Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18134 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18134 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/03/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Cento il 29/06/1959
Avverso la sentenza emessa in data 07/06/2024 dalla Corte di Appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 07/06/2024, la Corte d’Appello di Bologna ha parzialmente riformato la sentenza di condanna alla pena di giustizia emessa dal Tribunale di Ferrara, in data 22/11/2022, nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME in relazione ai delitti di dichiarazione fraudolenta (capi A e B), a lui ascritti – come megl specificato in rubrica – in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE con riferimento alle dichiarazioni ai fini IVA relative agli anni di imposta 20
e 2013, nelle quali erano state indicate fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE
In particolare, la Corte d’Appello ha dichiarato non doversi procedere, nei confronti del MATLI’, in ordine al reato di cui al capo A), perché estinto per intervenuta prescrizione, rideterminando conseguentemente le pene principali ed accessorie relative al capo B (avente ad oggetto una sola fattura emessa dalla RAGIONE_SOCIALE.
In accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero, la Corte territoriale ha altresì disposto la confisca diretta, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, della somma di Euro 775.121,64, pari al profitto dei reati di cui ai capi A) e B), e l’eventuale confisca per equivalente nei confronti del MATLI’ della somma di Euro 14.161,98, corrispondente al profitto del solo reato sub B).
Ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Dopo aver ripercorso il contenuto delle censure formulate in appello, la difesa contesta l’affermazione della Corte bolognese basata su un precedente giurisprudenziale ritenuto non conferente – secondo cui la consapevolezza dell’avvenuto sfruttamento di fatture emesse da società cartiere poteva essere desunta dallo stesso inserimento del soggetto nel meccanismo fraudolento della c.d. frode carosello. Si censura poi, da un lato, la valutazione degli elementi acquisiti in ordine alla RAGIONE_SOCIALE, contestando che dagli stessi potesse evincersi la sussistenza di una società cartiera; d’altro lato, si lamenta il travisamento della documentazione prodotta dalla difesa, concernente la società di logistica che aveva effettuato non il trasporto, ma la gestione dei beni acquistati dalla società del ricorrente (una volta giunta a destinazione), e la corrispondenza dei prezzi di acquisto con quelli correnti nel mercato. Si censura inoltre la mancata considerazione delle dichiarazioni della dipendente della RAGIONE_SOCIALE CENTO, che aveva compiutamente descritto le varie fasi operative.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, ritenendo trattarsi di censure attinenti al merito delle valutazioni espresse nella sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Nella valutazione dei rilievi difensivi, è necessario far riferimento a consolidato indirizzo interpretativo elaborato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza,
dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con att probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della vale probatoria del singolo elemento» (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01). Altrettanto consolidata, d’altro lato, è l’affermazione per cui «ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. ‘do conforme’ quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale» (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01; nello stesso senso, tra le altre, cfr. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, i rilievi difensivi non superano lo scritinio di ammissibilità, risolvendosi in censur del merito delle valutazioni espresse dalla Corte territoriale (in piena sintonia con il primo giudice) in ordine alle risultanze acquisite, e nella reiterata prospettazion di una diversa e più favorevole lettura delle risultanze medesime il cui apprezzamento, in questa sede, deve evidentemente ritenersi precluso.
D’altra parte, la Corte territoriale ha confermato la sussistenza del reato contestato al MATLI’, anche quanto alla contestata configurabilità dell’elemento psicologico, tracciando un percorso argomentativo che appare del tutto immune da profili di contraddittorietà o illogicità manifesta (un percorso che tratta anch le operazioni effettuate dalla RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE, nonostante la declaratoria di estinzione del reato di cui al capo A, essendo stata confermata, anche per questa parte dell’imputazione ascritta al ricorrente, la statuizione di confisca diretta nei confronti della DIGITAL CENTO per l’intero ammontare dell’IVA evasa per effetto di tutte le fatture emesse a fronte delle operazioni soggettivamente inesistenti: cfr. pag. 13 della sentenza impugnata).
3.1. Deve anzitutto evidenziarsi la manifesta infondatezza dell’assunto difensivo secondo cui la Corte territoriale avrebbe applicato la teoria del dolus in re ipsa, attraverso un improprio richiamo (cfr. pag. 5) all’insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui «in tema di evasione dell’IVA mediante il meccanismo delle cd. frodi carosello, che, nelle operazioni di importazione di beni, sfrutta l
neutralizzazione dell’IVA all’acquisto mediante l’interposizione di società cartiere, aventi il solo scopo di emettere fatture – con l’esposizione di un’imposta in realtà non versata – destinate ad essere utilizzate nella catena delle cessioni per creare crediti d’imposta inesistenti, una volta appurata l’oggettiva sussistenza della frode attraverso la ricostruzione dei passaggi in cui, in concreto, detto meccanismo si estrinseca, è insita nella stessa gestione di fatto delle società coinvolte, conseguentemente nella regia e supervisione delle operazioni commerciali dalle stesse poste in essere, la piena consapevolezza, in capo ai soggetti agenti, del sistema fraudolento complessivo, la cui prova principe è costituita dall’esiguità del prezzo di acquisto della merce rispetto a quello corrente» (Sez. 3, n. 18924 del 20/01/2017, COGNOME, Rv. 269903 – 01).
In realtà, la lettura del provvedimento impugnato evidenzia che tale precedente è stato evocato non certo per affermare la piena sovrapponibilità della concreta fattispecie ivi esaminata a quella odierna, bensì al ben diverso fine di sottolineare che il dolo specifico, richiesto per l’integrazione del reato dichiarazione fraudolenta, può essere desunto anche da una serie di elementi indiziari non predeterminati, ove ricorrano i presupposti di cui all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (cfr. pag. 5, cit.).
3.2. La Corte territoriale ha fatto buon governo di tali principi, anzitutto dando conto degli elementi ritenuti dimostrativi dell’inesistenza soggettiva delle operazioni sottese alle fatture utilizzate in dichiarazione. In particolare, si è fa leva sullo stabile inserimento della RAGIONE_SOCIALE, amministrata dal ricorrente, nel sistema di frodi carosello correlate alla sistematica interposizione tra le società acquirenti di prodotti tecnologici, come la RAGIONE_SOCIALE, ed i venditori esteri – delle società “RAGIONE_SOCIALE” individuate nella RAGIONE_SOCIALE e nell ASTRA RAGIONE_SOCIALE
L’attribuzione della predetta qualifica a tali società è stata motivata in termin del tutto incensurabili in questa sede.
Sono state in particolare valorizzate, da un lato, le dichiarazioni apertamente confessorie rese dall’amministratore della RAGIONE_SOCIALE circa la natura di cartiera della società e il suo pieno coinvolgimento nel sistema di frode carosello, con l’individuazione per conto della cliente del fornitore estero e dell’offer vantaggiosa di prodotti, per poi interporsi fittiziamente nell’acquisto al fine simulare un’operazione avvenuta in ambito nazionale e creare un falso credito IVA (cfr. pag. 9 seg. della sentenza impugnata).
D’altro lato, con riferimento alla RAGIONE_SOCIALE, la Corte territoriale ha dato rilievo ad una serie di univoci elementi: la condizione di nullatenente senza fissa dimora dell’amministratore di diritto; l’inesistenza sia della sede legale dell società nell’indirizzo risultante dagli atti, sia di unità operative idonee
svolgimento dell’attività; la sistematica omissione di qualsiasi dichiarazione fiscale (cfr. pag. 6). Con riferimento poi alla documentazione relativa ai rapporti tra la RAGIONE_SOCIALE e la società del RAGIONE_SOCIALE, La Corte d’Appello ha ritenuto – anche qui in termini tutt’altro che illogici – che l’ipotesi accusatoria fosse ulteriormente confermata dal fatto che la società di logistica, incaricata di ricevere in magazzino la merce proveniente dall’estero, intrattenesse rapporti direttamente con la RAGIONE_SOCIALE destinataria delle fatture ed indicata come “provenienza”, mentre la qualifica di “compratore” era riservata agli acquirenti finali. Si tratta documentazione che risulterebbe incomprensibile, se l’acquisto dall’estero fosse realmente stato effettuato dalla RAGIONE_SOCIALE, anziché dalla società del ricorrente (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata, in cui si sottolinea anche che, “opinando al contrario, non si comprende per quale ragione la RAGIONE_SOCIALE si sarebbe dovuta accollare i costi di importazione di prodotti formalmente acquistati da RAGIONE_SOCIALE“).
3.3. Con riferimento poi alle risultanze direttamente riferibili al MATLI’, l Corte d’Appello ha escluso che, dalle stesse, potesse ricavarsi una sua “buona fede” nelle operazioni commerciali che avevano coinvolto l’RAGIONE_SOCIALE
A tal proposito, oltre all’intrinseca inverosimiglianza dell’ipotesi per cui RAGIONE_SOCIALE non si sarebbe accorto di trattare con una società priva di sede legale ed operativa, amministrata da soggetto nullatenente, ecc., nella sentenza impugnata si è posto in evidenza: che l’affermazione dell’imputato di essersi recato a far visita alla sede legale della RAGIONE_SOCIALE, in occasione di un suo viaggio a Roma, risultava del tutto inverosimile, alla luce di quanto accertato presso l’indirizzo della sede medesima; che la singolare conservazione da parte del MATLI’, a distanza di anni, di uno scontrino di un locale romano, prodotta per dimostrare il proprio viaggio nella Capitale, sembrava piuttosto accreditare l’ipotesi di una precostituzione di una prova documentale a sostegno della prospettata sua inconsapevolezza delle frodi; che la sussistenza di fisiologici scambi commerciali tra la RAGIONE_SOCIALE e l’ASTRA non appariva desumibile neanche dai documenti relativi alla presentazione, da parte di quest’ultima, di un’offerta di dispositivi elettronici avent memoria corrispondente alle reali intenzioni di acquisto della RAGIONE_SOCIALE nonostante quest’ultima, per errore, avesse formulato una richiesta di dispositivi aventi memoria diversa; che altrettanto inconsistente, al fine di sostenere la buona fede nel MATLI’, risultava la documentazione prodotta per documentare ricerche di mercato finalizzate alla ricerca della migliore offerta, trattandosi di ricerc posteriori alla data di accettazione, da parte della RAGIONE_SOCIALE COGNOME, della proposta formulata dalla ASTRA (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).
A tutto ciò deve poi aggiungersi il tenore della conversazione intercettata tra il COGNOME e l’amministratore della IM COGNOME, valorizzato dalla Corte
territoriale in senso accusatorio caso senza incorrere – anche in questo caso – in alcuna contraddittorietà o illogicità qui deducibile (il ricorrente chiede se è ancora
possibile “lavorare” con un determinato fornitore, il COGNOME lo “tranquillizza”
ripetutamente, e – avuta conferma dal COGNOME di un imminente ordinativo – lo esorta a procedere, dato che faceva “affidamento su questi soldi” (cfr. pag. 11
della sentenza impugnata).
3.3. In buona sostanza, si è dinanzi ad una valutazione diffusa e più che argomentata delle risultanze acquisite, sia quanto alle caratteristiche di “cartiera”
delle società emittenti le fatture utilizzate dalla RAGIONE_SOCIALE sia quanto alla loro valenza indiziante di una piena consapevolezza, in capo al MATLI’, del sistema
frodatorio in cui era inserita anche la società a lui riferibile.
Risulta allora tutt’altro che apodittica la conclusione della Corte territorial secondo cui non vi è “alcun margine per nutrire dubbi di sorta in ordine alla piena
coscienza e volontà del MATLI’ di aver ricevuto fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, tanto dalla RAGIONE_SOCIALE quanto dalla IM
RAGIONE_SOCIALE al fine di creare falsi crediti di imposta nelle dichiarazioni IVA relativ agli anni di imposta 2012 e 2013″ (cfr. pag. 11, cit.).
Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.