COGNOME, NOME COGNOME, che avrebbe confermato la liceità dell’attività svolta dall’odierno ricorrente, di mera lavorazione delle fatture inserite dalla società RAGIONE_SOCIALE. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con una seconda censura, il ricorrente evidenzia nuovamente che la mancanza dell’elemento soggettivo in capo al COGNOME e quindi della consapevolezza della falsità delle fatture caricate dalla società RAGIONE_SOCIALE e consegnate dall’odierno ricorrente, in sede di verifica, il 12.5.2015, fosse altresì deducibile da una campagna di infezione di computer eseguita con un ransomware Ultracode, a causa del quale si erano alterati alcuni dati informatici. La Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto provato in capo all’odierno ricorrente l’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 2 del d.lgs. 74 del 2000- sebbene tale circostanza risulta, altresì, provata dallo scambio di email tra l’odierno ricorrente e la Polizia, nonché dalla testimonianza del teste COGNOME e non abbia
piuttosto ricondotto la discrasia tra il registro in formato elettronico ed il regis in formato cartaceo all’errore incolpevole.
Con un’ultima censura, il ricorrente lamenta l’errata applicazione, dei giudici di merito, dei principi affermati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità in relazione alla disciplina del concorso di persone nel reato ai sensi dell’art. 110 cod. pen. nonché in relazione alla responsabilità del commercialista per i fatti commessi dai propri assistiti.
7. Il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La vicenda giudiziaria originava dalla verifica fiscale, svolta, dal personale in servizio presso l’Agenzia delle Entrate di Taranto nel maggio del 2015, in relazione al periodo di imposta 2012 a carico della società RAGIONE_SOCIALE – con legale rappresentante NOME COGNOME e con sede in San Giorgio Jonico e – esercente attività di produzione di conglomerati bituminosi, recupero di rifiuti provenienti da demolitori e scavi, commercializzazione di stabilizzati per reinterri, rilevati fondazioni stradali, con stabilimenti in Faggiano e Fasano. Dagli accertamenti svolti dai verificatori, emergeva che presso la sede legale, era ubicata un’abitazione privata e che gli uffici amministrativi della società in Faggiano si trovavano su terreni concessi in comodato alla società RAGIONE_SOCIALE dalla moglie di NOME COGNOME responsabile tecnico della stessa società, e che l’impianto sito a Fasano si trovava su un terreno di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, concesso in comodato d’uso alla società RAGIONE_SOCIALE
Le indagini proseguivano presso lo studio del commercialista e depositario delle scritture contabili della società RAGIONE_SOCIALE, il Dott. NOME COGNOME il quale metteva immediatamente a disposizione dei verificatori in formato elettronico il libro giornale, il libro inventari, il libro mastro, il registro d ammortizzabili, il registro iva acquisti, 11 sezionali registri iva vendite, registro riepilogativo, il bilancio di esercizio iva depositato presso la camera di commercio con allegata ricevuta di trasmissione, il bilancio di verifica al 31.12.2012 con prospetto di variazioni fiscali, prospetto deduzioni irap ed infine il prospetto d raccordo tra bilancio di verifica e bilancio di esercizio, riservandosi di produrre i seguito la documentazione in formato fiscale.
Nel corso di ulteriori accessi, veniva prodotta ulteriore documentazione in formato cartaceo, sempre con riferimento all’anno d’imposta 2012, dal COGNOME e dal COGNOME.
Dall’esame degli atti acquisiti emergeva che nell’anno 2012 la società RAGIONE_SOCIALE aveva intrattenuto rapporti con ulteriori società tra le quali la società RAGIONE_SOCIALE, la società RAGIONE_SOCIALE, la società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE
Veniva quindi avviata una verifica fiscale, sempre per l’anno 2012, anche nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE della quale era legale rappresentante NOME COGNOME, in liquidazione, dalla quale emergeva che la sede legale coincideva con quella operativa della società RAGIONE_SOCIALE
Venivano, quindi, disposte ulteriori indagini a carico delle suddette società dalle quali emergeva oltre all’evidente collegamento tra le società- rilevabile dalla coincidenza ovvero dallo scambio tra soci e legali rappresentati- il fatto che queste facevano tutte capo a COGNOME, amministratore di fatto di tali società.
A sostegno di tale assunto erano evidenziati, tra gli elementi accertati dai verificatori, la medesimezza dell’oggetto sociale delle società, la medesimezza della sede operativa (ad esclusione della società RAGIONE_SOCIALE), i numerosi trasferimenti di lavoratori tra le società, i diversi distacchi di personale tra le varie soci nonché le operazioni di anticipazione finanziaria effettuate dalla RAGIONE_SOCIALE non correlate a sottostanti rapporti di natura commerciale.
Infine, la falsità delle fatture trovava conferma nella confessione resa da NOME COGNOME da cui l’affermazione della responsabilità per i reati contestati a ciascuno degli odierni ricorrenti.
Venendo alla trattazione dei singoli ricorsi, è inammissibile il primo motivo di ricorso di NOME COGNOME.
2.1. Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistente si consuma, essendo un reato dichiarativo, al momento della presentazione della dichiarazione fiscale e non, come assume il ricorrente, al momento dell’esecuzione delle prestazioni indicate nelle fatture.
Con orientamento consolidato, si è affermato che il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti si connota come reato di pericolo e di mera condotta, che si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione è presentata agli uffici finanziari e prescinde dal verificarsi dell’evento di danno, per cui, ai fini dell’individuazione della data di consumazione dell’illecito, non rileva l’effettività dell’evasione, né, tanto meno, dispiega alcu influenza l’accertamento della frode, né rileva il momento della prestazione (Sez. 3, n. 25808 del 16/03/2016, COGNOME, Rv. 267659 – 01; Sez. 3, n. 16459 del 16/12/2016, COGNOME, Rv. 269652 – 01).
Nel caso in esame, il ricorrente è stato condannato per il reato di dichiarazione fraudolenta per avere utilizzato, nella dichiarazione annuale Mod. Unico società di capitali 2013, relativa al periodo d’imposta 2012, presentata il 29.09.2013, la fattura n. 3/N del 31.10.2012, emessa dalla società RAGIONE_SOCIALE (capo f), il reato, tenuto conto degli artt. 157 e 161 cod.pen. e art. 17 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, pari a dieci anni, si è prescritto in data 29/09/2023, a cui vanno
aggiunti giorni 358 di sospensione del corso della prescrizione, sicchè il reato si è prescritto il 21/09/2024, dopo la sentenza di appello dell’08/04/2024.
2.2. Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile. Argomenta il ricorrente la violazione dell’art. 9 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 tenuto conto che il ricorrente è stato chiamato a rispondere sia del reato di cui all’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, capo f), che del reato di cui all’art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, seppur dichiarato prescritto.
Il motivo è inammissibile per due ordini di ragioni.
In diritto, rammenta il Collegio che l’art. 9 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, contenente una deroga alla regola generale fissata dall’art. 110 cod. pen. in tema di concorso di persone nel reato, esclude la rilevanza penale del concorso dell’utilizzatore nelle condotte del diverso soggetto emittente, ma non trova applicazione quando la medesima persona procede in proprio sia all’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, sia alla loro successiva utilizzazione (Sez. 3, n. 19247 del 08/03/2012, De COGNOME, Rv. 252545 – 01; Sez. 5, n. 36859 del 16/01/2013, COGNOME, Rv. 258038 – 01; Sez. 3, n. 19025 del 20/12/2012, COGNOME, Rv. 255396 – 01 in cui si è espressamente chiarito che il regime derogatorio previsto dall’art. 9 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 non trova applicazione quando l’amministratore della società che ha emesso le fatture per operazioni inesistenti coincida con il legale rappresentante della diversa società che le abbia successivamente utilizzate).
Ancora più recentemente si è affermato che la disciplina in deroga al concorso di persone nel reato prevista dall’art. 9 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non si applica al soggetto che cumuli in sé la qualità di emittente e quella di amministratore della società utilizzatrice delle medesime fatture per operazioni inesistenti (Sez. 3, n. 34021 del 29/10/2020, COGNOME, Rv. 280370 – 01). Da cui la manifesta infondatezza del motivo.
Ma, ancor prima, quanto al caso in esame, fermi i principi sopra enunciati, va rilevato che il ricorrente è stato condannato per il reato di cui all’art. 2 d.lgs marzo 2000, n. 74, quale amministratore di diritto di RAGIONE_SOCIALE per avere utilizzato la fattura n. 2 del 2012, emessa da RAGIONE_SOCIALE, relativa ad operazioni inesistenti, senza che al medesimo fosse mai stata contestata la violazione di cui all’art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, in relazione all’emissione della citata fattura, che è stata elevata, al capo h), al COGNOME, COGNOME e COGNOME e non al ricorrente COGNOME.
La censura svolta in maniera del tutto astratta, manifestamente infondata in diritto, anche priva di confronto con le imputazioni elevate al ricorrente, è inammissibile anche per carenza di concreto interesse.
2.3. Il terzo motivo di ricorso, anche versato in fatto là dove richiede una diversa valutazione del compendio probatorio e segnatamente delle dichiarazioni rese dal COGNOME che ha dichiarato che il COGNOME era un mero dipendente della società, è comunque manifestamente infondato.
Il ricorrente è stato ritenuto responsabile del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, nella qualità di legale rappresentante, firmatario della dichiarazione fiscale, soggetto obbligato alla presentazione della dichiarazione e, dunque, egli risponde quale autore materiale della sottoscrizione della dichiarazione fiscale.
La consapevole accettazione della carica di amministratore di diritto impone al medesimo il dovere di esercitare i dovuti controlli all’atto della sottoscrizion della dichiarazione fiscale che si avvale della documentazione fiscale fittizia.
La condotta materialmente ascritta al legale rappresentante della società, che ha effettivamente presentato la dichiarazione fiscale falsa, avvalendosi delle fatture per operazioni inesistenti, non è neppure esclusa dalla partecipazione di coloro che – pur essendo estranei e non rivestendo cariche nella società a cui si riferisce la dichiarazione fraudolenta – abbiano, in qualsivoglia modo, partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito all’amministratore della società, sottoscrittore della dichiarazione fraudolenta, di avvalersi della documentazione fiscale fittizia (Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Agrama, Rv. 256579; Sez. 3, n. 28720 del 10/03/2016, Riva, non mass.; Sez. 3, n. 9853 del 02/12/2015, Mondino, n.m.).
La carica di legale rappresentante, infatti, costituisce il soggetto in una posizione di garanzia rispetto alla trasparenza ed alla correttezza contabile in funzione degli obblighi tributari contemplati dalla legge e gli impone pure di impedire la commissione dei reati, eventualmente commessi dal reale gestore, previsti attraverso un’attenta vigilanza, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispett comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, C., Rv. 273939 – 02; Sez. 3, n. 7770 del 05/12/2013, COGNOME, Rv. 258850 – 01; Sez. 3, n. 3240 del 02/02/1999 Piazza, Rv. 212734).
La corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio suddetto secondo cui il legale rappresentante di una società risponde dei reati in materia tributaria anche per violazione del semplice dovere di vigilanza e di controllo della veridicità della contabilità (cfr. pag. 57) in un contesto nel quale l’affermazione difensiva secondo cui il ricorrente sarebbe un dipendente, secondo le dichiarazioni
del Merico, non si pone in contraddizione con l’affermazione di responsabilità per il reato contestato e non ne esclude la responsabilità nella sua veste di legale rappresentante della società.
Con riferimento al dolo specifico di evasione, la sentenza impugnata richiama le dichiarazioni del COGNOME e del COGNOME che hanno affermato la piena consapevolezza in capo al ricorrente della falsità della fattura, non avendo la RAGIONE_SOCIALE personale in grado di utilizzare i mezzi noleggiati di cui alla fattura contestazione e quelle rese dal teste COGNOME che ha riferito che il ricorrente era “di fatto il supervisore delle aziende del consorzio” (cfr. pag. 6 sentenza di primo grado e pag. 41 sentenza di appello) da cui ha tratto, con motivazione logica, la dimostrazione della finalità di evasione.
2.4. Il quarto motivo di ricorso che deduce l’illegittimità della disposta confisca è inammissibile perché il ricorrente non vanta alcun interesse ad impugnare il capo della sentenza che ha confermato la disposta confisca.
Sotto un primo profilo è manifestamente infondata la violazione dell’art. 12 bis d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 perché applicato a fatti commessi in epoca antecedente all’entrata in vigore, nel 2015, della previsione di legge sussistendo la piena continuità normativa tra la disposizione di cui all’art. 12-bis, comma secondo, del predetto D.Lgs. (introdotta dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158), e la previgente fattispecie prevista dall’art. 322-ter cod. pen., richiamato dall’art. 1 comma 143, I. 24 dicembre 2007, n. 244, abrogata dall’art. 14 del citato D.Lgs. n. 158 del 2015 (Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016, Lombardo, Rv. 268386 – 01).
Quanto al caso in esame, dal non contestato riepilogo dei motivi di ricorso risulta che il ricorrente aveva avanzato richiesta di revoca della confisca dell’opificio industriale di Fasano della proprietà della RAGIONE_SOCIALE, e che questa è stata respinta sul rilievo che unico legittimato alla richiesta di revoca era il legal rappresentante della medesima società e non, dunque, il COGNOME.
La censura oggi nuovamente riproposta è inammissibile per le stesse ragioni quanto alla confisca dell’opificio e, tenuto conto che nell’atto di appello la difesa si era limitata a chiedere la revoca della confisca dell’opificio sito in Fasano, risulta inammissibile nel resto la censura con riguardo ad eventuali altri beni oggetto di confisca.
2.5. Il quinto motivo di ricorso che lamenta l’eccessivo trattamento sanzionatorio e il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondato.
Nel rideterminare il trattamento sanzionatorio, la corte territoriale ha ritenuto adeguata alla gravità del fatto la pena base, secondo i limiti edittali applicabili ratione temporis ante legge n. 124 del 2019, di anni due e mesi tre di reclusione.
La decisione impugnata è congruamente e logicamente motivata avendo la Corte d’appello, in continuità con il Tribunale, valutato, tra i criteri di cui all 133 cod.pen., la gravità dei fatti in ragione delle modalità del fatto dell’inserimento del ricorrente nel contesto di frodi fiscali reiterate e, dunque, dell professionalità dell’agire, ed ha applicato una pena di .
A tale proposito deve, ancora, ricordarsi che nel caso in cui, come quello in esame, la misura della pena irrogata è stata esplicitamente applicata in misura media, deve ritenersi adeguata la motivazione mediante richiamo ad espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravita del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv 256197; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME Rv. 258356).
Il provvedimento è, dunque, corretto sul piano del diritto e sorretto da congrua motivazione che non presenta profili di illogicità sindacabili in questa sede.
Il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è stato argomentato sul duplice rilievo dell’assenza di elementi positivi di valutazione e in ragione dell’ingente danno economico arrecato. Ora il ricorrente contesta unicamente una ratio decidendi (l’assenza di un danno ingente), ma non allega elementi positivi di valutazione che avrebbero dovuto essere valuti, sicchè la censura priva di completo confronto specifico è anche inammissibile per genericità.
2.6. Va, infine, rammentato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi o per altra causa, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità al 21/09/2024 (Sez. 2, n. 28848 dell’08/05/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Il ricorso di NOME COGNOME va dichiarato inammissibile con tutte le conseguenze di legge.
3. Il primo motivo di ricorso di Primerio COGNOME è manifestamente infondato sotto tutti i profili.
Deduce il ricorrente l’erronea applicazione della legge in quanto la corte territoriale avrebbe erroneamente riqualificato l’ordinanza di rinvio per legittimo impedimento, pronunciata in data 23 settembre 2022 dal G.U.P. di Taranto, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, quale ordinanza di rinvio per istanza di parte, con la conseguenza che avrebbero computato una sospensione di 70 giorni, pari all’intero periodo, piuttosto che di 60 giorni ai sensi dell’art. comma 1 n. 3 cod. pen. Secondo il ricorrente il giudice non potrebbe riqualificare la decisione di legittimo impedimento in rinvio di cortesia ex officio e d
conseguenza calcolare per l’intero il periodo di sospensione del corso della prescrizione con riguardo al reato di cui all’art. 424 cod.pen. commesso il 28/05/2015, di cui al capo I), essendo maturata la prescrizione il 31/03/2024.
La corte territoriale ha respinto la censura difensiva ora nuovamente riproposta argomentando che l’istanza di rinvio dell’udienza del 23 settembre 2022 non poteva ritenersi accolta per legittimo impedimento, essendo stata proposta il 16 settembre 2022, nonostante che sin dal 1°Iuglio 2022 il difensore fosse a conoscenza del rinvio nella medesima data del presente processo e di quello in Corte d’assise sulla cui base la medesima è stata formulata e lo ha così qualificato quale rinvio di mera cortesia, con la conseguente applica azione della sospensione dei termini di prescrizione per l’intero periodo di giorni 70.
Il corso della prescrizione è stato sospeso per l’intero periodo non trovando applicazione i limiti di durata previsti dall’art. 159, comma primo, n. 3 cod. pen. qualora il giudice, su richiesta del difensore, accordi un rinvio della udienza, pur in mancanza delle condizioni che integrano un legittimo impedimento per concorrente impegno professionale di detto difensore (Sez. 3, n. 19687 del 21/03/2018, COGNOME, Rv. 273057 – 01; Sez. 3, n. 38988 del 09/05/2017, COGNOME, Rv. 270787 – 01), spettando al giudice la corretta valutazione dell’istanza e della conseguente applicazione dell’art. 159 cod.proc.pen., come avvenuto nel caso concreto.
Consegue che il reato di cui all’art. 424 cod.pen., commesso il 25/08/2015, tenuto conto dei termini di prescrizione e della sospensione del corso della prescrizione per 410 giorni, si è prescritto in data 10/04/2024, successivamente alla impugnata sentenza.
Manifestamente infondata è, parimenti, la censura con la quale il ricorrente deduce la prescrizione dei reati tributari di cui all’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, sul rilievo che il reato si perfeziona al momento dell’esecuzione delle opere indicate nelle fatture e non al momento della presentazione della dichiarazione fiscale.
Si tratta di un assunto difensivo contrario all’orientamento consolidato di Questa Corte secondo cui il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti è un reato istantaneo, che si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione è presentata agli uffici finanziari e prescinde dal verificarsi dell’evento di danno, per cui, ai fini dell’individuazion della data di consumazione dell’illecito, non rileva l’effettività dell’evasione, né tanto meno, dispiega alcuna influenza l’accertamento della frode (Sez. 3, n. 16459 del 16/12/2016, COGNOME Rv. 269652 – 01; Sez. 3, n. 25808 del 16/03/2016, COGNOME, Rv. 267659 – 01). Da cui il corretto calcolo della prescrizione dei reati
dichiarativi di cui ai capi b), c) ed f) secondo quanto indicato a pag. 4 della sentenza impugnata.
3.2. Il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione dell’art. 9 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 per essere stato condannato, il COGNOME, sia per il concorso nel reato dichiarativo di cui ai capi b), c) ed f), che nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, pur dichiarate prescritte, è manifestamente infondato.
Occorre richiamare, in diritto, quanto già svolto in relazione all’analogo motivo svolto dal COGNOME (vedi supra par. 2.2. del considerato in diritto) e aggiungere che, quanto alla posizione del Merico, egli risulta avere agito quale amministratore di fatto sia delle società emittenti (la RAGIONE_SOCIALE) che utilizzatrici (amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE per i capi b) e c) e della RAGIONE_SOCIALE Per il capo f) e per avere materialmente emesso le fatture (cfr. pag. 10).
Attesa la materiale effettuazione della condotta di emissione (cfr. pag. 10) e di utilizzazione, e diversità dei due soggetti giuridici (emittente e utilizzator non trova, dunque, applicazione la deroga prevista dall’art. 9, che mira ad impedire che il potenziale utilizzatore di documenti o fatture emesse per operazioni inesistenti può concorrere, ove ne sussistono i presupposti, con l’emittente, secondo l’ordinaria disciplina dettata dall’art. 110 cod. pen., non essendo applicabile in tal caso il regime derogatorio previsto dall’art. 9 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (Sez. 3, n. 41124 del 22/05/2019, COGNOME, Rv. 277978 – 01; in motivazione, la Corte ha osservato che la norma appena richiamata mira ad evitare che la sola utilizzazione, da parte del destinatario, delle fatture per operazioni inesistenti possa integrare anche il concorso nella emissione delle stesse così come, all’inverso, il solo fatto dell’emissione possa integrare il concorso nella utilizzazione, da parte del destinatario che abbia ad indicarle in dichiarazione, delle medesime, determinandosi, altrimenti, la sottoposizione per due volte a sanzione penale dello stesso soggetto per lo stesso fatto, che, invece, non può verificarsi allorquando il destinatario delle fatture non ne abbia fatto utilizzazione)
3.3. Il terzo motivo di ricorso che contesta l’affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all’art. 424 cod.pen. è inammissibile perché privo di confronto specifico con la decisione impugnata che ha dapprima rilevato che l’imputato aveva confessato di avere incendiato la documentazione contabile il 25/08/2015 (cfr. pag. 59) all’evidente fine di impedire l’utilizzo del documentazione contabile, appartenente alla società, per la ricostruzione del movimento degli affari e che l’incendio sviluppato era di rilevante entità (cfr. pag. 60), da cui la concreta offensività della condotta e la manifesta infondatezza dell’affermata inoffensività della condotta.
3.4. Il quarto motivo di ricorso risulta parimenti inammissibile.
Sotto un primo profilo, va rilevato che i giudici del merito hanno escluso che il reato di cui all’art. 10 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 fosse assorbito nella fattispecie di cui all’art. 424 cod.pen., non operante la clausola di riserva in quanto il reato di distruzione delle scritture contabili è punito più gravemente del reato di incendio e in assenza di operatività della clausola ex art. 15 cod.pen. in quanto l’incendio delle scritture contabili costituisce un quind pluris della mera condotta di distruzione delle stesse, tenuto altresì conto della diversità di beni giudici tutela (cfr. pag. 60).
Sotto altro profilo la censura che si appunta sulla motivazione circa l’impossibilità della ricostruzione dei redditi e del volume degli affari inammissibile perché generica e priva di confronto specifico con pag. 59, là dove la corte territoriale ha argomentato la sussistenza dei presupposti dell’impossibilità di ricostruire i redditi o il volume di affari.
3.5. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.
Nel rideterminare il trattamento sanzionatorio, la corte territoriale ha ritenuto adeguata alla gravità del fatto la pena base, secondo i limiti edittali applicabili ratione temporis ante legge n. 124 del 2019, di anni due e mesi sei di reclusione.
La decisione impugnata è congruamente e logicamente motivata avendo la Corte d’appello, in continuità con il Tribunale, valutato, tra i criteri di cui all 133 cod.pen., la gravità dei fatti in ragione dell’ingente danno economico tenuto conto degli elementi passivi fittizi indicati nelle dichiarazioni fiscali.
A tale proposito deve, ancora, ricordarsi che nel caso in cui, come quello in esame, la misura della pena irrogata è stata esplicitamente applicata in misura media, deve ritenersi adeguata la motivazione mediante richiamo ad espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravita del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv 256197; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME Rv. 258356).
Il provvedimento è, dunque, corretto sul piano del diritto e sorretto da congrua motivazione che non presenta profili di illogicità sindacabili in questa sede.
Il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è stato argomentato sul duplice rilievo dell’assenza di elementi positivi di valutazione e in ragione dell’ingente danno economico arrecato.
Infine, generico è il motivo di censura sulla disposta confisca, non risultando neppure, in quanto non allegato, se il ricorrente sia stato destinatario di confisca (diretta- per equivalente).
3.6. Va, infine, rammentato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi o per altra causa, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità al 21/09/2024 (Sez. 2, n. 28848 dell’08/05/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Il ricorso di NOME COGNOME va dichiarato inammissibile con tutte le conseguenze di legge.
Il ricorso di COGNOME NOME è inammissibile perché manifestamente infondato.
4.1. Il primo motivo di ricorso che deduce la nullità ai sensi dell’art. 178 cod.proc.pen. dell’ordinanza, del 18/02/2022, con la quale il Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Taranto ha revocato l’ammissione delle prove a discarico con cui era stato condizionato il rito abbreviato e non ha consentito di offrire la prova a discarico attraverso le verifiche tecnica dell’ing. COGNOME manifestamente infondato.
Va rilevato che, trattandosi di questione processuale, Questa Corte ha esaminato gli atti processuali e segnatamente il verbale di udienza in data 18/02/2022. Da questo risulta che, quanto alla richiesta di giudizio abbreviato avanzata, tra gli altri, anche dal COGNOME per mezzo del difensore avv. COGNOME il Giudice riteneva non assolutamente necessaria ai fini della decisione, l’acquisizione della consulenza tecnica dell’ing. COGNOME e rigettava la richiesta. Si legge nel verbale “a questo punto l’avv. COGNOME e l’avv. NOME chiedono che i loro assistiti vengano giudicati con il rito abbreviato c.d. secco” e il Giudice ammetteva il giudizio abbreviato c.d. secco nei confronti del ricorrente.
La censura risulta, pertanto, manifestamente infondata.
4.2. Il secondo motivo di ricorso che censura l’affermazione della responsabilità per il reato di cui all’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, di cui al cap b), quale amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE, per avere indicato nell dichiarazioni fiscali RAGIONE_SOCIALE e Modello Iva per gli anni 2012 e 2013, elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, emesse da RAGIONE_SOCIALE O&V), è inammissibile.
Il ricorso non contiene vizi denunciabili ai sensi dell’art. 606 cod.proc.pen. essendo volto a contestare la decisione e non ad individuare un vizio della motivazione inquadrabile nella carenza, manifesta illogicità e contraddittorietà. In particolare, con le censure proposte il ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica – unici vizi della motivazione
proponibili ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. -, ma una decision
erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa.
Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va, al contrario, evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla falsità delle fatture (cfr. pag. 20 e ss) fondata su elementi di fatto (esempio assenza di maestranze) tratti dal compendio probatorio la cui valutazione non è condivisa e neppure si confronta, da cui anche il difetto di specificità estrinseca, con la circostanza che il COGNOME aveva ammesso i fatti e la falsità delle fatture, fatture anche modificate dal COGNOME su indicazioni del primo.
Va, infine, rammentato che non può avere ingresso in questa sede, il travisamento del fatto che, diversamente dal travisamento probatorio, si risolve in una censura in fatto che non è denunciabile ai sensi dell’art. 606 cod.proc.pen. 4.3. Per la stessa ragione non è denunciabile il travisamento del fatto di cui al terzo motivo di ricorso, mentre risulta manifestamente infondata la violazione di legge in relazione all’art. 6 d.P.R. 633/1972 secondo cui l’esigibilità dell’imposta iva si verifica alla data del pagamento della fattura o dell’emissione della stessa, non avendo mai contestato l’Agenzia delle entrate il mancato pagamento delle fatture, non venendo, in questa sede, in rilievo il mancato versamento dell’imposta bensì l’utilizzo della fattura per operazione inesistente che comporta, in ogni caso, l’applicazione dell’imposta e il recupero di quella evasa.
4.4. Il quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo motivo con i quali il ricorrente deduce il vizio di motivazione, il travisamento del fatto, in relazione alla ritenut falsità delle fatture utilizzate nelle dichiarazioni fiscali di cui ai capi b) e c) possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili per le stesse ragioni indicate nella disamina del secondo motivo.
Il ricorrente ripropone la medesima censura svolta nel secondo motivo, argomentando il vizio di motivazione e travisamento del fatto con riguardo alla prova della falsità delle fatture segnatamente la fattura n. 9 emessa dalla società RAGIONE_SOCIALE (motivo quarto), fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE (motivo quinto), fatture emessa dalla ditta COGNOME (motivo sesto e settimo), fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) e, pertanto, si richiamano le ragioni esposte nel par.4.2.
4.5. Il nono motivo di ricorso che per un verso deduce il vizio di motivazione in punto elemento soggettivo del dolo di evasione e, per altro verso, il travisamento del fatto (accordo transattivo del 09/12/2013 e motivazione della sentenza della Commissione tributaria di Taranto) è inammissibile. Richiamato quanto già affermato in punto inammissibilità della deduzione del travisamento del fatto, anche il vizio di motivazione risulta manifestamente infondato là dove
richiama il disordine contabile del gruppo di imprese del Merico e l’inadeguatezza del commercialista COGNOME
4.6. Il decimo motivo di ricorso contesta l’affermazione della responsabilità in capo al COGNOME quale “semplice amministratore di diritto” della società RAGIONE_SOCIALE. Il ricorrente è stato ritenuto responsabile del reato di dichiarazione fraudolenta di mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, nella qualità di legale rappresentante, firmatario della dichiarazione fiscale, soggetto obbligato alla presentazione della dichiarazione e, dunque, egli risponde quale autore materiale della sottoscrizione della dichiarazione fiscale.
La questione è stata scrutinata con riferimento alla posizione del COGNOME nel par. 2.3. a cui si fa rinvio.
4.7. L’undicesimo motivo di ricorso che contesta la mancata riduzione nel minimo delle pene accessorie risulta manifestamente infondato.
Nel rideterminare il trattamento sanzionatorio, la corte territoriale ha rimodulato le pene accessorie e la riduzione, nella misura di un anno, è stata ritenuta “giustificata” alla luce della gravità dei fatti e, dunque, sulla scorta de elementi di cui all’art. 133 cod.pen.
La decisione impugnata ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui la durata delle pene accessorie per le quali è previsto un limite minimo e massimo, deve essere determinata in concreto, con adeguata motivazione, sulla base dei criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 41061 del 20/06/2019, Paternò, Rv. 277972 – 01).
4.8. La violazione di legge di cui all’art. 12 bis d.lvo n. 74 del 2000 in relazione alla disposta confisca per equivalente risulta inammissibile perché generico lamentando il ricorrente la disposta confisca per equivalente.
Va, infine, rammentato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi o per altra causa, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità al 21/09/2024 (Sez. 2, n. 28848 dell’08/05/2013, COGNOME, Rv. 256463).
Il ricorso di COGNOME NOME va dichiarato inammissibile con tutte le conseguenze di legge.
Il ricorso di COGNOME NOME NOME è inammissibile.
Il ricorso è diretto a richiedere una diversa valutazione delle prove in chiave alternativa (chiede l’assoluzione) ed è anche privo di confronto specifico con la decisione impugnata.
Va premesso che il vizio motivazionale, per avere rilievo nel giudizio di legittimità, deve risultare dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificatamente indicati. Inoltre, il vizio di motivazione, che risulti da testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati, in tanto sussiste se ed in quanto si dimostri che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non invece quando si opponga alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621). Infatti, come più volte affermato da questa Corte, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzont circoscritto, dovendo il sindacato demandato al giudice di legittimità essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, esulando dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME ed altri, Rv. 207944), con la specificazione che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
Dietro l’apparente deduzione del vizio di motivazione, la censura come articolata, per un verso è meramente contestativa della valutazione delle prove operata dai giudici del merito e, per altro verso, non si confronta con la decisione impugnata che, quanto alla prova della falsità delle fatture utilizzate nelle dichiarazioni fiscali della RAGIONE_SOCIALE, non si confronta con la circostanza che il Merico aveva ammesso i fatti e segnatamente la falsità delle fatture. Né si confronta il ricorrente con la sentenza impugnata che, a pag. 54, dà atto che la tesi difensiva dell’estraneità dai fatti era smentita dalla stesse dichiarazioni rese dal COGNOME il quale “confessa” di avere modificato le fatture su richiesta del Merico, scludendo così che si fosse limitato a gestire semplicemente le fatture inserite nel sistema e fosse stato davvero ignaro dei rapporti ad esse sottostanti (cfr. pag. 54 e 55), da cui la manifesta infondatezza della censura in punto applicazione del disposto di cui all’art. 110 cod.pen. essendo chiaro il suo contributo materiale alla commissione dei reati (cfr. pag. 51), da cui l’inconferente riferimento alla posizione del soggetto commercialista nella commissione dei reati tributari.
Infine, manifestamente infondata è censura in punto mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per acquisire documentazione. Non argomenta il
ricorrente la decisività dell’acquisizione e non considera che la giurisprudenza di legittimità ha, ancora di recente ribadito che nel giudizio abbreviato d’appello, le
parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice “ex officio” nei limiti della assoluta necessità
sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prov
termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (Sez. 2 n. 17103 del 24/03/2017, A. Rv. 270069 – 01).
Nel giudizio di appello avverso la sentenza emessa all’esito di rito abbreviato è ammessa la rinnovazione istruttoria esclusivamente ai sensi dell’art.
603, comma 3, cod. proc. pen. e, quindi, solo nel caso in cui il giudice ritenga l’assunzione della prova assolutamente necessaria, perché potenzialmente idonea
ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti. Necessità
neppure prospettata dal ricorrente.
Il ricorso di NOME NOME NOME va dichiarato inammissibile con tutte le conseguenze di legge.
6. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così è deciso, 09/07/2025
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