Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7715 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7715 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Palermo il 05/12/1946 COGNOME NOMECOGNOME nato a Firenze il 28/03/1940 COGNOME NOME, nato a Firenze il 24/01/1969 COGNOME NOME, nato a Napoli il 11/08/1957 COGNOME NOME, nato a Venaria Reale il 29/05/1970 COGNOME Massimo, nato a Vanaria Reale il 26/10/1968 NOME COGNOME nato in Cina il 11/02/1970 COGNOME NOME, nato a Calcinate il 05/07/1968 COGNOME NOME, nato a Monza il 25/04/1969 COGNOME NOME nato a Ciserano il 13/07/1965 NOME COGNOME nato in Cina il 16/04/1981 COGNOME NOMECOGNOME nato a Concesio il 03/04/1965 COGNOME NOME nato a Alniè il 28/02/1952 COGNOME NOME nato a Bergamo il 17/05/1978 COGNOME NOME nato a Sale Marasino il 23/09/1960 COGNOME NOME nato a Torino il 19/07/1938
NOME nato a Torino il 25/11/1973
avverso la sentenza del 22/12/2022 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo: l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Salvatore perché il reato è estinto per morte del ricorrente; l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME Corrado perché il reato è prescritto limitatamente all’anno 2010, con rinvio alla Corte di appello di Milano per la rideterminazione della pena, il rigetto nel resto; il rigetto dei ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME; l’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME;
uditi i difensori: avv. NOME COGNOME del foro di Bergamo per COGNOME NOME e COGNOME NOME, avv. NOME COGNOME del foro di Firenze, anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME del foro di Firenze per COGNOME NOME e COGNOME NOME, avv. NOME COGNOME del foro di Roma, anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME del foro di Roma, per NOME COGNOME, avv. NOME COGNOME del foro di Brescia, anche in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME del foro di Milano, per COGNOME NOME, avv. NOME Felice del foro di Milano per NOME COGNOME avv. NOME COGNOME del foro di Milano, anche in sostituzione dell’ avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME avv. NOME COGNOME del foro di Milano per NOME COGNOME avv. NOME Alessandro del foro di Torino per COGNOME NOME e COGNOME NOME, avv. NOME COGNOME del foro di Roma, in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME del foro di Lamezia Terme, per NOME COGNOME avv. NOME COGNOME del foro di Milano per Chen COGNOME, i quali insistono per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Milano e appellata dagli imputati, la Corte di appello di Milano, pe quanto qui di interesse, dichiarava non doversi procedere nei confronti di:
NOME COGNOME in ordine al reato ascrittogli al capo 3), con riferimento all’anno di imposta 2010, poiché estinto per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, rideterminava la pena inflitta in anni tre di reclusione, riduce a 2.162.520,55 euro l’importo della confisca per equivalente, con restituzione all’avente diritto di quanto ancora in sequestro in misura eccedente l’importo confiscato;
NOME COGNOME in ordine al reato ascrittogli al capo B), con riferimento all’anno di imposta 2010, poiché estinto per intervenuta prescrizione e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, rideterminava la pena inflitta in anni uno e mesi otto di reclusione, concedendo al medesimo i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione e riducendo a 1.106.035 euro l’importo della confisca per equivalente, con restituzione all’avente diritto di quanto ancora in sequestro in misura eccedente l’importo confiscato;
NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al reato loro ascritto al capo L), con riferimento all’anno di imposta 2010, poiché estinto per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, rideterminava la pena inflitta in anni due e mesi s di reclusione ciascuno, riducendo a 1.058.336,89 euro l’importo della confisca per equivalente, con restituzione all’avente diritto di quanto ancora in sequestro in misura eccedente l’importo confiscato;
NOME COGNOME in ordine al reato ascrittogli al capo G), con riferimento all’ann di imposta 2010, poiché estinto per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, rideterminava la pena inflitta in anni due di reclusione, riducendo a 309.781,24 euro l’importo della confisca per equivalente, con restituzione all’avente diritto quanto ancora in sequestro in misura eccedente l’importo confiscato;
NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al reato loro ascritto al capo M), con riferimento all’anno di imposta 2010, poiché estinto per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, rideterminava la pena inflitta in anni uno e mesi s di reclusione ciascuno, concedendo ad entrambi il beneficio della non menzione della condanna;
NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al reato loro ascritto al capo H), con riferimento all’anno di imposta 2010, poiché estinto per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, rideterminava la pena inflitta in anni due e mesi s di reclusione ciascuno;
NOME COGNOME in ordine al reato ascrittogli al capo N), con riferimento all’anno di imposta 2010, poiché estinto per intervenuta prescrizione e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, rideterminava la pena inflitta in anni due e mesi due di reclusione, revocando il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. del Tribunale di Milano in data 14 ottobre 2016 nonché la confisca per equivalente disposta nei confronti del predetto con restituzione all’avente diritto di quanto in sequestro;
NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al reato loro ascritto al capo C), con riferimento all’anno di imposta 2010, poiché estinto per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, rideterminava la pena inflitta in anni tre di reclusione ciascuno riducendo a 242.615,98 euro l’importo della confisca per equivalente, con restituzione all’avente diritto di quanto ancora in sequestro in misura eccedente l’importo confiscato;
NOME COGNOME in ordine al reato ascrittogli al capo I), con riferimento all’anno di imposta 2010, poiché estinto per intervenuta prescrizione e, riconosciuta la continuazione tra i reati qui in esame e quelli già giudicati con la sentenza n. 2131/2015 emessa dalla Corte di Appello di Brescia il 29 giugno 2015 (irrevocabile il 15 marzo 2017), rideterminava la pena complessiva in anni due e mesi quattro di reclusione, applicando un aumento di mesi sei di reclusione sulla pena già comminata con la sentenza sopra indicata, revocando il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. del Tribunale di Milano in data 14 ottobre 2016 nonché la confisca per equivalente disposta nei confronti del predetto con restituzione all’avente diritto di quanto in sequestro;
NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al reato loro ascritto al capo B) del procedimento riunito n. 27317/2018 RG GIP poiché estinto per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, rideterminava la pena inflitta in anni due e mesi sei di reclusione per NOME COGNOME e in anni tre di reclusione per NOME COGNOME, riducendo a 1.094.991,43 euro l’importo della confisca per equivalente, con restituzione all’avente diritto di quanto ancora in sequestro in misura eccedente l’importo confiscato.
Nel resto, la Corte di merito confermava la sentenza impugnata, la quale aveva affermato la penale responsabilità degli imputati in relazione a plurime violazioni dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, dichiarando, inoltre, non doversi procedere in relazione sia, con riferimento al delitto fiscale, alle annualità di imposta antecedenti al 2010, sia al delitto associativo ex art. 416 cod. pen. essendo i reati estinti per prescrizione.
Avverso l’indicata sentenza, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME tramite il ministero dei rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000. Lamenta il difensore che nella sentenza impugnata non vi è alcuna considerazione in ordine all’effettivo utilizzo delle presunte fatture false nella dichiarazione al fine di evase le imposte, così come la circostanza che gli incontri tra l’imputato e il COGNOME fossero finalizzati alla restituzione dell’import eccedente la percentuale concordate per l’emissione delle fatture è una mera presunzione della Corte di merito.
Il ricorso proposto congiuntamente da NOME COGNOME e NOME COGNOME con i medesimi difensori di fiducia è affidato ad otto motivi.
4.1. Con un primo motivo si deduce la nullità del decreto dispositivo del giudizio e degli atti conseguenti per insufficiente enunciazione in forma chiara e precisa del fatto. Rappresentano i difensori che il delitto di cui all’art. 2 d.lgs. 74 del 2000 contestato al capo L) violerebbe il disposto dell’art. 429, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in quanto non specifica non solo se l’asserita inesistenza delle operazioni sia di tipo oggettivo o soggettivo, ma nemmeno le singole fatture cui tali operazioni si riferiscono, ciò che ha negativamente inciso sul diritto di prova, anche considerando che, nel caso in esame, la società aveva effettuato plurime forniture di metalli, sicché dette fatture non erano facilmente identificabili.
4.2. Con un secondo motivo si eccepisce il vizio di motivazione e il travisamento della prova con riferimento all’interrogatorio reso da NOME COGNOME il quale, ad avviso dei difensori, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di merito, non ha affatto confermato che le fatture emesse dalla L.V. RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE fossero false, ma ha riferito, invece, che le forniture di ottone erano effettive, ancorché la società operasse nella maggior parte dei casi come “cartiera”, come emerge da brani di tale interrogatorio riportati nel ricorso (a p. 6 e a p. 7).
4.3. Con un terzo motivo si lamenta il vizio di motivazione e il travisamento della prova con riferimento alla deposizione del m.11o NOME COGNOME il quale, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, ha categoricamente escluso che vi siano state restituzioni di denaro a favore dei due imputati, come emerge da un brano della testimonianza riportato nel ricorso (alle p. 9 e 10).
4.4. Con un quarto motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 con riferimento all’elemento oggettivo del reato. La sentenza impugnata, ad avviso dei difensori, avrebbe erroneamente considerato che l’uso di fatture false integri invariabilmente il delitto in esame, laddove, invece, l consumazione del reato esige che tale uso comporti la successiva indicazione di “elementi passivi fittizi” nella dichiarazione annuale.
4.5. Con un quinto motivo si deduce la mancanza di motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, erroneamente desunto dalla Corte di merito dalla consapevolezza del programma criminoso degli esponenti del gruppo RAGIONE_SOCIALE, il che non comporta affatto che gli imputati abbiano agito “al fine di evadere le imposte sui redditi”, anche considerando che l’evasione dell’i.v.a. non è contemplata nel capo di imputazione e che, quanto all’I.r.e.s., la merce di cui alle fatture in contestazione è stata effettivamente consegnata e pagata.
4.6. Con un sesto motivo si censura la mancanza di motivazione con riferimento del principio delroltre ogni ragionevole dubbio”, non essendo stata raggiunta la prova della falsità oggettiva delle fatture in contestazione, posto che non si è appurato se i corrispettivi pagati dalla RAGIONE_SOCIALE siano stati poi restituiti a detta società.
4.7. Con un settimo motivo si eccepisce il vizio di motivazione in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non avendo la Corte di merito considerato la minima intensità del dolo, né la circostanza che nessun comportamento poteva essere attuato dagli imputati, operando la società in regime di reverse charge.
4.8. Con un ottavo motivo si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto l’ammontare della confisca, corrispondente all’importo dell’I.r.e.s. asseritamente evasa, è stato determinato senza tener conto dei costi, relativi alle fatture in contestazione, realmente sostenuti; in ogni caso, l’ammontare della somma confiscata dovrebbe essere, al più, corrispondente all’importo dell’I.r.e.s. evasa sulla c.d. “provvigione” corrisposta all’emittente le fatture in questione.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è affidato a sei motivi.
5.1. Con un primo motivo si deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 in ordine alla ritenuta sussistenza oggettiva del reato e il vizio di motivazione con riferimento alle restituzioni di denaro contante. Espongono i difensori che, nonostante l’assenza di prova di tali restituzioni, la Corte di merito ha comunque ritenuto che le retrocessioni vi sarebbero state valorizzando le dichiarazioni rese dai soggetti del Gruppo Vivacqua, gli appunti
manoscritti e i prelievi di denaro contanti effettuati dai conti della società di ta gruppo, il giudicato di condanna in capo ai soggetti riferibili al RAGIONE_SOCIALE e alla confessione dell’imputato COGNOME, elementi che, per contro, avrebbero dovuto condurre a un esito diametralmente opposto in quanto: 1) i testi del RAGIONE_SOCIALE hanno affermato che vi fossero sia operazioni inesistenti, sia operazioni reali e perfettamente lecite, come dichiarato da COGNOME e COGNOME; 2) vi erano due tipologie di appunti, l’una riguardante calcoli a percentuale, l’altra come nel caso della RAGIONE_SOCIALE – indicante un valore economico legato alle tonnellate di merce effettivamente consegnata, che si riferisce a cessioni reali di materiale; del resto, non si comprende come mai i RAGIONE_SOCIALE avrebbero potuto conoscere i nominativi dei fornitori se, come ritenuto in sentenza, il materiale “in nero” fosse stato trattato direttamente dalle società clienti; 3) la sentenza di condanna ha una valenza neutra perché si è accertato che il Gruppo RAGIONE_SOCIALE si servisse tanto di “cartiere”, quanto di società operative, con le quali operavano con le società clienti, come la RAGIONE_SOCIALE, che hanno effettivamente acquistato e regolarmente pagato il materiale, e a cui si riferiscono gli appunti”euro/tonnellata”; 4) anche il coimputato COGNOME ha distinto nettamente le cessioni reali da quelle inesistenti.
5.2. Con un secondo motivo si eccepisce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 in ordine alla ritenuta sussistenza oggettiva del reato e il vizio di motivazione con riferimento alla regolarità contabile delle cessioni di merce. La motivazione sarebbe illogica laddove, pur dando atto della regolarità della documentazione e della correttezza dei prezzi, ha ritenuto che tali elementi siano stati lo strumento per la creazione di una artificiosa rappresentazione della realtà, posto che la merce è stata effettivamente consegnata e pagata, come peraltro risulta dalle prove documentali e testimoniai indicate nell’appello. Aggiungono i difensori che nella conversazione tra l’imputato e NOME COGNOME si discute unicamente del prezzo di vendita, che viene fissato; infatti, vi erano stata una contestazione del materiale, in relazione alle quale erano state emesse note di credito da parte di RAGIONE_SOCIALE con la restituzione della merce e il prezzo di cessione era in linea con quello di altri acquisti.
5.3. Con un terzo motivo si lamenta l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e relativo vizio di motivazione. Premesso che la Corte di appello non ha esaminato la questione relativa alla sussistenza del dolo, l’unico accenno in proposito si rinviene nella sentenza di primo grado, laddove valorizza gli esiti dell’attività di captazione, da cui però, ad avviso dei difensori, emerge unicamente l’esigenza del Continanza di compilare il foglio d’ordine al fine di
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attivare la procedura interna di acquisto, come spiegato dai testi COGNOME e COGNOME. In ogni caso, il prezzo della merce era in linea con quello praticato da altri fornitori della società, a conferma dell’insussistenza del dolo di evasione.
5.4. Con un quarto motivo si eccepisce il vizio di motivazione in ordine al mancato proscioglimento dal delitto associativo. Rappresentano i difensori che la motivazione della sentenza di primo grado – che ha dichiarato la prescrizione del reato – non è sufficiente a sorreggere la motivazione in ordine alla sussistenza della contestata associazione, in quanto poggia su dati clamorosamente travisati, perché non aderenti ai fatti, considerando: che il rapporto di fornitura è limitato al periodo luglio 2011-aprile 2012; che l’associazione descritta nelle sentenze di condanna era finalizzata al riciclaggio e al reimpiego delle somme di denaro della delle società del Gruppo RAGIONE_SOCIALE, che nulla hanno a che vedere con le imputazioni elevate a carico dei referenti delle società clienti; che il RAGIONE_SOCIALE ha interloquito con il solo NOME COGNOME che vi era stata la contestazione di materiale non conforme.
5.5. Con un quinto motivo si censura l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 62-bis, 133, 163 ss. cod. pen. e relativo vizio di motivazione. Sostengono i difensori che la Corte territoriale non si sarebbe confrontata con le censure dedotte con l’atto di appello, non avendo detto nulla in ordine all’eccessività della pena inflitta e alla minima riduzione per le attenuanti generiche, anche considerando che il rapporto di fornitura è durato pochi mesi; in ogni caso, tenendo conto del termine di sospensione di sette mesi e dieci giorni, come calcolato dalla Corte di merito risulterebbe prescritta al 3 maggio 2023 la contestazione fiscale relativa all’annualità 2011.
5.6. Con un sesto motivo si deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 e relativo vizio motivazionale. Evidenziano i difensori che la Corte di merito non ha dato risposta alle censure dedotte con l’appello con riferimento al calcolo della somma oggetto di confisca, che avrebbe dovuto essere determinata unicamente sul cd. “aggio” e non sull’intero ammontare del flusso di fatturazione, risultato pacificamente esistente; in ogni caso, stante la prescrizione del reato relativo all’annualità 2011, si dovrebbe scomputare l’importo di 313.058,85 euro.
Il ricorso proposto, con un medesimo atto, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME tramite il comune difensore di fiducia, è affidato a sei motivi.
6.1. Con un primo motivo si lamenta l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 16 cod. proc. pen. e relativo vizio di motivazione. Espone il difensore, che, pur aderendo all’impostazione seguita dai giudici di merito in ordine alla vis actractiva del delitto associativo, nondimeno il luogo in cui si sarebbe
manifestato per la prima volta il sodalizio sarebbe da individuarsi in Lissone – che ricade sotto la competenza dell’A.g. di Monza – essendo il luogo dove ha iniziato ad operare la RAGIONE_SOCIALE, definita dai giudici di merito l’antesignana delle società cartiere riferibili al gruppo RAGIONE_SOCIALE anche considerando che il procedimento penale ha preso avvio dall’attività di verifica fiscale presso la RAGIONE_SOCIALE
6.2. Con un secondo motivo si eccepisce il vizio di motivazione in ragione del travisamento delle prove, per omessa valutazione dei documenti prodotti all’udienza del 19 dicembre 2019 e nuovamente depositati all’udienza del 20 ottobre 2022, e dell’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. Rappresenta il difensore che le produzioni dinanzi indicate sono costituite da 132 fatture emessa nei confronti di RAGIONE_SOCIALE da RAGIONE_SOCIALE (61 fatture) e da RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE (71 fatture), dai relativi d.d.t. vidimati dalle acciaierie di destinazione ovvero dai formulari dalle fornitrici e dai report cronotachigrafi attestanti i trasporti: documenti che dimostrano l’esistenza del materiale, anche considerando che l’attività prevalente di RAGIONE_SOCIALE era quella di intermediazione e commercio, senza passaggio fisico della merce dai propri magazzini. A tal proposito, la Corte di appello non si è misurata con le indicate allegazioni difensive, sicché la motivazione sarebbe radicalmente mancante.
Il difensore, inoltre, deduce l’erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. in relazione alla valutazione degli elementi di prova addotti a sostegno della ritenuta inesistenza delle 132 fatture emessa da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE Nel riprendere le argomentazioni dinanzi esposte, il difensore censura la motivazione nella parte in cui, a seguito degli accertamenti svolti solamente su cinque fatture – ossia quelle ricollegabili ai prelievi di denaro contante da parte di personale del Gruppo Vivacqua – ha ravvisato l’inesistenza di tutte le fatture in contestazione, comprese quelle del 2012, in relazione alle quali non vi è traccia di alcun prelievo. Invero, sulle altre fatture non è stato effettuato alcun accertamento, come affermato dallo stesso consulente del p.m. e, in ogni caso, i giudici di merito non si sono misurati con le indicate produzioni difensive, da cui emerge l’effettività delle operazioni. In altri termini, in relazione alle fatture ulter quelle cinque, i giudici di merito hanno erroneamente utilizzato criteri di natura presuntiva, tipici del procedimento tributario, che sono privi di rilievo probatorio in sede penale, anche considerando che non è stato trovato alcun appunto manoscritto sulle fatture in esame e che, quanto a quelle emesse nel 2012, non è stato possibile effettuare alcun accertamento bancario.
6.3. Con un terzo motivo si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 e relativo di vizio di motivazione in relazione alla ritenuta rilevanza penale delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti ove
esse ricadano, quanto all’I.v.a., nell’applicazione del regime del reverse charge. Dopo aver ribadito la esistenza delle operazioni indicate nelle fatture, rappresenta il difensore che, in ogni caso, si sarebbe in presenza di fatture soggettivamente inesistenti, le quali, avendo ad oggetto rottami, sono indifferenti rispetto all’i.v.a. in quanto soggette al regime del reverse charge ai sensi dell’art. 74,commi 7 e 8, d.P.R. n. 633 del 1973, come del resto affermato dalla giurisprudenza di legittimità puntualmente indicata (da ultimo, Sez. III, n. 16768 del 2019). Aggiunge il difensore, che, alla luce della documentazione in atti, i costi sono stati legittimamente dedotti nelle dichiarazioni annuali, ai sens dell’art. 8, comma 1, d.l. n. 16 del 2021, come interpretato anche dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 32/E del 3 agosto 2012; ciò si riflette, quantomeno, sulla determinazione dell’ammontare della confisca, in quanto i costi sostenuti da RAGIONE_SOCIALE a fronte dell’acquisto del materiale, sono effettivi e quindi pienamente deducibili; in subordine, si chiede l’annullamento della statuizione relativa alla confisca per equivalente del profitto del reato disposta nei confronti degli imputati in esame.
6.4. Con un quarto motivo si deduce il vizio di motivazione con riguardo all’attribuzione a NOME COGNOME della veste di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE e, in ogni caso, alla sussistenza del dolo del delitto di cui all’ar d.lgs. n. 74 del 2000. Espone il difensore che vi sarebbe una contraddizione interna della motivazione laddove ha confermato la responsabilità di NOME COGNOME, nonostante la sua posizione risulti sovrapponibile, anche dal punto di vista probatorio, a quella di NOME COGNOME e di NOME COGNOME che, invece, sono stati assolti dal delitto tributario. La Corte di merito, pe contro, ha erroneamente valorizzato il contenuto di talune conversazioni telefoniche con COGNOME, in cui, peraltro, non si dà conto della spendita di un potere di rappresentanza della RAGIONE_SOCIALE da parte di NOME COGNOME, ma, al contrario, esse sono del tutto coerenti con le mansioni impiegatizie svolte dall’imputato in esame. Aggiunge il difensore che la Corte territoriale ha ravvisato in capo al COGNOME la qualifica di amministratore di fatto, senza confrontarsi con le censure dedotte con l’atto di appello e cioè: che il COGNOME era dedito a mansioni impiegatizie, come affermato da NOME COGNOME, dalla teste COGNOME la cui deposizione viene riportata, per stralcio, nel ricorso (alle p. 36 e 37), e dal teste COGNOME; che le conversazioni valorizzate dalla Corte hanno ad oggetto incombenze occasionali e di mera routine; che non è emerso, in capo all’imputato, l’esercizio di poteri tipici inerenti alla qualifica. In ogni ca la Corte d’appello ha desunto il dolo di evasione esclusivamente delle funzioni amministrative e contabili svolte dall’imputato, sulla base del contenuto di due sole telefonate e di un incontro, che si collocano in un contesto del tutto
estemporaneo e nulla dicono in ordine al grado di consapevolezza della condotte e alle scelte inerenti alle dichiarazioni di fiscali che competevano all’amministratore di diritto.
6.5. Con un quinto motivo si deduce l’erroneo computo dei periodi di sospensione e le conseguente intervenuta prescrizione anche del reato di cui al capo C) in pendenza del giudizio di appello. Espone il difensore che la causa sospensiva determinata dall’astensione dei difensori dal 4 maggio 2017 al 2 ottobre 2017 non può essere riferita agli imputati, in quanto, solo in data 8 gennaio 2019, al procedimento in esame – i cui i ricorrenti erano imputati dal solo delitto associativo – è stato riunito quello n. 27317/18 RG G.i.p., nel cui ambito i predetti erano imputati dei delitti fiscali di cui ai capi B), C) e D) in fo del decreto dispositivo del giudizio emesso il 10 ottobre 2018. Di conseguenza, calcolando i residui periodi di sospensione, pari a complessivi 71 giorni, il reato di cui al capo C) si è prescritto il 6 dicembre 2022, quindi prima della pronuncia della sentenza impugnata.
6.6. Con un sesto motivo si lamenta l’erronea applicazione degli artt. 62bis, 81 cpv., 133 cod. pen. e relativo vizio motivazionale in relazione al complessivo trattamento sanzionatorio. Evidenzia, in primo luogo, il difensore l’errore motivazionate in cui è incorsa la Corte di appello, laddove, con riferimento alla posizione di NOME COGNOME ha affermato che il Tribunale aveva inflitto una pena base più contenuta, quando, per contro, è stata determinata in misura identica a quella di NOME COGNOME. La Corte di merito, inoltre, non ha motivato in ordine all’aumento di pena per la continuazione, in violazione del principio affermato da SU n. 47127 del 2021, e, a fronte dell’intervenuta prescrizione del reato più grave (quello di cui al capo B), ha omesso di specificare quale sia il reato più grave e di individuare la pena base, limitandosi a ridurre la pena di sei mesi, come se a cadere in prescrizione fosse stato uno dei reati satellite. La Corte di merito, inoltre, ha rigettato il moti tendente a ottenere una maggiore riduzione di pena per effetto dell’applicazione delle attenuanti generiche, riconosciute a NOME COGNOME non nella massima estensione, con una motivazione illogica, ossia valorizzando negativamente l’aver ribadito la tesi difensiva, motivazione per la quale, in maniera altrettanto illogica, dette circostanze sono state negate ad NOME COGNOME.
7. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è articolato in sette motivi.
7.1. Con un primo motivo si deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge in relazione all’affermazione della penale responsabilità. Espone il difensore che la Corte di merito non si sarebbe confrontata con le argomentazioni articolate con i motivi di appello, avendo unicamente valorizzato la inoperatività
delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, senza motivare in ordine alla fittizietà delle operazioni intercorse con la RAGIONE_SOCIALE; al proposito, ad avviso difensore, non potrebbe soccorrere il contenuto delle conversazioni telefoniche, stante il linguaggio criptico utilizzato dagli interlocutori. Secondo il difensore, fatto che la RAGIONE_SOCIALE lavorasse quotidianamente e regolarmente con le società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, che il Chen e il RAGIONE_SOCIALE parlassero di “cavi”, “container”, “trasportatori” e che il primo si recasse negli uffici del secondo confermano la effettività dei rapporti commerciali tra le due società, anche considerando che non vi è corrispondenza tra le somme prelevate per conto del RAGIONE_SOCIALE e quelle bonificate da RAGIONE_SOCIALE
7.2. Con un secondo motivo si eccepisce il vizio di motivazione e la violazione di legge in relazione all’art. 27 Cost., sotto il profilo dell’onere de prova, in quanto la Corte di appello ha ritenuto irrilevante l’assenza di accertamenti contabili a fronte dell’accusa di movimentazioni fittizie, considerando che le annotazioni rinvenute sul retro delle fatture non si riferiscono a fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE
7.3. Con un terzo motivo si censura la violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. in quanto la condanna è intervenuta per fatti del 2013, laddove nel capo di imputazione i fatti sono stati contestati il 30 settembre 2010, il 30 settembre 2011 e il 21 dicembre 2012.
7.4. Con un quarto motivo si eccepisce il vizio di motivazione in relazione alla mancata indicazione dei criteri adottati per la determinazione della pena a titolo di continuazione, in violazione del principio affermato da Sez. U n. 47127 del 2021.
7.5. Con un quinto motivo si lamenta il vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento con riferimento alla posizione di altri coimputati, ritenuta identifica a quella del ricorrente, come COGNOME, COGNOME e COGNOME a cui, invece, sono state applicate dette attenuanti, anche considerando che l’aver negato gli addebiti, in quanto espressone del diritto di difesa, non può giustificare la mancata applicazione delle circostanze in esame.
7.6. Con un sesto motivo si deduce il vizio di motivazione in ordine alla confisca per equivalente disposta nei confronti dell’imputato, stante la non applicabilità dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 ai fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore di tale disposizione, e non avendo la Corte di merito fornito alcuna motivazione in ordine alla impossibilità di eseguire la confisca diretta nei confronti della società.
7.7. Con un settimo motivo si eccepisce il vizio di motivazione in relazione all’entità della somma oggetto di confisca, posto che la Corte di merito, pur
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riducendo l’entità della confisca in conseguenza della dichiarazione di prescrizione del reato relativamente all’annualità 2010, non ha fornito alcun elemento per la verifica del calcolo effettuato.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è affidato a quattro motivi.
8.1. Con un primo motivo si deduce il vizio di motivazione in relazione alla concordanza, gravità e precisione degli indizi alla base dell’affermazione della penale responsabilità in relazione all’anno di imposta 2011. Evidenzia il difensore che, con l’atto di appello, si era rimarcata la mancata corrispondenza tra le somme complessivamente bonificate dalla società dell’imputato e quelle prelevate dai conti della L.V. COGNOME; nel rigettare tale argomentazione, la Corte territoriale ha richiamato la deposizione di NOME COGNOME la cui portata però sarebbe del tutto neutra, e gli “appunti cumulativi”, che però sarebbero inconferenti, anche alla luce del contenuto delle conversazioni telefoniche, indicative degli incontri tra COGNOME e COGNOME, analiticamente riportate nel ricorso (alle p. da 4 a 10), che la Corte d’appello ha erroneamente sminuito.
8.2. Con un secondo motivo si eccepisce il vizio di motivazione in riferimento alla prova dell’inesistenza oggettiva della prestazioni indicate nelle fatture, circostanza che sarebbe smentita da un passo del p.v.c. del 14 aprile 2014, da cui emerge (p. 46) che i RAGIONE_SOCIALE hanno venduto materiale ferroso alla ditta individuale COGNOME Roberto, fatturando con la società RAGIONE_SOCIALE. Aggiunge il difensore che non è possibile escludere che i prelievi dai conti correnti delle “cartiere” fossero effettuati, dal gruppo RAGIONE_SOCIALE, allo scopo di pagare “in nero” i fornitori; inoltre, è provato che il gruppo RAGIONE_SOCIALE acquistava anche dalla ditta COGNOME, sicché i conteggi appuntati dietro le fatture potrebbero ben riferirsi ai rapporti di dare e avere tra le due società.
8.3. Con un terzo motivo si censura la mancanza di motivazione in relazione alla inesistenza soggettiva delle prestazioni indicate nelle fatture, non essendo provato che raggio” corrisposto alle “cartiere” fosse stato concordato tra il RAGIONE_SOCIALE e il gruppo RAGIONE_SOCIALE; da ciò deriva, secondo il difensore, la deducibilità del costo sostenuto dalla ditta del RAGIONE_SOCIALE nella sua interezza, a prescindere dalla ripartizione poi operata all’interno del gruppo RAGIONE_SOCIALE.
8.4. Con un quarto motivo si eccepisce il vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non avendo la Corte di merito considerato l’effettiva sussistenza di rapporti commerciali reciproci tra la ditta RAGIONE_SOCIALE e il gruppo RAGIONE_SOCIALE
Il ricorso proposto da NOME COGNOME si compone di tre motivi.
9.1. Con un primo motivo si deduce l’inosservanza dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, per avere la Corte di merito ravvisato il reato fiscale, in relazione alla ritenuta evasione delle imposte dirette, nel caso di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti. Posto che la contestazione riguarda solo le imposte dirette, espone il difensore che la Corte di merito ha ignorato l’indirizzo giurisprudenziale (si indicano Sez. 3 n. 16768 del 2019; n. 6935 del 2017) secondo cui deve escludersi la rilevanza penale di operazioni soggettivamente inesistenti quando si tratti delle sole imposte dirette.
9.2. Con un secondo motivo si eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 133 cod. pen., in quanto la Corte di merito rideterminato la pena senza tener conto del fatto che la falsità delle operazioni fatturate ha riguardato solo il compenso previsto per il servizio di fatturazione, così sensibilmente riducendo l’imposta evasa.
9.3. Con un terzo motivo si censura il vizio di motivazione e la violazione di legge con riferimento agli artt. 2 e 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, laddove la Corte di merito ha rideterminato l’importo della confisca per equivalente in 1.106.035 euro, in quanto, stabilendo che l’imposta asseritamente evasa ha riguardato solo la parte relativa all’aggio” attribuito all’emittente della fattura, avrebbe dovut necessariamente considerare solo tale aspetto, riducendo ulteriormente l’importo confiscato.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è affidato a un unico, complesso motivo, che deduce il vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, in relazione alla sussistenza del dolo, la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione apparente. Argomenta il difensore che non vi sarebbe prova che il COGNOME abbia avuto la consapevolezza della false generalità del contraente, conclusione accredita dal consulente dott. COGNOME le cui dichiarazioni, per stralcio, sono riportate nel ricorso (a p. 5). Rappresenta il difensore che sia la sentenza di condanna per i vertici del gruppo RAGIONE_SOCIALE, sia le conversazioni telefoniche hanno un valore neutro, posto che, in ogni caso, il COGNOME ha ottemperato a tutti i pagamenti delle forniture ferrose tramite bonifici bancari, come dichiarato dalla segreteria del COGNOME, e alle spettanze fiscale. Tali argomentazioni, assume il difensore, valgono anche per il delitto associativo, anche in considerazione delle dichiarazioni ampiamente liberatorie rese in dibattimento dal COGNOME, dal m.11o COGNOME e dal dottor COGNOME (stralci delle quali sono riportate nel ricorso a p. 7), sia delle conversazioni telefoniche indicate (e parzialmente riprodotte a p. 8 del ricorso), sia dal consulente dott. COGNOME Ad avviso del difensore, si sarebbe in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti, le quali non hanno rilevanza penale ai sensi dell’art.
2 d.lgs. n. 74 del 2000, posto che la marce è stata sempre consegnate e mai vi è stata restituzione di denaro. Argomentazioni del genere valgono, in particolare, per il capo G), posto che l’operazione, anche se riferita a un fornitore differente, è effettiva e, quindi, incidendo sulla determinazione del reddito complessivo, non comporta alcuna frode nei confronti del fisco, e, in ogni caso, tale condotta non è sorretta dal dolo specifico di evasione, perché la misura dell’imponibile (e della conseguente imposta) è proprio quella che si otterrebbe nel caso in cui fosse computata, nella dichiarazione, la fattura corretta.
11. Il ricorso proposto da COGNOME è articolato in otto motivi.
11.1. Con un primo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 e il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del reato. Espone il difensore, in primo luogo, che il delitto in esame ha natura di reato proprio; posto che nel capo di imputazione non è contestato l’art. 110 cod. pen. e che l’imputato era il mero responsabile acquisti, la sentenza è nulla, avendo la Corte di merito ravvisato una responsabilità concorsuale. In secondo luogo, il difensore deduce l’omessa valutazione delle prove a discarico, analiticamente indicate nel ricorso (alle p. 4 e 5 sono riportati stralci di deposizioni testimoniali la Corte di appello, inoltre, avrebbe travisato il contenuto di talune conversazioni telefoniche, pure riprodotte nel ricorso (alle p. 8 e 9), che confermerebbero l’effettività delle prestazioni indicate nelle fatture oggetto di contestazione, come peraltro non escluso dal consulente del p.m.
11.2. Con un secondo motivo si eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione per l’omessa valutazione della memoria difensiva ex art. 121 cod. proc. pen. presentata il 21 ottobre 2022, che la Corte di merito non ha menzionato in alcun modo, né ha dato conto degli audio prodotti relativi alle intercettazioni captate.
11.3. Con un terzo motivo si lamenta il vizio di motivazione e l’erronea applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 con riferimento alla sussistenza del dolo specifico, in quanto l’imputato, non essendo né amministratore della società, né socio, non aveva alcun interesse a evadere l’imposta sui redditi; al proposito, la Corte di merito ha erroneamente equiparato, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la posizione di NOME COGNOME e quella di NOME COGNOME nonostante ricoprissero, in seno alla società, ruoli differenti.
11.4. Con un quarto motivo si censura l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 e relativo vizio di motivazione, in relazione alla non configurabilità del reato per operazioni soggettivamente inesistenti nel caso di imposte dirette, trattandosi di un costo effettivamente sostenuto, come peraltro affermato dal consulente, il quale ha dichiarato che le
società, di cui viene contestata la natura di “cartiera”, hanno registrato cost effettivi in linea con i valori di mercato.
11.5. Con un quinto motivo si deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 416 cod. pen. e relativo vizio di motivazione, posto che il linguaggi criptico utilizzato dall’imputato con il COGNOME non è dimostrativo dell partecipazione all’associazione; la Corte di merito, pertanto, avrebbe dovuto pronunciare sentenza assolutoria ex art. 129, comma 2, cod. pen.
11.6. Con un sesto motivo si lamenta l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 192 cod. proc. pen. e d.lgs. n. 74 del 2000 e relativo vizio motivazione in relazione all’esclusa rilevanza di omessi accertamenti investigativi ritenuti essenziali dalla difesa, quali le movimentazioni bancarie della società cliente e la documentazione di trasporto e quella relativa alle pesate di materiale, anche al fine di verificare l’ipotesi di presunte restituzioni di denar L’affermazione della penale responsabilità, quindi, si fonderebbe su mere e indimostrate congetture.
11.7. Con un settimo motivo si censura l’inosservanza del principio di correlazione tra accusa e sentenza in relazione alla contestazione dell’anno 2013 e relativo vizio di motivazione. La motivazione della Corte di merito, rinviando genericamente al termine per la presentazione della dichiarazione, non sarebbe appagante, perché non si specifica l’effettivo momento consumativo del reato.
11.8. Con un ottavo motivo si deduce il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, avendo la Corte di merito, per un verso, omesso ogni esame in punto di dosimetria della pena, anche considerando l’equiparazione con NOME COGNOME nonostante la differenza di ruoli, e, per altro verso, ha negato il riconoscimento delle attenuanti generiche valorizzando il contegno processuale dell’imputato, che, essendo espressione del diritto di difesa costituzionalmente garantito, non è invece valutabile a tal fine.
12. Il ricorso presentato da NOME COGNOME si articola in sette motivi.
f / 12.1. Con un primo motivo si censura l’erronea affermazione della competenza per territorio dell’A.G. di Milano e relativo vizio di motivazione. Pur condividendo la premessa assunta dalla Corte di merito, ossia che la competenza territoriale si radica con riferimento al delitto associativo, ad avviso del difenso occorre far riferimento alla società RAGIONE_SOCIALE che aveva sede legale in Ravanusa, ciò che determinerebbe la competenza dell’A.g. di Agrigento, a nulla rilevando, come evidenziato dalla Corte di merito, che tale società non aveva alcuna operatività in tale territorio, perché, essendosi in presenza di una “cartiera”, detta operatività è rappresentata non dall’effettivo svolgimento dell’attività commerciale, ma dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Aggiunge il difensore che la RAGIONE_SOCIALE è stata costituta solo nel 2008, sicché non poteva essere ritenuto il fulcro di un sodalizio criminoso operativo sia dal 2004; viceversa, poiché la società RAGIONE_SOCIALE, che compare in numerosi capi di imputazione, è la più risalente tra le società “RAGIONE_SOCIALE“, è giocoforza ritenere che sia stata la prima manifestazione dell’associazione per delinquere RAGIONE_SOCIALE; in ogni caso, anche a non considerare operativa la sede legale, la competenza per territorio sarebbe alternativamente quella del Tribunale di Torino o del Tribunale di Monza, posto che la società aveva unità locali operative, appunto, in Torino e Carate Brianza. Si osserva, inoltre, che a nessuno degli imputati viene contestato di avere avuto rapporti con la RAGIONE_SOCIALE, società assunta dalla Corte di merito per radicare la competenza territoriale.
12.2. Con un secondo motivo si deduce il vizio di motivazione sulla ritenuta partecipazione a delinquere e l’erronea applicazione degli artt. 416 cod. pen. e 129 cod. proc. pen. in punto di declaratoria di non doversi procedere, in luogo di dell’assoluzione per non aver commesso il fatto. Espone il difensore che non sarebbe ipotizzabile la partecipazione all’associazione dello COGNOME, perché questi perseguiva un interesse proprio, configgente con quelli del gruppo COGNOME, ciò che pone lo COGNOME in posizione non di partecipe ma di controparte; ad avviso del difensore, già dall’imputazione di cui al capo A) emerge come il rapporto tra lo COGNOME e il gruppo RAGIONE_SOCIALE si è risolto in un dare/avere, frutto di una trattativa nel perseguimento di opposti interessi e che si è esaurito in se stesso, senza implicare alcuno dei riflessi tipici di ogni partecipazione a un sodalizio criminoso, come la ripartizione degli utili. Secondo il difensore, il vizio logic della motivazione risiede nel fatto che l’interesse perseguito da COGNOME, pur “comune” a quello associativo, è comunque divergente, il che osta alla configurabilità della partecipazione, in quanto l’incontro tra domanda e offerta segna il punto “comune” tra interessi contrapposti che rimangono tali, anche considerando che la sentenza riconosce come estranee all’associazione numerose società clienti, che entrano in rapporto con il gruppo RAGIONE_SOCIALE. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
12.3. Con un terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 18 d.lgs. n. 74 del 2000 a seguito dell’esclusione della “partecipazione” al reato associativo. Espone il difensore che, non essendo lo COGNOME inquadrabile come partecipe dell’altrui associazione per delinquere per le argomentazioni sviluppate con il motivo precedente, egli deve difendersi solo dal reato fiscale di cui al capo N), consumato dove la RAGIONE_SOCIALE ha la sede legale, rientrante nel circondario del Tribunale di Brescia.
12.4. Con un quarto motivo si eccepisce il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento dell’esistenza di consistenti acquisti di materiale ferroso da parte del Gruppo RAGIONE_SOCIALE all’epoca degli acquisti fatturati alla società di
COGNOME negli anni 2010-2012. Rappresenta il difensore, che, come risulta dallo stesso capo A) e dalle sentenze di merito, è assodato che le società del gruppo RAGIONE_SOCIALE fossero in parte operative, avendo acquistato “in nero”, negli anni 2010-2012, materiale ferroso di vario tipo per un ammontare di svariati milioni di euro; tale dato, processualmente accertato, contrasta con la tesi accusatoria dell’inesistenza delle operazioni commerciali fatturate e Rottami Padana. Del resto, per contrastare tale conclusione, non sono stati eseguiti accertamenti sulle società clienti, né è stata svolta un’attività di osservazione e pedinamento, e neppure è stata effettuata alcuna verifica dei flussi di materiale in entrata e in uscita dalle aziende, né sono stati verificati i documenti di trasporto e l’operatività del cliente finale; alla luce di tali considerazioni, peral quantomeno, sussiste un ragionevole dubbio sulla natura di fatture per operazioni inesistenti ricevute e utilizzate in dichiarazione dallo COGNOME.
12.5. Con un quinto motivo si deduce il vizio di omessa motivazione sulla proba dell’effettiva fornitura di materiale alla società RAGIONE_SOCIALE Padana da parte delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Espone il difensore che la motivazione posta a fondamento della conferma della penale responsabilità è contraddittoria e non possiede capacità di resistenza a spiegazioni alternative idonee a evidenziare un “ragionevole dubbio”. In particolare: a) le sentenze irrevocabile attestanti che il gruppo RAGIONE_SOCIALE operava attraverso società “cartiere” non coinvolgono lo COGNOME, ma riguardano società estranee al presente processo e, in ogni caso, è acclarato che società del gruppo avessero la disponibilità di materiale ferroso da vendere nel periodo 2011-2012; b) la rilevante proporzione tra gli acquisti e le vendite effettuate dal gruppo RAGIONE_SOCIALE non è argomento conclusivo perché, per un verso, conferma l’effettività degli acquisti di materiale da parte del gruppo RAGIONE_SOCIALE, e, per altro verso, è un fatto neutro, perché lo COGNOME non aveva una visione di insieme del gruppo RAGIONE_SOCIALE, limitandosi ad acquistare merce a un prezzo in linea con quello di mercato, non essendo esigibile che il cliente si accerti del titolo del possesso del materiale vendutogli o, addirittura, sia chiamato a rispondere di eventuali irregolarità altrui; c) le eventuali anomalie di gestione delle società cartiere non sono opponibili allo COGNOME, che non aveva modo di verificare la regolarità contabili delle società venditrici, le quali, peralt avevano le autorizzazioni per il commercio di materiale ferroso; d) il contenuto degli appunti manoscritti apposti sulle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE non può essere esteso allo COGNOME, che non ha mai avuto a che fare con tali società, ma solo con la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e, sulle fatture emessi da tali società, non vi è apposto alcunché; e) le ipotizzate restituzioni in denaro contante non sono mai state accertate mediante verifiche bancarie sui conti riferibili allo COGNOME e, in ogni caso, le intercettazioni telefoniche si sono protr Corte di Cassazione – copia non ufficiale
da giugno a novembre 2011, e, quindi, nulla dicono sui rapporti sviluppatesi nel 2012, e, quindi, in ordine alle ventitre fatture emesse in quell’anno, dopo la cessazione delle intercettazioni; oltre a ciò, evidenzia il difensore la significativ distanza temporale tra il pagamento delle fatture e la presunta restituzione del denaro. Sulla scorta di questi elementi, pertanto, ad avviso del difensore non è stata raggiunta la prova che il materiale abbia preso destinazioni diverse da quella documentata dalle fatture.
12.6. Con un sesto motivo si lamenta la mancanza di motivazione circa l’esistenza e la valenza pro reo di risultanze processuali in atti. Ad avviso di difensore, il vizio di motivazione in punto di affermazione di penale responsabilità è integrato non solo dalla mancanza di indici sintomatici della ritenuta inesistenza di rapporti commerciali effettivi tra la RAGIONE_SOCIALE e le società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, ma anche dalla mancata considerazione di elementi probatori acquisiti pro reo, essendo dimostrato che la Rottami Padana ha effettuato bonifici, ricevuto fatture da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, poi contabilizzate e utilizzate nelle dichiarazioni fiscali, per acquisti reali di materiali ferroso, come si desume anche dal “tradimento” del COGNOME, che conferma che la RAGIONE_SOCIALE aveva dei fornitori e, quindi, la concreta operatività di tale società, e dalla testimonianza d NOME COGNOME.
12.7. Con un settimo motivo si eccepisce l’intervenuta prescrizione del reato con riferimento all’annualità 2011, prescrizione maturata, secondo il difensore, il 5 maggio 2023.
Il ricorso congiuntamente proposto da NOME COGNOME e da NOME COGNOME per il ministero del comune difensore di fiducia, è articolato in quattro motivi.
13.1. Con un primo motivo si deduce il vizio di motivazione e la violazione degli artt. 8 e 16 cod. proc. pen. in ordine al rigetto della questione d competenza per territorio. Dopo avere riportato il motivo di appello inerente all’eccezione di incompetenza territoriale, espone il difensore che la Corte di merito non si sarebbe misurata con le argomentazioni difensive, secondo cui l’A.g. competente sarebbe da individuarsi in quella di Bergamo, nel cui circondario ha sede la società.
13.2. Con un secondo motivo si censura il vizio di motivazione in punto di affermazione di penale responsabilità. Rappresenta il difensore che, con riguardo alla posizione degli imputati, mancando appunti manoscritti riguardanti la società RAGIONE_SOCIALE non vi sarebbe prova che nell’incontro dell’8 settembre 2011 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME vi sia stata la restituzione di denaro, anche considerando che non è stato oggetto di osservazione e la distanza temporale tra
l’emissione delle fatture e l’incontro in questione, pari a un mese e mezzo. Aggiunge il difensore che tale conclusione si porrebbe in contrasto sia con le dichiarazioni di NOME COGNOME e con i documenti allegati al verbale di interrogatorio, sia con la testimonianza di NOME COGNOME da cui emerge l’effettività delle prestazioni oggetto delle fatture in contestazione.
13.3. Con un terzo motivo si eccepisce il vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, non avendo la Corte di merito considerato la condotta tenuta dagli imputati e lo spirito collaborativo manifestato in occasione degli accertamenti della G.d.F., all’entità del trattamento sanzionatorio, determinata valorizzando elementi che avrebbero al più potuto influire sull’aumento di pena a titolo di continuazione, e alla durata delle pene accessorie.
13.4. Con un quarto motivo si lamenta la violazione dell’art. 12 d.lgs. n. 74 del 2000 in punto di determinazione della confisca, posto che il reato ascritto agli imputati relativamente all’anno di imposta 2010 è stato estinto per prescrizione, sicché l’importo corretto è pari a 181.473,98 euro, come peraltro disposto dalla Corte di merito con ordinanza del 17 aprile 2023.
14. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è articolato in tre motivi.
14.1. Con un primo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 8 cod. proc. pen. e relativo vizio di motivazione. I difensori censurano la motivazione, laddove ha confermato la decisione resa dal Tribunale – e prima ancora dal G.i.p. – con la quale era stata rigettata l’eccezione di incompetenza territoriale; invero, nel caso di specie, stante la medesimezza oggettiva e soggettiva delle fattispecie contestate, avrebbe dovuto trovare applicazione il criterio di cui all’art. 12, lett b), cod. proc. pen., sicché, essendo il reato più grave contestato al RAGIONE_SOCIALE quello di cu al capo I), commesso presso la sede della società, l’A.g. territorialmente competente sarebbe perciò stata quella di Brescia.
14.2. Con un secondo motivo si eccepisce l’erronea applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 e relativo vizio di motivazione con riferimento all’elemento oggettivo del reato. I difensori censurano la sentenza, laddove ha ravvisato la sussistenza del delitto di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, con riferimento all imposte dirette, in relazione all’inesistenza soggettiva, ossia alla non identità tra il soggetto che ha reso la prestazione e quello che ha emesso il documento fiscale. Ad avviso dei difensori, la motivazione sarebbe affetta da un insuperabile errore metodologico, in quanto la ricostruzione dei fatti avviene per deduzione da accertamenti svolti in altro procedimento a carico delle società a monte della contestata associazione, mentre nessun accertamento è stato effettuato sula singole società clienti finali, tra cui la RAGIONE_SOCIALE essendo invece emersa
l’effettività delle transazioni commerciali, come risulta dalle deposizioni della teste COGNOME e del consulente COGNOME nonché dalle schede contabili prodotte agli atti, e considerando che, come emerso dall’istruttoria, non era nella facoltà del cliente finale percepire che le società emittenti le fatture non avessero la struttura per effettuare le forniture. Aggiunge, inoltre, il difensore che diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, l’istruttoria dibattimentale ha fatto emergere la totale assenza di prova che attesti l’esistenza di restituzioni di denaro contante; al proposito, la Corte di merito ha valorizzato le dichiarazioni di COGNOME le quali, tuttavia, sono aspecifiche e non univoche, così come ininfluenti sono gli appunti rinvenuti sul retro di alcune fatture, appunti che ben potrebbero riferirsi al calcolo degli stipendi. Ad avviso del difensore, quindi, posto che la prestazione era stata realmente effettuata e non essendo stata raggiunta la prova in ordine alle asserite retrocessioni di denaro, il fatto potrebbe al più configurare un’ipotesi di inesistenza soggettiva del documento fiscale, che, con riferimento alle imposte dirette, non rileva ai sensi dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000.
/ 14.3. Con un terzo motivo si lamenta la violazione di legge in relazione agli artt. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, 14, comma 4-bis, I. n. 537 del 1993, come modificato dall’art. 8 d.l. n. 16 del 2012, conv. in I. n. 44 del 2012. Dopo una puntuale ricostruzione della fattispecie in esame, argomenta il difensore che il costo sostenuto dalla società è stato effettivo e, quindi, nella dichiarazione ai fini delle imposte dirette non sono stati indicati componenti negativi fittizi, il che esclude la sussistenza del reato; ciò trova conferma nell’art. 8 d.l. n. 16 del 2012, conv. in I. n. 44 del 2012, secondo cui non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizi direttamente utilizzati per i compimento di attività illecita o di attività qualificabili come delitto non colposo; ne deriva, ad avviso del difensore, la deducibilità dei costi nei casi in cui i beni acquistati, e la cui operazione sia riferibile a soggetti diversi da quelli effetti non siano stati utilizzati per commettere reati, ma per essere commercializzati e venduti.
15. Il ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME con il medesimo atto, attraverso il ministero del comune avvocato di fiducia, deduce il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio. Il difensore, in primo luogo, censura la motivazione laddove, a fronte di uno specifico motivo appello incentrato sulla richiesta di una maggiore riduzione di pena per effetto dell’applicazione delle circostanze attenuati generiche, avvenuta in primo grado in misura pari a un quinto, ha omesso di esplicitare le ragioni del rigetto del motivo, anche tenendo conto delle condotta collaborativa con l’Agenzia delle
entrate. In secondo luogo, la Corte di merito ha omesso qualsivoglia motivazione in ordine alla riduzione del quantum di pena a titolo di continuazione interna, indistintamente quantificata, per tutti gli imputati, in sei mesi di reclusione pe ogni annualità, anche in ragione del riconoscimento della diminuente ex art. 13bis d.lgs. n. 74 del 2000.
16. In data 6 settembre 2023, il difensore di Cheng Sheng ha depositato motivi “aggiunti”.
16.1. Con un primo motivo si eccepisce l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 192, 238, 533, 546 cod. proc. pen., 27 e 111 Cost., e vizio motivazionale in relazione all’esclusione di rilevanza di accertamenti investigativi ritenuti essenziali. Nel riprendere il sesto motivo di ricorso, difensore ribadisce che la conferma dell’affermazione della penale responsabilità si fonda su mere congetture, senza alcun confronto con le argomentazioni difensive, e senza che la sentenza acquisita ex art. 238-bis cod. proc. pen. sia riscontrata da alcun elemento di conferma, come richiesto dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., risultando, al contrario, dalle prove acquisite l’effettività del vendite di cui alle fatture in contestazione; in ogni caso, le annotazioni rinvenute sul retro di alcune fatture non potrebbero riferirsi all’imputato, dal momento che non riguardano la RAGIONE_SOCIALE né vi è prova che Chen abbia mai visionato i documenti cartacei annotati. In altri termini, la Corte di merito avrebbe di fatto invertito l’onere della prova, in violazione dell’art. 27 Cost.
16.2. Con un secondo motivo si deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 192, 238, 533, 546 cod. proc. pen., 27 e 111 Cost., e vizio motivazionale con riferimento alla trattazione unitaria e indistinta della posizione del ricorrente con quella del coimputato NOME COGNOME nonostante la netta diversità di ruoli, con omesso confronto dei motivi di appello riguardanti il ricorrente, il quale non ha ricoperto alcuna carica in seno alla società, e considerando che il computato NOME COGNOME la cui posizione si assume identica a quella di COGNOME è stato assolto per carenza di dolo. Nel riprendere le argomentazioni dei primi tre motivi del ricorso introduttivo, il difensore ribadisce che il contenuto della conversazioni intercettate si riferisce a transazioni commerciali, da cui non è possibile dedurre alcun elemento per dimostrare il coinvolgimento dell’imputato, e considerando che la Corte territoriale non ha fatto alcun cenno alle telefonate depositate dalla difesa con la memoria del 21 ottobre 2022.
16.3. Con un terzo motivo si censura l’inosservanza degli artt. 133, 81, 62bis cod. pen., 3 e 27 Cost. e relativo vizio di motivazione, in quanto, nonostante specifici motivi di appello, la Corte di merito non ha illustrato le ragioni
sostegno del complessivo trattamento punitivo con riferimento sia all’individuazione della pena base, sia agli aumenti per la continuazione, e considerando l’equiparazione, a livello sanzionatorio, con la posizione del coimputato NOME COGNOME nonostante la differenza di ruoli svolti da entrambi. La Corte di merito, inoltre, avrebbe erroneamente rigettato il motivo con cui si chiedeva l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, senza valutare il contegno processuale e l’incensuratezza, che, per contro, il Tribunale aveva valorizzato per riconoscere dette attenuanti ad altri coimputati, e considerando che l’essersi protestati innocente è espressione di un diritto costituzionalmente garantito, che non può essere valutato contra reum. Da ultimo, la Corte di merito ha omesso di esaminare la riduzione delle pene accessorie, che pure era stata invocata con l’appello.
16.4. Con un quarto motivo si lamenta la violazione dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 in relazione alla confisca per equivalente, posto che nella motivazione non vi è alcun riferimento all’imputato – ma solo a NOME COGNOME – e che la riduzione dell’importo a seguito della dichiarazione di prescrizione del reato con riferimento all’annualità 2010 è priva di motivazione.
16.5. Con un quinto motivo si invoca l’annullamento senza rinvio in ordine al reato di cui al capo C), essendosi, nelle more, prescritto; il difensore, inoltre, ribadisce la violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. con riferimento alle annualità 2011 e 2012, come dedotta con il settimo motivo del ricorso introduttivo.
17. In data 21 settembre 2023 il difensore di NOME COGNOME e di NOME COGNOME ha inviato memoria, con la quale deduce, come motivo nuovo, l’erronea sopravvenuta applicazione dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000. Espone il difensore che la RAGIONE_SOCIALE ha aderito alla definizione agevolata delle controversia tributarie, presentando la relativa domanda in data 16 maggio 2023, e versando le somme previste dalla legge, per un totale di 834.894,11 euro, con riferimento all’I.r.e.s. relativa alle annualità del 2011 e del 2012, come da documentazione allegata. Stante l’estinzione del debito tributario, si chiede la revoca della confisca.
18. In data 2 ottobre il difensore di NOME COGNOME ha inviato memoria con la quale chiede, in via subordinata, la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata il 4 maggio 2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Quanto al ricorso proposto da NOME COGNOME deve prendersi atto dell’intervenuto decesso dell’imputato in data 29 agosto 2023, come risulta dal certificato di morte rilasciato dall’ufficio di stato civile del Comune di Milano del 29 settembre 2023, acquisito agli atti.
Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di COGNOME Salvatore per essere i residui reati di cui al capo 3), relativi alle annualità di imposta 2011 e 2012, estinti per morte dell’imputato. Va revocata, inoltre, la disposta confisca, posto che l’art. 578-bis cod. proc. pen. consente la confisca obbligatoria, previo accertamento della penale responsabilità, solo nel caso di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione e per amnistia, e, quindi, non per l’ipotesi, che qui rileva, di morte dell’imputato (cfr. Sez. 3, n. 33429 del 04/03/2021, Ubi Banca, Rv. 282477-02).
I ricorsi proposti congiuntamente da NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili.
3. Il primo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.
Invero, nel far corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, la mancata indicazione specifica dei soggetti beneficiari delle stesse nel capo di imputazione non comporta alcuna genericità o indeterminatezza della contestazione del delitto di cui all’art. 8 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, allorché tali soggetti siano agevolmente identificabili in forza di elementi fattuali che ne rendano comunque possibile l’individuazione (Sez. 3, n. 6509 del 06/11/2019, dep. 2020, Pace, Rv. 278544; Sez. 3, n. 20858 del 07/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272788, Sez. 3, n. 6102 del 15/01/2014, Lai, Rv. 258905), la Corte di merito ha evidenziato che tutti i capi di imputazione indicano con precisione gli elementi qualificanti dei delitti contestati, ossia le società amministrate dagli imputati con il ruolo dagli stessi rivestito, il periodo di emissione delle fatture per operazioni inesistenti e gli importi in esse indicato, con la puntuale specificazione delle società emittenti e il periodo di imposta cui si riferiscono: elementi fattuali che, quindi, concorrono a descrivere in maniera precisa e circostanziata il fatto dal quale l’imputato è chiamato a difendersi.
Si osserva, infine, che il ricorso appare anche generico, non indicando in che modo l’indicata formulazione delle imputazioni abbia leso o limitato l’esercizio dei diritto di difesa.
4. Il secondo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente perché deducono asseriti vizi di motivazione e travisamenti della prova con riferimento all’interrogatorio reso da NOME COGNOME (secondo motivo) e alla deposizione del m.11o NOME COGNOME (terzo motivo), sono inammissibili.
4.1. In primo luogo, si rammenta che, nel caso di “doppia conforme” – e cioè di una doppia pronuncia di eguale segno – il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti con specifica deduzione, che l’argomento probatorio asseritannente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione della motivazione del provvedimento di secondo grado.
Il vizio di motivazione può infatti essere fatto valere solo nell’ipotesi in cu l’impugnata decisione ha riformato quella di primo grado nei punti che in questa sede ci occupano, non potendo, nel caso di c.d. “doppia conforme”, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19/10/2009, COGNOME, Rv. 243636; Sez. 1, n. 24667 del 15/6/2007, COGNOME, Rv. 237207; Sez. 2, n. 5223 del 24/1/2007, Medina, Rv 236130; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258432).
4.2. In secondo luogo, si osserva che il ricorrente, il quale intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale, ha l’onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto; di conseguenza, per granitica giurisprudenza di questa Corte, sono inammissibili quei motivi che deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, impedendo, in questo modo, una verifica dell’effettivo travisamento del contenuto della testimonianza (ex multis, cfr. Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, dep. 02/05/2017, COGNOME, Rv. 270071; Sez. 3, n. 19957 del 21/09/2016, dep. 27/04/2017, COGNOME, Rv. 269801; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, dep. 26/11/2015, COGNOME, Rv. 265053).
4.3. Nel caso in esame, i ricorrenti non hanno assolto nessuno degli indicati oneri, non avendo né rappresentato che le prove dichiarative asseritamente travisate siano state per la prima volta introdotte come oggetto di valutazione della motivazione del provvedimento di secondo grado – emergendo dalla motivazione stessa piuttosto il contrario -, né allegato al ricorso le trascrizioni
integrali dell’interrogatorio e della deposizione testimoniale, del cui travisamento i ricorrenti si dolgono.
I successivi tre motivi, esaminabili congiuntamente essendo collegati in quanto pongono in discussione la ricostruzione della vicenda e le valutazioni operate dai giudici del gravame in ordine all’affermazione della penale responsabilità, sono inammissibili.
5.1. Prima di esaminare il merito delle doglianze, occorre va fatta un’importante precisazione, valevole per altre posizioni che hanno sollevato identiche questioni, relativa al contenuto dell’accusa.
Invero, alcuni difensori hanno indicato il principio, elaborato da questa Sezione, secondo cui il reato di utilizzazione fraudolenta di fatture per operazioni inesistenti sia integrato con riguardo alle imposte dirette dalla sola inesistenza oggettiva delle prestazioni indicate nelle fatture mentre con riguardo all’iva comprenderebbe anche la inesistenza soggettiva (Sez. 3, n. 6935 del 23/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272814; Sez. 3, n. 10394 del 14/01/2010, COGNOME, Rv. 246327); il che, seguendo il ragionamento fatto dai ricorrenti, comporterebbe, a fronte della vigenza del regime del reverse charge, l’irrilevanza della inesistenza delle fatture sotto il profilo soggettivo.
Si tratta di un’argomentazione non persuasiva.
In primo luogo, deve evidenziarsi un dato dirimente: come emerge da tutti i capi di imputazione relativi alla violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, è contestato il “fine di evadere le imposte sui redditi”, e non già quelle indirette; né segue che cade al di fuori del perimetro della contestazione l’evasione dell’i.v.a.
In secondo luogo, come nitidamente emerge dalla deposizione del consulente, prof. NOME COGNOME (analiticamente riportata alle p. 75 ss. della sentenza di primo grado, richiamata dalla pronuncia impugnata), l’evasione si configura in relazione “esclusivamente alle imposte sui redditi” (p. 78) in considerazione della oggettiva inesistenza delle prestazioni indicate nelle fatture oggetto di contestazione, inesistenza ricavata da una serie di indici puntualmente indicati, che verranno di volta in volta esposti con riferimento alle singole posizioni.
Va, infine, rilevato, che la fittizietà delle operazioni non è esclusa nei (rari casi in cui vi fu una cessione effettiva di materiale ferroso, perché, anche in ipotesi del genere, nel prezzo di tale materiale è stato sempre inglobato anche l’aggio, ossia “la provvigione riconosciuta alla cartiera” (cfr. Perin, p. 82 della sentenza di primo grado), sicché non vi è mai corrispondenza tra l’importo indicato nelle fatture e l’effettivo prezzo di acquisto del materiale, ciò che integra, sotto il profilo oggettivo, il delitto di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 200
Invero, in relazione al mezzo fraudolento di cui l’agente si avvale per l’indicazione di elementi passivi fittizi, la lettera dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2 riferisce a “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, e l’art. 1, let del medesimo d.lgs. specifica che tale locuzione inerisce a quelle fatture o documenti che sono “emessi a fronte di operazioni in tutto o in parte inesistenti”; il che dimostra che, dal punto di vista della rilevanza penale, le categorie dell’inesistenza totale o parziale delle operazioni rappresentate in fattura sono da ritenersi equivalenti.
Deve perciò ribadirsi che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche nel caso di sovrafatturazione qualitativa, ossia quando quale la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti, in quanto oggetto di repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale (Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, Moiseev, Rv. 278378). In maniera coerente, del resto, si è affermato che non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la decisione con cui l’imputato, accusato di avere indicato, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi d fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, sia stato condannato per l’utilizzo di fatture relative ad operazioni “solo in parte” oggettivament inesistenti, in quanto le disposizioni di cui all’art. 2 d.lgs. 10 marzo 200 concernenti il delitto di dichiarazione fraudolenta, nel riferirsi all’uso di fattu altri documenti relativi a operazioni inesistenti, non distinguono tra quelle che sono totalmente o parzialmente tali (Sez. 5, n. 43778 del 21/09/2023, COGNOME, Rv. 285382).
5.2. Ciò posto, ricordato, con argomentazione evidentemente valida anche in tal caso per gli altri ricorrenti che contestano l’affermazione della penal responsabilità, che il controllo che spetta a questa Corte attiene unicamente alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto i profilo logico-argomentativo (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247), e che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260), nel caso di specie si osserva che la motivazione non presenta alcun cedimento logico o alcuna manifesta contraddizione.
5.3. I giudici dell’appello (p. 101 ss. della sentenza impugnata), in primo luogo, hanno ribadito il ruolo di cartiera della LV COGNOME, richiamando, al proposito, le dichiarazioni di NOME COGNOME COGNOME il quale, all’udienza del 9 dicembre 2020 (in particolare, p. 6-7 delle trascrizioni) ha descritto la sistematica emissione di fatture false e di sovrafatturazione dei costi, laddove le operazioni effettive riguardavano solo una percentuale del tutto minimale del fatturato ed erano relative a merce fornita in nero dagli “zingari”, che venivano pagati in contanti.
In secondo luogo, la Corte di merito ha evidenziato che gli amministratori delle “cartiere” riconducibili al gruppo RAGIONE_SOCIALE – in particolare, NOME COGNOME ed NOME COGNOME – sono stati definitivamente condannati con sentenza della Corte d’appello di Milano del 25 settembre 2017 per il reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 con riferimento proprio alle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) negli anni 2011 e 2012.
La Corte d’appello, inoltre, nel solco tracciato dalla sentenza di primo grado, ha ribadito che la LV COGNOME fosse priva di autorizzazioni amministrative e di una struttura aziendale (dipendenti, automezzi, deposito merci) adeguata al volume di vendite realizzato, e quindi deputata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti a copertura di acquisiti in nero e di vendite a terzi effettua da RAGIONE_SOCIALE ma cartolarmente ricondotti a LV RAGIONE_SOCIALE, circostanza, quest’ultima, confermata proprio da NOME COGNOME nel corso dell’interrogatorio dell’Il giugno 2012.
Come sottolineato dalla Corte di merito, la fittizietà delle cessioni trova altresì conferma sia nell’enorme sproporzione tra gli acquisti tracciabili di merce effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE negli anni 2009-2011, pari a 391,59 tonnellate al costo di euro 754.582,20, e le vendite risultanti dalle fatture, per un importo complessivo di 94.304.373,02 euro, il che corrisponde, in percentuale, allo 0,6% della merce cartolarmente ceduta; sia nell’analisi dei flussi bancari, essendo state accertate movimentazioni in entrata (incasso di corrispettivi per la vendita di rottame ferroso) per 81.750.654,38 euro e movimentazioni in uscita prive di giustificazione contabile (prelievi in contanti ed emissione di assegni bancari e circolari) per 81.898.503 euro.
Nel richiamare la sentenza di primo grado (in particolare, p. 251 e ss.), la Corte di merito, inoltre, ha valorizzato il contenuto degli appunti rinvenuti su retro di fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, che danno conto delle restituzioni di denaro. Sul retro di numerose fatture (n. 402 del 2 settembre 2011, n. 410 del 7 settembre 2011, n. 443 del 21 settembre 2011, n. 474 del 30 settembre 2011, n. 497 del 29 settembre 2011) è riportato un calcolo che consiste nello scomputo, dal corrispettivo cartolarmente
indicato nel documento, del compenso per la cartiera, calcolato moltiplicando il quantitativo di materiale riportato nella fattura per il valore unitario di 30 eur sottraendo quest’ultimo importo dal totale della fattura si ottiene la somma da restituire al cliente; in alcune fatture (ad esempio, la n. 402 del 2 settembre 2011) è anche riportata la parte di somma già restituita (acconto) e quella ancora da restituire (rimanenza).
Su queste basi, si è ribadita la fittizietà del rapporto non solo sotto il profi soggettivo, trattandosi di merce non di proprietà dell’apparente cedente, ma anche – e soprattutto – sotto quello oggettivo, poiché nell’importo della fattura è certamente compreso il compenso previsto per la remunerazione della cartiera, che evidentemente non può essere riferito al materiale ceduto.
5.4. Si osserva, inoltre, che risulta accertato che le fatture siano state poi indicate nelle dichiarazioni fiscali, come riferito dal consulente dott. NOME COGNOME il quale ha dichiarato di avere esaminato tutte le dichiarazioni dei redditi presentate dalle società clienti.
5.5. Nel misurasi con l’obiezione difensiva – qui nuovamente riproposta tesa ad accreditate la reale esistenza delle operazioni oggetto delle fatture in contestazione, la Corte d’appello ha ribadito che la fittizietà oggettiva delle operazioni non è smentita dalla regolarità contabile, né dalla correttezza del prezzo, in linea con il mercato, e nemmeno dalla consegna della merce e dal pagamento del corrispettivo pagato: elementi, questi, ritenuti imprescindibili per creare l’artificiosa rappresentazione di realtà necessaria per commettere il reato in esame e che non smentiscono, sul piano logico, il compendio probatorio dinanzi indicato, ritenuto, in maniera non manifestamente illogica, certamente indicativo della fittizietà oggettiva delle fatture.
Oltre a ciò, la Corte ha ribadito un dato incontrovertibile: poiché, come detto, la fattura comprendeva anche il cd. aggio per la società emittente, vi è stata sicuramente – e quantomeno – una sovrafatturazione non corrispondente al valore della merce ceduta e che rappresenta il prezzo del reato.
Infine, la Corte ha ritenuto non dirimente la circostanza che non vi sia prova diretta delle restituzioni, la quale è stata logicamente desunta dal contenuto degli appunti apposti sulle fatture, dalle dichiarazioni di NOME COGNOME in merito ai frequenti e ingenti prelievi in contanti destinati, per la gran parte, al retrocessioni, nonché dal contenuto delle intercettazioni telefoniche (ad esempio, la n. 3821 del 20 luglio 2011 ore 11.40), che dimostrano l’incontro tra NOME COGNOME e NOME Vivacqua.
5.6. Quanto, poi, alla sussistenza dell’elemento soggettivo, la Corte di merito lo ha desunto da una serie di elementi, puntualmente indicati, ossia la consolidata e intensa frequentazione con gli esponenti del gruppo Vivacqua e le
loro società cartiere, le accertate cessioni in nero effettuate da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE l’essersi sistematicamente avvalsi, per un lungo lasso temporale e per importi molto rilevanti, del sistema di fraudolenta fatturazione: elementi che, secondo una valutazione di merito non certo implausibile sul piano logico, sono stati ritenuti indicativi della piena consapevolezza del fine di evadere le imposte sui redditi, non essendo oggetto di contestazione l’evasione anche dell’i.v.a., come emerge da tutte le contestate violazioni dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, ivi compresa quella di cui al capo L) ascritta a NOME COGNOME e a NOME COGNOME.
6. Il settimo motivo è inammissibile.
Rammentato che l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590), la Corte di merito, nel caso di specie, non solo non ha ravvisato elementi positivi, diversi dall’incensuratezza – che, di per sé sola, per espresso dettato normativo ex art. 62-bis, comma 3, cod. pen., non è sufficiente -, per addivenire a una mitigazione della pena, ma ha anche individuato, quali elementi ostativi, l’assenza di condotte riparatorie poste in essere dagli imputati, la protrazione della condotta illecita per un ampio arco temporale e la rilevanza degli importi indicati nelle fatture annotate.
Si tratta di un apprezzamento di fatto immune da aporie logiche, che si sottrae al sindacato di legittimità.
L’ottavo motivo – secondo cui l’ammontare della confisca dovrebbe considerare i costi sostenuti e, comunque, non potrebbe essere superiore all’importo dell’I.r.e.s. evasa sulla c.d. “provvigione” corrisposta all’emittente fatture – è manifestamente infondato.
7.1. Osserva il Collegio che la possibilità di detrarre dall’imponibile i cost documentati dalla fattura emessa per operazioni in parte esistenti comporta la necessità che il costo sia certo e che la prestazione documentata sia riferibile materialmente ad altro soggetto identificato. La fattura, cioè, deve documentare una prestazione oggettivamente esistente, vera e reale, posta in essere, però, da un soggetto diverso dall’emittente. Ciò sul rilievo che i costi possono essere detratti nei limiti derivanti dai principi di effettività, inerenza, competenz certezza, determinatezza o determinabilità che informano di sé l’ordinamento tributario.
Nel caso di specie, non solo sono rimasti ignoti i reali fornitori della merce acquistata in nero (i cd. “zingari”), ma è positivamente escluso che i corrispettivi
di tali acquisti corrispondessero a quelli fatturati dalle “cartiere”, che, invec erano “gonfiati” proprio per consentire a queste ultime di trattenere l’aggio del servizio sulle retrocessioni del contante.
Invero, il costo sostenuto per la prestazione effettivamente eseguita deve corrispondere a quello fatturato, il che, appunto, è smentito dal fatto che nella determinazione del corrispettivo indicato nelle false fatture veniva preso in considerazione l’elemento “spurio” della percentuale spettante, a titolo di corrispettivo, a favore delle cartiere.
7.2. Pur volendo prescindere dalle assorbenti considerazioni che precedono, si consideri, in ogni caso, che, diversamente da quanto sostengono anche altri ricorrenti, l’onere di dimostrare la corrispondenza effettiva tra i costi relativi a acquisti in nero e quelli documentati dalle fatture acquistate presso le cartiere ricade su chi intende giovarsi della deducibilità di tali costi (e dunque della inesistenza della finalità di evasione dell’imposta diretta), non potendo la pubblica accusa farsi carico di ricostruire l’effettività di tali costi quando non son nemmeno noti i fornitori del materiale.
In questo senso è orientata anche la Cassazione civile, la quale ha chiarito che, in materia di deducibilità dei costi d’impresa, la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, come in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per mancanza del rapporto sottostante, comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attiv imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Sez. 5, n. 33915 del 19/12/2019, Rv. 656602 – 01). Si è precisato, inoltre, che, con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, grava sul contribuente l’onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito che – ai sensi dell’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 44 del 2012 – siano direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati e non devono pertanto concorrere alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (Sez. 5, n. 33915 del 19/12/2019, Rv. 656602 – 02).
Nel caso in esame, il motivo si appalesa anche generico, non indicando alcun elemento per suffragare la corrispondenza effettiva tra i costi relativi agli acquisti in nero e quelli documentati dalle fatture emesse dalle società cartiere.
8. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
I primi due motivi – esaminabili congiuntamente in quanto contestano la sussistenza dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato – sono inammissibili perché articolati in fatto, essendo diretti non ad evidenziare profili di illogicità emergenti dalla motivazione, ma a contestare la ricostruzione del fatto sulla base di una diversa lettura delle prove.
9.1. La Corte di merito, in primo luogo, ha ribadito che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE) – vale a dire le società emittenti le fatture poi annotate nelle dichiarazioni fiscali presentate da RAGIONE_SOCIALE, società di cui RAGIONE_SOCIALE era amministratore di fatto – erano mere cartiere.
Nel rinviare alle considerazioni dinanzi indicate quale a LV COGNOME, con riferimento a RAGIONE_SOCIALE la Corte d’appello ha valorizzato, oltre alle dichiarazioni di NOME COGNOME, elementi di fatto puntualmente indicati, quali: 1) nel periodo di interesse, la società ha effettuato prelievi in contanti o con assegni per complessivi 6.945.501,81 euro; 2) sono stati riscontrati acquisti tracciabili per 72.069,90 euro, a fronte di incassi per vendite pari a 14.375.739,18 euro; 3) la società non aveva idonea sede operativa per lo stoccaggio dei materiali; 4) presso la sede di FV Metalli sono stati rinvenuti timbri, documenti di trasporto, formulari rifiuti e fatture intestati a COGNOME che, pertanto, al pari di COGNOME, era cedente della merce solo cartolarmente.
Oltre a ciò, pur a fronte della regolarità contabile, della consegna della merce, della congruità del prezzo, dell’assenza di prova diretta delle retrocessioni, anche in tal caso la Corte di merito – come già aveva fatto la sentenza di primo grado (p. 197 ss.) – ha desunto la prova incontrovertibile della oggettiva fittizietà delle prestazioni sia dal contenuto degli appunti rinvenuti sul retro di fatture emesse da LV RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, che danno conto delle restituzioni di denaro (emblematico è l’appunto manoscritto indicato a p. 84 della sentenza impugnata, in cui l’importo ivi indicato, riferito alla Al Meta!, corrisponde proprio al prelievo effettuato il 6 ottobre 2011 dal conto di LV Rottami di euro 338.700, così come altrettanto significative sono le annotazioni sul retro delle fatture n. 439 del 19 settembre 2011, n. 469 del 28 settembre 2011, e n. 507 del 10 ottobre 2011, che indica l’importo da retrocedere ad RAGIONE_SOCIALE in euro 14.035,20, importo che è anche riportato nel conteggio riepilogativo delle somme da retrocedere alle diverse società clienti, con timbro
“pagato 31 ott. 2011”); sia dal contenuto di un’intercettazione telefonica tra RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME (progr. n. 5338 del 6.9.2011), nella quale i due concordano un ordine di 30 tonnellate al prezzo di euro 3.480 a tonnellata, che trova riscontro nella fattura n. 418 dell’8 settembre 2011, sulla quale, come di consueto, è annotato l’importo da retrocedere, che corrisponde al prelievo effettuato il 6 ottobre 2011.
9.2. A fronte di tale apparato motivazionale, solidamente ancorato alle risultanze processuale e privo di profili di illogicità manifesta, la difesa oppone una diversa lettura dei dati probatori, il che, come detto, esula dai casi previsti dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen.
Il terzo motivo – che deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato – è inammissibile perché non era stato devoluto con l’atto di appello, sicché non può essere dedotto per la prima volta nel giudizio di cassazione, stante lo sbarramento posto dall’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. pen.
11. Il quarto motivo è inammissibile perché generico.
Va ricordato che, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu ()cuti, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (per tutti, Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274).
Nel GLYPH rispondere alle doglianze difensive, incentrate sulla GLYPH ritenuta insussistenza del delitto associativo, la Corte di merito ha spiegato le ragioni ostative alle declaratoria ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., rilevando come dagli atti non emerga quella prova evidente dell’innocenza dell’imputato idonea a superare la dichiarata prescrizione del reato, in presenza di rapporti intrattenuti con due società del gruppo per almeno due anni e delle frequenti operazioni commerciali.
Ciò posto, il ricorso appare generico, perché non indica elementi che offrano l’incontestabile e immediata evidenza (nel senso, come detto, della sua “constatazione” e non del suo “apprezzamento”) dell’innocenza. Invero, la
constatazione cui l’art. 129 cpv. cod. proc. pen. condiziona la prevalenza del proscioglimento nel merito alla declaratoria di estinzione, deve infatti risolversi, proprio in ragione della nozione implicata, in una mera presa d’atto di dati che, de visu, evidenzino di per se stessi, senza necessità di una loro interpretazione, la manifesta prova della sussistenza di cause del suddetto proscioglimento; ed invero le stesse Sez. U. COGNOME, già richiamate sopra, hanno affermato che la constatazione (ovvero appunto percezione ictu ocu/i) è per definizione incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o approfondimento.
Il ricorrente, invece, oppone una serie di elementi di fatto – vale a dire: il rapporto di fornitura sia limitato al periodo luglio 2011-aprile 2012, la finalit perseguita dall’associazione descritta nelle sentenze di condanna, ossia il riciclaggio e il reimpiego delle somme di denaro della delle società del Gruppo Vivacqua, la circostanza che il RAGIONE_SOCIALE abbia interloquito solamente con NOME COGNOME, la contestazione di materiale non conforme – che, lungi dall’evidenziare ictu ()cui/ la prova dell’innocenza, al più implicano un approfondimento del materiale probatorio, che osta all’applicabilità dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
12. Il quinto motivo è inammissibile.
La Corte ha ravvisato la congruità e l’adeguatezza della pena, peraltro inflitta in misura di poco superiore al minimo edittale, “rispetto alla gravità del fatto, emergente dagli ingenti importi delle fatture e dalla durata almeno biennale dei rapporti con le società emittenti” (p. 99 della sentenza impugnata), con ciò dando atto di avere considerato, con una valutazione di fatto non manifestamente illogica – e quindi non censurabile in sede di legittimità – gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen.
13. Il sesto motivo è inammissibile.
Invero, la tesi secondo cui la confisca dovrebbe essere parametrata unicamente sul cd. “aggio” e non sull’intero ammontare del flusso di fatturazione, non può trovare accoglimento sulla base delle considerazioni dinanzi indicate al par. 7, con riferimento alla posizione di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
Va, infine, rilevato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, D. L, Rv. 217266).
Il ricorso proposto da NOME COGNOME e da NOME COGNOME è fondato in relazione al quinto motivo, essendo gli altri motivi inammissibili.
Cominciando proprio dal quinto motivo, la prospettazione difensiva appare corretta .
Risulta, infatti (cfr. p. 5 della sentenza di primo grado), che il decreto dispositivo del giudizio è stato emesso, a carico degli imputati, il 10 ottobre 2018, e il processo è stato riunito a quello in esame solamente 1’8 gennaio 2019; orbene, è del tutto evidente che, nei confronti dei ricorrenti, non può trovare applicazione una causa di sospensione del dibattimento precedentemente verificatasi, in occasione dell’astensione dei difensori dei coimputati dal 4 maggio 2017 al 2 ottobre 2017, quando nemmeno era stato ancora disposto il rinvio a giudizio.
Di conseguenza, non potendosi computare l’indicato periodo di sospensione, il reato di cui al capo C) si è prescritto il 6 dicembre 2022, prima della pronuncia della sentenza impugnata.
17. Il primo motivo è manifestamente infondato.
17.1. Invero, va ribadito che, nella vicenda in esame, stante la chiara connessione di procedimenti – circostanza non contestata da alcuno dei ricorrenti – il reato più grave, che determina la competenza territoriale ex art. 16 cod. proc. pen., è certamente il delitto associativo di cui al capo A), essendo il massimo edittale (pari a sette anni per la contestata ipotesi di cui all’art. 416, comma 1, cod. pen.) più grave di quello di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 (che, all’epoca dei fatti, comminava, nel massimo, la pena di sei anni di reclusione).
Ciò posto, per consolidata giurisprudenza, in tema di reati associativi, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio, assumendo rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il pactum sceleris, quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l’operatività della struttura (Sez. 6, n. 4118 del 10/01/2018, Piccolo, Rv. 272185; Sez. 2, n. 50338 del 03/12/2015, COGNOME, Rv. 265282; Sez. 2, n. 23211 del 09/04/2014, COGNOME, Rv. 259653).
17.2. Orbene, nel caso di specie la Corte ha rigettato la prospettazione difensiva, qui riproposta, evidenziando – sulla scorta della deposizione del consulente prof. COGNOME NOME (cfr. pag. 53 della sentenza di primo grado) – che la sede sociale della società RAGIONE_SOCIALE era sì in Ravanusa e che, come emerge
dalla visura storica camerale, dal 1 settembre 2003 al 20 luglio 2007 la società aveva avuto un’unità locale adibita a deposito di materiali ferrosi in Carate Brianza; nondimeno, gli accertamenti svolti (cfr. p. 13 della sentenza di primo grado), hanno escluso in questi luoghi (ed in altri, quali Desio, Lissone o Torino – cfr. deposizione M.Ilo COGNOME) la presenza di qualsiasi struttura adibit all’attività dichiarata da RAGIONE_SOCIALE
Come rilevato dalla Corte di merito, la rilevanza della sede legale in Ravanusa della società RAGIONE_SOCIALE (la più risalente delle società cartiere del “RAGIONE_SOCIALE“) e degli altri luoghi richiamati dalla difesa rimane circoscritta al mero piano formale-descrittivo, per la dirimente ragione che tale società, pur formalmente avente sede in Ravanusa, non aveva alcuna operatività né in territorio siciliano, né in altri luoghi, come confermato anche dal fatto che non era mai stata concessa la richiesta di autorizzazione allo svolgimento dell’attività commerciale presso Carate Brianza.
Di conseguenza, accertata la inesistenza operativa della RAGIONE_SOCIALE, società esistente solo sulla carta, la Corte di merito, con una valutazione di fatto non manifestamente illogica, ha individuato nella società RAGIONE_SOCIALE – avente sede legale in Milano e sede operativa a Gessate – il fulcro dell’attivit dell’associazione, perché, attraverso di essa, essendo parzialmente operativa, venivano gestite le altre società cartiere del gruppo e presso la sede della medesima si è concretamente manifestato il sodalizio criminoso e realizzata l’operatività della specifica compagine associativa.
Si osserva, peraltro, che dalla semplice lettura del capo A) emerge come l’associazione si sia servita, per il conseguimento delle proprie finalità criminal sia società totalmente fittizie, le cd. “cartiere”, tra cui la RAGIONE_SOCIALE (che, peraltro preceduta da altre società, quali la RAGIONE_SOCIALE , la RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE), sia di società parzialmente operative, la prima delle quali è stata, appunto, la RAGIONE_SOCIALE
18. Il secondo e il terzo motivo – che possono essere congiuntamente trattati essendo collegati, contestando entrambi, sotto profili concorrenti, l sussistenza del (residuo) delitto di cui al capo D), ossia l’indicazione nell dichiarazione fiscale di false fatture emesse nel 2012 da RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE per un ammontare complessivo di 1.820.643,25 euro – sono inammissibili.
18.1. Nel confermare le valutazioni espressa dalla sentenza di primo grado, la Corte d’appello (p. 123 ss.) ha evidenziato come la falsità, dal punto di vista oggettivo, delle fatture in questione si desume da plurimi e convergenti elementi probatori.
In primo luogo, come per gli altri ricorrenti amministratori – di fatto e/o diritto – delle società che, nelle dichiarazioni fiscali, hanno indicato le fatt oggetto di contestazione, la Corte di merito ha ribadito un punto fermo, ossia che l’emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) è stata definitivamente accertata dalla sentenza della Corte di appello di Milano del 25 settembre 2017 emessa nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME in relazione ai reati fine dell’associazione (art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000) per gli anni dal 2010 al 2012; ai fini che qui interessano, i complessivo importo delle fatture false è stato accertato, quanto al 2012, in complessivi 13.413.223,70 euro.
Ad avviso della Corte d’appello, al di là della regolarità formale della documentazione fiscale, come già ritenuto dalla sentenza di primo grado (si veda l’ampia disamina alle p. 276 e ss.) lo schema sotteso alle restituzioni di denaro contante – che muove dall’accredito sui conti correnti delle cartiere della somma oggetto di fatturazione in favore di RAGIONE_SOCIALE, cui segue a distanza di pochi giorn il prelevamento di danaro contante per importi corrispondenti o superiori e che si chiude con l’incontro tra i ricorrenti e gli esponenti del gruppo RAGIONE_SOCIALE per la restituzione del contante – è dimostrato dalla strettissima vicinanza temporale tre i prelievi di contante da parte dei vertici del gruppo RAGIONE_SOCIALE, come risultanti dall’analisi dei conti correnti e dall’attività di osservazione da parte degli operan (in particolare, il 25 luglio 2011 per 430.000 euro, il 26 settembre 2011 per 157.500 euro, il 5 dicembre 2011), e i successivi incontri di NOME COGNOME con i COGNOME, come accertati dal contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate (in particolare, il 26 e 27 luglio, il 26 e 27 settembre 2011, i dicembre 2011), corroborati dall’analisi delle celle telefoniche: elementi analiticamente analizzati alle p. 123 ss. della sentenza impugnata.
18.2. Nel rispondere alle doglianze difensive, la Corte ha ritenuto irrilevante sia la mancanza di annotazioni manoscritte sul retro delle fatture emesse in favore di RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, sia la mancanza di accertamenti sulle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE nel 2012; invero, non è certo implausibile, sul piano logico, la motivazione, laddove ha ritenuto la falsità delle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE nel 2012 incrociando due dati pacificamente accertati: per un verso, l’esistenza di un sistema collaudato di retrocessione del denaro, accertato a tutto il dicembre 2011, desunto, come detto, dalla strettissima vicinanza temporale tra i prelievi e gli incontri, precedenti dai contatti telefonici, tra NOME COGNOME ed entrambi i COGNOME; per altro verso, l’acclarata natura di cartiera della RAGIONE_SOCIALE, quale non era nelle condizioni di fornire il materiale indicato nelle fatture emesse nel 2012, per un valore complessivo di ben 1.820.643,25 euro, e considerando che, come anticipato, è stato definitivamente accertato che detta società, quanto
al 2012, ha emesso fatture per operazioni oggettivamente inesistenti per un ammontare complessivo di 13.413.223,70 euro.
18.3. Del tutto irrilevante, infine, è l’argomentazione secondo cui, nella specie, le operazioni in esame sarebbero indifferenti rispetto all’i.v.a. in quanto soggette al regime del reverse charge ai sensi dell’art. 74, commi 7 e 8, d.P.R. n. 633 del 1973, per la dirimente ragione che, come si è già esposto, oggetto di contestazione, è l’evasione delle imposte dirette, come pacificamente risulta dai capi di imputazioni.
Il quarto motivo, che contesta la qualifica di amministratore di fatto della società in caso a NOME COGNOME e, in ogni caso, la sussistenza del dolo, è inammissibile perché fattuale.
La Corte di merito, con un apprezzamento di fatto non manifestamente illogica (p. 128 ss.), ha escluso che NOME COGNOME fosse un “semplice impiegato con mansioni di natura amministrativa e contabile”, atteso che dalle conversazioni intercettate emerge come egli discutesse a pieno titolo con i COGNOME, come provati sono altresì i precedenti rapporti con NOME COGNOME formalmente amministratore della società RAGIONE_SOCIALE
La Corte di merito, in uno con la sentenza di primo grado, ha perciò ritenuto che l’imputato non svolgesse un’attività impiegatizia di natura esclusivamente amministrativa, posto che NOME COGNOME, al pari del fratello e in sua sostituzione, pur in assenza di formale procura, ha svolto attività gestoria della società partecipando ai contatti con fornitori e clienti, come, ad esempio, in occasione della retrocessione di denaro del 25 luglio 2011.
Ancora, la Corte d’appello ha indicato la conversazione del 24 ottobre 2011, in cui è NOME COGNOME NOME a chiedere a NOME COGNOME informazioni relative ad un carico da consegnare presso l’acciaieria Beltrame, domandando, in particolare, “che nome devo mettere”, espressione che, in maniera certamente non implausibile sul piano logico, la Corte di merito ha ritenuto chiaramente indicativa del dolo, disvelando tale domanda la piena consapevolezza, da parte del COGNOME, della copertura meramente cartolare di accompagnamento della merce, proprio perché egli si informa di quale sia la società che formalmente emetterà la documentazione di accompagnamento del carico, a prescindere, quindi, dall’effettiva provenienza dello stesso, consapevolezza tanto più evidente se si considera – come sottolineato dalla Corte territoriale – la funzione eminentemente amministrativa e contabile che lo stesso ricorrente rivendica.
20. Il sesto motivo è assorbito dall’accoglimento del quinto motivo.
Invero, pur in assenza di una chiara presa di posizione da parte della Corte di merito laddove – stante la dichiarazione di prescrizione del reato di cui al capo B), ritenuto dal primo giudice quale reato più grave – ha rideterminato la pena per i residui reati di cui ai capi C) e D) (cfr. p. 129 della sentenza impugnata), deve ritenersi più grave il reato di cui al capo C), qui dichiarato prescritto perché maggiore è l’importo indicato nelle fatture per operazioni inesistenti.
Ne segue che, con riferimento al residuo reato (già “satellite) di cui al capo D), la Corte di merito, in sede di rinvio, dovrà rideterminare il trattamento sanzionatorio a carico degli imputati, fermo restando, quanto al solo NOME COGNOME, l’applicazione delle già riconosciute circostanze attenuanti generiche nella misura che sarà stabilita dalla Corte di merito, posto che, quanto ad NOME COGNOME, le medesime circostanze sono state escluse con una valutazione di fatto non manifestamente illogica – e quindi non censurabile in questa sede di legittimità – avendo la Corte d’appello individuato, quale elementi ostativi, sia l’assenza di incensuratezza, sia il ruolo preminente ricoperto dal ricorrente in seno alla società; il punto, pertanto, è coperto dal giudicato ed evidentemente tale questione non è più deducibile in sede di rinvio.
21. In conclusione, ribadito che, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa l possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, COGNOME, Rv. 268966), la sentenza impugnata deve essere annullata, nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, limitatamente al reato di cui al capo C) perché estinto per prescrizione con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano in ordine al trattamento sanzionatorio e alla confisca, il cui ammontare, implicando valutazioni di merito, anche alla luce degli elementi di novità dedotti con i motivi aggiunti, non può essere determinato in sede di legittimità, rientrando tale compito in quello del giudice di rinvio anche in relazione agli eventuali riflessi derivanti dal dedotto pagamento mediante definizione agevolata.
22. Quanto ai ricorsi proposti da NOME Chen e da COGNOME, esaminabili congiuntamente essendo per larga parte sovrapponibili, appare fondato un profilo attinente alla confisca dedotto con il sesto motivo del ricorso di NOME
Chen e, quanto ai restanti motivi, essi non sono, nel complesso, manifestamente infondati, di talché, instaurandosi un valido rapporto di impugnazione, deve dichiararsi la prescrizione del reato loro contestato al capo C) con riferimento all’anno di imposta 2011, maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L., Rv. 217266).
23. I motivi con cui si contesta l’affermazione, in relazione a plurimi motivi, la penale responsabilità – ossia i primi tre motivi di NOME Chen e i primi quattro motivi e il sesto per COGNOME, ripreso dal primo dei motivi aggiunti – sono, come si dirà, alcuni inammissibili, laddove non individuano profili di illogicità manifesta della motivazione, ma contestano la valutazione delle prove operata, in maniera convergente, dai giudici di merito, altri – in particolare, quelli ch pongono questioni di carattere processuale – infondati.
23.1. Nel richiamare l’ampia analisi svolta dal primo giudice (in particolare p. 185-196 della sentenza di primo grado), la Corte di merito (p. 93 ss.) ha evidenziato, in primo luogo, la piena utilizzabilità, ai fini probatori, delle sentenz irrevocabili aventi ad oggetto il reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 20 emesse a carico dei vertici delle società del gruppo Vivacqua, ovviamente nei limiti segnati dall’art. 238-bis cod. proc. pen., in ciò facendo corretta applicazione del principio secondo cui la sentenza definitiva resa in altro procedimento penale, acquisita ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., può essere utilizzata non soltanto in relazione al fatto storico dell’intervenuta condanna o assoluzione ma anche ai fini della prova dei fatti in essa accertati, ferma restando l’autonomia del giudice di valutarne i contenuti unitamente agli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio, in rapporto all’imputazione sulla quale è chiamato a pronunciarsi (Sez. 2, n. 52589 del 06/07/2018, Bruno, Rv. 275517).
23.2. E difatti la Corte di merito, nel confutare le obiezione difensive, qui riproposte (primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, sesto motivo di NOME COGNOME), non ha fondato l’affermazione delle penale responsabilità – in questo, come negli altri casi – unicamente sulla base delle precedenti sentenze irrevocabili di condanna emesse a carico dei soggetti responsabili – di fatto e/o di diritto – delle società emittenti le fatture, ma ha puntualmente indicato ulteriori elementi di prova, acquisiti nel processo in esame, quali la deposizione del m.11o NOME COGNOME il quale ha dettagliatamente riferito in ordine al meccanismo di funzionamento della struttura criminale creata dalla famiglia COGNOME, che si serviva di società commercianti nel mercato dei rottami, alcune parzialmente operanti (come RAGIONE_SOCIALE, altre mere “cartiere” (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), nonché le indagini specificamente condotte sulla
documentazione sequestrata presso la RAGIONE_SOCIALE, compendiate nel verbale di constatazione del 26 febbraio 2014, da cui, tra l’altro, si evince che RAGIONE_SOCIALE di cui NOME COGNOME era il legale rappresentante – fosse una delle maggiori utilizzatrici delle fatture per operazioni inesistenti emesse dalle società cartiere (fatture per complessivi 807.024,20 euro emesse nel 2011 da LV COGNOME (p. 17 della sentenza di primo grado), ivi comprese -secondo il primo Giudice (p. 186) RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (già Full Metal).
Da questi elementi di fatto – ossia la accertata la parziale reale operatività della sola RAGIONE_SOCIALE e la inoperatività reale, dunque la qualità di mere cartiere, delle rimanenti società del gruppo RAGIONE_SOCIALE – la Corte di merito ha logicamente desunto la fittizietà oggettiva delle prestazioni indicate in fattura, pure i assenza di accertamenti contabili e della prova diretta della retrocessione del denaro, con ciò confutando il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME
23.3. Oltre a ciò, la Corte di merito ha valorizzato – come per la posizione di altri ricorrenti – le annotazioni rinvenute sul retro di alcune fatture.
Nel misurarsi con l’obiezione difensiva, volta ad evidenziare la mancata corrispondenza degli importi oggetto dei bonifici effettuati da I.D.I. con gli importi prelevati, di gran lunga superiori ai primi, la Corte d’appello ha spiegato, in maniera non certo implausibile sul piano logico, che gli appunti manoscritti rinvenuti dalla Guardia di Finanza, ivi compresi quelli relativi alla posizione di NOME COGNOME e NOME COGNOME manifestano che i prelevamenti erano preordinati a realizzare la restituzione del denaro a più società clienti, non ad una sola, sicché ogni prelevamento comprendeva evidentemente sia la parte di denaro da restituire alle varie società clienti, sia la remunerazione del servizio illecito res dalle cartiere emittenti, sicché la mancata corrispondenza degli importi avvalora, anziché indebolire, l’ipotesi accusatoria.
23.4. Del resto, come rilevato dalla Corte di merito, le complesse indagini dettagliatamente ricostruite dal primo giudice (p. 187-194 della sentenza di primo grado) hanno mostrato con evidenza un’apprezzabile ripetizione della medesima sequenza – ossia: bonifico, prelievo in pari data o a distanza di pochi giorni, telefonata preordinata all’incontro per la restituzione -, sequenza rinvenibile anche con riferimento ai ricorrenti. E ciò, quindi, a differenza di quanto opinato da NOME COGNOME con il quarto motivo, a conferma della fittizietà oggettiva delle prestazioni indicate in fattura.
23.5. Si osserva, inoltre, che il secondo motivo di COGNOME che lamenta la nullità della sentenza per l’omessa valutazione della memoria difensiva ex art. 121 cod. proc. pen. presentata il 21 ottobre 2022, è aspecifico, in quanto non spiega come le intercettazioni in essa indicate avrebbero inciso,
scardinandola, sulla tenuta logica della motivazione della sentenza impugnata (cfr. Sez. 3, n. 36688 del 06/06/2019, COGNOME, Rv. 277667).
24. Venendo ora al primo per Sheng Cheng, si osserva, in primo luogo, che la sentenza non risulta affatto nulla perché – come dedotto con la prima parte del primo motivo, da ritenersi infondato – nel capo imputazione non è contestato l’art. 110 cod. pen., pur avendo la Corte di merito ravvisato una responsabilità concorsuale.
Invero, rammentato che, in tema di contestazione dell’accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all’indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la mancata individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità salvo che non si traduca in una compressione dell’esercizio del diritto di difesa (Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258920), nel caso in esame è puntualmente descritta sia la qualifica ascritta a ciascun imputato, tra cui anche NOME COGNOME quale “responsabile acquisti” della RAGIONE_SOCIALE, sia la condotta, con l’indicazione delle fatture emesse per ciascuna annualità, delle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE
L’imputato, pertanto, è stato messo nelle condizioni di comprendere il fatto a lui addebitato e, conseguentemente, di difendersi; in ogni caso, sul punto il motivo è generico, non indicando come la mancata enunciazione dell’art. 110 cod. pen. si sia tradotta in una compressione del diritto di difesa.
25. Quanto al terzo motivo per COGNOME, ripreso dal secondo motivo aggiunto, che contesta la partecipazione del ricorrente e, in ogni caso, la sussistenza del dolo, lo stesso è inammissibile perché deduce una rivalutazione del compendio probatorio.
Al proposito, la Corte di merito ha rilevato come fosse proprio NOME COGNOME detto NOME, l’unico soggetto che, per conto dalla RAGIONE_SOCIALE, teneva i contatt con NOME COGNOME, evidenziando come le conversazioni telefoniche captate appaiono molto serrate e rapide, nonché prive di contenuti comunicativi di reale significato, se non quello di sottintendere accordi già perfezionati, di cui evidentemente l’imputato era a conoscenza, con ciò, quindi, rappresentandosi la fittizietà delle fatture e, quindi, essendo consapevole della finalità di evasione perseguita dal legale rappresentante della società.
Deve infatti rammentarsi che, nel caso di concorso di persone in un reato a dolo specifico, risponde ex art. 110 cod. pen. anche il soggetto che apporti un contributo che non sia soggettivamente animato dalla particolare finalità richiesta dalla norma incriminatrice, a condizione che almeno uno degli altri
concorrenti agisca con tale intenzione e che della stessa il primo sia consapevole (Sez. 2, n. 38277 del 07/06/2019, COGNOME, Rv. 276954-03), situazione, come detto, che i guidici di merito hanno accertato nel caso in esame.
26. Il quinto motivo per Sheng Cheng è inammissibile perché generico.
Invero, laddove, a fronte di una declaratoria di prescrizione del delitto associativo, si invoca l’applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. pen. – peraltro escluso dalla Corte di merito sulla base dei frequenti contatti con il COGNOME, utilizzando un linguaggio criptico -, il motivo non indica alcun elemento che offra l’incontestabile e immediata evidenza (nel senso, come detto, della sua “constatazione” e non del suo “apprezzamento”) dell’innocenza.
Il motivo, comune ai ricorrenti, con cui si contesta la violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. (terzo motivo per NOME COGNOME settimo motivo per COGNOME e ripreso dal quinto motivo aggiunto), è infondato.
Invero, il capo di imputazione è effettivamente equivoco; da una parte, quanto alla descrizione del fatto, esso recita: “nei periodi di imposta dal 2007 al 2012, indicavano nelle dichiarazioni annuali relative a dette imposte i seguenti elementi passivi fittizi: (…) nell’anno 2012 complessivi euro 738.188,30 (per fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE“; dall’altra, con riferimento alla data del commesso reato, si esprime in questi termini: “In Milano il (…) il 21/12/2012”.
Orbene, è del tutto evidente che l’anno di imposta è stato contestato in relazione al 2012, laddove, però, la data di consumazione del reato coincide con la data di presentazione della dichiarazione, che avviene nell’anno successivo, data che si ricava dalla legge e che, quindi, è certamente conoscibile.
28. Prima di esaminare i residui motivi relativi al trattamento sanzionatorio e alla confisca, come anticipato deve rilevarsi che, pur tenendo conto dei periodi di sospensione, pari a complessivi 221 giorni (dal 5 luglio al 2 ottobre 2017, per 151 giorni, e dal 24 al 31 ottobre 2019, per 7 giorni, in entrambi i casi per adesione dei difensori all’astensione dalle udienze, cui si aggiungono ulteriori 64 giorni a seguito dell’emergenza pandemica, prevista dall’art. 83, comma 4, del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 – cfr. Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, dep. 10/02/2021, COGNOME, Rv. 280432-02), si osserva che il reato risulta prescritto rispetto all’anno di imposta 2011.
Per l’effetto, residua unicamente la penale responsabilità di entrambi gli imputati con riguardo alla sola annualità di imposta 2012, ciò che comporta
l’assorbimento del quarto motivo per NOME COGNOME che deduce il vizio di motivazione quanto alla determinazione della pena a titolo di continuazione.
29. Il quinto motivo per NOME e il terzo motivo aggiunto per COGNOME con cui si lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sono manifestamente infondati.
Invero, la Corte di merito, con un apprezzamento fattuale non manifestamente illogico, ha evidenziato l’assenza di elementi valorizzabile a tale scopo; a fronte di tale motivazione i ricorrenti deducono un’asserita disparità di trattamento rispetto ad altri coimputati, censura che appare manifestamente infondata, posto che, nel giudizio di cassazione, il diverso trattamento sanzionatorio riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento di situazione prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (da ultimo, Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282839).
Orbene, rilevato che gli imputati evocati dalle difesa nemmeno sono chiamati a rispondere dei medesimi reati ascritti ai ricorrenti, in ogni caso non sono stati evidenziati profili di illogicità manifesta, tale da rendere ingiustificato diverso trattamento riservato, appunto, ad altri coimputati condannati per altri e differenti reati.
30. In relazione alle censure aventi a oggetto la confisca, si osserva quanto segue.
30.1. Va rilevato, in primo luogo, la legittimità del provvedimento ablativo, in forza dell’art. 1, comma 143, I. 24 dicembre 2007, n. 244, secondo cui «nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale», il quale stabilisce che «in caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale (…) è sempre ordinata la condisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reato ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto».
L’art. 1, comma 143, I. 24 dicembre 2007, n. 244 è stato successivamente abrogato dall’art. 14 d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che, tuttavia, ha contestualmente introdotto, nel corpo del d.lgs. n. 74 del 2000, l’art. 12-bis, a tenore del quale la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di uno
dei delitti previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, deve essere sempre disposta nel caso di condanna o di sentenza di applicazione concordata della pena.
Come costantemente predicato da questa Corte, tra le due disposizioni appena indicate vi è continuità normativa (Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016 dep. 28/11/2016, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 268386; Sez. 3, n. 35226 del 16/06/2016 – dep. 22/08/2016, COGNOME, Rv. 267764), ciò che legittima la statuizione della confisca, con conseguente inammissibilità, per manifesta infondatezza, del sesto motivo per COGNOME
30.2. E’ invece fondato il sesto motivo di NOME COGNOME nella parte in cui censura la motivazione in ordine alla impossibilità di eseguire la confisca diretta nei confronti della società.
Invero, la spiegazione offerta della Corte di merito è tautologica – e quindi del tutto apparente -, essendosi limitata ad affermare che la confisca per equivalente “può essere disposta solo ove la confisca diretta sia impossibile, colpendo i beni nella disponibilità della persona fisica che effettivamente ha commesso il reato a vantaggio – concretizzato, nel caso di specie, in un risparmio tributario – dell’ente, trovandosi in posizione apicale nella struttura societaria” (p 96). Sebbene investita da uno specifico motivo di appello, la Corte di merito non ha spiegato perché, nella specie, non sia possibile eseguite la confisca diretta nei confronti della società.
Sul punto, pertanto, si impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano per nuovo esame, la quale – ove riterrà sussistenti i presupposti per disporre la confisca per equivalente dovrà poi precedere alla rideterminazione dell’ammontare della confisca medesima – contestata con il settimo motivo per NOME COGNOME e con il quarto motivo aggiunto per COGNOME – relativamente all’annualità di imposta 2012.
Per concludere in ordine alle posizioni qui in esame, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME e NOME relativamente al reato di cui all’anno di imposta 2011 perché estinto per prescrizione e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano in ordine al trattamento sanzionatorio e alla confisca.
32. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
I primi tre motivi, esaminabili congiuntamente essendo collegati, sono inammissibili.
Come rilevato dalla Corte di merito (p. 87 ss.), anche in tal caso il punto di partenza è l’accertato ruolo di mere cartiere delle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE
emittenti le fatture (nel caso qui in esame, la LV Rottami per 918.214,60 euro e la Fui Metal per 312.881 euro nell’anno di imposta 2011), come acclarato sia dalle sentenze definitive di condanna emesse dalla Corte di Appello in data 19 settembre 2013 a carico di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per il delitto ex art. 416 cod. pen., in data 16 maggio 2015 nei confronti di NOME COGNOME in sede di rinvio, che ha confermato il ruolo di promotore del sodalizio criminoso, e in data 25 settembre 2017 emessa nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per i delitti scopo dell’associazione, ossia l’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 i relazione alle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE negli anni 2010 e 2011 e da RAGIONE_SOCIALE – già RAGIONE_SOCIALE – negli anni 2011 e 2012; sia dalle testimonianze degli operanti della Guardia di Finanza nonché del consulente dott. COGNOME (analiticamente esposta da pag. 75 a 85 della sentenza di primo grado), il quale ha evidenziato: 1) la rilevantissima sproporzione tra gli acquisti e le vendite di rottame ferroso emergente da tutte le fatture emesse dalle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE; 2) l’entità contenuta degli acquisti di rottame ferroso, pari ad una percentuale variabile dall’I.% al 3% rispetto all’importo delle vendite, e dei relativi pagamenti, pari allo 0,5% rispetto a quello che emergeva essere rivenduto, acquisti peraltro riferiti quasi tutti alla RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE; l’anomala gestione delle somme percepite dalle società clienti, incassate tramite bonifici bancari e immediatamente prelevate.
Oltre a ciò, la Corte di merito, con specifico riferimento alla posizione di COGNOME, ha ritenuto provata la retrocessione del contante, previo trattenimento, quanto meno, da parte del COGNOME, del compenso stabilito per il servizio di falsa fatturazione, sulla base delle lettura congiunta di elementi di prova inconfutabili, ossia: gli accrediti eseguiti dalla COGNOME NOME a titolo di pagamento delle fatture emesse e gli immediati prelievi eseguiti il giorno successivo da esponenti del gruppo COGNOME; il contenuto delle telefonate finalizzate a imminenti incontri (avvenuti nei giorni 3 e 30 giugno, 1, 4, 5, 6 e 8 luglio, 8, 12, 13, 14 e 27 settembre tra Bresciani e COGNOME NOME); gli appunti manoscritti rinvenuti sul retro di numerose fatture emesse da LV COGNOME, contenenti i conteggi dell’importo trattenuto dalla cartiera e della somma oggetto di restituzione (analiticamente analizzati alle p. 101 della sentenza impugnata), nonché l’appunto cumulativo riferito ad una pluralità di società clienti e voci recante, dopo il computo delle somme spettanti alla società RAGIONE_SOCIALE per euro 188.610,55, l’espressa indicazione “10.000 per Bresciani”,
Questo solidissimo quadro probatorio non è logicamente scalfito dalla mancata corrispondenza tra le somme versate da COGNOME e i maggiori importi prelevati dai conti della LV COGNOME – argomentazione nuovamente proposta in
t
questa sede – posto che, come ritenuto dalla Corte di merito con una valutazione di fatto che non presta il fianco a censure di sorta, gli appunti cumulativi relati a conteggi riguardanti più società clienti e le dichiarazioni di NOME COGNOME, riportate a p. 102 della sentenza impugnata, evidenziano che il denaro complessivamente prelevato veniva consegnato a NOME COGNOME che procedeva alle ripartizioni e restituzioni alle società clienti, tranne in rare occasioni.
Del resto, come evidenziato dalla Corte di appello, la sistematicità del modus operandi il consulente COGNOME ha stimato in 456 milioni di euro gli incassi complessivi – e l’elevatissimo numero di fatture fittizie emesse in favore delle innumerevoli società clienti spiega coerentemente la divergenza tra le somme versate da COGNOME e i maggiori importi prelevati dai conti della LV COGNOME.
Al cospetto di tale motivazione, il ricorrente insinua una lettura alternativa dei dati probatori, che, evidentemente, non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
34. Il quarto motivo è inammissibile.
La Corte di merito, con un apprezzamento fattuale non manifestamente illogico, non ha ravvisato la sussistenza di alcun elemento positivamente valutabile ex art. 62-bis cod. pen., neppure allegato dal ricorrente, tale non essendo l’asserita effettività di rapporti commerciali reciproci tra la ditta RAGIONE_SOCIALE e il gruppo RAGIONE_SOCIALE
35. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
36. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Come si è già esposto in relazione alla posizione di altri ricorrenti, la contestazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 si fonda sulla annotazione nelle dichiarazioni fiscali di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, in quanto, come detto, anche nei rari casi in cui vi era una consegna effettiva di merce, l’importo indicato in fattura era comprensivo dell’aggio, ossia il prezzo del reato corrisposto alle società del gruppo Vivacqua per l’emissione delle fatture fittizie.
Deve ribadirsi, il principio, già sopra richiamato, secondo cui il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche nel caso dì sovrafatturazione qualitativa, ossia quando quale la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti, in quanto oggetto di repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale (Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278378).
Nel caso in esame, come si è più volte ricordato, anche nelle sporadiche occasioni in cui vi fu una consegna della merce, il prezzo indicato nella fattura non corrispondeva mai a quello del valore della merce medesima, perché inglobava anche l’aggio, ossia il prezzo del reato; di talché, anche in casi del genere, trattandosi di operazioni in parte inesistenti, è pienamente integrato il delitto ex art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000.
37. Il secondo motivo è inammissibile.
La Corte di appello, invero, ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, in considerazione della proposta di conciliazione avanzata da COGNOME nel corso del giudizio avanti alla Commissione Tributaria Regionale, conclusosi per l’annualità di imposta 2011, qui di interesse – con sentenza n. 25/2015, ritenendo la pena base, individuata in due anni e sei mesi di reclusione – e quindi in misura di poco superiore al minimo edittale – insuscettibile di riduzione, in considerazione della rilevante entità delle imposte evase, pur a fronte della rideterminazione del debito erariale operata dalle Commissioni tributarie territoriali, e la solida organizzazione e sistematicità delle operazioni attravers le quali il programma criminoso è stato realizzato.
Si tratta di una valutazione che certamente non può dirsi né arbitraria, né manifestamente illogica, e che, quindi, supera il vaglio di legittimità.
38. Il terzo motivo è inammissibile.
Si osserva, infatti, che diversamente da quanto opinato dal ricorrente, l’importo della confisca per equivalente è stato ridotto a 1.106.035 euro, pari all’ammontare dell’imposta evasa ai fini delle imposte dirette come rideterminata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano con l’indicata sentenza n. 25 del 24 novembre 2015; è del tutto evidente che l’ammontare dell’imposta evasa rappresenta il profitto del reato, il quale è oggetto di confisca obbligatoria forza dell’art. 1, comma 143, I. 24 dicembre 2007, n. 244.
39. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
40. La Corte di merito, in primo luogo (p. 105 ss), ha ribadito il ruolo di mere cartiere delle società che, nel corso del 2011, hanno emesso false fatture nei confronti della NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE – di cui il ricorrente era il leg rappresentante – per un ammontare complessivo di 3.171.300,10 di euro ossia la LV RAGIONE_SOCIALE per euro 1.236.612,00 e la RAGIONE_SOCIALE per euro 1.900.840,90 -, società i cui amministratori sono stati definitivamente condannati per il delitt
ex art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, e nei cui confronti sono state accertate plurime anomalie relative sia alle fatture emesse in favore di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE (alcune delle quali – con riferimento a quelle emesse da RAGIONE_SOCIALE – riportavano una numerazione non progressiva o doppia in quanto corrispondente a quella di fatture emesse nei confronti di altri clienti), sia alle movimentazioni bancarie ossia prelievi in contanti immediatamente successivi all’accredito dei bonifici, nonché all’assenza di uscite attestanti l’avvenuto pagamento delle fatture di acquisto della merce poi rivenduta.
Oltre a ciò, la Corte ha indicato ulteriori elementi che corroborano l’inesistenza oggettiva delle vendite indicate nelle fatture, vale a dire: 1) durant la verifica fiscale effettuata presso la Francesca RAGIONE_SOCIALE sono stati accertat sia l’inserimento nelle dichiarazioni delle fatture di cui all’imputazione, s cessioni in nero di materiale ferroso a diverse società del gruppo RAGIONE_SOCIALE; 2) i rapporti tra Vitali e il gruppo RAGIONE_SOCIALE risalgono quanto meno al 2008; 3) oltre a continui e plurimi contatti telefonici tra COGNOME e appartenenti alla famig COGNOME, vi era contestualità tra i bonifici effettuati da NOME COGNOME e i prelievi in contanti, cui seguivano accordi per un incontro tra i protagonisti (come dettagliatamente esposti alle p. 223 e ss. della sentenza di primo grado, richiamate per relationem dalla Corte di merito); 4) sul retro delle fatture emesse da LV COGNOME nei confronti di NOME COGNOME vi erano appunti manoscritti che ricalcano il consueto schema del computo del compenso della cartiera e, per differenza, della somma da restituire alla società cliente.
Quanto alla sussistenza del dolo, la Corte lo ha desunto dalla consolidata e intensa frequentazione del ricorrente con gli esponenti del gruppo RAGIONE_SOCIALE e con le loro società cartiere, il che è stato ritenuto indicativo, in maniera no implausibile sul piano logico, della piena consapevolezza del programma criminoso finalizzato all’evasione delle imposte, del resto non spiegandosi altrimenti l’indicazione nella dichiarazione annuale di un importo pari ad oltre tre milioni di euro per effetto dell’utilizzo di fatture che il ricorrente ben sape riferirsi, quantomeno per larghissima parte, ad operazioni inesistenti.
A fronte di tale motivazione, che certamente non può dirsi manifestamente illogica, il ricorrente oppone argomentazioni strutturate in fatto, implicando una diversa valutazione delle prove, il che esula dai casi tassativamente previsti dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen.
Il ricorso presentato da NOME COGNOME è inammissibile.
Il primo motivo è inammissibile.
Richiamate le considerazioni dinanzi indicate nella trattazione del motivo sull’incompetenza territoriale sollevato nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME va qui ribadito che l’individuazione di Ravanusa, quale sede legale della società RAGIONE_SOCIALE, quale luogo in cui si è manifestata l’associazione è certamente errato, essendosi appurato che detta società non era operativa né a Ravenusa, né in altri luoghi, in cui apparentemente erano dislocate unità locali; di conseguenza, certamente essa non poteva emettere alcuna fattura.
Pertanto, la acclarata erroneità del luogo di consumazione del reato, che, ad avviso del ricorrente, radicherebbe una diversa competenza territoriale, determina l’inammissibilità del motivo.
43. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Invero, la premessa assunta del ricorrente – ossia l’astratta non configurabilità della partecipazione a un sodalizio criminoso, laddove l’agente persegua, in ipotesi, interesse confliggenti con quelli propri del sodalizio medesimo – non si confronta con l’orientamento, costantemente predicato da questa Corte e qui da ribadire, in forza del quale il delitto di associazione pe delinquere presuppone la realizzazione di un accordo criminoso tendenzialmente permanente o comunque stabile tra i partecipi, finalizzato al compimento di una serie indeterminata di delitti, non essendo di ostacolo alla configurabilità del reato la diversità o la contrapposizione degli scopi personali perseguiti dai componenti, i quali rilevano esclusivamente come motivi a delinquere (Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, P.g. in c. Papini, Rv. 274816-02); in altri termini la diversità di scopo personale non è ostativa alla realizzazione del fine comune, in quanto l’associazione criminosa non è esclusa dalla diversità dell’utile che i singoli partecipi si propongono di ricavare o da un contrasto degli interessi economici di essi (Sez. 2, n. 11957 del 27/01/2023, COGNOME, Rv. 284445-02).
Non è perciò di ostacolo alla configurabilità del delitto associativo la radicale diversità (e finanche la astratta inconciliabilità) degli interessi contrappos perseguiti dai singoli componenti il sodalizio, interessi che rilevano, ai fini del fattispecie associativa, esclusivamente quali motivi a delinquere e che trovano nella struttura organizzativa il mezzo per la composizione e il conseguimento di tali interessi.
Nel caso di specie, colui il quale “vende” fatture per operazioni inesistenti è mosso dal fine di trarre profitto da tale attività, mediante il conseguimento del corrispettivo pagato dall’acquirente per il servizio; questi, a sua volta, è mosso dal medesimo fine di profitto che sarebbe ancor maggiore se potesse evitare di pagare il servizio. Ma non è questa astratta conflittualità di interessi a escludere
la sussistenza del reato associativo se per perseguire i contrapposti interessi viene deliberata la realizzazione di una serie indeterminata di delitti.
Il mezzo perseguito per la realizzazione del fine è comune e trasversale a tutti i componenti; la comune consapevolezza del mezzo utilizzato è assurta dal legislatore a rango dì elemento soggettivo costitutivo del reato che, da questo punto di vista, è neutro e perfettamente compatibile con la diversità degli scopi di ciascuno degradati a mero movente. Non a caso, del resto, questa Corte ha ritenuto possibile la sussistenza di un accordo associativo tra il fornitore e l stabile acquirente di sostanze stupefacenti (Sez. 2, 10468 del 10/02/2016, Ancora, Rv. 266405, Sez. 6, n. 9927 del 05/02/2014, D’Affronto, Rv. 259114; Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012, Cena, Rv. 254225; Sez. 6, n. 1174 del 19/11/2007, Stabile, Rv. 238403).
E proprio in applicazione di tali principi si è ritenuta immune da censura (Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, cit.) la decisione di merito che ha ravvisato il reato associativo tra colui che “vende” fatture per operazioni inesistenti al fine d trarre un profitto consistente nel corrispettivo di tale cessione e colui che l “acquista” per conseguire vantaggi fiscali illeciti: fattispecie del tutto coinciden con quella oggetto di contestazione al capo A).
L’inammissibilità GLYPH del GLYPH secondo GLYPH motivo GLYPH conduce, GLYPH per GLYPH logica consequenzialità, all’inammissibilità del terzo, in quanto viene meno il presupposto logico da cui esso si dipana, ossia l’assoluzione del ricorrente dal delitto associativo.
I successivi tre motivi, con cui si deducono vizi motivazionali circa l’affermazione della penale responsabilità, sono inammissibili perché, nella sostanza, non individuano profili di illogicità manifesta emergenti dalla motivazione, ma criticano la valutazione delle prove, già esaurientemente esaminate in primo e secondo grado con esito conforme, proponendone una diversa e più favorevole lettura, il che, si ribadisce, è precluso nel giudizio legittimità.
45.1. Anche in tal caso, la Corte d’appello (p. 119 e ss.), in primo luogo, ha richiamato i consueti dati di contesto, già ampiamente indicati in relazione alla posizione di altri ricorrenti utilizzatori del medesimo meccanismo fraudolento, ossia le pregresse sentenze di condanna per i vertici delle società del gruppo Vivacqua per i delitti ex artt. 416 cod. pen. e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, l deposizioni degli operanti e del consulente dott. COGNOME che ha evidenziato la rilevantissima sproporzione tra gli acquisti e le vendite di rottame ferroso emergente da tutte le fatture emesse dalle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, l’entità
contenuta degli acquisti di materiale (pari ad una percentuale variabile dall’I.% al 3% rispetto all’importo delle vendite) e dei relativi pagamenti (pari allo 0,5 % rispetto a quello che emergeva essere rivenduto), nonché l’anomala gestione delle somme percepite dalle società clienti, incassate tramite bonifici bancari e immediatamente prelevate.
La Corte di merito, inoltre, ha evidenziato che, nel periodo compreso tra dicembre 2011 e il 12 Aprile 2012 – quando venivano arrestati NOME, NOME e NOME COGNOME – Rottami Padana ha effettuato bonifici per oltre due milioni di euro in favore delle società cartiere del gruppo, e che dalle intercettazioni telefoniche sono risultati una pluralità di incontri programmati fra NOME COGNOME e NOME e NOME COGNOME in contesti temporali corrispondenti con i prelievi di denaro effettuati dai conti correnti delle cartiere, puntualmente indica a p. 120 della sentenza impugnata, prelievi che la Corte di merito, in maniera certamente non manifestamente illogica, ha ritenuto preordinati, in mancanza di coerenti e plausibili alternative spiegazioni, alla restituzione di una parte quanto accreditato con i bonifici effettuati pochi giorni prima da COGNOME.
La Corte ha indicato, inoltre, la conversazione 1874 del 12 luglio 2011, ore 9.46 (riportata a p. 269 della sentenza di primo grado), dalla quale emerge la consapevolezza da parte di COGNOME del meccanismo con cui operavano le società del gruppo RAGIONE_SOCIALE e, in particolare, dell’interposizione di una società cartiera, atteso che lo stesso COGNOME chiede a RAGIONE_SOCIALE NOME quale fra le varie società emittenti sarebbe risultata sulle fatture.
Pur in assenza di servizi di o.c.p. e di altre prove dirette delle retrocessioni con una valutazione di fatto che non appare inficiate da profili di illogici manifesta, la Corte ha ribadito la penale responsabilità di COGNOME sulla base di plurimi e convergenti elementi, ossia: la provenienza delle fatture da società cartiere prive di strutture per una effettiva operatività (o comunque per una operatività congruente rispetto al volume d’affari risultante dalle movimentazioni di denaro e soprattutto dagli importi delle fatture emesse); il contenuto delle intercettazioni telefoniche che attestano i rapporti , pluriennali, fra il ricorrent i COGNOME; la sistematica monetizzazione da parte delle cartiere dei corrispettivi ricevuti.
Come per altri ricorrenti, la Corte ha ritenuto non dirimente né la circostanza che non sempre vi fosse perfetta concomitanza temporale tra i prelievi e gli incontri e che non in tutti i casi vi fosse coincidenza tra gli importi prelevat quelli oggetto dei bonifici, in quanto i consolidati rapporti permettevano di convogliare in poche operazioni di restituzione quanto pattuito per più operazioni truffaldine; né il fatto che alcuni prelievi o la loro somma fosse superiore ai bonifici, posto che i Vivacqua utilizzavano i medesimi meccanismi con più
operatori del settore compiacenti, sicché taluni prelievi servivano quale provvista per regolare gli affari con più di uno di essi e non fossero destinati a sistemare una singola operazione.
46. Il settimo motivo è inammissibile.
Anche seguendo la prospettazione difensiva, secondo cui, con riferimento all’annualità 2011, il reato si è prescritto il 5 maggio 2023, si osserva che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. L, Rv. 217266), come, appunto, nel caso di specie.
47. I ricorsi congiuntamente proposti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME sono inammissibili.
48. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Invero, l’argomentazione difensiva, secondo cui secondo cui l’A.g. territorialmente competente sarebbe da individuarsi in quella di Bergamo, nel cui circondario ha sede la RAGIONE_SOCIALE società amministrata dai ricorrenti, è manifestamente infondata, in quanto non si confronta con un dato dirimente, in precedenza già evidenziato, ossia che, nella specie, il delitto più grave – che quindi determinata la competenza per territorio – è quello associativo.
49. Il secondo motivo è inammissibile.
Nel misurarsi criticamente con le doglianze difensive, tese a valorizzare la mancanza di appunti manoscritti riguardanti la società RAGIONE_SOCIALE sul retro delle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE e l’effettività delle operazioni d acquisto documentate nelle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), la Corte di merito (p. 106 ss.) ha opposto, in pri luogo, la natura di mere “cartiere” delle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, come definitivamente accertata in sede penale e confermato dal consulente dott. COGNOME di cui si è dato più volte conto.
La Corte territoriale ha evidenziato come il collaudato e consueto meccanismo fraudolento, ampiamente descritto – ossia emissione della falsa fattura, pagamento dell’importo ivi indicato mediante bonifico bancario, immediato prelievo di denaro contante seguito da accordi per incontrarsi e realizzare la restituzione da parte dei Vivacqua del contante previo
trattenimento, quanto meno, del compenso per il servizio di “cartiera” – trova piena corrispondenza nelle conversazioni telefoniche intrattenute dai ricorrenti con NOME e NOME COGNOME (emblematica la n. 7191 dell’8 settembre 2011, ore 11.50, riportata a p. 231 della sentenza di primo grado), nelle movimentazioni dei conti correnti della società RAGIONE_SOCIALE e nel servizio di osservazione, pedinamento e controllo realizzato dagli operanti della Guardia di Finanza in data 8 settembre 2011 (analiticamente descritto a p. 228 della sentenza di primo grado, richiamata per relationem).
Allo stesso modo, nel confrontarsi con le asserite anomalie, sotto il profilo documentale, spaziale e cronologico delle restituzioni, evidenziate dal ricorrente, la Corte di merito, in maniera logicamente persuasiva, ha replicato : 1) che la commistione e reciproca intercambiabilità delle società cartiere del gruppo RAGIONE_SOCIALE e i pregressi rapporti tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (risalenti al 2010) non rende affatto anomala l’emissione delle false fatture da parte di RAGIONE_SOCIALE e l’utilizzo del conto corrente di RAGIONE_SOCIALE per effettuare il prelievo; circostanza che l’incontro per la restituzione sia avvenuto a Torino anziché a Monza o in altra località più vicina alla sede della società dei ricorrenti non incid sulle reali finalità di quell’incontro, stante la accertata sproporzione tra cost volumi di vendite della società emittente e la mancanza di una struttura aziendale coerente al fatturato, come riferito dal m.11o COGNOME; 3) che ininfluente è la distanza temporale (peraltro di poche settimane e, per di più, durante il periodo estivo) tra l’emissione delle fatture false di Ful Metal (n. 47 d 25 luglio 2011 per euro 63.101,20 e n. 52 del 28 luglio per euro 20.593,30) e l’incontro per la restituzione dell’importo oggetto di accredito, poiché tal incontro tra COGNOME NOME e COGNOME NOME è avvenuto 18 settembre: il giorno stesso del prelevamento della somma di 160.000 euro, in conformità al modus operandi adottato dal gruppo RAGIONE_SOCIALE. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A fronte di tale apparato argomentativo, esauriente ed immune da profili di illogicità manifesta, il motivo si risolve nella richiesta di una diversa lettura de elementi di fatto posti a fondamento della decisione e nell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione d fatti, attività entrambe precluse nel giudizio di legittimità, non potendo la Cort di cassazione ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice del merito, bensì esclusivamente riscontrare l’esistenza di un logico apparato argonnentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
50. Il terzo motivo è inammissibile.
Nel confermare la valutazione operata dal Tribunale, la Corte di merito ha ritenuto che l’interrogatorio reso da NOME COGNOME in data 8 febbraio 2016 il quale, peraltro, si è limitato a confermare circostanze già pacificamente accertate nel corso delle indagini – e l’avanzata età del ricorrente sono elementi non significativi per giustificare una mitigazione della pena, a fronte, peraltro, de rilevanti importi indicati nelle fatture per operazioni inesistenti annotate dell’intenso sodalizio criminoso intercorso tra la società RAGIONE_SOCIALE e le societ “RAGIONE_SOCIALE” del gruppo RAGIONE_SOCIALE già a partire dall’anno 2007.
Si tratta di valutazione di fatto che certamente non può dirsi manifestamente illogica, e che, quindi, si sottrae al sindacato di legittimità.
51. Il quarto motivo è inammissibile per carenza di interesse.
Come riconosciuto dallo stesso difensore, con ordinanza del 17 aprile 2023 la Corte di appello ha rettificato l’ammontare della confisca per equivalente nei confronti degli imputati, scomputando l’importo relativo all’annualità del 2010 in relazione al quale era stata dichiarata la prescrizione del reato – e, quindi, rideterminandolo, per la sola annualità di imposta del 2011, nella misura di 181.473,98 euro.
Di conseguenza, il motivo è inammissibile, avendo già provveduto la Corte di merito nel senso richiesto dai ricorrenti.
52. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
53. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Come si è già esposto nella trattazione di analoghi motivi, la prospettazione difensiva secondo cui, essendo il reato più grave contestato al Fervorari quello di cui al capo I), commesso presso la sede della società, l’A.g. competente territorialmente sarebbe perciò quella di Brescia, non considera che, nella specie, il delitto più grave è certamente quello associativo.
54. Il secondo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente essendo collegati, sono inammissibili.
La Corte di appello, in primo luogo (p. 109 ss.), ha ritenuto la fittizietà del operazioni di vendita di materiale ferroso sulla base – come per agli altri clienti delle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE – dell’accertato ruolo di mere cartiere delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, emittenti delle fatture per operazion inesistenti in favore della RAGIONE_SOCIALE dal 2007 al 2011, desunto sia dalle già indicate sentenze irrevocabili della Corte di Appello del 19 settembre
2013, del 16 maggio 2015 e del 25 settembre 2017, sia dalle deposizioni degli operanti e del dott. COGNOME di cui si dato più volte conto.
Oltre a ciò, la Corte di merito ha valorizzato il contenuto degli appunti, rinvenuti presso la sede della RAGIONE_SOCIALE, sul retro delle fatture emesse da LV RAGIONE_SOCIALE (appunti testualmente trascritti a p. 110 della sentenza impugnata), recanti espressamente il nome “NOME” di fianco all’importo da retrocedere al medesimo, nonché i conteggi analitici del corrispettivo da corrispondere alla cartiere e, per differenza, della somma da restituirsi alla società cliente (cfr. fatture n. 292 e n. 293 del 30 giugno 2011 e numerose altre riportate alle p. 235-236 della sentenza di primo grado).
La Corte di merito ha quindi evidenziato che il 29 luglio 2011 risulta documentalnnente eseguito dal conto corrente di RAGIONE_SOCIALE, acceso presso l’ufficio postale di Lissone, un prelievo pari ad euro 350.000 euro, a fronte di bonifici ricevuti da RAGIONE_SOCIALE il 21 luglio 2011 per le somme di 103.213,60 e 96.006,40 euro: e ciò in perfetta aderenza al collaudato sistema adottato per la retrocessione del contante.
Ancora, la Corte d’appello, quali ulteriori elementi che confermano la fittizietà delle operazioni indicate in fattura, ha indicato sia le dichiarazion NOME COGNOME formale amministratore della LV COGNOME, che, nel descrivere le modalità di calcolo e pagamento del corrispettivo stabilito per l’attività delle cartiere, ha riferito di avere riconsegnato denaro contante propri a NOME COGNOME sia l’accordo di conciliazione intervenuto con l’Agenzia delle Entrate, che, ai sensi dell’art. 8, comma 1, dl. n. 16 del 2012, ha ritenuto inesistenti le cessioni documentate nelle fatture annotate e indeducibili i costi ivi indicati nella misura del 6°/o dell’imponibile, misura che, come si legge in tale accordo, è stata determinata “in un’ottica conciliativa e in mancanza di indagini finanziarie si propone di determinare il quantum” (cfr. p. 111 della sentenza impugnata, nota 44), ciò che confuta, in via definitiva, le censure mosse con il terzo motivo.
Al cospetto di tale motivazione – completa, esauriente ed immune da profili di manifesta illogicità -, il ricorrente confezione motivi che, in ultima analisi rilevano fattuali e che, quindi, non possono trovare ingresso in sede di legittimità.
55. I ricorsi proposti congiuntamente da NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili.
56. In relazione alla determinazione del complessivo trattamento inflitto, la Corte di merito ha ritenuto corretta la pena base, individuata in misura appena
superiore al minimo edittale all’epoca vigente – ossia due anni di reclusione – in s considerazione delle organizzate e sistematiche modalità di commissione del i 4 4 GLYPH reato, dell’intensità del dolo e dell’entità degli importi passivi fittizi anno elementi che evidentemente sono stati anche valutati, ex art. 133 cod. pen., anche in relazione alla misura della riduzione di pena per effetto dell’applicazione delle circostanze attenuati generiche e all’aumento di pena a titolo di continuazione interna.
Si tratta di una valutazione di fatto sorretta da sufficiente motivazione e che, non apparendo frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, non è censurabile in questa sede di legittimità.
57. In definitiva, essendo i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME per essere i residui reati di cui al capo J) relativi alle annualità imposta 2011 e 2012 estinti per morte dell’imputato. Revoca la disposta confisca.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME e NOME Chen relativamente al reato di cui all’anno di imposta 2011 perché estinto per prescrizione e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Milano in ordine al trattamento sanzionatorio e alla confisca. Rigetta nel resto i suddetti ricorsi.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME per essere il reato di cui al capo C) estinto per prescrizione e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Milano in ordine al trattamento sanzionatorio e alla confisca. Dichiara inammissibili nel resto i suddetti ricorsi.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Corrado, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma
di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 09/10/2023.