Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 44040 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 44040 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOMECOGNOME nato a Martone (RC), il 04/04/1949 avverso la sentenza del 14/03/2024 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni già rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. del 2020, dal Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per declaratoria di inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni già rassegnate dal difensore di COGNOME, avv. NOME COGNOME ha integralmente richiamato i motivi di ricorso, invocandone l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16 dicembre 2021 il Tribunale ordinario di Torino, in composizione monocratica, ha giudicato COGNOME NOME, in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e figli, colpevole dei reati di cui all’art. 2 D.Igs. n. 74/2000, rubricati ai. capi a) e b), rispettivame per gli anni di imposta 2013 e 2014, e lo ha condannato, -unificati i reati dal vincolo della continuazione e riconosciute attenuanti generiche- alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e con le pene accessorie di cui all’art, 12 d.lgs. n. 74/2000, disponendo, altresì, la confisca dei beni mobili ed immobili nella disponibilità dell’imputato fino a concorrenza dell’importo di 64.847,21 euro, col beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
Con sentenza del 14 marzo 2024 la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale, condannando l’imputato alle spese del grado.
Ha proposto tempestivo ricorso per cassazione Catanese, a mezzo del difensore di fiducia, affidandolo a due motivi.
3.1. Col primo motivo la difesa denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 2 del D.Lgs n. 74/2000, in ordine all’art. 192, comma 2, cod.proc.pen., nonché manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Fallace sarebbe la ricostruzione ed interpretazione dell’intero compendio probatorio, complice il malgoverno del disposto dell’art. 192 cod.proc.pen. in terna di prova indiziaria.
La Corte torinese ha, a pagina 5 della sentenza, ritenuto elemento fondante la responsabilità dell’imputato la circostanza per cui quest’ultimo non ha contestato l’utilizzazione delle fatture RAGIONE_SOCIALE per un importo di euro 54.200,00, contestato al capo a) di imputazione, di poi presumendo che anche le fatture RAGIONE_SOCIALE, dedotte ivi e al capo b), fossero relative ad operazioni inesistenti. Neppure le circostanze che a)la società RAGIONE_SOCIALE sia indicata in fattura con numero di partita Iva e indirizzo diversi da quelli della COGNOME effettivamente esistente, b)la interlocuzione di quest’ultima con la Agenzia delle Entrate ente cui ha affermato di aver intrattenuto rapporti commerciali col dichiarante solo fino all’anno 2010, e la sottrazione al contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate relativamente all’anno di imposta 2014 sarebbero indizi idonei a supportare, ex art. 192, comma 2 cod.proc.pen., l’affermazione di responsabilità dell’imputato, intesa, invece, dalla
Corte torinese in concomitanza con la mancanza di qualsivoglia produzione documentale da parte dell’utilizzatore davanti all’Agenzia delle entrate.
3.2. Col secondo motivo la difesa denuncia erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 2 D.Igs. n. 74/2000 e art. 43 cod.pen., nonché manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato.
La Corte torinese non affronta il tema dell’elemento soggettivo, richiamando, sul punto, alle pagine 5 e 6 della relativa parte motiva, la sentenza del Tribunale. La difesa richiama il dictum di questa Corte, Sez. 3, n. 1998 del 20/01/2020, sulla necessità del dolo specifico a configurare l’elemento soggettivo del delitto contestato, non essendo lo stesso configurabile qualora il contribuente affidi a terzi il compito di preparare e preservare la dichiarazione, se non quando il contribuente sia consapevole della artificiosità della dichiarazione, costruita su una documentazione atta a supportarne l’apparenza di verità, e, comunque, secondo la dottrina, non conciliabile con la accettazione del rischio che connota il dolo eventuale.
La procura generale ha rilevato che nella sentenza impugnata risultano affrontate tutte le questioni dedotte col ricorso, peraltro già proposte in appello, invocandone una rivalutazione divergente da quella svolta dalla Corte di appello con motivazione congrua ed esaustiva, previo specifico esame degli argomenti difensivi in questa sede riproposti.
Con conclusioni scritte la difesa ha controdedotto, riproponendo le argomentazioni già svolte in ricorso anche quanto all’elemento soggettivo del reato, richiamando il ‘silenzio’ al proposito del tribunale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Si premette che quello della Cassazione è giudizio di legittimità a critica vincolata, e resta comunque esclusa, per la Corte di legittimità, la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova. Va infatti ribadito c secondo il costante insegnamento di questa Corte, esula dai poteri della Corte di Cassazione quello della rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è in via esclusiva riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (così SS. IJU
30/04/1997, n. 6402- RV207944; Cass.Pen. Sez. 4, n.4842 del 02/12/200306/02/2004 RV229369).
2. Non è consentito, inoltre, il motivo con cui si deduca la violazione dell’a c.p.p., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisi acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connes motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della med disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/ Filardo, Rv. 280027). Difatti la deduzione del vizio di violazione di legg relazione all’asserito malgoverno delle regole di valutazione della prova conte nell’art. 192 c.p.p. ovvero della regola di giudizio di cui all’art. 533 del codice, non è permessa non essendo l’inosservanza delle suddette disposizio prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, richiesto dall’art. 606 lett. c) c.p.p. ai fini della deducibilità della violazio processuale (ex multis Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567; 3, n. 24574 del 12/03/2015, COGNOME e altri, Rv. 264174; Sez. 1, n. 42207/1 20 ottobre 2016, COGNOME e altro, Rv. 271294; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2 M., Rv. 274191; Sez. U, Sentenza n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027). Né vale in senso contrario la qualificazione del vizio dedotto operata dal rico come error in iudicando in iure ai sensi della lett. b) dell’art. 606 c.p.p., p tale disposizione, per consolidato insegnamento di questa Corte, riguarda s l’errata applicazione della legge sostanziale, pena, altrimenti, l’aggiramen limite (posto dalla citata lett. c) dello stesso articolo) della denunciabi violazione di norme processuali solo nel caso in cui ciò determini una invalidit multis Sez. 3, n. 8962 del 3 luglio 1997, COGNOME, Rv. 208446; Sez. 5, n. 47 del 07/10/2016, P.M. in proc. COGNOME e altri, Rv. 268404). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.Ciò premesso si rileva che la censura mossa col primo motivo, in tema prospettata errata applicazione di legge in relazione al disposto dell’ar comma 2, cod.proc.pen. non coglie nel segno. Sostiene la difesa che dal ‘ammissione’ della indicazione nella dichiarazione di elementi passivi f relativamente alla ditta RAGIONE_SOCIALE, la Corte torinese avrebbe fatto discende prova della fittizietà anche degli altri elementi indicati al medesimo cap riferimento alla società RAGIONE_SOCIALE “affermando, con sillogismo che non pu avere cittadinanza nel processo penale, che nessun dubbio
anche le fatture Centorame (capi 1 e 2 dell’imputazione) siano relative ad operazioni inesistenti.”
Errata, tuttavia, l’ermeneutica proposta.
Perchè, se vero che alla prima affermazione segue, in sentenza, quella riportata in ricorso, “Nessun dubbio che siano relative ad operazioni inesistenti anche le fatture apparentemente emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE“, deve tuttavia rilevarsi che l’affermazione è esplicativa e introduttiva della discussione, seguente, sulla cui base tale assunto è stato ritenuto in sentenza, discussione svolta, nella parte seguente della motivazione, con riferimento alla inesattezza del numero identificativo della partita Iva e della sede della società RAGIONE_SOCIALE, delle comunicazioni intercorse tra RAGIONE_SOCIALE e Agenzia delle Entrate, della assenza di prova dei rapporti sottostanti le fatture indicate in dichiarazione da parte dell’imputato, tutti indizi/prove delle inesistenza oggettiva delle fatture dedott quali costi.
4. In ogni caso in ordine agli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’ar D.Igs. n.74/2000, si rileva che la stessa si connota come quella più grave ontologicamente in quanto non solo l’agente dichiara il falso, ma supporta la propria condotta mediante un “impianto contabile”, o più genericamente documentale, diretto a sviare o ostacolare la successiva attività di accertamento dell’Amministrazione, avvalorando in modo artificioso l’inveritiera prospettazione di dati inseriti nella dichiarazione. Tale fattispecie criminosa si configura come un reato di pericolo e di mera condotta, il quale si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione è presentata agli uffici finanziari e prescinde dal verificars dell’evento di danno. Il reato è integrato con la presentazione della dichiarazione (Cass., S.U., n.27/2000, n. 32348/2015), in quanto il legislatore mira a reprimere penalmente leole condotte direttamente correlate alla lesione degli interessi fiscali, rinunciando invece a perseguire quelle di carattere meramente preparatorio o formale (fatti prodromici alla effettiva lesione del bene giuridico protetto) Elemento costitutivo essenziale è dunque l’indicazione in una delle dichiarazioni di elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Dal momento che alla dichiarazione non vengono allegati documenti probatori, si chiarisce che si avvale della documentazione in questione chi li registra nelle scritture contabili obbligatorie o comunque li detiene al fine di prova nei confronti della Amministrazione. La condotta si dice essere “bifasica”: l’autore, infatti, raccoglie o riceve la documentazione inveritiera e se ne avvale registrandola nelle scritture contabili obbligatorie o conservandola come prova da far valere contro l’Amministrazione nell’eventualità di un accertamento. Successivamente, presenta la dichiarazione dei redditi o ai fini IVA nella quale è
recepita la falsa rappresentazione di cui la documentazione fittizia rappresenta il supporto. Soggetto responsabile è colui che sottoscrive la dichiarazione anche se lo stesso non ha partecipato alla fase antecedente di acquisizione e registrazione delle fatture relative ad operazioni inesistenti; si tratta infatti di reato “propr perché possa dirsi configurato è richiesto che il suo autore si trovi in una particolare posizione soggettiva, giuridica o di fatto, recte sia titolare dell’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi o ai fini IVA”.
A fronte di tanto, gli argomenti probatori disponibili hanno correttamente supportato la affermazione di responsabilità dell’imputato, con motivazione esaustiva e coerente con il costante insegnamento di questa Corte di legittimità, laddove la sentenza recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo grado, approfondendo quei temi di doglianza meritevoli di approfondimento rispetto alle argomentazioni del Tribunale.
Alla stregua di tutto quanto fin qui argomentato resta priva di pregio la censura, in fatto, di violazione di legge e di illogica o carente motivazione. Si ribadisce che eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti ne compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal test impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile. (Conf.: Sez. 6, n. 5334 del 1993, Rv. 194203-01).
Né può trascurarsi che il motivo sì come proposto risulta, ab imis, inammissibile ove si consideri che è, da un lato, così come il primo peraltro, meramente assertivo, dall’altro elude, totalmente, l’obbligo di puntuale indicazione e allegazione degli aspetti dell’atto di appello dei quali asseritamente la sentenza impugnata non aveva compiuto adeguata analisi. Concorda il Collegio con consolidata giurisprudenza al proposito secondo cui il ricorso per cassazione è inammissibile, siccome innanzitutto apodittico e generico, ove rinvia a non specificate doglianze difensive, che non sarebbero state considerate. Invero, i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione
risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). Inoltre quale principio generale è stabilito che in tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione da parte del giudice dei motivi articolati con l’atto di gravarne onera il ricorrente della necessità di specificare il contenuto dell’impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 3 – , 8065 del 21/09/2018 (dep. 25/02/2019 ) Rv. 275853 – 02.
Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, Così deciso in Roma il 25 settembre 2024
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La Consigliera est.