Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13564 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13564 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Torre del Greco il 18/08/1989
avverso la sentenza del 04/06/2024 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha conclubo chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udito per l’imputato l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Firenze ha confermato sentenza del Tribunale di Firenze con la quale NOME COGNOME era stato condanna alla pena sospesa di anni uno e mesi nove di reclusione, in relazione al re cui all’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, per avere, quale titolare de Accademia COGNOME di COGNOME NOME COGNOME, al fine di evadere l’Iva per l’anno di impost 2015, indicato nella dichiarazione fiscale elementi passivi fittizi, per un ammo di C 48.556,00 con Iva indebitamente detratta pari a C 10.682,00, avvalendosi due fatture per operazioni inesistenti emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE soci
evasore totale negli anni 2011-2016, priva di struttura organizzativa p realizzazione commercializzazione di quanto fatturato.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difens di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi enunc nei limiti necessari per la motivazione come disposto dall’art. 173 dis cod.proc.pen.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 606, co 1, lett. b) e c) cod.proc.pen. in relazione all’affermazione della respon penale per il reato di cui all’art. 2 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 in relaz sussistenza del dolo specifico e vizio di motivazione.
La Corte d’appello, dopo aver ammesso che le fatture erano state emesse pe operazioni oggettivamente esistenti, avrebbe ritenuto in capo all’imputa consapevolezza che colui che ha provveduto alla fatturazione del corrispet versato dall’imputato non aveva poi versato l’iva corrisposta dall’utilizzat altri termini, fermo il principio dell’indetraibilità dell’imposta sul valore derivante dalla documentazione fiscale non corrispondente alla realtà economi anche quando relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, la c
territoriale avrebbe ritenuto il dolo in capo al soggetto utilizzatore dell documentazione fiscale desumendolo dalla circostanza che l’iva evasa dal soggetto interposto non sarebbe stata pagata e dall’essere l’emittente una società cartiera. La sentenza impugnata avrebbe ritenuto dimostrato il dolo del reato, ovvero la consapevolezza da parte del ricorrente in ordine alla diversità soggettiva da chi ha provveduto formalmente alla fatturazione del corrispettivo dal fatto che l’imputato non aveva mai prodotto agli organi accertatori o nel corso del giudizio atti a dimostrare di aver trattato con la RAGIONE_SOCIALE
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. in relazione agli artt. 37 cod.pen. e 133 cod.proc.pen. applicazione delle pene accessorie senza valutazione dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen.
2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche pur in presenza di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena ex art. 163 cod.pen. e della non menzione ex art. 179 cod.pen.
In udienza, il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Questa Corte di legittimità, in caso analogo, ha affermato che non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la decisione con cui l’imputato, accusato di avere, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicato elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, sia stato condannato per l’utilizzo di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, in quanto il reato di dichiarazione fraudolenta, previsto dall’art. 2 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nel riferirsi all’uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, no distingue tra quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo (Sez. 3, n. 30874 del 02/03/2018, COGNOME, Rv. 273728 – 01).
Ma, quanto al caso concreto, rileva, il Collegio, che la censura risulta manifestamente infondata anche in fatto in quanto la contestazione mossa nel capo di imputazione indica entrambe le fattispecie di utilizzazione di fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, come si evince dalla lettura del capo di imputazione laddove descrive il fatto di avere utilizzato le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, società risultata evasore totale negli anni 2011-2016,
priva di struttura imprenditoriale. Nella descrizione del fatto vi sono tutti g elementi caratterizzanti il profilo dell’inesistenza soggettiva della utilizzazione d fatture per operazioni soggettivamente inesistenti su cui il ricorrente era in grado di svolgere il diritto di difesa.
Il secondo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.
La corte territoriale con motivazione congrua e immune da censure di illogicità e/o contraddittorietà, ha argomentato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero la consapevolezza, in chi utilizza il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall’emittente conseguendo in tal modo un indebito vantaggio fiscale in quanto l’iva versata dall’utilizzatore della fattura non è stata pagata dall’esecutore della prestazione medesima e ciò in quanto l’imputato non ha mai prodottogli organi accertatori, nel corso del giudizio, documentazione extracontabile atta a dimostrare di aver trattato con la RAGIONE_SOCIALE, non ha prodotto gli acquisti di cui alle fatture utilizzate in dichiarazione, né alcuna documentazione da cui risultavano rapporti diretti con l’apparente fornitore cioè la COGNOME stessa, soggetto cartiera in quanto priva di struttura organizzativa e risultata evasore totale negli anni di riferimento (Sez. 3, n. 50362 del 29/10/2019, Pollice, Rv. 277938 – 01), accertamento del dolo, riservato al giudice di merito, che in quanto adeguatamente e logicamente motivato è incensurabile in sede di legittimità (Sez. 3, n. 27112 del 19/02/2015, COGNOME, Rv. 264390 – 01).
Il terzo motivo di ricorso che deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’applicazione delle pene accessorie di cui all’art. 37 cod.pen. è inammissibile per una duplice ragione.
In primo luogo, dal non contestato riepilogo dei motivi di impugnazione non risulta devoluta in appello la censura di violazione di legge in relazione all’art. 133 cod.pen., né sotto altro aspetto sussiste un profilo di pena illegale, che sarebbe rilevabile d’ufficio, e ciò in quanto il giudice di primo grado, a pag. 10, ha espresso un giudizio di “congruità” della durata delle pene accessorie nella misura di quella della pena principale (fatti salvi i minimi di legge), sicchè il giudizio di congruit espresso, tenuto conto della individuazione della durata nel medio edittale della pena principale, risulta rispettoso del principio secondo cui la durata delle pene accessorie per le quali è previsto un limite minimo e massimo, deve essere determinata in concreto, con adeguata motivazione, sulla base dei criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 41061 del 20/06/2019, Paternò, Rv. 277972 01).
Infine, manifestamente infondato è anche il quarto motivo di ricorso con cui si censura il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche fondato, dai giudici del merito, stante l’assenza di elementi positivi di valutazione,
in presenza di comportamento processuale neutro, in un contesto di gravità del fatto e di assenza di condotte riparative successive.
Il diniego risulta congruamente argomentato in ragione dell’assenza di elementi positivi di valutazione e in ragione dell’assenza di condotte riparative successive al reato che ai sensi dell’art. 133, comma secondo, nn. 1) e 3), cod. pen., il giudice, in relazione alla concessione o al diniego delle circostanze attenuanti generiche, deve tenere conto, in quanto condotte rivelatrice della sua personalità e, quindi, della sua capacità a delinquere (Sez. 3, n. 27964 del 19/03/2019, Rv. 276354 – 01; Sez. 6, Sentenza n. 17240 del 1989 Rv. 182794 01), ratio decidendi non specificatamente contestata dal ricorrente, sicchè il ricorso è anche generico.
8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 18/02/2025