Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32586 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32586 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 22/01/2025 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso, udito, per l’imputato, l’AVV_NOTAIO del Foro di Roma, il quale insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 22/01/2025, confermava la sentenza del Tribunale di Latina dell’8 maggio 2023, che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di mesi nove di reclusione, oltre alla confisca in via diretta o per equivalente del profitto del reato, in ordine al delitto di cui all’articolo 2 d. lgs. 74/2000.
Avverso la sentenza l’imputata propone, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in merito ai criteri di valutazione della prova ai sensi dell’articolo 192 cod. proc. pen..
I giudici non hanno accertato, al di là di ogni ragionevole dubbio, se le opere oggetto delle fatturazioni de quibus fossero state effettivamente realizzate o meno, basando le loro valutazioni esclusivamente su base documentale, laddove solo un accertamento contabile, sovrapposto a un accertamento finalizzato a verificare l’effettiva realizzazione degli stessi, avrebbe reso inoppugnabile l’accertamento fiscale stesso.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in merito ai criteri di valutazione della prova in relazione all’elemento psicologico del reato. Anche in questo caso, i giudici non hanno accertato, al di là di ogni ragionevole dubbio, se le opere oggetto delle fatturazioni de quibus fossero state effettivamente realizzate o meno, basando le loro valutazioni esclusivamente su base documentale.
Inoltre, non hanno spesso alcuna parola sulla deduzione secondo cui, quando un soggetto affida a terzi la redazione delle dichiarazioni fiscali, egli deve essere consapevole
della falsità della dichiarazione, costruita sulla base di documentazione atta a supportarne l’apparenza di verità.
Inoltre, al fine di provare il dolo specifico, occorre che il soggetto si rappresenti e voglia la realizzazione dell’evento tipico.
2.3. con il terzo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in merito al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e in generale al trattamento sanzionatorio. Le circostanze atipiche sarebbero state ingiustamente negate alla luce di precedenti penali e della gravità del danno cagionato all’Erario.
La ricorrente ritiene in dettaglio che i suddetti criteri, valutati dai giudici di merito, non rispettino i canoni legali entro cui valutare l’applicazione dell’art. 62bis cod. pen.; ed infatti, l’ammontare di euro 37.556,20 non può essere considerato un «danno ingente» e, allo stesso tempo, i precedenti facenti riferimento al c.d. «Testo Unico sulla Sicurezza» riguardavano mere sanzioni amministrative, con dei casi limite afferenti contravvenzioni e multe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł inammissibile.
In via preliminare il Collegio evidenzia come, nel caso in esame, ci si trovi in presenza di una «doppia conforme» di merito. Ed infatti il secondo giudice, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, ha «riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, Ł giunto alla medesima conclusione» (v., ex multis , Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007, COGNOME, Rv. 236130 – 01, Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, COGNOME, Rv. 243636 – 01).
In questo caso, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01), ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo e le motivazioni dei due provvedimenti si integrano a formare un corpo unico, con il conseguente onere per il ricorrente di confrontarsi – a pena di inammissibilità in maniera puntuale con i contenuti delle due sentenze (v. Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, COGNOME, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, COGNOME, Rv. 209145), onere cui la ricorrente non si Ł attenuta.
Ciò premesso, i primi due motivi costituiscono pedissequa reiterazione di censura già dedotte in primo grado e ribadite con l’atto di appello, motivatamente rigettati dal primo giudice e dalla Corte territoriale.
Come noto, Ł inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217).
2.1. Nel caso in esame, la ricorrente era imputata, in qualità di legale rappresentante della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, di avere utilizzato nella dichiarazione annuale 2014 (IVA e imposte dirette) n. 37 fatture per operazioni inesistenti, emesse dalla società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ per l’importo di euro 170.710,00 (IVA 37.556,00), il cui ammontare risultava pagato per contanti e portato in detrazione quale costo.
La Corte territoriale, a fronte di una imputazione che sul punto nulla precisava, ha
confermato come le fatture oggetto del presente processo fossero relative ad operazioni «soggettivamente inesistenti» (v. pag. 3-5), concludendo nel senso che la società emittente (‘RAGIONE_SOCIALE‘) fosse una società fittizia (era sconosciuta alla anagrafe tributaria, il L.R. era deceduto senza essere sostituito, non aveva struttura aziendale nØ utenze, nØ soggetti di riferimento da contattare in caso di necessità) e che in realtà la ‘RAGIONE_SOCIALE‘, amministrata dalla COGNOME, aveva utilizzato manodopera «in nero», senza i vincoli e i costi derivanti da un rapporto di lavoro, deducendo così illecitamente i costi per gli importi delle fatture emesse nei suoi confronti, riferibili ai compensi dei lavoratori.
Aggiunge la sentenza (pag. 5) che quello in parola Ł reato di pericolo, di mera condotta e che si perfezione nel momento in cui la dichiarazione Ł presentata agli uffici finanziari e prescinde dal verificarsi dell’evento di danno.
2.2. La prima sentenza, dal canto suo, a pagina 5 aveva precisato che «Ł stato invero dimostrato che la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ aveva solo due lavoratori dipendenti e che per realizzare il fatturato dell’anno 2014 aveva necessariamente bisogno di ulteriore manodopera, di cui si avvaleva grazie all’intermediazione fittizia della società ‘RAGIONE_SOCIALE‘, che, tuttavia, risultava essere priva di lavoratori regolarmente assunti, sprovvista di beni aziendali, nonchØ di un rappresentante legale. Procedendo in tal modo, l’operazione commerciale figurava come un appalto di fornitura di servizi, ma di fatto la RAGIONE_SOCIALE non si serviva delle prestazioni della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, come indicato nelle fatture di cui all’imputazione, ma di quella dei soggetti stranieri non in regola e con il beneficio di indicarne i costi al passivo».
La sentenza del Tribunale richiama anche la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 11633 del 02/02/2022, Casanova, Rv. 282985 – 01), secondo cui «integra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti ai fini IVA l’utilizzo di elementi passivi fittizi costituiti da fatture emesse da una società che, attraverso contratti simulati di appalto di servizi, abbia in realtà effettuato attività di intermediazione illegale di manodopera, stante la diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione, ovvero i singoli lavoratori, e quello indicato in fattura».
2.3. Tale doppia conforme motivazione Ł conforme all’insegnamento di legittimità (v., ex multis , Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, Rv. 278378 – 01) secondo cui la fattispecie della dichiarazione fraudolenta, di cui all’art. 2 d. lgs. n. 74/2000, si connota come quella piø grave ontologicamente in quanto non solo l’agente dichiara il falso, ma supporta la propria condotta mediante un «impianto contabile», o piø genericamente documentale, diretto a sviare o ostacolare la successiva attività di accertamento dell’Amministrazione, avvalorando in modo artificioso l’inveritiera prospettazione di dati inseriti nella dichiarazione.
Tale fattispecie criminosa si configura come un reato di pericolo e di mera condotta, il quale si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione Ł presentata agli uffici finanziari e prescinde dal verificarsi dell’evento di danno. Ne consegue che, ai fini dell’individuazione della data di consumazione dell’illecito, non rileva l’effettività dell’evasione.
Il reato Ł integrato con la presentazione della dichiarazione (Cass., S.U., n. 27/2000, n. 32348/2015), in quanto il legislatore mira a reprimere penalmente le sole condotte direttamente correlate alla lesione degli interessi fiscali, rinunciando invece a perseguire quelle di carattere meramente preparatorio o formale (fatti prodromici alla effettiva lesione del bene giuridico protetto).
Elemento costitutivo essenziale Ł dunque l’indicazione in una delle dichiarazioni di elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
La condotta incriminata Ł «bifasica»: l’autore, infatti, raccoglie o riceve la documentazione inveritiera e se ne avvale registrandola nelle scritture contabili obbligatorie
o conservandola come prova da far valere contro l’Amministrazione nell’eventualità di un accertamento. Successivamente, presenta la dichiarazione dei redditi o ai fini IVA nella quale Ł recepita la falsa rappresentazione di cui la documentazione fittizia rappresenta il supporto.
Soggetto responsabile Ł colui che sottoscrive la dichiarazione, anche se lo stesso non ha partecipato alla fase antecedente di acquisizione e registrazione delle fatture relative ad operazioni inesistenti.
2.4. Tanto posto, la censura difensiva relativa all’omesso accertamento circa l’esecuzione o meno dei lavori, comune ai primi due motivi di ricorso, non si confronta affatto con la motivazione delle sentenze: stante la natura «soggettiva» dell’inesistenza, infatti, non Ł in discussione la realizzazione o meno delle operazioni sottostanti le fatture, ma solamente la loro riconducibilità al soggetto emittente, che Ł stata motivatamente (e non irragionevolmente) esclusa dalla pronuncia impugnata, così come da quella di primo grado.
Del resto, la concreta evasione Ł estranea al perimetro della fattispecie, come chiarito da questa Corte (Sez. 3, n. 37131 del 04/07/2024, Pandolfini, Rv. 287020 – 01), secondo cui «il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti richiede, sotto il profilo soggettivo, il dolo generico, consistente nella consapevole indicazione, nelle dichiarazioni fiscali relative a imposte sui redditi o sul valore aggiunto, di elementi passivi della cui fittizietà il soggetto agente sia certo o, comunque, accetti l’eventualità, nonchØ il dolo specifico di evasione, che rappresenta la finalità che deve animare la condotta del predetto, ma il cui concreto conseguimento non Ł necessario per il perfezionamento del reato»).
La doglianza Ł pertanto inammissibile.
2.5. La censura relativa all’aver affidato al commercialista la redazione della dichiarazione Ł manifestamente infondata, in quanto la legge tributaria considera personale per il contribuente il dovere di presentare la dichiarazione fiscale e il fatto di aver affidato ad un commercialista l’incarico di compilare la dichiarazione medesima non può esonerare il contribuente stesso dalla penale responsabilità per il delitto di omessa dichiarazione (Sez. 3, n. 9417 del 14/01/2020, Quattri, Rv. 278421 – 01).
2.6. Circa l’elemento soggettivo del reato, poi, a pagina 6 la sentenza gravata precisa che «l’utilizzo di manodopera fornita solo formalmente dalla società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ dimostri il dolo specifico richiesto dalla norma per integrare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, rappresentato dalla finalità evasiva: il meccanismo posto in essere aveva la chiara finalità di ottenere un credito IVA non dovuto mediante la presentazione della dichiarazione comprensiva di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, come si desume anche dal numero e dai relativi importi».
Tale percorso motivazionale si salda con quanto dianzi visto in punto di inesistenza soggettiva delle fatture, formando un iter logico saldo e privo di aporie logiche.
A ciò consegue l’inammissibilità della censura, posto che il giudice di legittimità non può rivalutare le fonti di prova, compito rimesso esclusivamente alla competenza dei giudici di merito.
Il sindacato di legittimità va infatti sollecitato sul «prodotto dell’ingegno» e non sul puro e semplice «materiale probatorio» (e men che meno su singoli «frammenti» di esso) e, pertanto, una volta indicati gli elementi probatori, il giudice di legittimità deve chiarire la ragione e sulla base di quali elementi sia stata elaborata una determinata ipotesi costruttiva e per quale ragione ne siano state scartate altre (Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, E., Rv.
276566 – 01; Sez. 5, n. 35816 del 18/06/2018, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 44992 del 09/10/2012, Aprovitola, Rv. 253774 – 01), ciò che, come visto, la corte territoriale ha operato senza fare cattivo governo delle regole della logica nella valutazione delle prove.
Il terzo motivo di ricorso Ł del pari inammissibile.
3.1. Quanto alla asserita violazione dell’articolo 133 cod. pen., il motivo di ricorso Ł inammissibile per genericità, in quanto la nullità viene dedotta ma non articolata in alcun modo.
3.2. In riferimento alle circostanze di cui all’articolo 62bis cod. pen., invece, la Corte (v. ex multis Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME) ritiene che il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, COGNOME Crescenzo, Rv. 281590; inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen., al giudice di merito non Ł richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737), non essendo neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (sez. 1 n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; analogamente Cass., Sez. VI, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME, Rv 242419: «la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. Ł oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purchØ non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato»).
Rileva altresì la Corte che «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non Ł piø sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, Sentenza n, 39566 del 16/02/2017, )».
Ancora, «la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante Ł soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio» (Sez. 3, n. 9836 del 9 marzo 2016).
Scendendo in concreto, il giudice di seconda cura condivide la valutazione effettuata dal primo giudice, ritenendo non concedibili le circostanze attenuanti generiche in presenza di precedenti penali e di un danno cagionato all’Erario di notevole entità.
Tale motivazione, sia pure stringata, non appare porsi in contrasto con la disciplina relativa al diniego delle attenuanti in parola, avendo comunque i giudici chiarito quali
elementi di segno negativo abbiano valorizzato nella decisione.
Il ricorso, del resto, al di là di un generico riferimento al comportamento processuale dell’imputata, non chiarisce neppure quali sarebbero gli elementi positivi che avrebbero dovuto costituire oggetto di valutazione, difettando così della necessaria specificità, con conseguente inammissibilità della censura.
4. Il ricorso non può quindi che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 18/09/2025
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME