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Dichiarazione fraudolenta: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di dichiarazione fraudolenta tramite l’uso di una società fittizia per l’emissione di fatture false. La Corte ha confermato la responsabilità penale dell’imputata, ma ha annullato la sentenza con rinvio per la rideterminazione della pena accessoria, la cui durata non era stata adeguatamente motivata. Inoltre, ha dichiarato la prescrizione per una delle annualità contestate.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione Fraudolenta: la Cassazione tra Conferma della Colpevolezza e Carenza di Motivazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un complesso caso di dichiarazione fraudolenta, offrendo importanti chiarimenti su diversi aspetti procedurali e sostanziali. La decisione analizza i limiti della motivazione “per relationem” in appello, la valutazione delle prove e, soprattutto, l’obbligo di motivare autonomamente la durata delle pene accessorie. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dai giudici.

I fatti di causa

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un’imprenditrice per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000. Secondo l’accusa, confermata sia in primo che in secondo grado, l’imputata avrebbe utilizzato una società fittizia, una mera “scatola vuota”, per emettere fatture false a favore di un’altra società a lei riconducibile. Questo meccanismo le avrebbe permesso di creare costi fittizi, abbattendo l’imponibile e, di conseguenza, evadendo le imposte per diverse annualità, dal 2012 al 2016.

La Corte di Appello di Torino, pur dichiarando prescritta l’annualità 2011, aveva confermato nel resto la sentenza di condanna, rideterminando la pena. Contro questa decisione, la difesa dell’imputata ha proposto ricorso per Cassazione, articolando ben nove motivi di doglianza.

I motivi del ricorso in Cassazione

La difesa ha sollevato numerose questioni, tra cui:

* Vizio di motivazione: La sentenza d’appello sarebbe stata una mera trascrizione di quella di primo grado, senza un reale confronto con i motivi di appello.
* Natura fittizia della società: Errata valutazione delle prove che, secondo la difesa, dimostravano l’effettiva operatività della società emittente.
* Travisamento della prova: Errata ricostruzione dei flussi finanziari tra le società coinvolte.
* Inutilizzabilità dei documenti: Utilizzo da parte dei giudici di manoscritti anonimi, in violazione dell’art. 240 del codice di procedura penale.
* Errata qualificazione giuridica: Il fatto doveva essere ricondotto al meno grave reato di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000).
* Mancata motivazione sulle pene accessorie: La Corte d’Appello aveva confermato la durata delle pene accessorie senza fornire alcuna specifica motivazione.
* Prescrizione: Intervenuta prescrizione anche per l’annualità 2012.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla dichiarazione fraudolenta

La Suprema Corte ha rigettato la maggior parte dei motivi, ritenendoli inammissibili o infondati, ma ha accolto due punti cruciali.

La conferma dell’impianto accusatorio

I giudici hanno ribadito che, in caso di “doppia conforme” (condanna sia in primo che in secondo grado), è legittimo che la sentenza d’appello motivi “per relationem”, ossia richiamando la sentenza precedente, a condizione che risponda in modo congruo alle specifiche censure mosse con l’atto di appello. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’impianto accusatorio fosse solido, basato su plurimi elementi (testimonianze, accertamenti del curatore fallimentare, assenza di una reale struttura operativa della società emittente) che dimostravano la natura fittizia della società e l’inesistenza delle operazioni fatturate.

In merito ai documenti manoscritti ritenuti inutilizzabili dalla difesa, la Cassazione ha precisato che il divieto dell’art. 240 c.p.p. riguarda i documenti contenenti “dichiarazioni anonime”, non qualsiasi scritto privo di sottoscrizione la cui paternità sia comunque riconducibile. In ogni caso, la difesa non aveva superato la “prova di resistenza”, ovvero non aveva dimostrato che l’eliminazione di tali documenti avrebbe portato a una decisione diversa.

L’accoglimento del ricorso sulle pene accessorie e la prescrizione

Il punto di svolta della sentenza risiede nell’ottavo motivo di ricorso. La Cassazione ha ritenuto fondata la censura relativa alla carenza di motivazione sulla durata delle pene accessorie. I giudici hanno ricordato un principio fondamentale: la durata di tali pene, quando la legge prevede un minimo e un massimo, deve essere determinata in concreto dal giudice con un’adeguata motivazione, basata sui criteri di cui all’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del reo). Non è ammissibile una correlazione automatica con la durata della pena principale.

Inoltre, la Corte ha rilevato d’ufficio l’intervenuta prescrizione del reato per l’annualità 2012, essendo ormai decorso il termine massimo.

Le conclusioni

In definitiva, la Corte di Cassazione ha deciso di:
1. Annullare senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato relativo all’annualità 2012, perché estinto per prescrizione.
2. Annullare con rinvio ad un’altra sezione della Corte di Appello di Torino per la rideterminazione della pena principale e, soprattutto, delle pene accessorie, che dovranno essere motivate in modo specifico e autonomo.
3. Rigettare nel resto il ricorso.

Questa sentenza è emblematica perché, pur confermando la colpevolezza dell’imputata per il grave reato di dichiarazione fraudolenta, sottolinea l’importanza del rigore motivazionale del giudice, specialmente quando si tratta di sanzioni che incidono significativamente sulla vita e sull’attività professionale del condannato, come le pene accessorie. Un monito a non trascurare alcun aspetto della decisione, pena l’annullamento, anche parziale, della sentenza.

Una sentenza d’appello può limitarsi a copiare quella di primo grado?
Sì, ma solo in caso di ‘doppia conforme’ e a condizione che la sentenza di appello fornisca comunque risposte congrue ai specifici motivi di ricorso presentati dalla difesa. Non può essere una mera trascrizione acritica.

La durata delle pene accessorie dipende da quella della pena principale?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la durata delle pene accessorie (come l’interdizione da una professione) non può essere automaticamente legata a quella della pena principale (es. la reclusione). Il giudice deve fornire una motivazione autonoma e specifica, basata sulla gravità del reato e sulla personalità del reo.

Cosa succede se un reato si prescrive durante il processo in Cassazione?
La Corte di Cassazione, anche se esamina altri motivi di ricorso, è tenuta a rilevare l’avvenuta prescrizione. In tal caso, annulla la sentenza di condanna per quel specifico reato senza rinviare il caso a un altro giudice, dichiarando il reato estinto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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