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Dichiarazione fraudolenta: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. L’amministratrice di una società era stata condannata per aver utilizzato fatture emesse da società che, pur avendo fornito manodopera, erano mere intermediarie fittizie. La Corte d’Appello, pur assolvendo l’imputata da uno dei capi d’accusa, non aveva rideterminato la pena, violando il divieto di ‘reformatio in peius’. La Cassazione ha annullato la sentenza con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, confermando nel resto la responsabilità penale.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione Fraudolenta: Fatture Inesistenti e il Divieto di Reformatio in Peius

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi su un caso complesso di dichiarazione fraudolenta, offrendo importanti chiarimenti sulla responsabilità dell’amministratore e sul corretto trattamento sanzionatorio in appello. La vicenda riguarda l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, una pratica fraudolenta volta a evadere l’IVA e le imposte dirette attraverso un meccanismo di interposizione fittizia di manodopera. Analizziamo i dettagli della decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso: La Contestazione di Interposizione Fittizia di Manodopera

L’amministratrice di una società di servizi era stata condannata in primo grado per il reato di dichiarazione fraudolenta, previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa si fondava sull’aver inserito nelle dichiarazioni fiscali, per diverse annualità, fatture emesse da due società fornitrici.

Secondo le indagini, queste ultime, sebbene avessero effettivamente fornito la manodopera necessaria per i servizi, erano in realtà delle società ‘schermo’. Erano prive di una reale struttura operativa (mezzi, attrezzature, sedi adeguate) e create al solo scopo di interporsi fittiziamente tra la società utilizzatrice e i lavoratori, permettendo alla prima di dedurre costi e detrarre l’IVA indebitamente, scaricando gli oneri fiscali e previdenziali su soggetti di fatto insolventi.

La Corte d’Appello, investita del caso, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, assolvendo l’imputata da uno dei reati contestati (relativo a un’annualità in cui non ricopriva più la carica di amministratrice al momento della presentazione della dichiarazione). Tuttavia, i giudici di secondo grado avevano confermato integralmente la pena inflitta in primo grado, senza operare la necessaria riduzione derivante dall’assoluzione parziale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i motivi di ricorso relativi alla sussistenza del reato, confermando la responsabilità dell’amministratrice. Ha invece accolto il motivo relativo al trattamento sanzionatorio, annullando la sentenza con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello per la rideterminazione della pena.

Le motivazioni sulla dichiarazione fraudolenta

La Cassazione ha respinto le argomentazioni della difesa, che contestava la sussistenza dell’elemento soggettivo (il dolo specifico di evasione) e la valutazione delle prove. I giudici di legittimità hanno ribadito che, in presenza di una ‘doppia conforme’ (due sentenze di merito con la stessa conclusione), il riesame dei fatti è precluso, salvo il caso di un travisamento palese della prova.

Nel merito, la Corte ha ritenuto corretta la ricostruzione dei giudici di primo e secondo grado. La natura fittizia delle società emittenti era stata provata da numerosi elementi: l’assenza di costi per attrezzature e materie prime, le cospicue situazioni debitorie verso Erario ed enti previdenziali, l’assenza di una sede operativa adeguata e l’utilizzo di locali e macchinari della stessa società committente. Questi indizi, gravi, precisi e concordanti, dimostravano che l’amministratrice non poteva non essere consapevole dello schema fraudolento in atto. La sua responsabilità, in qualità di legale rappresentante che sottoscrive la dichiarazione, sussiste anche in presenza di ‘amministratori di fatto’, essendo suo dovere vigilare sulla correttezza della contabilità.

La Violazione del Divieto di Reformatio in Peius

Il punto cruciale che ha portato all’annullamento parziale della sentenza riguarda un importante principio processuale: il divieto di ‘reformatio in peius’. Tale principio, sancito dall’art. 597 c.p.p., stabilisce che quando l’unico a impugnare una sentenza è l’imputato, il giudice dell’appello non può peggiorare la sua posizione.

Nel caso di specie, l’imputata era stata condannata per più reati uniti dal vincolo della continuazione. La Corte d’Appello, pur prosciogliendola da uno di questi reati, non ha diminuito la pena complessiva. Questo comportamento, secondo la Cassazione, costituisce una violazione del divieto, poiché mantenere invariata la pena a fronte di un’assoluzione parziale equivale a un peggioramento ‘indiretto’ della sua posizione. Di conseguenza, la Corte ha annullato la sentenza sul punto, rinviando il caso per un nuovo calcolo della pena, che dovrà essere necessariamente inferiore a quella originariamente inflitta.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. In primo luogo, la conferma della responsabilità per la dichiarazione fraudolenta si basa sulla solida ricostruzione probatoria dei giudici di merito. L’assenza di una struttura operativa nelle società fornitrici e l’utilizzo di risorse della società committente sono stati considerati elementi sufficienti a dimostrare l’interposizione fittizia e, di conseguenza, la natura soggettivamente inesistente delle fatture. La Corte ha sottolineato come la responsabilità penale per questo reato ricada su chi presenta la dichiarazione, in quanto titolare dell’obbligo fiscale. In secondo luogo, l’accoglimento del motivo sulla pena si basa su un consolidato orientamento giurisprudenziale, incluse le Sezioni Unite, che interpreta in modo rigoroso il divieto di ‘reformatio in peius’, applicandolo anche ai casi di assoluzione parziale nell’ambito di un reato continuato.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce la severità con cui l’ordinamento sanziona l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, configurandolo come reato di pericolo che si perfeziona con la sola presentazione della dichiarazione fraudolenta. Per gli amministratori, emerge un chiaro monito sulla necessità di una diligenza rafforzata nel verificare la reale consistenza operativa dei propri fornitori, specialmente nei contratti di appalto di servizi ad alta intensità di manodopera. Sul piano processuale, la decisione riafferma la centralità del divieto di ‘reformatio in peius’ come garanzia fondamentale per l’imputato che decide di impugnare una sentenza di condanna.

Cosa si intende per fatture per operazioni soggettivamente inesistenti?
Si tratta di fatture che attestano un’operazione economica realmente avvenuta, ma tra soggetti diversi da quelli indicati nel documento. Nel caso specifico, la manodopera era fornita, ma da società ‘schermo’ interposte fittiziamente, rendendo le fatture soggettivamente false.

Perché l’amministratrice è stata ritenuta responsabile nonostante la possibile presenza di amministratori di fatto?
La Corte ha stabilito che il reato di dichiarazione fraudolenta è un ‘reato proprio’ di chi è legalmente tenuto alla presentazione della dichiarazione. L’amministratrice, sottoscrivendo la dichiarazione, se ne assume la responsabilità, e non può esimersi invocando la mancanza di diligenza, dato che gli indizi della frode erano evidenti e percepibili da un operatore medio del settore.

In cosa consiste la violazione del divieto di ‘reformatio in peius’ in questo caso?
La violazione consiste nel fatto che la Corte d’Appello, pur avendo assolto l’imputata da uno dei reati per cui era stata condannata in continuazione, non ha ridotto la pena complessiva. Secondo la Cassazione, a fronte di un’impugnazione del solo imputato, l’assoluzione anche parziale deve sempre comportare una diminuzione della pena, altrimenti si verifica un peggioramento illegittimo della sua posizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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