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Dichiarazione fraudolenta: la guida alla sentenza

La Corte di Cassazione conferma la condanna per dichiarazione fraudolenta a carico di un imprenditore che aveva utilizzato fatture emesse da una società cartiera. La sentenza chiarisce che il reato sussiste indipendentemente dal fatto che le operazioni siano oggettivamente o soggettivamente inesistenti e spiega come la consapevolezza dell’imprenditore (dolo) possa essere desunta da elementi come la natura di società cartiera del fornitore.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione fraudolenta: quando l’uso di fatture false è reato

L’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti è uno dei meccanismi più comuni di frode fiscale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sul reato di dichiarazione fraudolenta, confermando la condanna di un imprenditore e delineando i confini tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti. Analizziamo insieme questo caso per capire come la giurisprudenza interpreta la norma e quali sono gli elementi che provano la colpevolezza.

I fatti di causa

Il caso riguarda il titolare di un’impresa individuale condannato in primo grado e in appello per il reato di dichiarazione fraudolenta, previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000. L’imprenditore aveva inserito nella sua dichiarazione fiscale relativa al 2015 elementi passivi fittizi per quasi 50.000 euro, con un’IVA indebitamente detratta superiore a 10.000 euro.

La frode era stata realizzata utilizzando due fatture emesse da una società risultata essere una ‘società cartiera’, ovvero un’entità priva di una reale struttura organizzativa e operativa, creata al solo scopo di emettere documenti falsi e risultata evasore totale per diversi anni. L’imprenditore ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando la correttezza della condanna sotto diversi profili.

I motivi del ricorso: una difesa a tutto campo

La difesa dell’imputato si è articolata su quattro punti principali:

1. Violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza: L’imputato sosteneva di essere stato accusato per l’uso di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti (cioè mai avvenute), mentre era stato condannato per operazioni soggettivamente inesistenti (cioè avvenute, ma con un soggetto diverso da quello indicato in fattura). Questo cambiamento, a suo dire, avrebbe leso il suo diritto di difesa.
2. Insussistenza del dolo specifico: Secondo la difesa, mancava la prova della consapevolezza e volontà di evadere le imposte. La Corte d’Appello avrebbe erroneamente desunto il dolo dalla semplice circostanza che la società emittente fosse una cartiera.
3. Errata applicazione delle pene accessorie: Si contestava una presunta applicazione automatica delle pene accessorie, senza un’adeguata valutazione basata sui criteri di legge.
4. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: La difesa lamentava il diniego delle attenuanti nonostante la concessione della sospensione condizionale della pena.

La decisione della Corte di Cassazione e le motivazioni

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure sollevate. Vediamo nel dettaglio le motivazioni che sorreggono questa importante decisione in materia di dichiarazione fraudolenta.

Inesistenza oggettiva o soggettiva: nessuna differenza per la dichiarazione fraudolenta

Sul primo punto, la Corte ha stabilito che il motivo era manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: ai fini del reato di dichiarazione fraudolenta, la legge non opera alcuna distinzione tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti. In entrambi i casi, si tratta di ‘operazioni inesistenti’ che integrano il reato. Inoltre, nel caso specifico, il capo d’imputazione descriveva già circostanze (come la natura di evasore totale della società emittente) che permettevano all’imputato di comprendere pienamente l’accusa e di difendersi anche dall’ipotesi di inesistenza soggettiva.

La prova del dolo: come si dimostra la consapevolezza

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha ritenuto logica e corretta la motivazione della Corte d’Appello sulla sussistenza dell’elemento soggettivo. Il dolo specifico di evasione è stato correttamente desunto da una serie di elementi convergenti:

* La società emittente era una ‘cartiera’, priva di struttura imprenditoriale.
* L’imputato non ha mai fornito alcuna prova, neanche documentazione extracontabile, di aver avuto reali rapporti commerciali con tale società.

In sostanza, chi utilizza una fattura deve essere in grado di dimostrare la veridicità dell’operazione e del fornitore. L’assenza totale di prove, unita alla natura fittizia dell’emittente, costituisce un quadro indiziario sufficiente a dimostrare la piena consapevolezza di partecipare a una frode fiscale.

Le motivazioni sulle pene e le attenuanti

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo sulle pene accessorie, in quanto non sollevato nel precedente grado di giudizio, e ha giudicato infondato quello sulle attenuanti generiche. Il diniego delle attenuanti è stato ritenuto ben motivato dalla gravità del fatto, dal comportamento processuale neutro dell’imputato e dall’assenza di qualsiasi condotta riparatoria successiva al reato.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce alcuni principi cardine nella lotta alle frodi fiscali. In primo luogo, per il reato di dichiarazione fraudolenta, è irrilevante che la falsità della fattura riguardi l’oggetto della prestazione o l’identità dei soggetti coinvolti. In secondo luogo, la consapevolezza di commettere il reato può essere provata attraverso elementi logici e presunzioni, come l’impossibilità per l’imprenditore di fornire alcuna prova dei rapporti commerciali con una società palesemente fittizia. Un monito importante per tutti gli operatori economici sulla necessità di verificare sempre l’affidabilità e la reale esistenza dei propri partner commerciali.

Integra il reato di dichiarazione fraudolenta l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il reato di dichiarazione fraudolenta, previsto dall’art. 2 del d.lgs. 74/2000, non distingue tra operazioni oggettivamente inesistenti (mai avvenute) e soggettivamente inesistenti (avvenute tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura). Entrambe le condotte integrano il reato.

Come viene provato il dolo specifico di evasione nel reato di dichiarazione fraudolenta?
Il dolo specifico può essere provato attraverso elementi indiziari. Nel caso esaminato, la consapevolezza dell’imprenditore è stata desunta dalla circostanza che la società emittente era una ‘società cartiera’ (priva di struttura e evasore totale) e dal fatto che l’imputato non ha fornito alcuna documentazione, neanche extracontabile, per dimostrare l’esistenza di un reale rapporto commerciale.

La modifica dell’accusa da inesistenza ‘oggettiva’ a ‘soggettiva’ nel corso del processo lede il diritto di difesa?
Non necessariamente. Secondo la Corte, non vi è lesione del diritto di difesa se il capo di imputazione, pur menzionando l’inesistenza oggettiva, contiene già tutti gli elementi di fatto (es. la natura di società cartiera dell’emittente) che caratterizzano l’inesistenza soggettiva, mettendo così l’imputato in condizione di difendersi pienamente da ogni aspetto della contestazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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