Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26656 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26656 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/06/2025
TERZA SEZIONE PENALE
NOME
Sent. n. sez. 1048/2025
UP – 17/06/2025
– Relatore –
NOME
ha pronunciato la seguente
Sul ricorso presentato dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia nel procedimento a carico di NOME NOMECOGNOME nato a San Giovanni Rotondo il 16/12/1948, esaminati i motivi del ricorso;
lette le conclusioni scritte del pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Con sentenza del 26/09/2024, la Corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza del Tribunale di Padova del 15/03/2019, che in esito a rito abbreviato aveva condannato COGNOME per i reati di cui agli articoli 2 e 8 d. lgs. 74/2000 alla pena di mesi 8 giorni 10 di reclusione, assolveva l’imputato perchØ il fatto non sussiste.
Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia, lamentando violazione degli articoli 2 e 8 d. lgs. 74/2000, mancanza e vizio di motivazione.
La sentenza impugnata, dopo avere premesso che secondo l’impostazione accusa l’imputato si sarebbe prestato ad interporsi nel rapporto commerciale tra RAGIONE_SOCIALE e la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE nell’ambito di un piø ampio programma criminoso che aveva visto il Ferrara mantenere rapporti con i sodali di una associazione per delinquere finalizzata a consentire a plurimi soggetti l’evasione degli obblighi tributari e dopo avere illustrato le modalità di realizzazione degli illeciti da parte del sodalizio secondo quattro schemi fraudolenti individuati nella sentenza di primo grado, tuttavia, nell’analizzare la posizione del Ferrara, ritiene che il primo giudice si sarebbe limitato a ricopiare decine di pagine di intercettazioni telefoniche senza porre in relazione con la condotta dell’imputato.
Censura quindi mancanza e contraddittorietà della motivazione non avendo il secondo giudice fatto buon governo della regola secondo cui giudici e appello non possono dichiarare la nullità della sentenza appello neanche in caso di mancanza assoluta di motivazione, ben
potendo provvedere a redigere anche integralmente la motivazione marcante.
Nel caso in esame, dalle conversazioni trascritte nella sentenza resa in abbreviato emerge una ricostruzione dettagliata della posizione dell’imputato e dei suoi rapporti con gli altri coimputati nonchØ della modalità di fatturazione sfruttata dallo stesso.
Ma soprattutto non vengono considerate le fondamentali conversazioni intercettate il 3 e il 6 luglio 2015 (pag. 54 sentenza di primo grado), in cui si fa riferimento proprio alla fornitura di cui all’unica fattura ricevuta dalla ditta individuale Ferrara, il cui passaggio, trascritto a pagina 19 della sentenza, toglie ogni dubbio sulla riferibilità all’imputato delle conversazioni del sedicente ‘NOME‘ con i componenti del sodalizio, soprattutto per il tramite di tale NOME COGNOME.
A pagina 73, inoltre, il primo giudice da conto del fatto che l’imputato ha pagato tale fattura, ma riconduce tale adempimento alla volontà di non compromettere i rapporti con il gruppo di riferimento.
Del resto, emerge chiaramente che forse proprio in Ferrara a mantenere i rapporti sia con il fornitore turco corrente in Istanbul che con le ditte cinesi sedenti in Prato, tra cui proprio la RAGIONE_SOCIALE di cui alla fattura in contestazione.
Quanto poi alla documentazione relativa ai fatti in rubrica, essa si trova nel fascicolo 400 del faldone 33 relativo all’anno 2015 da cui si e vince chiaramente lo schema illecito: 1) l’operazione prevede un reale approvvigionamento di merci dal fornitore straniero, nel caso di specie la società turca RAGIONE_SOCIALE; 2) la merce non viene acquistata dal cliente finale ma da una società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, che vende cartolarmente la merce a una società cartiera estera del gruppo, definita dagli stessi sodali ‘pattumiera’, nel caso di specie la RAGIONE_SOCIALE; 3) la merce viene fatta sparire documentalmente, ma resta in Italia depositata presso una logistica nella disponibilità del gruppo, nel caso di specie la RAGIONE_SOCIALE, che a sua volta vende a RAGIONE_SOCIALE con fattura del 3 luglio 2015; 4) RAGIONE_SOCIALE vende a Ferrara con fattura del 6 luglio 2015 numero 306 la stessa merce; 5) Ferrara vende quindi la merce RAGIONE_SOCIALE con fattura numero 10 del 15 luglio 2015.
Emerge quindi in modo plastico come tra fornitore (società turca) e cliente finale (RAGIONE_SOCIALE) si interponga il sodalizio criminoso diretto da COGNOME/COGNOME, che mediante l’impiego di cartiere e ‘pattumiere’ estere crea crediti IVA inesistenti ed acquisti di merce a prezzi convenienti.
Tutta l’operazione prevede la ricezione e la emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti con uno schema che Ł anche funzionale all’acquisto di merce sottocosto.
Il ricorrente evidenzia peraltro che la ricostruzione di tali meccanismi fraudolenti Ł stata confermata in sede di interrogatorio sia da NOME COGNOME che da NOME COGNOME.
Il ricorrente censura, inoltre, la deduzione della Corte d’appello secondo cui Ferrara avrebbe effettivamente pagato la fattura, evidenziando che, dalle conversazioni di cui ai progressivi 8976, NUMERO_CARTA E9123 emerge che egli abbia interposto la propria persona ed abbia fatto fronte al pagamento esclusivamente per non compromettere i rapporti con il sodalizio ma soprattutto che, dalle conversazioni intercettate, emerge in modo lampante l’interposizione fittizia.
E’ del resto la stessa Corte territoriale a sottolineare come l’operazione si ‘ridurrebbe’ a una fatturazione per operazioni ‘soggettivamente’ inesistente.
Sottolinea il ricorrente come ciò che rileva Ł che la relazione commerciale effettiva sia intercorsa fra il fornitore turco e la PS Plastica, ossia tra soggetti diversi rispetto agli intestatari delle fatture e ciò a prescindere dall’eventualità che il Ferrara possa avere
effettivamente sostenuto un costo.
NØ in tal caso può sostenersi una violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza per il passaggio da operazioni oggettivamente inesistenti a operazioni per fatture soggettivamente inesistenti.
Quanto al dolo specifico di evasione, ciò che rileva Ł la consapevolezza di aver trattato con una persona diversa dal rappresentante legale della ditta emittente la fattura, nØ, del resto, Ł necessario che l’oggetto del dolo specifico sia ‘esclusivo’, ben potendo essere accompagnato dal perseguimento di un profitto personale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł fondato.
Preliminarmente, il Collegio ribadisce che, se Ł vero che in caso di riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado, al giudizio di appello non si applica l’obbligo di redigere una «motivazione rafforzata», la Corte territoriale deve tuttavia svolgere una critica argomentata della sentenza – riformata in senso assolutorio – che abbia una rigorosa forza persuasiva, la cui mancanza si traduce in vizio di motivazione per contraddittorietà e illogicità» (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272430 – 01; Sez. 5, n. 7815 del 08/01/2025, N., Rv. 287634 – 01; Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, COGNOME, Rv. 281404 – 01).
Come correttamente evidenziato dal Procuratore generale, la sentenza gravata non ha fatto buon governo di tale principio.
Essa, infatti, si limita ad affermare le seguenti considerazioni (pag. 5-6): la sentenza di primo grado non ha indicato in quale dei quattro meccanismi fraudolenti sarebbe inquadrabile l’operazione in parola; per effetto di un reale passaggio di beni, cade la certezza che si sia concretizzato un mero passaggio cartolare, per cui l’illecito realizzerebbe solo una interposizione soggettiva; vi Ł prova che il Ferrara abbia provveduto al pagamento dell’unica fattura contestata.
Pertanto, da un lato «non può ritenersi che la RAGIONE_SOCIALE abbia emesso la fattura per consentire all’imputato all’evasione di obblighi tributari, ancorchØ la relazione commerciale effettiva fosse intercorsa con il fornitore RAGIONE_SOCIALE, dall’altro che il Ferrara abbia dedotto un costo inesistente perchØ l’esborso lo ha effettivamente sostenuto, ancorchØ per ovviare alle inadempimento di RAGIONE_SOCIALE».
Così rappresentata, «l’operazione, se non si cala in un contesto ampio di sistematica frode fiscale – e il primo giudice sicuramente non lo ha fatto perchØ si Ł limitato a trasferire in sentenza per decine di pagine al contenuto di conversazioni telefoniche che hanno contenuto e significato che imponeva analisi e indicazione da parte degli inquirenti per ciascuna di esse, in modo da comprendere nell’effettiva portata – non costituisce illecito tributario di rilevanza penale».
Tale ricostruzione appare per un verso manifestamente illogica, per altro verso inottemperante all’obbligo di critica ragionata del provvedimento riformato.
4.1. Sotto il primo aspetto, Ł la stessa sentenza che, a fronte di una contestazione genericamente indicata come fatturazione effettuata «per operazioni inesistenti», sottolinea che si tratterebbe in ogni caso di operazioni soggettivamente inesistenti (condotta che quindi integrerebbe la fattispecie contestata), e, ciononostante, conclude per l’insussistenza del fatto.
Sul punto, basti rammentare che, secondo il consolidato orientamento della Corte, «non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la decisione con cui l’imputato,
accusato di avere, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicato elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, sia stato condannato per l’utilizzo di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto il reato di dichiarazione fraudolenta, previsto dall’art. 2 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nel riferirsi all’uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo» (Sez. 3, n. 30874 del 02/03/2018, COGNOME, Rv. 273728 – 01; Sez. 3, n. 6935 del 23/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272814 – 01)
4.2. Per altro verso, la sentenza di prima cura sottolinea (pag. 18) che il ruolo del Ferrara all’interno della complessa operazione Ł consolidato nel tempo, come evidenziato dall’informativa del 20 Febbraio 2018 (che accede al fascicolo a seguito della scelta del rito contratto), da cui emerge senza ombra di dubbio la riconducibilità all’odierno imputato del soggetto che si fa chiamare ‘NOME‘, allo scopo evidente di sottrarsi alle indagini.
Ciò sarebbe reso evidente dall’utilizzo da parte del Ferrara dell’utenza telefonica mobile numero NUMERO_TELEFONO, intestava a tale COGNOME COGNOME, deceduta nel 2016, che altri non Ł che la madre di NOME, moglie dell’imputato.
Le conversazioni venivano prevalentemente intrattenute con tale NOME COGNOME
Conferma che il COGNOME e il NOME fossero la stessa persona si rinviene dalla conversazione in cui tale l’interlocutore chiede alla COGNOME di emette fattura nei suoi confronti, comunicando, però, i dati di «NOME COGNOME».
Successivamente, venivano intercettati i fax con cui avveniva lo scambio della fattura e della documentazione del relativo pagamento, mentre in successive conversazioni (v. pag. 24) il «NOME» fornisce precise istruzioni alla COGNOME sulle modalità di compilazione della documentazione, indicando quale cliente finale la ditta RAGIONE_SOCIALE di Li Lihui.
A pagina 73 viene poi riportato il contenuto di un conversazione (tra le molte altre riportate nella prima sentenza) in cui COGNOME si lamenta con il «NOME» perchØ non risultavano effettuati alcuni pagamenti dai «cinesi», che servivano poi per regolare i conti con ‘RAGIONE_SOCIALE‘ (ossia il fornitore turco), conversazione che conferma non solo l’inesistenza soggettiva dell’operazione (in cui si registra una evidente triangolazione), ma anche la piena consapevolezza, da parte del Ferrara, dell’illiceità dell’operazione, tanto che il medesimo si presterà a regolare l’importo della fattura in contestazione in prima persona.
Con tale messe probatoria la sentenza gravata non si confronta affatto, affermando, anzi, che il fatto non può essere considerato illecito «se non si cala in un contesto ampio di sistematica frode fiscale», ciò che la Corte territoriale ben avrebbe potuto fare in virtø della possibilità di emendare la sentenza di prima cura.
Ritiene inoltre il Collegio che la sentenza impugnata non abbia fatto buon uso dei principi relativi alla valutazione della prova indiziaria.
Ed infatti la Corte ha, anche di recente (Sez. 3, n. 862 del 12/12/2023, dep. 2024, Filipec, n.m.; Sez. 3, n. 19499 del 19/04/2023, Ceci, n.m.), sottolineato come la «prova logica» richieda la valutazione da parte del giudice di una serie di elementi di fatto, che sarà il frutto di una sintesi, quanto meno possibile «intuitiva», degli indici stessi, in esito a un processo di tipo induttivo, che si traduce in un sistema di inferenza probabilistica della verità processuale. Tale processo logico Ł sintetizzato dall’articolo 192, comma 2, c.p.p., laddove si stabilisce che «l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti».
Pertanto, il metodo induttivo richiede la lettura dapprima unitaria di ogni singolo elemento di prova, e quindi e quindi una valutazione complessiva dell’intero compendio
probatorio «in una prospettiva globale e unitaria, tendente a porne in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo» (Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321 – 01; Sez. 2, n. 42482 del 19/09/2013, COGNOME, Rv. 256967 – 01), «per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” e, cioŁ, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana» (Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, COGNOME, Rv. 266941 – 01).
Nel caso di specie, il primo giudice aveva fatto buon governo delle regole anzidette, inferendo la prova della destinazione del prodotto all’autotrazione da una serie di indizi, costituiti dal contenuto delle conversazioni captate, dall’interrogatorio degli imputati, dai fax intercettati, dai documenti acquisiti, dapprima valutati singolarmente e quindi posti in correlazione logica con lo schema illecito ricostruito nell’ incipit della sentenza.
Al contrario, il percorso logico seguito dalla sentenza impugnata, che «isola» la singola operazione commerciale dal contesto di riferimento, che vede l’inizio dell’operazione partire dalla società turca, l’interposizione del Ferrara e l’epilogo presso la società di Prato, si risolve in una irragionevole restrizione del focus dell’accertamento a una atomistica ponderazione delle fonti di prova, in contrasto con le regole della valutazione della c.d. «prova logica», dianzi evidenziate.
Quanto all’elemento psicologico del reato, poi, coglie nel segno il ricorrente laddove evidenzia che, secondo l’insegnamento di questa Corte, ciò che rileva Ł la consapevolezza di avere trattato con persona diversa dal rappresentante della ditta emittente la fattura (Sez. 3, n. 50362 del 29/10/2019, Pollice, Rv. 277938 – 01: «in tema di reati tributari, il dolo del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 2 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, consiste nella consapevolezza, di colui che utilizza il documento in una dichiarazione, che chi ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall’emittente, conseguendo, in tal modo, un indebito vantaggio fiscale in quanto l’IVA versata dall’utilizzatore della fattura non Ł stata pagata dall’esecutore della prestazione medesima»).
Il Collegio evidenzia peraltro come la prima sentenza, laddove sottolinea che la scelta del Ferrara di pagare egli l’importo della fattura fosse dettata dalla volontà di non incrinare i rapporti con il sodalizio, risulta conforme agli insegnamenti di questa Corte, secondo cui il dolo specifico costituito dal fine di evadere le imposte, che concorre ad integrare il reato di cui all’art. 2 del d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, sussiste anche quando ad esso si affianchi una distinta ed autonoma finalità extraevasiva non perseguita dall’agente in via esclusiva, e il relativo accertamento, riservato al giudice di merito, se adeguatamente e logicamente motivato Ł incensurabile in sede di legittimità (Sez. 3, n. 27112 del 19/02/2015, Forlani, Rv. 264390 – 01).
7. La sentenza impugnata va pertanto annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della corte di appello di Venezia.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.
Così Ł deciso, 17/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME