Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18847 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18847 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da
NOME nato a Cuggiono il 26.5.1984, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOME nato a Milano il 28/06/1970, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOME COGNOME nata a Monza il 28/06/1964, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOME nato a Milano il 10/06/1988, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
avverso la sentenza emessa in data 27/05/2024 dalla Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
letti i motivi nuovi depositati in data 14/01/2025 dalla difesa di NOME COGNOME preso atto che i difensori dei ricorrenti hanno avanzato rituale richiesta di trattazione orale in presenza, ai sensi dell’art. 611, commi 1 -bis e 1-ter, cod. proc. pen.;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria con la quale il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi;
udita la discussione del difensore del ricorrente COGNOME, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso; udita la discussione del difensore dei ricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi evidenziando altresì che il reato di cui al capo 3) di imputazione – limitatamente alla annualità 2013 – è ad oggi estinto per intervenuta prescrizione. udita la discussione del difensore del ricorrente COGNOME COGNOME avv. NOME
NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa in data 18/02/2022 dal Tribunale di Busto Arsizio, all’esito di giudizio dibattimentale, così statuiva per quanto in questa sede rileva:
confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di NOME COGNOME per i reati di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 contestati ai capi 7 (limitatamente alle fattur relative alla annualità 2013, in quanto estinti per intervenuta prescrizioni quelli aventi ad oggetto gli esercizi 2011 e 2012) e 8 e, per l’effetto, rideterminava la pena in anni 3, mesi 10 di reclusione; disponeva la revoca della confisca in relazione al capo 7) limitatamente agli importi Irpef in relazione alle annualità per le quali era stata dichiarata la prescrizione;
confermava il giudizio di responsabilità di NOME COGNOME per i reati di cui ai capi di imputazione 1 (art. 452-quaterdecies cod. pen.), 2 e 3 (art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000), 27 (art. 648-ter.1 cod. pen), 31 (art. 416 cod. pen) e, per l’effetto, rideterminava la pena in anni 8, mesi 5, giorni 10 di reclusione ed euro 15.333,30 di multa; disponeva la revoca della confisca in relazione ai capi 2) e 3) limitatamente agli importi Iva e Ires in relazione alle annualità per le quali era dichiarata la prescrizione;
confermava il giudizio di responsabilità di NOME COGNOME per i reati di cui ai capi di imputazione 1 (art. 452-quaterdecies cod. pen.), 3 (art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000), 27 (art. 648-ter.1 cod. pen), 31 (art. 416 cod. pen) e, per l’effetto, rideterminava la pena in anni 5, giorni 20 di reclusione ed euro 9.056,65 di multa; – disponeva la revoca della confisca in relazione al capo 3) limitatamente agli importi Iva e Ires in relazione alle annualità per le quali era dichiarata l prescrizione;
-confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di NOME COGNOME limitatamente ai reati di cui ai capi 1 (art. 452-quaterdecies cod. pen.), 4 (art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000) e 18 (art. 8 D.Lgs. n. 74 del 2000) e rideterminava la pena in anni 3 e mesi 11 di reclusione.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, tramite i rispettivi difensori fiduciari, ricorsi che di seguito si illustrano nei strettamente necessari ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Nell’interesse di NOME COGNOME il ricorso principale è affidato a tre motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento all’art. 2 D.Lgs. n. 74 de 2000, nonché la mancanza contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione al giudizio di responsabilità per i reati di cui ai capi 7) ed 8).
In relazione all’addebito sub 7), si lamenta che, con costrutto argomentativo meramente apparente ed in parte contraddittorio, la Corte di appello ha affermato che le fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE annotate dalla ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di cui è titolare l’imputato sono relative ad operazioni soggettivamente inesistenti.
Rileva il ricorrente che i giudici di secondo grado non si sono confrontati con i rilievi difensivi dedotti nell’atto di appello con i quali si deduceva, in primo luog la mancata identificazione del reale venditore della merce indicata nelle fatture con conseguente difetto del presupposto al quale ancorare l’ipotesi accusatoria della difformità, rispetto al reale, del fornitore indicato come controparte dell’operazione commerciale; in secondo luogo, si rappresentava che la società emittente RAGIONE_SOCIALE aveva comunque agito quale intermediario tra la RAGIONE_SOCIALE ed il venditore, secondo normale logica imprenditoriale.
Si rileva altresì che la sentenza impugnata è contraddittoria laddove, a fronte di operazioni sottoposte al regime di inversione contabile (c.d. reverse charge) non ha ritenuto applicabile lo schema della neutralità dell’IVA.
Parimenti contradditoria è la motivazione della sentenza impugnata laddove esclude l’operatività dell’inversione contabile sul presupposto che le fatture siano tutte relative ad operazioni soggettivamente inesistenti quando invece dagli atti emerge che la società emittente RAGIONE_SOCIALE era attiva nel commercio dei rifiuti.
Si sostiene che, anche a ritenere comunque sussistente l’esistenza di una “frode carosello”, da ciò non deriva in automatico una fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti che deve necessariamente passare dalla prova di un accordo tra emittente ed annotante e dal conseguimento di un vantaggio fiscale.
In relazione all’addebito sub 8), la Corte di appello ha ritenuto che anche le fatture emesse dalle società RAGIONE_SOCIALE, METALI TRGOVINA DOO e POLIPLAST ed annotate dalla RAGIONE_SOCIALE di cui è amministratore l’imputato siano relative ad operazioni soggettivamente inesistenti attesa la natura di “cartiera” delle emittenti.
Apparente è la motivazione della sentenza rispetto al rilievo difensivo in ordine alla non autenticità del timbro della società indicata nel DDT quale trasportatore.
Proprio l’apposizione di un timbro fittizio e, dunque, la falsificazione del documento di trasporto esclude il dolo del reato in capo all’imputato atteso che alla società RAGIONE_SOCIALE era stato in tale modo impedito, con un artifizio, di avvedersi dell’effettivo trasportatore.
La Corte di appello non ha neppure considerato gli apporti testimoniali che hanno dato conto dell’esistenza di trasporti e di conferimenti di materiale, sicchè non tutte le operazioni sono state ritenute fittizie dal giudice di primo grado; ha altresì ignorato il rilievo difensivo per cui la mancanza di documento di “sdoganamento” della merce acquistata trovava giustificazione nel fatto che la Croazia, sin dal 2013, è membro della Unione Europea.
3.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
L’argomentare della Corte di merito, in punto di dosimetria della pena, è apodittico e non in linea con gli indici normativamente tipizzati; in particolare l scostamento dal minimo edittale e il mancato riconoscimento di attenuanti generiche sono da censurare in quanto non tengono in debita considerazione la parziale ammissione degli addebiti e lo stato di incensuratezza dell’imputato.
3.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000 e il vizio motivazione.
È censurata la statuizione in punto di confisca relativamente agli immobili già oggetto di sequestro (l’uno sito in Olgiate Olona e l’altro in località San Teodoro) che sono di esclusiva proprietà e disponibilità di COGNOME NOME, moglie dell’imputato e terza estranea agli illeciti, la quale li ha acquistati in epoca b anteriore al decreto di sequestro preventivo e con disponibilità proprie di provenienza lecita, come documentato dalla difesa.
La Corte di appello ha affermato che tali cespiti erano stati acquistati con i proventi dell’imputato ed erano nella sua disponibilità valorizzando, al riguardo, il provvedimento emesso in data 16/09/2022 dal Tribunale di Busto Arsizio di rigetto di istanza di dissequestro che, tuttavia, è successivo alla sentenza di primo grado e richiama accertamenti non confluiti negli atti di causa ed utilizzati dai giudici secondo grado in maniera postuma.
Con motivi nuovi depositati in data 14/01/2025 con riferimento al terzo motivo del ricorso principale presentato nell’interesse di NOMECOGNOME si rappresenta che con sentenza emessa in data 6/12/2024 il Giudice per l’udienza
preliminare del Tribunale di Milano ha “assolto” (rectius, dichiarato non doversi procedere ai sensi dell’art. 425 cod. proc. pen.) il ricorrente e la moglie NOME COGNOME dal reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. proprio in relazione ai due immobili oggetto di confisca ritenendo provato, sul piano oggettivo, l’effettività dell’acquisto e, quindi la riconducibilità degli stessi alla COGNOME la quale aveva autonome capacità reddituali per effettuarne l’acquisto e ritenendo altresì non dimostrato che, all’epoca delle intestazioni, NOME avesse motivo di temere l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniale.
Nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME i ricorsi sono affidati a sette motivi.
5.1. Con il primo motivo si censura, per mancanza e contraddittorietà della motivazione, l’ordinanza emessa in data 09/04/2024 dalla Corte di appello che ha respinto la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, fatta eccezione per il verbale di interrogatorio reso in data 22 luglio 2020 da NOME COGNOME
L’istanza è stata sbrigativamente respinta sul presupposto che le prove oggetto di integrazione non fossero necessarie ai fini del decidere, con la conseguenza che, a seguito della loro mancata assunzione, la decisione dei giudici di secondo grado difetta di elementi sufficienti (data la lacunosità delle indagini svolte) per una compiuta valutazione in ordine alla effettiva natura di cartiere delle società che hanno emesse le fatture nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e al carattere oggettivo ovvero soggettivo della contestata fittizietà delle operazioni ad esse sottese.
5.2. Con il secondo motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento agli artt. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, 192 e 530 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione in ragione per travisamento del fatto e della prova in punto di giudizio di responsabilità per i reati di cui ai capi 2) e 3).
La difesa ricorrente (pagg. da 16 a 51) richiama le fatture in contestazione emesse negli anni dal 2013 al 2018 nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE distinguendole per oggetto (la vendita di materiale ferroso e il noleggio di un escavatore e/o di un vaglio rotante) e per società emittente (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE); evidenzia, per ciascun gruppo, la sussistenza di elementi che smentirebbero l’ipotesi di inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate, già rappresentati nei motivi di appello ma non valutati dalla Corte territoriale con adeguato apparato motivazionale; sottolinea l’insufficienza degli indici indicati da giudici di merito per ritenere le imprese emittenti semplici “cartiere”, il ricorso a argomentazioni di carattere presuntivo, la contraddittorietà nella valutazione di
taluni apporti dichiarativi e la valorizzazione di testimoni non attendibili nonchè l’avvenuta selezione, rispetto all’intero compendio probatorio, dei soli elementi “a carico”, ignorando quelli, invece, favorevoli.
Le fatture emesse dalle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, con l’unica eccezione di quelle emesse nel mese di giugno 2018 da RAGIONE_SOCIALE, riguardano prestazioni realmente eseguite: infatti, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE pagavano il soggetto che forniva la merce con cui contrattavano il prezzo di acquisto e che emetteva regolare fattura.
Al più, si tratterebbe di fatture per operazioni soggettivamente fittizie che, tuttavia, non consentono di configurare il contestato delitto di dichiarazione fraudolenta essendo le stesse sottoposte al regime di inversione contabile (c.d. reverse charge).
La difesa ricorrente al riguardo richiama le caratteristiche del sistema di inversione contabile (il quale sottrae l’imposta al fornitore, che non la incassa, trasferendo sul cliente/committente l’onere di liquidare e versare l’imposta stessa); evidenzia che tale meccanismo è previsto proprio per le operazioni di cessione di rottami ferrosi sottese alle fatture in contestazione (art. 74, comma 7, d.P.R. n. 633/1972); descrive l’iter contabile previsto in caso di applicazione del sistema reverse charge sottolineando come esso sia stato regolarmente seguito dagli acquirenti RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, i quali, ricevuta la fattura dal fornitore (emessa senza Iva e con la dicitura “inversione contabile”), la integravano con indicazione, riportata a mano, dell’Iva al 22%, per poi annotarla nei registri delle vendite e degli acquisti.
La Corte di appello ha ritenuto che, in caso di frode fiscale realizzata attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, il meccanismo di inversione contabile non opera ed al riguardato ha richiamato la sentenza n. 22727 del 20/07/2022 con la quale le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione chiamate a pronunciarsi in sede amministrativa/tributaria e, quindi nell’ambito di un accertamento del tutto diverso da quello oggetto del giudizio penale – hanno affermato il principio della indetraibilità dell’IVA per operazioni inesistenti anche quando il contribuente si sia avvalso del sistema dell’inversione contabile, senza tuttavia operare alcuna distinzione tra fatture per operazioni oggettivamente ovvero soggettivamente inesistenti.
Da tale distinzione, tuttavia, non si può prescindere ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000.
A detta dei ricorrenti, la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti si atteggia, infatti, diversamente a seconda che l’evasione sia diretta ad abbattere il debito erariale relativamente alle imposte dirette o relativamente all’IVA
6 GLYPH
affermando che il reato è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, mentre, con riguardo all’IVA, esso si configura anche nel caso di inesistenza oggettiva ovvero di diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura.
Tuttavia, la qualificazione della falsità soggettiva assume una significativa rilevanza nel caso di operazioni sottoposte al regime inversione contabile (cd. reverse charge) per il quale muta l’effettivo soggetto di imposta (dal cedente al cessionario), sicchè l’operazione diventa neutrale per il cessionario stesso; e, proprio in considerazione della neutralità che assume per il cessionario l’operazione sottoposta al meccanismo di inversione contabile, non è ravvisabile alcuna finalità evasiva (e cioè il dolo specifico del reato di cui all’art. 2 D.Lgs. 74 del 2000) poiché difetta la figura di un soggetto che, ricevuta l’imposta, non la versi all’Erario, generando in capo a quest’ultimo il correlato danno.
Rileva inoltre il ricorrente che il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unit civili non può trovare applicazione nei confronti degli imputati Cerato in relazione ai fatti ascritti nel presente procedimento (contestati come commessi con riferimento alle annualità 2012-2019), in quanto posti in essere tutti in epoca antecedente alla enunciazione del principio stesso, pena la violazione del principio di irretroattività della legge penale sostanziale sfavorevole.
L’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità è nel senso di ritenere che il principio di cui all’art. 2, comma primo, cod. pen. opera anche nell’ipotesi in cui “l’estensione dell’ambito di applicazione di una figura di reato” derivi da una modifica normativa ma anche da un mutamento dell’interpretazione giurisprudenziale che non fosse prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa; e tale orientamento risulta essersi consolidato anche nella giurisprudenza della Corte EDU che ha più volte riconosciuto come la prevedibilità della decisione giudiziaria rappresenta un diretto corollario del principio di irretroattività sancito dall’art. 7 CEDU.
5.3. Con il terzo motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento agli artt. 452-quaterdecies cod. pen., 183 ss. e 258, comma quarto, D.Lgs. n. 152 del 2006, 192 e 530 cod. proc. pen., nonché la mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione per travisamento del fatto e della prova in relazione al giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo 1).
Si rileva in primo luogo come vi sia una insormontabile contraddizione in termini tra il traffico illecito di rifiuti (che presuppone l’esistenza oggettiva d forniture e la qualità di rifiuto di tutta la merce scambiata) e la loro oggettiv inesistenza, presupposto delle imputazioni di frode fiscale di cui ai capi 2) e 3).
Il Tribunale e la Corte di appello hanno tentato di superare tale illogicità ritenendo integrato il delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. limitatamente al materiale oggetto delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti (quelle emesse da RAGIONE_SOCIALE di cui al capo 2 e quelle emesse da RAGIONE_SOCIALE di cui al capo3) rispetto alle quali gli allegati formulari non consentivano di identificare, né di ricostruire quale fosse il reale produttore/detentore dei rifiu ceduti a Sidafer e a Sidafer 2.
Richiamate la normativa vigente in materia di gestione e tracciabilità dei rifiuti (artt. 183, 188, 190 e 193 del D.Lgs. n. 152 del 2006 e disposizioni del Decreto del Ministero dell’Ambiente 1 aprile 1998 n. 145) e l’art. 258, comma quarto, D.Lgs. n. 152 del 2006 relativo alla sanzioni amministrative e penali in caso di mancata o inesatta compilazione del formulario dei rifiuti trasportati, si osserva come la Corte di appello non abbia tenuto in considerazione la disciplina legislativa di cui sopra relativa alla gestione e tracciabilità dei rifiuti, con conseguente erronea applicazione della legge penale, oltre che mancanza di motivazione sul punto, in particolare omettendo di spiegare alcunchè in ordine alla ritenuta falsità/irregolarità dei formulari di Sidafer e Sidafer 2.
La affermata irregolarità nella compilazione dei formulari con riferimento alla mancata indicazione del produttore/detentore effettivo non solo non sussiste maanche ove rilevabile- non è imputabile ai Cerato. Invero, come previsto dalla normativa richiamata, l’acquirente del rifiuto non ha un onere di tracciamento di tutta la filiera, essendo tale incombenza posta a carico del produttore e/o al detentore.
Nel caso di specie, è ampiamente emerso che l’oggetto delle fatture emesse dalle imprese riferibili a NOME NOME era rappresentato da materiale ferroso che lo stesso COGNOME acquistava personalmente per poi rivenderlo ai suoi clienti, tra i quali RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. Queste ultime, al momento dell’acquisto, compilavano correttamente il formulario indicando, come detentore, proprio le società del gruppo RAGIONE_SOCIALE che avevano venduto il rifiuto, sicchè non poteva ravvisarsi alcuna irregolarità e men che meno falsità da parte degli imputati.
La Corte di appello non ha inoltre spiegato in che termini la ritenuta “erronea compilazione dei formulari” integrerebbe il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. e non invece l’illecito amministrativo di cui all’art. 258, comma quarto, D.Lgs. n. 152 del 2006.
Con motivazione apparente e comunque illogica i giudici di secondo grado hanno ritenuto che tale erronea compilazione sia stato lo strumento attraverso il quale consentire l’emissione delle fatture soggettivamente false che, a loro volta, erano finalizzate ad occultare l’effettivo produttore/detentore.
Si tratta di un argomentare contraddittorio: da un lato, affermare che le fatture sono false da un punto di vista soggettivo poiché destinate ed emesse al fine di non fare emergere l’effettivo produttore/detentore significa riconoscere che il fine della condotta contestata ai capi 2), 3) non era quello di evadere le imposte, bensì di agevolare il traffico illecito dei rifiuti; dall’altro lato, se l’ compilazione dei formulari è solo strumento e passaggio necessario per consentire l’emissione delle false fatture, non si comprende quale sarebbe il contributo concorsuale degli imputati alla asserita contestuale gestione illecita di rifiuti.
La Corte di appello è incorsa in un evidente vizio di motivazione anche nell’analisi degli gli elementi costituti del reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen.
Invero, quanto al profilo della “attività illecita continuativa”, i giudic secondo grado si sono limitati a richiamare il dato temporale della contestazione (2011-2018) ed hanno altresì valorizzato un dato privo di logica e cioè il servizio di osservazione della polizia giudiziaria che aveva constatato un inesistente scarico di rottami, circostanza evidentemente incompatibile con un traffico illecito di rifiuti.
Quanto al requisito del “quantitativo ingente”, la Corte territoriale non si è preoccupata di chiarire la reale entità dei rifiuti gestiti abusivamente, rispetto all imputazione che indica il dato di 76.066, 987 tonnellate.
Quanto al requisito della “gestione abusiva”, è pacifico, come riferito dal testimone COGNOME, che le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE erano in possesso di regolare autorizzazione ed erano iscritte all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, così come le emittenti RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, mentre RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non necessitavano di alcuna iscrizione e/o autorizzazione in ragione della attività svolta.
Quanto, infine, al “dolo specifico”, gli imputati COGNOME hanno acquistato, pagato, trattato e smaltito il materiale senza giovarsi di alcun risparmio di spesa.
5.4. Con il quarto motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento agli art. 648-ter.1 cod. pen., 192 e 530 codice di rito e la mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione per travisamento del fatto e della prova in relazione al giudizio di responsabilità per il delitto di autoriciclaggio di cui al capo 27).
Rileva la difesa ricorrente che nell’atto di appello era stato evidenziato come le contestate condotte di autoriciclaggio (e cioè i bonifici verso l’estero, effettua immediatamente dopo i pagamenti delle fatture emesse negli anni 2015-2018 effettuati da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE) erano avvenuti in un momento antecedente alla presentazione delle dichiarazioni fiscali nelle quali erano confluite dette fatture, con conseguente non configurabilità del delitto di cui all’art. 648 ter.1 cod. pen., come affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
La Corte territoriale ha condiviso la deduzione difensiva, sicchè logica ed imprescindibile conseguenza avrebbe dovuto essere la pronuncia di assoluzione degli imputati COGNOME in relazione al delitto di autoriciclaggio; invece, i giudici secondo grado hanno sostenuto, del tutto inopinatamente, che “la responsabilità per tale illecito dei due ricorrenti debba essere ricostruita in termini di concorso nell’autoriciclaggio posto in essere da NOME“.
Come è noto, il delitto di autoriciclaggio va qualificato come reato proprio ed il soggetto che, non avendo concorso nel delitto presupposto, contribuisca alla realizzazione da parte dell’intraneus delle condotte tipizzate dall’art. 648-ter.1 cod. pen. potrà rispondere, al più, di riciclaggio ovvero del delitto di cui all’a 648-ter cod. pen., ma non di concorso nell’autoriciclaggio.
La conclusione a cui è pervenuta la Corte di appello è infondata non solo in diritto ma anche in fatto atteso che NOME è stato condannato per il delitto di autoriciclaggio con riferimento ai reati presupposti di cui ai capi 11-13-14-15 (ex capi 21-23-24-25) che non sono contestati agli imputati NOME.
Le motivazioni rese dalla Corte di Appello in merito al contributo che costoro (in particolare, COGNOME NOME) avrebbero reso rispetto all’autoriciclaggio compiuto da NOME sono comunque prive di logica ed anche contraddittorie.
Non vi è prova della retrocessione in favore degli imputati del denaro da loro corrisposto a titolo di pagamento del materiale oggetto delle operazioni commerciali asseritamente fittizie.
Nulla è emerso dagli accertamenti bancari (i COGNOME non sono risultati autori di prelevamento di somme in contanti in Italia o all’estero, né risultavano delegati ad operare sui conti esteri) e non sono mai stati registrati viaggi di costoro in Croazia.
La Corte di appello ha attribuito rilievo ad una trasferta in Ungheria effettuata il 29 maggio 2018 da NOME COGNOME insieme a NOME COGNOME (al cui rientro entrambi erano stati trovati in possesso di denaro contante e di una scheda contabile intestata a RAGIONE_SOCIALE) e alla conversazione telefonica intercettata il successivo 31 maggio 2018 nella quale COGNOME aveva chiesto a NOME di “andare da NOME” per “dargli i soldi”. Tuttavia, anche ammesso che il “NOME” sia da identificarsi nell’imputato NOME (NOME nell’interrogatorio acquisito dalla Corte di appello su richiesta della difesa, lo aveva espressamente escluso), si tratta di un episodio riferito a fatti non oggetto del capo di imputazione in cui è contestato il trasferimento di denaro in Croazia su conti correnti di società croate (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE).
Quanto alla posizione di NOME COGNOME la sentenza impugnata nulla dice in ordine al ruolo di costei rispetto all’autoriciclaggio compiuto da COGNOME salvo
affidarsi a presunzioni e al principio del “non poteva non sapere”, così attribuendole il reato a titolo di responsabilità oggettiva.
5.5. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità con riferimento agli artt. 521 e 522 del cod. proc. pen.
Rispetto all’imputazione di cui al capo 27), il giudice di primo grado ha condannato gli imputati Cerato esclusivamente per le condotte di autoriciclaggio contestate per gli anni 2015-2018 in relazione ai proventi del reato presupposto di cui al capo 3), mentre la Corte di appello ha sostenuto che costoro avessero concorso (non si comprende in che termini e con quale ruolo) nel delitto di autoriciclaggio commesso da COGNOME, e quindi per un fatto diverso sul quale la difesa non ha avuto modo di interloquire.
5.6. Con il sesto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. la violazione di legge con riferimento agli artt. 416 cod. pen. 192 e 530 cod. proc. pen. e la mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione per travisamento del fatto e della prova in relazione al giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo 31).
Rileva la difesa ricorrente che non vi è prova dell’esistenza dell’associazione come contestata dalla pubblica accusa, né, comunque, della consapevolezza di farne parte in capo agli imputati COGNOME.
Si è evidenziato, quanto al primo profilo, che, da una parte, vi è il “mondo RAGIONE_SOCIALE” e, da altra parte, vi è il “mondo Varca Assanelli”, entrambi operanti nel settore dei metalli ferrosi e ciò che accomuna i due mondi è solo il fatto di essere stati entrambi fornitori, nel tempo, di Sidafer e di Sidafer 2; vi sarebbe poi un “terzo mondo” (quello composto da Sidafer/ Sidafer 2, Gea, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) accomunati dal fatto di essere stati clienti di Cesco.
La Corte di appello si è limitata a richiamare la sentenza irrevocabile emessa in data 03/03/2021 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Milano che aveva definitivamente accertato l’esistenza della contestata associazione, adagiandosi su tale decisum, senza compiere alcuna autonoma e motivata valutazione. In particolare, non ha valutato le risultanze dell’istruttori dibattimentale dalla quale non risulta alcuna commistione tra i tre gruppi imprenditoriali o altro elemento che comprovi la consapevolezza di far parte di una associazione e di contribuire, con le proprie condotte, a realizzare comuni interessi ed obiettivi illeciti: ciò che emerge sono solo i rapporti tra NOME COGNOME e NOME COGNOME e incontri sporadici con NOME COGNOME che testimoniano una attività commerciale perfettamente lecita in termini di cliente/fornitore.
Quanto alla posizione di NOME COGNOME costei in concreto si occupava, in seno alla Sidafer 2, soltanto di aspetti amministrativi (compilazione di fatture e
documenti e trasmissione di ordini di pagamenti o bonifici), senza mai interessarsi degli aspetti commerciali nel cui ambito si sarebbero realizzati i reati fine della contestata associazione.
Si deduce, infine, che difetta l’elemento caratteristico della fattispecie di cui all’art. 416 cod. pen. ovvero l’indeterminatezza del programma criminoso che vale a distinguere il reato di associazione a delinquere dal concorso di persone nel reato.
5.7. Con il settimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. la violazione di legge in relazione agli artt. 81, 132 e 133 cod. pen, 322-ter cod. pen. 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, nonché mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello ha escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche adagiandosi alla scarna e apodittica valutazione effettuata dal Tribunale.
Entrambi i giudici di merito hanno valorizzato la gravità della condotta e l’intensità dell’offesa ai fini della determinazione della pena base in misura superiore al minimo edittale e dei significativi aumenti operati a titolo d continuazione (così valutando due volte la medesima circostanza), tralasciando di considerare elementi positivi, quali lo stato di incensuratezza ed il ruolo marginale svolto, soprattutto per quanto riguarda l’imputata NOME COGNOME
Quanto alla confisca del profitto dei reati tributari disposta ai sensi dell’art 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, il Tribunale disponeva nei confronti degli imputati con riguardo ai capi 2) e 3) di imputazione – la confisca dei beni già sottoposti a sequestro, oltre ad eventuali ulteriori denaro o beni nella loro disponibilità fino all concorrenza del profitto conseguito da entrambi gli illeciti, pari all’Iva e all’impost sui redditi evase rispettivamente dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE 2.
La Corte di appello ha revocato la confisca in relazione ai reati di cui ai capi 2) e 3) limitatamente agli importi delle imposte Iva e Ires con riferimento alle annualità per le quali dichiarava la prescrizione.
Entrambi i giudici di merito sono incorsi in una evidente violazione in punto di effettiva quantificazione del profitto dei reati; in ogni caso, la Corte di appello h utilizzato un prospetto tabellare riepilogativo elaborato dalla Guarda di Finanza successivamente alla sentenza di primo grado prodotto dal Procuratore Generale in udienza di cui la difesa aveva contestato l’acquisizione e la conseguente utilizzabilità.
Nell’interesse di NOME COGNOME il ricorso è affidato a quattro motivi.
6.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per i reati di cui al capo 4).
Rileva in primo luogo il ricorrente che la sentenza impugnata, con evidente deficit motivazionale, analizza la posizione dell’imputato in sole due pagine (61 e 62) e, per il resto, si richiama alla parte relativa alla trattazione del capo 3 per società RAGIONE_SOCIALE che, tuttavia, nulla ha a che vedere con l’addebito sub 4) formulato nei confronti dell’imputato, amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE quale utilizzatore delle fatture ricevute dalle società emittenti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
Si tratta di contestazioni del tutto autonome, sicchè del tutto erroneo è il riferimento per relationem alla trattazione dei rapporti e delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Si osserva altresì:
-che l’attribuzione della natura di cartiere delle società emittenti – si legg testualmente nel ricorso – “non è opponibile a COGNOME, neppure partecipe alla decisione nei confronti di NOME COGNOME in merito agli accertamenti in esso contenuti”;
-che le società emittenti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, agli occhi di terzi, si presentavano come assolutamente regolari, con rituale iscrizione alla Camera di Commercio e senza alcun pregiudizio a carico;
-che le fatture oggetto di contestazione non sono riconducibili al sistema delle c.d. “frodi carosello” (per sua natura finalizzato all’evasione dell’imposta sul valore aggiunto) poiché esse erano esenti da Iva e sul punto insuperabile è la testimonianza del luogotenente COGNOME
-che la Corte di appello ha affermato che l’incremento di redditività e fatturato della RAGIONE_SOCIALE negli anni 2016 e 2017 non era da ricondurre alla acquisizione del ramo di azienda della RAGIONE_SOCIALE trascurando, tuttavia, come, dai bilanci della società, il fatturato nel 2018 risultava quadruplicato rispetto all’anno 2015, proprio a seguito di tale operazione grazie alla quale la RAGIONE_SOCIALE aveva incrementato l’operatività aziendale acquisendo le autorizzazioni per aumentare i prodotti da trattare; tale aumento di redditività si registrava anche dopo l’interruzione di ogni rapporto con le società oggetto di imputazione;
-che privo di pregio è il contributo reso dall’ing. COGNOME chiamato a fornire precisazioni “tra MUD (modello unico di dichiarazione ambientale) e quantitativi di materiale documentato”, non avente la veste di perito ed essendo privo di competenza tecnica sul tema: tale apporto non è affidabile avendo egli basato le proprie valutazioni su alcuni riepiloghi forniti dall’amministratore giudiziari rispetto ai quali sarebbe stato necessario avere l’opportunità di confrontarsi; quanto affermato da tale soggetto è, del resto, smentito dalla puntuale analisi,
anno per anno, di tutti i registri di carico e scarico e di tutti i formulari prod dalla difesa ed altresì dalle relazioni del consulente COGNOME, pure acquisite agli att ma totalmente trascurate dalla Corte di appello, da cui emerge la regolarità dei MUD (modelli unici di dichiarazioni ambientali che riportano i dati e le quantità di materiale gestite) e di tutta la movimentazione aziendale del materiale e relativa documentazione;
-che l’effettiva operatività della RAGIONE_SOCIALE è stata confermata anche dagli autisti e dalle impiegate sentiti in dibattimento, tra cui la dipendente COGNOME NOME e l’autista NOME COGNOME proprio con specifico riferimento al materiale compravenduto con le società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ;
che la Corte territoriale ha richiamato una serie di “anomalie” che non sono idonee a comprovare l’interposizione soggettiva fittizia, mostrando, tra l’altro, di confondere la distinzione tra inesistenza oggettiva e soggettiva delle operazioni sottostanti alle fatture, in particolare riscontrando l’incongruità dei prezzi indica in fatture, sebbene tale profilo non implichi alcuna divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.
6.2. Con il secondo motivo, si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per i reati di cui al capo 18) contestati all’imputato.
La Corte di appello ha confermato la colpevolezza in ordine a tale addebito limitandosi ad affermare che esso “costituisce lo speculare risvolto” degli addebiti sub 3) e 4), senza aggiungere alcunchè di specifico in ordine alla esistenza o inesistenza delle operazioni, al concreto contributo causale fornito dall’imputato (al di là della carica di amministratore ricoperta in seno alla RAGIONE_SOCIALE), all effettiva realizzazione di effetti vantaggiosi sul versante fiscale ai fini delle impos considerato che, nel caso di specie, si verte nell’ipotesi di fatture per operazioni esenti da Iva.
Si è sostenuto che la colpevolezza dell’imputato deriverebbe dalla duplice veste della RAGIONE_SOCIALE di soggetto utilizzatore ed emittente, ma se così fosse vi sarebbe un raddoppio di responsabilità non consentito dall’art. 9 del D.Lgs. n. 74 del 2000.
6.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo 1) contestato all’imputato.
Come è noto, l’art. 452-quaterdecies cod. pen. e i reati previsti dall’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 hanno elementi costitutivi e beni giuridici tutelati
completamente differenti; la Corte di appello ha identificato la condotta di concorso dell’imputato nel reato di traffico illecito di rifiuti contestato al capo nella “interposizione della RAGIONE_SOCIALE nelle fatturazioni tra le società facenti capo a NOME NOME e NOME e la RAGIONE_SOCIALE” la quale, tuttavia, determinerebbe solo una violazione delle norme di natura fiscale, così finendo per attribuire erroneamente a quest’ultima la natura di elemento costitutivo del reato di gestione abusiva di rifiuti.
Rileva inoltre il ricorrente che la Corte di appello ha accomunato la posizione della RAGIONE_SOCIALE a tutta una miriade di imprese e soggetti con cui essa non risulta avere mai intessuto rapporti, essendo pacificamente emerso che tale società si è relazionata solo con alcune aziende e per un periodo limitato a circa due anni.
Fuorviante è il richiamo operato nella sentenza impugnata “alle considerazioni sulla sussistenza del reato e sulla attribuzione a COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME” e alla assenza delle “previste autorizzazioni ambientali” ovvero alla disponibilità di “autorizzazioni inidonee, incomplete o scadute”.
La RAGIONE_SOCIALE è chiamata a rispondere solo della mera interposizione nelle fatturazioni e per tale ragione era allora determinante escludere che si trattasse di una cartiera e verificare che essa avesse una valida organizzazione aziendale con possesso delle prescritte autorizzazioni e di formulari esenti da criticità.
La Corte di appello incorre poi nella evidente errata applicazione della norma laddove omologa il “produttore” del rifiuto al “detentore”, figure che, invece, l’art. art. 183 D.Lgs. n. 152 del 2006 delinea in modo distinto.
L’addebito nei confronti dell’imputato di avere rappresentato “in modo non veritiero la circolazione dei rifiuti … consentendo la dissimulazione e deviazione nel tracciamento dei vari passaggi (da detentore/produttore a smaltitore)” risulta affermazione non corretta proprio perché assimila le due figure attribuendo all’imputato una posizione di garanzia priva del sostegno di alcuna fonte giuridica. Onere e dovere del gestore ambientale non sono quelli di essere garanti di tutta la filiera del rifiuto sin dalla sua origine, ma di registrare in ogni formulario tu requisiti previsti dall’art. 193 D.Lgs. n. 152 del 2006 (nome ed indirizzo del produttore; origine, tipologia e quantità del rifiuto; impianto di destinazione; data e percorso dell’istradamento). Ciò ha fatto la RAGIONE_SOCIALE per ogni singolo documento in cui sono stati riportati con precisione il materiale e la quantità (come affermato dal consulente COGNOME) e il “detentore” risulta indicato nelle società conferenti il materiale.
Erronea è l’affermazione della Corte di appello secondo cui “i passaggi dalle società di RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE erano meramente apparenti”: essi erano invece reali e tutti regolarmente registrati e monitorati tramite la puntuale redazione dei
formulari, così dovendosi escludere l’occultamento della provenienza reale del rifiuto.
Per quanto attiene all’eventuale conseguimento, come effetto della gestione abusiva dei rifiuti, di un ingiusto profitto, sono errate le conclusioni cir “l’esposizione di costi non veritieri nelle dichiarazioni dei redditi”, atteso che g stessi giudici di secondo grado hanno escluso indebite detrazioni con effetto sulle imposte dirette.
6.4. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello ha escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonostante la ridotta gravità dei fatti rispetto all’intera vicenda, limitato arco temporale di commissione dei reati ed i numerosi indici positivi in favore dell’imputato rappresentati dalla incensuratezza, dalla giovane età, dall’avere fornito tutta la documentazione in suo possesso mettendosi a disposizione della polizia giudiziaria e dal contributo reso nell’ambito del procedimento tributario mediante pagamento dei ratei per l’anno 2016, come documentato in atti.
Nella rideterminazione della pena, gli aumenti di pena applicati ai sensi dell’art. 81 cod. pen. risultano, infine, particolarmente gravosi ed immotivati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ragioni di sistematicità e di ordine logico rendono opportuno l’esame, in primo luogo, dei ricorsi proposti nell’interesse congiunto di NOME COGNOME e di NOME COGNOME rispetto ai quali verranno sviluppate argomentazioni in parte utili anche per l’analisi delle impugnazioni interposte dai coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Entrambi i ricorsi in questione sono inammissibili.
2.1. E’ manifestamente infondato il primo motivo con il quale si deduce la violazione di legge e la mancanza e la contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza di diniego dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale fatta eccezione per il verbale di interrogatorio reso in data 22 luglio 2020 da NOME COGNOME che la Corte territoriale ha, invece, acquisito agli atti.
La rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza di quella espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga,
nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266820).
Il sindacato che il giudice di legittimità può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento sulla richiesta di rinnovazione istruttoria del dibattimento in appello non può mai essere condotto avendo riguardo alla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203764 e, successivamente, Sez. 3 n. 7680 del 13/01/2017, COGNOME, Rv. 269373; Sez. 3, n. 34625 del 15/07/2022, COGNOME, Rv. 283522).
La mancata integrazione probatoria può essere, quindi, censurata solo qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendo all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 271163; Sez. 5 n. 32379 del 12/04/2018, COGNOME, Rv. 273577; Sez. 3, n. 3028 del 15/12/2023, dep. 2024, D., Rv. 285745).
Posti tali principi, va osservato come la Corte territoriale – pur avendo, con l’ordinanza impugnata, sinteticamente rigettato l’invocata istanza di integrazione istruttoria per assenza del requisito della necessità – in sentenza (pagg. 58 e 59) ha puntualmente esplicato, per ciascuna delle prove richieste in rinnovazione non ammesse ed in conformità al paradigma legale di cui all’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., i motivi per i quali non le ha ritenute necessarie ai fini del decidere e anzi, per certi versi, addirittura superflue, alla luce dei dati probatori già in att
Si tratta, pertanto, di decisione non sindacabile in questa sede, né – per le ragioni che si andranno ad esporre nel successivo paragrafo 2.3. – dal tessuto argomentativo della sentenza posto in relazione alle censure difensive svolte nell’interesse degli imputati COGNOME è possibile desumere una grave lacuna del ragionamento probatorio e della sua rappresentazione a livello motivazionale nella quale il giudice di appello non sarebbe incorso, ove avesse disposto la rinnovazione dell’istruttoria invocata dalla difesa con riferimento allo specifico profilo d carattere fittizio delle fatture oggetto delle imputazioni sub 2) e 3).
2.2. Quanto agli ulteriori motivi proposti in punto di giudizio di responsabilità, la natura degli stessi, impone preliminarmente di richiamare alcuni generali e consolidati principi in tema di sindacato di legittimità.
Per giurisprudenza pacifica di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa ripetizione di quelli già proposti nel giudizio di secondo grado e motivatamente disattesi, dovendo gli
stessi considerarsi non specifici e soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di impugnazione (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, COGNOME, Rv. 244181; Sez. 3, n. 44882 del 10/07/2014, COGNOME, Rv. 260608; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710). In altri termini, a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata una critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello atteso che il dedotto vizio di motivazione deve avere come punto di riferimento non il fatto in sé, ma il costrutto logico argomentativo della sentenza di secondo grado; in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta.
E’ altrettanto consolidato il principio secondo cui non rientra nei poteri del giudice di legittimità quello di effettuare una rilettura degli elementi storico-fattua posti a fondamento del motivato apprezzamento al riguardo svolto nell’impugnata decisione di merito, essendo il relativo sindacato circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari aspetti o segmenti del percorso motivazionale ivi tracciato (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; Sez. 3, n. 35397 del 20/06/2007, T.R., non mass.; Sez. 2, n. 21644 del 13/02/2013, COGNOME, Rv. 255542; Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016, COGNOME più altri, non mass.; Sez. 4 n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601). L’accertamento di fatto è riservato al giudice della cognizione, sicchè le censure di merito agli apprezzamenti singoli e complessi sul materiale probatorio costituiscono motivi diversi da quelli consentiti (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.). Inammissibili sono, quindi, tutte le doglianze che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove e che evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti della attendibilità, della credibilità e dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623; Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609). Allorquando il giudice di merito ha espresso il proprio apprezzamento, la ricostruzione del fatto è definita e le censure possibili nel giudizio di legittim sono quelle dei soli tre tassativi vizi indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e) c proc. pen., ciascuno dotato di peculiare oggetto e struttura laddove, in particolare, l’illogicità della motivazione, per essere apprezzabile come vizio di legittimità, deve
essere evidente, cioè sorretta da palesi errori nella applicazione delle regole della logica.
Ancora, va ricordato il consolidato insegnamento di questa Corte secondo il quale il giudice di merito non deve limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi raccolti, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma è tenuto, preliminarmente, a valutare ciascuno di essi per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa; in altre parole, occorre procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la -astratta- relativa ambiguità di ciascuno di essi isolatamente considerato, possa, in una visione unitaria, risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato” al di là di ragionevole dubbio” e cioè con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana e, comunque, prive di qualsiasi riscontro nelle risultanze processuali (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 51457 del 21/06/2017, COGNOME, Rv 271593; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, COGNOME, Rv 266941; Sez. 1, n. 44324 del 18/04/2013, Stasi, Rv. 258321).
In ogni caso, con il ricorso per cassazione non è possibile dedurre come motivo il “travisamento del fatto”, giacchè è preclusa la possibilità per il giudice d legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, mentre è consentito dedurre il “travisamento della prova”, che ricorre nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. In quest’ultimo caso, infatti, non sì tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai f della decisione, ma di verificare se questi elementi esistano.
La deduzione del vizio di motivazione per travisamento della prova, non può, tuttavia, limitarsi, pena l’inammissibilità della censura, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente riportati dal giudicante, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di
radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (cfr., Sez. 1, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085).
2.3. Tanto premesso, è manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso con il quale si lamenta la violazione di legge in relazione all’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 ed il vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento del fatto e della prova con riferimento al giudizio di responsabilità per i reati di cui ai capi 2) e 3 di imputazione.
Il travisamento del fatto non è deducibile in questa sede, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.
Ciò premesso, evidenzia il Collegio come la gran parte delle doglianze sviluppate in ordine alla natura di semplici “cartiere” delle società emittenti le fatture utilizzate da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE sollecitano una rivalutazio di merito non consentita in sede di legittimità e cioè una “rilettura” degli indici inesistenza delle operazioni commerciali fatturate posti a fondamento della sentenza impugnata, denunciando una decisione “erronea” e cioè fondata su una valutazione probatoria asseritamente sbagliata.
Rammentato, pertanto, che la Corte di cassazione è giudice della “motivazione” e non della “decisione”, ed esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va evidenziato come la sentenza impugnata (pagg. da 28 a 42) abbia fornito ampia, logica e coerente contezza del carattere (in parte soggettivamente e, in parte, oggettivamente) fittizio delle cessioni di rottami fatturate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE prima amministrata da NOME COGNOME e la seconda da entrambi gli imputati ricorrenti) da parte delle società del gruppo RAGIONE_SOCIALE le quali, per un verso, non avevano mai fornito tale materiale e, per altro verso, si erano “cartolarmente” interposte al fine di schermare l’effettivo fornitore.
La Corte territoriale ha compiutamente analizzato il corposo materiale probatorio confutando, con riferimento a ciascuno dei gruppi di fatture provenienti dalle società emittenti analizzati nell’atto di appello, tutti i rilievi difensivi in all’effettività delle forniture di materiale ferroso da parte delle società riconducib a NOME COGNOME, censure che, del tutto pedissequamente, si ripropongono in questa sede, non solo nel contenuto ma anche nel tratto grafico (basti confrontare le pagg. da 14 a 57 del gravame e le pagg. da 14 a 51 del presente ricorso, pressochè identiche).
Lungi dal procedere secondo logiche presuntive, la sentenza impugnata ha evidenziato, in una corretta visione unitaria e non parcellizzata della piattaforma probatoria:
le tipiche caratteristiche di c.d. cartiera in capo a tali società (fatta eccezione pe la RAGIONE_SOCIALE) in quanto totalmente inadempienti agli oneri fiscali, in talun casi amministrate da soggetti assolutamente indigenti e senza alcuna competenza gestoria, prive di documentazione contabile, di unità operative (la sede legale era collocata presso studi professionali ovvero presso altre aziende regolari ed operative), non dotate di personale e di mezzi idonei al trasporto del materiale fatturato (in alcuni casi, documentalmente indicati come noleggiati, ma mai fisicamente rinvenuti);
il carattere incompleto della documentazione di supporto alla merce (formulari, pesatura, DDT), in taluni casi contenenti anche annotazioni inveritiere in quanto disconosciute da soggetti sentiti nel dibattimento di primo grado la cui attendibilità è stata puntualmente vagliata dai giudici di appello;
la fittizietà degli indicati luoghi di carico in quanto inidonei a costituire area deposito e stoccaggio e presso i quali non risultavano essere mai stati eseguiti carichi e scarichi di materiali ferrosi, come ricavabile anche dalle testimonianze assunte presso i soggetti incaricati del trasporto che non erano stati in grado di ricostruire in modo preciso e circostanziato le operazioni svolte;
l’accertata simulazione di talune consegne di materiale fatturato dalla società RAGIONE_SOCIALE emersa dalle registrazioni delle due telecamere installate dagli investigatori presso la Sidafer 2 che, in data 2 giugno 2018, documentavano l’arrivo di due mezzi della RAGIONE_SOCIALE, indicata nei d.d.t. allegati al fatture, che alzavano ed abbassavano il cassone senza, tuttavia, scaricare nulla;
gli apporti dichiarativi di soggetti (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME Penta, Tusku Liri) che riferivano di non conoscere affatto alcune delle società emittenti (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE), malgrado documentalmente esse risultassero avere avuto rapporti commerciali con alcune aziende di cui costoro erano rappresentanti legali ovvero dipendenti;
la deposizione di NOME COGNOME, dipendente della RAGIONE_SOCIALE, che aveva descritto l’assoluta anomalia delle operazioni di carico della merce fatturata dalle società riferibili a NOME COGNOME il quale personalmente era solito attenderlo all’uscita dell’autostrada di Arluno per condurlo in luoghi, sempre diversi;
la totale assenza di documentazione di supporto (contratti di consulenza e corrispondenza) alle fatture emesse dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE aventi ad oggetto una attività di mediazione e rappresentanza a favore della RAGIONE_SOCIALE;
l’assenza di qualsivoglia logica commerciale della dichiarata intermediazione di RAGIONE_SOCIALE (unica impresa non “cartiera”, ma effettivamente operativa) tra alcune società facenti capo a NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE
Quanto alle fatture aventi ad oggetto il noleggio di un escavatore e di un vaglio rotante, beni rinvenuti presso la sede della Sidafer, la Corte di appello (pagine 38 e 39 della sentenza impugnata) ha ampiamente confutato i rilievi svolti nell’atto di appello osservando come l’apporto dichiarativo del testimone COGNOME e le argomentazioni svolte dai consulenti tecnici della difesa non erano idonei ad escludere l’evidente antieconomicità della prestazione sottesa a tali fatture che avevano comportato per la Sidafer un costo di affitto di un vaglio rotante, il cui ammontare per l’anno 2021 era pari ad euro 20.500,00, manifestamente incongruo.
Non è dato poi comprendere in cosa concretamente consista il dedotto travisamento della prova, dovendosi escludere che la Corte di merito abbia fondato il proprio convincimento su informazioni che non esistono agli atti o su un dato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale.
Ribadito che al giudice di legittimità è precluso optare per la soluzione che ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti valutando l’attendibilità dei test l’efficacia dimostrativa dei dati probatori in atti, potendo soltanto verificare, neg stretti limiti della censura dedotta, se un mezzo di prova esista e se il risultat dello stesso sia quello indicato dal giudice di merito, la doglianza appare in ogni caso del tutto generica.
Al ricorso non sono, infatti, allegati i verbali integrali delle dichiarazio testimoniali che, secondo i ricorrenti, sarebbero stati travisati, così da consentire l’apprezzamento del loro contenuto complessivo e verificare l’eventuale errore “sul significante” nel quale sarebbe caduti i giudici di secondo grado (non sul “significato”, atteso il divieto di rilettura e di re-interpretazione nel me dell’elemento di prova); risultano compiegati semplicemente brevi estratti delle testimonianze rese da NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME “selezionando” in tal modo solo la parte di deposizione di interesse per i ricorrenti.
In tal senso, va ricordato il consolidato orientamento di legittimità secondo cui sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2024, COGNOME, Rv. 263601; Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, RAGIONE_SOCIALE Rv. 265053).
L’esaustivo apparato argomentativo – rispetto al quale pare evidente come la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con le acquisizioni documentali invocate e con accertamento peritale sulla capacità operativa della
società RAGIONE_SOCIALE non abbia inciso sulla sua tenuta – ha delineato un compiuto quadro probatorio in ordine alla fittizietà, in parte oggettiva ed in parte soggettiva delle prestazioni sottostanti alle fatture oggetto delle imputazioni sub 2 e 3), tutte pacificamente confluite nelle dichiarazioni fiscali della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, con conseguente corretta sussunzione dei fatti nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000.
Ad analoga conclusione deve giungersi in relazione alle fatture aventi ad oggetto il noleggio del vaglio rotante e dell’escavatore rispetto alle quali i giudic di secondo grado hanno ravvisato, con costrutto argonnentativo non manifestamente illogico, una ipotesi di inesistenza da sovrafatturazione (cessione di beni per un prezzo maggiore di quello realmente praticato) che pure integra la fattispecie di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000.
Va ricordato, in proposito, il consolidato orientamento di legittimità secondo cui il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti sussiste sia nell’ipotesi di inesistenza oggettiva dell’operazione, cioè quando non sia stata posta mai in essere nella realtà, sia in quella di inesistenza soggettiva, ossia quando l’operazione vi sia stata ma sia intercorsa tra soggetti diversi o abbia ad oggetto quantitativi inferiori a quel indicati in fattura, sia infine nel caso di sovrafatturazione qualitativa, nel quale fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti, in quanto oggetto di repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 2859 del 30/11/2022, dep. 2023, Dentice, Rv. 284067; Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278378; Sez. 3, n. 28352 del 21/05/2013, Custodi, Rv. 256675).
Con riferimento alle fatture ritenute soggettivamente inesistenti, manifestamente infondato è l’assunto difensivo – già ritenuto non meritevole di accoglimento dalla Corte di appello e riproposto in maniera pedissequa con il presente ricorso – secondo cui la qualifica della falsità soggettiva escluderebbe, nel caso di specie, la sussistenza del contestato reato di dichiarazione fraudolenta sotto il profilo della finalità evasiva poiché le sottostanti operazioni eran sottoposte al regime di inversione contabile (c.d. reverse charge), specificamente previsto dall’art. 74, comma 7, d.P.R. n. 633/1972 per le operazioni di cessione di rottami di metalli ferrosi e cioè ad un sistema in ragione del quale muta l’effettivo soggetto di imposta (dal cedente al cessionario), sicchè l’operazione diventa neutrale per il cessionario stesso.
Come è noto, secondo il principio della “inversione contabile”, il cd. contribuente di fatto dell’imposta sul valore aggiunto si trasforma nel contribuente di diritto, nel soggetto passivo di imposta.
In termini generali, l’imposta sul valore aggiunto è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni o le prestazioni di servizi imponibili (art. 17, pri comma, d.P.R. n. 633 del 1972). Soggetto passivo, dunque, è l’imprenditore che cede il bene o eroga il servizio, traducendosi l’imposta in una voce del corrispettivo destinato ad essere pagato dall’acquirente o dal fruitore del servizio (che per questo motivo definito in dottrina come “contribuente di fatto”). Per determinate operazioni, però, il legislatore prevede che l’imposta debba (o possa) essere pagata direttamente dal cessionario o dal fruitore del servizio. In questi casi, la fattura deve essere emessa senza addebito di imposta e con l’osservanza delle indicazioni contenute nell’art. 21 d.P.R. n. 633, cit., con l’annotazione “inversione contabile” e l’eventuale indicazione dell’art. 17. Il cessionario/fruitore del serviz deve, a sua volta, integrare la fattura con l’indicazione dell’aliquota e della relativ imposta e deve annotarla nel registro delle fatture o dei corrispettivi nonché, ai fini della detrazione, nel registro di cui all’art. 25. La fattura, dunque, è uni L’inversione contabile (o reverse charge) si applica alle operazioni imponibili indicate dall’art. 17, d.P.R. n. 633/1972, cit. (Sez. 3, n. 37642 del 06/06/2024, COGNOME, Rv. 286978-02).
Fermo quanto precede, la Corte territoriale (pagine 40 e 41 della sentenza impugnata) ha escluso che il meccanismo in questione trovi applicazione nel caso di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti nel senso che, in tale ipotesi, ravvisandosi la frode, non opera l’effetto tipico e caratterizzante del dirit alla detrazione dell’IVA, con conseguente elisione della stessa ed esonero del soggetto passivo alla materiale anticipazione monetaria.
Tale assunto è del tutto in linea con il principio dettato dalla pronuncia a Sezioni Unite civili n. 22727 del 20/07/2022, Rv. 665195-01 – con il quale i ricorrenti non si confrontano concretamente – che, seppure emessa in sede amministrativa/ tributaria, afferma il generale principio (in piena coerenza con quanto chiarito da CGUE, sentenza 11 novembre 2021, C-281/20, in causa RAGIONE_SOCIALE/o RAGIONE_SOCIALE) secondo cui per le operazioni imponibili oggettivamente e soggettivamente inesistenti, qualora ne sia provato l’elemento psicologico (ipotesi ricorrente nel caso di specie), non è consentita la neutralizzazione dell’Iva a credito e di quella a debito, mancando i requisiti sostanziali necessari per la relativa detraibilità.
Da tale dictum pienamente condiviso – discende che, nel caso di specie, le società cessionarie RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non potevano avvantaggiarsi del diritto alla detrazione dell’imposta Iva mancandone il relativo presupposto sostanziale (ossia la corrispondenza, anche soggettiva, dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata) legittimante la traslazione sul cessionario dell’obbligo di versamento dell’Iva, normalmente a carico del cedente.
Deduce la difesa ricorrente che il principio introdotto dalla richiamata pronuncia a Sezioni Unite civili n. 22727 del 20/07/2022, Rv. 665195-01, intervenuta successivamente alla data di consumazione dei reati contestati, costituisce un overruling giurisprudenziale, ossia un mutamento ermeneutico non applicabile nel caso di specie in ragione della irretroattività della legge penale sostanziale previsto dall’art. 2, comma primo, cod. pen. che opera anche nell’ipotesi di estensione dell’ambito di applicazione di una figura di reato.
Tale assunto è manifestamente destituito di fondamento.
Il consolidato orientamento di legittimità, che qui si condivide e si ribadisce, è nel senso che l’art. 7 della CEDU – come conformemente interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU (sentenza 22 novembre 1995, s. W. c. Regno Unito, ric. n. 20166/92, Corte EDU, Grande Camera, sentenza 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, ric. n. 42750/09) – non consente l’applicazione retroattiva dell’interpretazione giurisprudenziale di una norma penale nel caso in cui il risultato interpretativo non fosse ragionevolmente prevedibile dal destinatario nel momento in cui la violazione è stata commessa (Sez. 3, n. 46184 del 23/11/2021, M., Rv. 232238; Sez. 3, n. 1731 del 27/11/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 37857 del 24/04/2018, COGNOME, Rv. 273876; Sez. 2, n. 21596 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 267164-01; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, COGNOME, Rv. 256584). Ma, si è anche precisato che l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla interpretazione normativa esclude l’imprevedibilità della decisione giudiziale che adotti una delle soluzioni in contrasto, anche ove minoritaria, e correlativamente esclude l’operatività del divieto di applicazione retroattiva dell’intervento nomofilattico (Sez. 5, n.12747 del 03/03/2020, COGNOME, Rv. 278864; Sez. 5, n. 13178 del 12/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275623; Sez. 5, n. 41846 del 17/05/2018, COGNOME, Rv. 275105; Sez. 5, n. 37857/2018, cit.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’overruling non consentito, in quanto non prevedibile per l’imputato, è ravvisabile nei soli casi di radicale innovazione della soluzione interpretativa, inconciliabile con le precedenti decisioni, mentre deve essere esclusa qualora la soluzione offerta si collochi nel solco di interventi già noti e risalenti, di costituisca uno sviluppo prefigurabile pur nel contrasto di opinioni e, quindi, un esito comunque possibile.
I richiamati principi trovano applicazione nella specie, in quanto l’interpretazione prospettata dalle Sezioni Unite civili con la sentenza n. 22727 del 20/07/2022, Rv. 665195-01, non costituisce affatto un novum assoluto nel panorama delle pronunzie della giurisprudenza di legittimità in tema di esclusione del diritto alla detrazione dell’imposta nel caso di fatture per operazioni inesistent in regime di inversione contabile, ma si pone nel solco di un prevalente
orientamento giurisprudenziale da tempo affermatosi nell’ambito delle Sezioni semplici civili, sicchè tale pronunzia non costituisce un orientamento “non ragionevolmente prevedibile”. Invero, la valutazione a cui è pervenuto il massimo consesso era già stata espressa, proprio con riferimento alla cessione di materiali ferrosi, nell’ordinanza n. 21706 emessa in data 08/10/2020 e nella sentenza n. 13803 del 25/11/2013, dep. 2014, così come la stessa Corte di Giustizia con la pronuncia 07/12/2010, C-285/09, paragrafi 48 e 49 aveva affermato il principio secondo cui “la presentazione di false fatture alla pari di qualsiasi al alterazione di prove, è atta a compromettere il funzionamento del sistema comune dell’Iva” e “il diritto dell’unione e non impedisce agli Stati membri di considerare l’emissione di fatture irregolari alla stregua di una frode fiscale e di negare l’esenzione in una siffatta ipotesi”.
Proprio l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità che abbia adottato una delle soluzioni propugnate in coerenza con i principi affermati dalla Corte di Giustizia, porta ad affermare la prevedibilità in concreto dell’epilogo decisorio nomofilattico.
L’inammissibilità del motivo di ricorso qui in esame, che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di rilevare e dichiarare l’estinzione dei reati contestati al capo 2) in relazione alla annualità 2015 e, in parte, di quelli addebitati al capo 3) per intervenuta prescrizione, come richiesto dal difensore ricorrente in sede di conclusioni rassegnate all’odierna udienza (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266; Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, COGNOME, Rv. 219531; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, COGNOME, Rv. 231164; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818, secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma 2, cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso).
2.4. Considerazioni pressoché analoghe a quelle espresse nel paragrafo precedente conducono alla manifesta infondatezza del terzo motivo di ricorso con il quale si si lamenta la violazione di legge in relazione all’art. 452-quaterdecies cod. pen. ed il vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento del fatto e dell prova con riferimento al giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo 1) d imputazione rubricato in termini di traffico illecito di rifiuti.
Premesso che, da un lato, il travisamento del fatto non è deducibile in questa sede, e, dall’altro, come sopra ricordato, la Corte territoriale non risulta essere incorsa nel travisamento della prova in ordine alla ritenuta fittizietà dell operazioni sottese alle fatture contestate con i capi 2) e 3) di imputazione, la
sentenza impugnata ha correttamente ritenuto integrato anche il delitto di traffico illecito di rifiuti il cui presupposto logico è proprio rappresentato dalla inesisten soggettiva delle prestazioni fatturate a Sidafer e Sidafer 2.
I ricorrenti non si confrontano con l’ampio argomentare dei giudici di secondo grado (pagine da 42 a 48 della motivazione) laddove hanno evidenziato che tramite il consolidato sistema di fatturazioni per operazioni di acquisto di rottame ferroso in quantità ingente soggettivamente inesistenti (protratto per anni ed attuato in forma organizzata) – era stata realizzata da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non solo una evasione di imposta a seguito dell’inserimento delle stesse nelle dichiarazioni fiscali ma anche, quale inevitabile conseguenza derivante dal peculiare oggetto delle transazioni, l’attività tipica caratterizzante il traffico illecito dei rifiut la mera violazione prevista dall’art. 258, comma 4, D.Lgs. n. 152 del 2006): ciò in quanto i formulari compiegati al materiale ceduto a RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE da alcune delle società riconducibili a NOME COGNOMEoltre che da RAGIONE_SOCIALE di cui s tratterà in seguito) presentavano caratteristiche tali da occultare la vera identità del soggetto detentore/produttore e la reale sede di provenienza dei rifiuti rendendo, così, impossibile il loro tracciamento.
Lungi dal configurare semplici irregolarità o inesattezze nella compilazione dei formulari in questione, la sentenza impugnata (pagg. 44 e 45) ha puntualmente evidenziato – in replica alle censure dedotte negli atti di appello proposti dagli imputati COGNOME e pedissequamente riproposte anche nei presenti ricorsi – che le verifiche svolte dalla polizia giudiziaria e le numerose convergenti prove dichiarative raccolte nel dibattimento di primo grado davano inequivocabilmente conto di come tali documenti (la cui precipua funzione è stata indicata dalla Corte di merito in quella di ricostruzione della filiera del rifiuto movimentato, in modo da tracciarne il percorso, così interpretando del tutto correttamente la disciplina vigente) riportavano informazioni del tutto generiche circa i luoghi di carico, indicavano siti produttivi e di stoccaggio inesistenti e presentavano altresì alterazioni e addirittura falsificazioni.
La Corte di appello ha altresì confutato – con motivazione tutt’altro che illogica – l’ulteriore rilievo difensivo (parimenti riproposto anche in questa sede) secondo cui le società riconducibili a RAGIONE_SOCIALE, espressamente indicate nei formulari come detentori del rifiuto, erano da considerarsi tali in quanto esse acquistavano materiale ferroso per poi rivenderlo ai propri clienti, tra i quali RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Al riguardo, dopo aver posto in luce come tali strutture – emittenti le fatture per operazioni soggettivamente fittizie – erano mere “cartiere” interposte, quindi estranee alla produzioni di rifiuti e non aventi, comunque, alcuna disponibilità degli stessi mancando di unità produttive e di luoghi di carico e scarico, ha tratto la inevitabile e logica conseguenza che altri erano i soggetti produttori/detentori
schermati dietro le società cartiere, con conseguente mascheramento e dissimulazione della reale provenienza dei rottami ferrosi di volta in volta acquistati i cui vari passaggi, sino al destinatario finale, venivano così ostacolati.
La Corte di merito ha anche sviluppato ampia analisi in ordine alla ricorrenza, nel caso di specie, degli elementi costitutivi del delitto di traffico illecito dei r (pagg. 46 – 48 della sentenza impugnata), conformemente ai principi dettati in materia dalla consolidata giurisprudenza di legittimità che qui si richiamano e si ribadiscono.
Come è noto, il reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiut contemplato nell’articolo 260 del D.Lgs. n. 152 del 2006 che sanzionava la condotta di “chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti”. Tale norma è stata trasposta, in attuazione del principio “riserva di codice” e con assoluta continuità normativa, nell’articolo 452quaterdecies del codice penale dal D.Lgs. 1 marzo 2018 n. 21.
Il delitto in questione – configurabile con riferimento a qualsiasi “gestione” dei rifiuti svolta in violazione della normativa speciale disciplinante la materia, e pertanto anche con riferimento alle attività di intermediazione e commercio – è reato abituale, che si perfeziona soltanto attraverso la realizzazione di più operazioni in continuità temporale, finalizzate al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, così da esporre a pericolo la pubblica incolumità e la tutela dell’ambiente (cfr., Sez. 3, n. 19665 del 27/04/2022, COGNOME, Rv. 283172; Sez. 3, n. 16036 del 28/02/2019, COGNOME, Rv. 275395-02; Sez. 3, n. 52838 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 268920).
Nell’affermare che la condotta sanzionata (ovviamente non occasionale, stante la evidenziata natura del reato), richiede una preparazione e un allestimento di specifiche risorse, anche del tutto rudimentale, si è specificato come il delitto in questione possa configurarsi anche in presenza di una struttura organizzativa di tipo imprenditoriale che non sia destinata, in via esclusiva, alla commissione dell’attività illecita, marginale o secondaria rispetto a quella principale lecitamente svolta (Sez. 3, n. 40827 del 06/10/2005, COGNOME, Rv. 232349; Sez. 3, n. 47870 del 19/10/2011, COGNOME, Rv. 251965; Sez. 3, n. 44632 del 22/10/2015, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 16056 del 28/02/2019, COGNOME, Rv. 275399, in motivazione).
Tale attività deve essere “abusiva”, ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute), o violando le
prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazioni stesse (cfr., Sez. 3, n. 40828 d 06/10/2005, COGNOME, Rv. 232350; Sez. 4, n. 28158 del 02/07/2007, Costa, Rv. 236906), con conseguente impedimento al controllo da parte dei soggetti preposti sull’intera filiera dei rifiuti.
La nozione di “ingente quantitativo” deve essere riferita al quantitativo di materiale complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni che, se considerate singolarmente, potrebbero essere di entità modesta (Sez. 3, n. 39952 del 16/04/2019, Radin, Rv. 278531; Sez. 3, n. 46950 del 11/10/2016, Sepe, Rv. 268667).
Il profitto – che può consistere non soltanto in un ricavo patrimoniale, ma anche nel vantaggio conseguente dalla mera riduzione dei costi aziendali o nel rafforzamento di una posizione all’interno dell’azienda – è ingiusto qualora discenda da una condotta abusiva che, oltre ad essere anticoncorrenziale, può anche essere produttiva di conseguenze negative, in termini di pericolo o di danno, per la integrità dell’ambiente poiché ostacola il monitoraggio sull’intera filier dei rifiuti (Sez. 3, n. 16056 del 28/02/2019, COGNOME, Rv. 275399); peraltro, non è necessario che il singolo concorrente agisca al fine di conseguire un ingiusto profitto, essendo sufficiente che del profitto perseguito dai correi egli abbia consapevolezza (Sez. 3, n. 35108 del 15/05/2024, COGNOME, Rv. 286699-03; Sez. 3, n. 2842 del 18/11/2021, dep. 2022, Natale, Rv. 282697).
In coerenza a tali principi, la Corte di merito, con riferimento al requisito dell attività illecita continuativa ed organizzata di gestione abusiva di rifiuti in quanti ingente, ha sottolineato – in aderenza alle risultanze probatorie – l’avvenuta predisposizione da parte di NOME COGNOME di diverse società costituite e mantenute nel tempo (per la quasi totalità, non iscritte all’Albo Gestioni Ambientali, né potevano esserlo in ragione della loro natura di “cartiere”) che interagivano sistematicamente con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (e anche con RAGIONE_SOCIALE, amministrata da NOME COGNOME, la cui posizione verrà esaminata in seguito) nella intermediazione, cessione, acquisto e ricezione di rifiuti non tracciabili rispetto alla loro reale provenienza.
Tale sistema aveva operato per un lungo arco temporale (2011- 2018); aveva riguardato un quantitativo rilevantissimo di rottame ferroso come ricavabile dalla entità di materiale complessivamente indicato nelle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE (e anche RAGIONE_SOCIALE); era stato allestito un sistema che prevedeva organizzazione di mezzi e di uomini e segnatamente l’impiego di vettori, in parte già dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, muniti di formulari di identificazione e di documenti di trasporto non autentici ovvero modificati ed alterati con riferimento al luogo di effettiv provenienza del rottame ed in alcuni casi rispetto al codice identificativo, sicchè,
anche nei casi in cui si registrava la presenza di una formale autorizzazione ad operare nel settore dei rifiuti, la gestione doveva comunque ritenersi clandestina.
Quanto all’elemento costitutivo del dolo specifico in capo ai due imputati COGNOME la Corte di merito (pagg. 47 e 48 della sentenza impugnata) ha ritenuto provato che i ricorrenti fossero pienamente partecipi dell’organizzato sistema illecito che era stato per loro precipuamente funzionale all’inserimento di elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni dei redditi delle società da loro amministrate, ol che al risparmio di spesa e alla posizione di indubbio vantaggio sul piano concorrenziale conseguenti alla acquisizione e trattazione di rifiuti non tracciabili.
2.5. Sono inammissibili anche il quarto ed il quinto motivo di ricorso, trattabili congiuntamente per le reciproche interazioni.
Manifestamente infondato è il primo profilo di censura oggetto del quarto motivo in ordine alla non configurabilità – neppure in via astratta – del delitto d autoriciclaggio in capo ad entrambi i ricorrenti.
Corretto è il principio, richiamato dalla difesa ricorrente, secondo il quale soltanto l’intraneus, e cioè colui che ha concorso nel delitto presupposto, risponde del reato di autoriciclaggio (cfr., Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018, COGNOME, Rv. 272652, Sez. 2, n. 3608 del 07/06/2018, dep. 2019, Potenza, Rv. 275288; Sez. 2, n. 16519 del 22/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281596).
Muovendosi nel rispetto di tale paradigma, la Corte di merito (pagina 49 della sentenza impugnata) ha correttamente individuato la responsabilità degli imputati COGNOME per il reato di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. contestato al capo 27 di imputazione, poiché concorrenti con NOME COGNOME nel delitto presupposto di traffico illecito di rifiuti sub capo 1), addebito contestato ad entrambi e a COGNOME medesimo in forma concorsuale.
È dunque errato, poiché frutto di una lettura solo parziale della contestazione accusatoria, l’assunto difensivo secondo cui NOME COGNOME sarebbe stato ritenuto responsabile per il delitto di autoriciclaggio con riferimento agli illeciti presuppos di cui ai capi 11), 13), 14) e 15), non addebitati ai COGNOME; al contrario, la pian lettura del capo 27) consente di apprezzare come a questi ultimi e a NOME COGNOME sia stata, invece, addebitata la qualifica di intranei, in concorso tra loro, nel reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. (capo 1) che costituisce proprio uno dei delitti presupposto del contestato autoriciclaggio (si richiamano le argomentazioni sviluppate nel paragrafo precedente in ordine alla diretta partecipazione degli imputati Cerato al traffico illecito di rifiuti).
Da qui l’affermazione del seguente principio di diritto: “L’autore anche di uno solo dei più reati-presupposto che ponga in essere una successiva condotta tipica causalmente orientata ad ostacolare la provenienza delittuosa di somme di denaro o altri beni risponde del reato di autoriciclaggio in presenza di consapevolezza in
capo a costui dell’origine delittuosa delle utilità derivanti dal reato presupposto per il quale ha concorso. In presenza di più reati-presupposto, per la configurabilità del reato di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen., non si richiede la piena identità fis tra tutti i soggetti autori dei predetti reati-presupposto e tutti quelli che realizza la successiva condotta autoriciclatoria”.
E tutto questo consente di escludere che la Corte di merito sia incorsa nella violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza di cui all’art. 521 cod. proc. pen., come invece prospettato dai ricorrenti nel quinto motivo di ricorso.
Il secondo profilo di censura articolato nel quarto motivo di ricorso attiene alla dedotta violazione degli artt. 192 e 530 cod. proc. pen. nonché alla mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione per travisamento del fatto e della prova con riferimento alla ritenuta partecipazione degli imputati Cerato alle operazioni di autoriciclaggio.
Va richiamato l’orientamento di questa Corte (che si condivide) secondo il quale le doglianze relative alla violazione degli artt. 192 e 530 cod. proc. pen., riguardanti la valutazione delle risultanze probatorie, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 08/01/2004, Meta, Rv. 229159). Successivamente anche le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito detto principio, affermando che non è «consentito il motivo di ricorso con cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ed in difetto di una espressa sanzione di inutilizzabilità, nullità, inammissibilit decadenza» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027-04, in motivazione).
Le deduzioni qui in esame possono, dunque, essere esaminate solo sotto l’aspetto del vizio motivazionale, che in questa sede è stato prospettato con riferimento al triplice profilo della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità per travisamento del fatto e della prova.
Ribadito che il travisamento del fatto non è deducibile, anche con riferimento al giudizio di responsabilità per il delitto di cui al capo 27), non si vede in cos concretamente consista il dedotto travisamento della prova non essendo specificamente indicato nel ricorso quale sarebbe l’atto di riferimento e quali
sarebbero gli elementi fattuali in esso contenuti ed incompatibili con la ricostruzione svolta nella sentenza.
La difesa ricorrente, in realtà, reitera ancora una volta doglianze di puro merito e sollecita, di fatto, una rilettura delle prove poste a fondamento della decisione impugnata, non consentita al giudice di legittimità per le ragioni precedentemente esposte, pretendendo, in particolare, una diversa interpretazione del significato attribuito dalla Corte di merito ad una conversazione intercettata in corso di indagini e alle dichiarazioni rese al pubblico ministero da NOME COGNOMEacquisite nel giudizio di secondo grado su richiesta difensiva, peraltro allegate al ricorso solo per estratto, in palese violazione del principio d autosufficienza).
La sentenza (pagg. da 49 a 51) ha sviluppato argomentazioni, in larga parte obliterate dalla difesa ricorrente, che partono dalla accertata definitiva responsabilità per il delitto di autoriciclaggio di NOME COGNOME il quale, in qualità gestore di fatto delle società cartiere, aveva incassato il denaro corrisposto da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE per le fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti (queste ultime, come già visto, generative di traffico illecito di rifiuti) e poi trasferito tali somme a conti esteri croati e ungher appositamente costituiti a tale scopo, dai quali erano stati poi eseguiti prelievi in contanti, così “ripulendo” le utilità derivanti dal meccanismo illecito.
La Corte di merito ha quindi osservato – quale corretta conseguenza logica che i cospicui pagamenti effettuati da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE in relazione alle fatture soggettivamente fittizie (queste ultime costituenti il tassello fondante le operazioni di cessione ed acquisto di ingenti quantitativi di rottame ferroso non tracciabili e pertanto integranti il delitto dì traffico illecito di rifiuti, oltre che rilevanti s della evasione di imposta) avevano costituito una rilevante provvista finanziaria, confluita e dispersa su conti esteri. In tali termini, pertanto, i due COGNOME avevano fornito un concreto contributo all’autoriciclaggio posto in essere da NOME COGNOME
La Corte di appello ha anche ampiamente e congruamente motivato in ordine al fatto che, al confluire delle provviste sui conti esteri, i successivi preliev contanti erano stati destinati alla retrocessione in favore dei COGNOME, alla monetizzazione della percentuale trattenuta da Cesco per l’emissione delle fatture e al pagamento “in nero” dei reali fornitori del materiale, come precisamente descritto dal coimputato (non appellante) NOME COGNOME nel corso dei due interrogatori resi in corso di indagine ed acquisiti nel giudizio di primo grado.
Sul punto, ha valorizzato la conversazione telefonica di cui al progr. 521 del 31 maggio 2018 intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME al rientro in Italia da una trasferta a Budapest e fermati ad un controllo doganale che portava al rinvenimento sulle loro persone di più di 40.000,00 euro. Tale colloquio è stato
interpretato (in maniera tutt’altro che manifestamente illogica) come uno degli elementi probatori comprovanti il sistematico sistema di retrocessione di denaro in favore della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE e, segnatamente, nelle mani di tale NOME, ragionevolmente identificato dai giudici di secondo grado nell’imputato COGNOME in considerazione dell’espresso riferimento da parte degli interlocutori proprio alla “RAGIONE_SOCIALE“, laddove, invece, l’affermazione di NOME COGNOME contenuta nel verbale di interrogatorio acquisito su richiesta difensiva era da riferirsi ad una diversa conversazione, intercettata il precedente 24/05/2018, ed avente ad oggetto una commissione di 4 o 5 mila Euro da corrispondere ad altro “NOME, amico di Paluzzano.
La Corte di merito ha anche puntualmente argomentato in ordine al ruolo di NOME COGNOME ritenuta, unitamente al fratello e a NOME COGNOME concorrente nel delitto presupposto di traffico illecito di rifiuti e fattivamente e consapevolmente inserita nella procedura attuativa dell’autoriciclaggio (pagine 57 e 58 della sentenza impugnata).
Ha ben evidenziato il ruolo di amministratore delegato da costei ricoperto in seno alla RAGIONE_SOCIALE e l’attività in concreto esercitata (come emerso dalla istruttoria dibattimentale del giudizio di primo grado) consistente nella gestione diretta della contabilità – comprensiva della registrazione delle false fatture, dei relativ pagamenti, delle compilazioni dei formulari e documenti di trasporto – e nella tenuta dei rapporti con i vettori ed autisti incaricati del ritiro dei rottami fer Lungi dall’affidarsi a mere presunzioni e dall’applicare criteri di imputazione a titolo di mera responsabilità oggettiva, la Corte di appello ha ritenuto, senza alcuna forzatura logica, che l’imputata – gestendo stabilmente in prima persona l’intero apparato contabile e documentale sotteso alla fatturazione per operazioni anche soggettivamente inesistenti e al conseguente traffico illecito di rifiuti – fos consapevole concorrente nelle movimentazioni dei flussi finanziari verso l’estero e nella successiva retrocessione di parte degli stessi alla Sidafer 2, previa monetizzazione in contanti.
2.6. Considerazioni analoghe vanno spese con riferimento al sesto motivo di ricorso che attiene al giudizio di responsabilità in ordine al capo 31) di imputazione con riguardo alla sussistenza del reato associativo e alla partecipazione dei due imputati COGNOME e che è parimenti inammissibile.
I ricorrenti deducono la violazione degli artt. 192, 530 cod. proc. pen. e dell’art. 416 cod. pen, nonché la mancanza, la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione per travisamento del fatto e della prova.
Ribadito che non sono deducibili in questa sede le doglianze relative alla violazione degli artt. 192 e 530 cod. proc. pen. e al travisamento del fatto, le censure proposte possono essere scrutinate solo sotto l’aspetto della pretesa
erronea applicazione del paradigma legale di cui all’art. 416 cod. pen. e del vizio motivazionale.
Il dedotto travisamento della prova rappresenta una censura – ancora una volta – del tutto generica non essendo specificamente indicato quale sarebbe l’atto di riferimento e quali sarebbero gli elementi fattuali in esso contenuti ed incompatibili con la ricostruzione svolta nella sentenza.
I ricorrenti, in realtà, reiterano nuovamente doglianze di puro merito, sollecitando una non consentita rilettura delle prove poste a fondamento della decisione impugnata che è corredata da un ampio costrutto argomentativo, privo di manifeste illogicità.
Quanto alla sussistenza della contestata associazione a delinquere, i giudici di secondo grado hanno dato conto della sentenza irrevocabile emessa dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Milano in data 03/03/2012 (acquisita agli atti) che aveva riconosciuto l’esistenza di tale consorteria finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati attraverso la costituzione di società c.d. cartiere per lo più intestate a prestanomi e attribuito il ruolo di partecipi ad entrambi gl imputati COGNOME
Tale pronuncia non è stata automaticamente recepita ed utilizzata a fini decisori dalla Corte di merito, bensì correttamente valutata alla stregua dei parametri di cui agli artt. 238-bis cod. proc. pen. e 192, comma 3, cod. proc. pen.
I giudici di appello, lungi dall’adagiarsi su tale decisum, hanno reso, infatti, una autonoma motivazione – del tutto coerente e logica – argomentando diffusamente (pagine da 52 a 55 della sentenza impugnata) in ordine al compendio istruttorio raccolto nel giudizio di primo grado che aveva delineato una struttura organizzata e stabile nel tempo contraddistinta dalla indeterminatezza del programma criminoso (così da distinguerla dal mero concorso di persone nel reato continuato) e cioè da varietà, eterogeneità e molteplicità delle condotte di volta in volta attuate senza una preventiva, circoscritta e parcellizzata ideazione ed orientate su più fronti illeciti.
Allo scopo di realizzare tale programma, si è evidenziato come fossero state create varie società cartiere in Italia e all’estero tramite il ricorso sistematico “teste di legno”, congegnate in modo da susseguirsi in rapida successione temporale e ruotanti intorno alle figure di NOME COGNOME e NOME COGNOME
Tali strutture avevano operato costantemente e per un lungo arco temporale (dal 2011 al 2018) con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE emettendo nei confronti di queste ultime innumerevoli fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti per importi massicci ed aventi ad oggetto la cessione di rottami ferrosi, previa formazione di formulari e bolle di trasporto fitti predisposizione di siti di stoccaggio solo apparenti e costituzione di gruppi di vettori
incaricati di ritirare il materiale (ove esistente) in luoghi totalmente diversi quelli documentalmente indicati, il tutto finalizzato a mascherare l’inesistenza della prestazione ovvero a schermare l’origine e la provenienza del materiale impedendone la tracciabilità e a consentire evasioni di imposta.
I proventi di tale collaudato schema, ripetuto sistematicamente per anni, erano confluiti su conti correnti intestati ad altre società cartiere costituite all’uo all’estero, per poi tornare, previa monetizzazione, nelle mani dei soggetti coinvolti. Così delineata l’esistenza della contestata struttura associativa, la Corte di merito ha conseguentemente disatteso la tesi difensiva – dedotta nell’atto di appello e riprodotta in questa sede senza confrontarsi concretamente con gli approdi a cui è pervenuta la sentenza impugnata – di meri rapporti commerciali di fornitura tra società operanti nel medesimo settore dei metalli ferrosi.
Anche con riferimento al profilo dell’affectio societatis, la Corte territoriale ha diffusamente argomentato individuando, in maniera tutt’altro che manifestamente illogica, concreti indici della piena consapevolezza di entrambi gli imputati Cerato di far parte della accertata struttura associativa e di fornire un concreto apporto causale alla realizzazione del comune e condiviso programma criminoso (pagine da 54 a 58 della sentenza impugnata).
Al riguardo, ha valorizzato l’attiva e costante interazione di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con le società cartiere riconducibili a NOME COGNOME, appositamente costituite per sistematiche ed imponenti operazioni di fatturazione oggettivamente e soggettivamente fittizie e la circostanza che proprio dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (le quali fruivano stabilmente del “servizio” di rilascio delle fatture per inesisten transazioni di acquisto) provenivano i mezzi di trasporto utilizzati per il ritiro d rottami e del materiale ferroso nei luoghi più disparati, di volta in volta indicati singoli vettori dallo stesso Cesco.
Va ricordato l’orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, secondo cui integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata alla commissione di reati di emissione e di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti il costante e continuo ricorso alla copertura fiscale assicurata dal rilasci di fatture per operazioni inesistenti da parte di società cartiere costituite organizzate da un’associazione per delinquere, la cui operatività sia finanziata dalle illecite provvigioni versate dagli apparenti acquirenti su ogni transazione, trattandosi di condotta che determina uno stabile affidamento del gruppo sulla disponibilità all’utilizzo del pianificato meccanismo fraudolento, mediante la costituzione di un vincolo reciproco durevole, che supera la soglia del rapporto sinallagmatico contrattuale delle singole operazioni e si trasforma nell’adesione dell’acquirente al programma criminoso (Sez. 3, n. 8472 del 17/01/2023, Latempa, Rv. 284201).
Con specifico riferimento alla figura di NOME COGNOME, la Corte territoriale ha posto in luce i rapporti personali con NOME COGNOME e con NOME COGNOMEpromotore ed organizzatore del sodalizio, unitamente a COGNOME) e la conversazione intercettata in data 31 maggio 2018 che attestava non solo la retrocessione in denaro contante, proprio nelle mani dell’imputato, delle somme relative ai pagamenti delle fatture fittizie, ma anche la piena conoscenza di questi in ordine al fatto che tali somme erano confluite su conti esteri, con successivo rientro in Italia (previa monetizzazione) da effettuarsi adottando particolari cautele per evitarne il sequestro; ha richiamato inoltre gli apporti testimoniali da cui emergeva che l’imputato impartiva direttive ai vettori ed autotrasportatori incaricati del ritiro rottami e del materiale ferroso in luoghi diversi da quelli indicati nell documentazione di supporto alle transazioni e che per anni aveva organizzato con la RAGIONE_SOCIALE “carichi vuoti” presso la NOMECOGNOME
Con riferimento alla posizione di NOME COGNOME (alla quale è dedicato apposito paragrafo alle pagine da 55 a 58 della sentenza impugnata), la Corte di merito lungi dall’affidarsi a mere presunzioni e a fondare la prova della sua consapevole e fattiva partecipazione al sodalizio sul mero rapporto di fratellanza con il coimputato NOME COGNOME e sulla posizione formale di amministratore delegato di RAGIONE_SOCIALE – ha diffusamente delineato il ruolo effettivo e tutt’altro marginale ricoperto dall’imputata in seno a tale società, emerso dalle testimonianze assunte presso i dipendenti dell’azienda, dalle conversazioni telefoniche e dalla documentazione acquisita, puntualmente richiamate nei loro contenuti.
In particolare, NOME COGNOME aveva sottoscritto il contratto di noleggio del vaglio vibrante oggetto di sovrafatturazione in ragione di ripetuti passaggi di tale bene dalle società di Cesco; si occupava dei contatti con i clienti, relazionandosi in particolare con le cartiere RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (entrambe prive di autorizzazione alla gestione di rifiuti) e RAGIONE_SOCIALE, impartiva direttive agli autotrasportatori incaricati del ritiro dei rottami e del materiale ferroso in luog diversi da quelli indicati nella documentazione di supporto alle transazioni commerciali non reali o avvenute con fornitori diversi, curava personalmente tutta l’attività amministrativa, in particolare l’ emissione e registrazione di fatture, ordini di pagamento ai fornitori, la compilazione di documenti di trasporto e di formulari (e cioè del carteggio alterato e/o modificato peculiarmente funzionale al meccanismo fraudolento fiscale e all’occultamento del reale produttore/detentore del rottame ferroso e, quindi, della non tracciabilità dei rifiuti); addirittura s personalmente occupata della simulata attività di trasporto di materiale apparentemente fatturato da RAGIONE_SOCIALE che la polizia giudiziaria aveva monitorato constatando che i mezzi della RAGIONE_SOCIALE non scaricavano alcunchè.
GLYPH
tyA
Alla luce di tale quadro – delineato con preciso riferimento alle risultanze probatorie – la Corte di appello disattendeva la tesi difensiva (pedissequamente anch’essa riproposta in questa sede, senza tuttavia confrontarsi con il puntuale apparato motivazionale sviluppato nella sentenza impugnata) secondo cui il contributo dell’imputata alla attività aziendale era rimasto circoscritto a mansioni meramente amministrative eseguite nel piccolo ufficio collocato nei locali magazzino della società, quali la compilazione di fatture e la disposizione di pagamenti, senza alcun interessamento alle transazioni commerciali nel cui ambito si sarebbero realizzati i reati fine contestati. Individuava, invece, NOME COGNOME quale concorrente a pieno titolo nei reati fine, unitamente al fratello e a NOME COGNOME tutti realizzati proprio attraverso un meccanismo fraudolento di cui anche lei stessa era stata autrice in prima persona. Detto ruolo costituiva, dunque, indice della consapevole partecipazione causale dell’imputata ad un accordo stabile con i correi finalizzato alla commissione di una pluralità ipoteticamente infinita di condotte illecite e con vincolo reciproco durevole, che nulla aveva a che vedere con la gestione meramente impiegatizia di transazioni commerciali ma che, invece, era espressione di piena adesione e condivisione al comune programma criminoso.
Si tratta di un argomentare pienamente in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la consapevolezza dell’associato può essere provata attraverso comportamenti significativi che si concretino in una attiva e stabile partecipazione ed in tale ottica anche gli elementi certi relativi al ripetuta partecipazione ai reati fine effettivamente realizzati integrano gravi, precisi e concordanti indizi in ordine alla sussistenza di un programma delittuoso comune, del vincolo associativo e all’inserimento consapevole e di rilievo causale nell’organizzazione da parte dell’autore degli illeciti oggetto del programma criminoso (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 28868 del 02/07/2020, COGNOME, Rv. 279589; Sez. 3, n. 20921 del 14/03/2013, Conte, Rv. 255776; Sez. 5, n. 21919 del 04/05/2010, COGNOME, Rv. 247435).
Ne consegue la presenza di una motivazione non solo completa, legittima e conforme ai consolidati principi di diritto espressi da questa Corte ma anche logica, lineare, congrua, coerente con il contenuto del fascicolo processuale, come tale non suscettibile di ulteriore sindacato in sede di legittimità.
2.7. E’, infine, inammissibile anche il settimo motivo di ricorso con il quale si deduce, da un lato, la violazione di legge da parte di entrambi i giudici di merito in punto di quantificazione del profitto confiscabile con riferimento ai reati di cui capi 2) e 3) di imputazione, dall’altro l’erronea applicazione degli artt. 62-bis, 81, 132 e 133 cod. pen. ed il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
Quanto al primo profilo, la censura non è consentita ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. atteso che nell’atto di appello principale e nei successivi motivi nuovi non risulta essere stata proposta alcuna doglianza con riferimento alle statuizioni adottate in punto di confisca, salvo chiederne la revoca quale effetto delle invocate richieste assolutorie: da qui la conseguente impossibilità di scrutinio della doglianza in questa sede per tardività di proposizione.
Quanto al secondo profilo, la difesa ricorrente non si confronta con la puntuale motivazione della sentenza impugnata (pagg. 59 e 60) che ha innanzitutto escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche evidenziando l’assenza di elementi positivamente valutabili e di iniziative riparatorie dell’imponente danno arrecato all’Erario a seguito delle ingentissime evasioni di imposta.
Sul punto, pertanto, la Corte di merito si è uniformata al consolidato orientamento di legittimità, che qui si ribadisce, secondo il quale l’applicazione della diminuente prevista dall’art. 62-bis cod. pen., oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente alla assenza di elementi negativi connotanti la personalità dell’imputato, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; soprattutto dopo la modifica dell’art. 62-bis cod. pen. operata con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non ha alcun rilievo lo stato di incensuratezza dell’imputato, è sufficiente che il giudice di merito si limiti a dar conto della assenza di elementi o circostanze positive a tale fine (cfr., Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489; Sez. 3, n. 20664 del 16/12/2022, dep. 2023, Ventimiglia, non mass.).
Con riferimento alla quantificazione della pena, la Corte di appello ha ritenuto congrua la determinazione della sanzione base in misura superiore al minimo edittale e l’entità degli aumenti operati a titolo di continuazione in ragione dell gravità dei singoli illeciti (che è proprio uno degli indici di commisurazione indicat nell’art. 133 cod. pen.) e ha sottolineato come già il giudice di primo grado aveva differenziato il trattamento sanzionatorio rispettivamente applicato ai due imputati, dando rilievo al ruolo di minore incisività di NOME COGNOME nella commissione del delitto di autoriciclaggio e di associazione a delinquere.
In tal senso, va ricordato il principio più volte riaffermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non
sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281217, in motivazione). Il giudice, infatti, nel motivare il giudizio determinazione della pena non è tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione di quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale è insindacabile in sede di legittimità qualora sia immune da vizi logici di ragionamento (cfr., Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238851).
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME incentrato esclusivamente su vizi motivazionali della sentenza impugnata, è inammissibile.
3.1. Manifestamente infondati sono il primo e il secondo motivo di ricorso con i quali si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per i reati di cui ai capi 4 e 18) contestati all’imputato, in qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE con riferimento alla utilizzazione nelle dichiarazioni fiscali di fatture per operazio soggettivamente inesistenti emesse dalle società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (capo 4) e con riferimento alla emissione nei confronti di RAGIONE_SOCIALE di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
È opportuno e più agevole esaminare congiuntamente i due motivi di ricorso in quanto entrambe le conformi sentenze di merito hanno evidenziato profili di reciproca connessione tra i due addebiti.
Del tutto improprio è, innanzitutto, l’assunto difensivo con il quale si deduce il deficit motivazionale della sentenza che nella analisi della posizione dell’imputato si è richiamata alle argomentazioni svolte con riferimento al capo 3) di imputazione, riguardante una diversa contestazione e cioè la dichiarazione fraudolenta contestata a Sidafer 2 a cui COGNOME è pacificamente estraneo.
Il corretto confronto con il complessivo impianto argomentativo della articolata sentenza di secondo grado avrebbe consentito di apprezzare come il rimando operato alle considerazioni svolte con riferimento all’esame del capo 3) di imputazione attiene esclusivamente al profilo relativo alle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, peculiarmente connesso al capo 4), oltre che speculare ai capo 18).
Tanto premesso, la Corte di appello ha posto a fondamento del giudizio di responsabilità per entrambi i reati contestati a NOME COGNOME un apprezzamento fattuale logicamente motivato.
Ha in primo luogo evidenziato che la RAGIONE_SOCIALE, negli anni 2016 e 2017, aveva aumentato in maniera esponenziale il proprio volume di affari e che, in coincidenza di tale circostanza, risultavano documentalnnente rapporti commerciali con le società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, tutte riconducibili a NOME COGNOME, le quali avevano emesso numerosissime fatture (oggetto del capo 4) di imputazione) annotate in contabilità dalla RAGIONE_SOCIALE e poi confluite, quali elementi passivi, nell dichiarazioni fiscali della stessa. Quest’ultima risultava avere, a sua volta, emesso plurime fatture nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (oggetto del capo 18 e dello speculare capo 3) che le indicava, quali elementi fittizi, nelle proprie dichiarazioni fiscali.
I giudici di secondo grado hanno poi dato conto che, al di là della esistenza di una documentazione formalmente corretta con riferimento al materiale movimentato, dal raffronto tra le fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e que emesse da quest’ultima in favore di RAGIONE_SOCIALE, operato mediante analisi anche dei relativi formulari e documenti di trasporto, emergeva come il materiale fatturato dalle società riconducibili a NOME COGNOME e da queste solo in apparenza proveniente (stante la natura di cartiera di RAGIONE_SOCIALE ed il fatto che la RAGIONE_SOCIALE operava come intermediario nella vendita di rottami) era stato direttamente recapitato alla RAGIONE_SOCIALE.
Alla luce degli esiti di tale comparazione (puntualmente illustrati alle pagg. 37-38 e 62-63 della sentenza impugnata e non sindacabili nella presente sede trattandosi di una valutazione, condotta secondo piena congruità logica, di elementi fattuali che è propria del giudice di merito), la Corte di appello ha ritenuto l’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate oggetto di contestazione nei capi 4 e 18 in quanto l’intermediazione della RAGIONE_SOCIALE (azienda pacificamente operativa e non mera cartiera) tra soggetti che già tra di loro avevano rapporti, era priva di qualsivoglia plausibile ragione commerciale e, quindi, non altrimenti spiegabile se non in termini di fittizietà, esclusivamente finalizzata a schermare il vero cedente.
Ha, dunque, tratto da ciò l’altrettanto logica conseguenza che la RAGIONE_SOCIALE aveva consapevolmente assunto la duplice veste di soggetto utilizzatore delle fatture emesse dalle società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e, nel contempo, di emittente di fatture della stessa natura nei confronti di RAGIONE_SOCIALE.
Tale schema, in forza del quale in capo a NOME COGNOME è stata ritenuta la responsabilità sia del delitto di emissione cui all’art. 8 D.Lgs. n. 74 del 2000 (capo 18) che di quello di utilizzazione cui all’art. 2 del d.lgs. citato (capo 4) n comporta, diversamente da quanto adombrato nel ricorso, alcuna violazione
dell’art. 9 D.Lgs. n. 74 del 2000 in ragione del fatto che le fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE sono diverse da quelle dalla stessa ricevute ed utilizzate.
La Corte di appello ha anche puntualmente esaminato e disatteso – con richiamo a precisi dati contabili e con considerazione tutt’altro che illogiche (pag. 61 della sentenza impugnata) – i rilievi difensivi (riproposti anche in questa sede) secondo cui l’incremento di reddittività e fatturato registrato negli anni 2016 e 2017 dalla RAGIONE_SOCIALE si giustificava con l’acquisizione di un ramo dell’azienda RAGIONE_SOCIALE
Ancora, ha replicato alle ulteriori censure dedotte nell’atto di appello in ordine alla inattendibilità del contributo dichiarativo reso dall’ing. COGNOME (ribadi nuovamente nel ricorso) dal quale era emersa la difficoltà di tracciamento dei rifiuti documentalmente conferiti alla RAGIONE_SOCIALE dalle società facenti capo a NOME COGNOME in quanto gli indirizzi di prelievo del materiale erano incompleti e non indicavano il soggetto produttore. Sul punto ha argomentato in ordine alla piena affidabilità di tale elemento di prova, emerso a seguito di una verifica condotta, da soggetto qualificabile come testimone “esperto”, sulle fatture e sui documenti di trasporti oggetto di interesse. Anche tale valutazione di merito non è sindacabile in questa sede.
Con riferimento alla deduzione difensiva secondo cui le operazioni fatturate alla RAGIONE_SOCIALE non erano soggette ad imposta sul valore aggiunto, la Corte di appello (pagg. 62 e 63 della sentenza impugnata) ha evidenziato come tale società, in ragione della comprovata interposizione meramente fittizia, non aveva materialmente ricevuto la merce né sostenuto i relativi costi che, pur tuttavia, aveva indebitamente esposto nelle dichiarazioni dei redditi, con conseguente evasione di imposta.
Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come il ricorrente, con il richiamato apparato motivazionale omette di confrontarsi, limitandosi a riproporre pedissequamente in questa sede deduzioni già disattese dalla Corte di merito con argomentazioni specifiche in ordine alla inesistenza soggettiva delle fatture oggetto delle contestazioni sub capi 4 e 18), senza peraltro incorrere in alcuna confusione con la diversa ipotesi di fittizietà oggettiva.
3.2. Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per il reato di traffico illecito di (capo1) contestato anche a NOME COGNOME.
In relazione alla doglianza secondo cui la Corte di appello avrebbe effettuato una “sovrapposizione” dell’imputazione di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. con le violazioni di natura fiscale di cui ai capi 4 e 18), così assumendo le condotte afferenti ai reati tributari ad elemento costitutivo del delitto di traffico illec
rifiuti, non può che rimandarsi alle considerazioni svolte nel paragrafo 2.4. del considerato in diritto relativamente alla posizione dei concorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il ricorrente, ancora una volta, non si confronta con l’argomentare dei giudici di secondo grado (pagine 63 e 64 della motivazione) laddove è stato evidenziato che – interponendosi fittiziamente tra le società riconducibili a NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, secondo le peculiari modalità (già richiamate) protratte per anni in modo stabile e continuativo – la RAGIONE_SOCIALE, non solo aveva realizzato una evasione di imposta a favore proprio e di terzi, ma aveva anche fornito un contributo tipicamente caratterizzante il traffico illecito dei rifiuti in quanto interposizione, con passaggi del rottame ferroso del tutto apparenti, aveva determinato una movimentazione non tracciabile di tale materiale e cioè occultato la sua reale provenienza.
La Corte ha ulteriormente evidenziato che le macroscopiche anomalie di tale interposizione, priva di logica commerciale e contraddistinta da passaggi di rottame ferroso corredati da documentazione (formulari e documenti di trasporto) confezionata in modo tale da rappresentare una circolazione non veritiera, consentiva di affermare che COGNOME (amministratore della RAGIONE_SOCIALE fosse pienamente consapevole di inserirsi con ruolo determinante in una filiera, di acquisizione e cessione di rifiuti la cui reale provenienza era stata celata.
Quanto all’ingiusto profitto, esso è stato individuato nella evasione di imposta conseguente alla esposizione di costi non veritieri nelle dichiarazioni dei redditi.
Non si vede dunque, quale sia il deficit motivazionale della Corte di merito che, anche con riferimento al giudizio di responsabilità per il delitto di cui a questo capo, ha approntato una motivazione completa vagliando compiutamente i rilievi critici dedotti nell’atto di appello e pedissequamente reiterati in questa sede nel tentativo di ottenere una non consentita rivisitazione e rilettura del materiale probatorio.
3.3. E’, inoltre, inammissibile, perché generico e comunque manifestamente infondato, il quarto motivo di ricorso con il quale si deduce il vizio di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello (pagg. 66 della sentenza impugnata) ha innanzitutto escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche evidenziando la gravità della condotta dell’imputato così implicitamente ritenendo recessivi la condizione di incensuratezza ed il corretto comportamento processuale.
A tal fine, va ribadito il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 3, n. 46463 del 17/09/2029, COGNOME, Rv. 277271), secondo cui, in tema di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime
un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, come nel caso di specie, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini del concessione o dell’esclusione. L’esclusione delle circostanze attenuanti generiche è adeguatamente motivata quando il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto della richiesta senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda.
Con riferimento poi alla quantificazione della pena, la Corte di appello ha ritenuto congrua la determinazione della sanzione base (peraltro operata in misura poco superiore al minimo edittale) in ragione della significativa incidenza delle violazioni tributarie contestate con riferimento ai più gravi reati di cui al capo 4) ha affermato la proporzionalità degli aumenti operati a titolo di continuazione rispetto al concreto disvalore dei delitti satellite.
L’onere motivazionale, anche sotto questo profilo, è stato dunque adeguatamente assolto dovendosi ribadire – come già richiamato nel paragrafo 2.7. del considerato in diritto – che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della sanzione la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 2, n. 17347 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281217, in motivazione). Il giudice, infatti, nella quantificazione dell sanzione, non è tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, ma può limitarsi alla sola enunciazione di quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale è insindacabile in sede di legittimità qualora sia immune da vizi logici di ragionamento” (Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238851).
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
4.1. Generico e comunque manifestamente infondato è il primo motivo con il quale si deduce la violazione di legge con riferimento all’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 ed il vizio di motivazione con riferimento al giudizio di responsabilità per i reati di cui ai capi 7) e 8) ascritti all’imputato, in qualità rispettivamente di tit della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE e di amministratore della società RAGIONE_SOCIALE
In relazione a tali illeciti, la Corte di merito ha sviluppato una motivazione esaustiva e non manifestamente illogica, aderente alle risultanze processuali precisamente richiamate e ha correttamente ricondotto i fatti oggetto degli
4
addebiti nel paradigma legale del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000.
Pacifico e non contestato l’inserimento nelle dichiarazioni fiscali delle fatture in contestazione, la sentenza impugnata (pagina 67, con rimando ai fogli 32 e 33 relativamente alla natura di cartiera della emittente RAGIONE_SOCIALE riferibile a NOME COGNOME) ha motivatamente attribuito natura soggettivamente fittizia alle operazioni intercorse tra la ditta individuale Lena e la società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (capo 7) evidenziando che quest’ultima, priva di struttura produttiva e di siti di stoccaggio del materiale fatturato, non poteva essere il reale soggetto cedente, da individuarsi esclusivamente in un terzo, la cui identità era stata schermata tramite documentazione difforme dalla effettiva realtà economica.
Diversamente da quanto si sostiene nel ricorso, i giudici di appello si sono direttamente confrontati con le deduzioni oggetto di appello, replicate in sede di ricorso per cassazione, senza elementi di novità critica ed esponendosi pertanto al giudizio di inammissibilità per genericità.
Hanno osservato, da un lato, che il quadro delineato escludeva il ruolo di intermediario della RAGIONE_SOCIALE tra la RAGIONE_SOCIALE ed il reale venditore della merce fatturata, secondo normale logica imprenditoriale e, dall’altro, che la mancata identificazione dell’effettivo fornitore, costituente il precipuo scopo a base delle operazioni contestate, non incideva in alcun modo sulla configurazione del reato di dichiarazione fraudolenta, da ritenersi integrato in virtù della mera discrasia tra la rappresentazione documentale di rilievo fiscale e l’effettiva realtà economica.
Quanto all’assunto difensivo – parimenti riproposto con il presente ricorso secondo cui la qualifica della falsità soggettiva escluderebbe, nel caso di specie, la sussistenza del contestato reato di dichiarazione fraudolenta sotto il profilo della finalità evasiva poiché le sottostanti operazioni erano sottoposte al regime di inversione contabile (c.d. reverse charge), la Corte di appello ha disatteso tale rilievo richiamando le argomentazioni svolte sul punto nella parte relativa alla della posizione dei coimputati COGNOME che si reputano corrette per le ragioni già esplicitate nel paragrafo 2.3. del considerato in diritto, a cui si rimanda.
Con riferimento, invece, alla censura relativa alla mancata verifica, da parte dei giudici di secondo grado, della prova di un accordo tra le società emittenti e l’imputato-utilizzatore, è appena il caso di evidenziare come tale deduzione non era stata proposta nell’atto di appello ove si confutava esclusivamente il profilo della natura soggettivamente fittizia delle fatture oggetto di contestazione, con conseguente impossibilità di scrutinio in questa sede per tardività di proposizione.
Quanto all’addebito di cui al capo 8), la sentenza impugnata (pagine da 68 a 70) ha motivatamente attribuito natura per lo più oggettivamente fittizia alle operazioni intercorse tra la società RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE
4
RAGIONE_SOCIALE (capo 8), disattendo espressamente le deduzioni difensive contenute nell’atto di appello, pure replicate nel ricorso senza elementi di novità, critica “rinnovata” che, pertanto, configura censura affetta da genericità.
Con riferimento alle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE, ha richiamato le caratteristiche tipiche di “cartiera” della società RAGIONE_SOCIALE già descritte alle pagine 33 e 34 e la testimonianza, ritenuta decisiva, di NOME COGNOME (titolare della RAGIONE_SOCIALE indicata come vettore) che aveva disconosciuto i documenti di trasporto relativi alle fatture in contestazione ed aveva dichiarato che tale società non aveva mai eseguito consegne per conto di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in quanto non disponeva di mezzi idonei per il carico del materiale fatturato. Congiuntamente a tali dati probatori, ha valorizzato l’esito delle indagini svolte presso le autorità bancarie croate da cui era emerso, secondo lo schema tipico della falsa fatturazione, che le somme corrisposte dalla RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE a titolo di pagamento delle fatture erano state trasferite su conti corren croati (su uno di essi Emanuele Lena era delegato ad operare) e poi prelevate in contanti dallo stesso imputato o da NOME COGNOME
Ha anche argomentato, con motivazione tutt’altro che apparente, in ordine alla irrilevanza – nel quadro sopra delineato – della non autenticità del timbro della società indicata nei d.d.t. quale trasportatore che, secondo la difesa, escludeva il dolo del reato in capo all’imputato poiché la RAGIONE_SOCIALE non si era in tal modo avveduta di chi fosse l’incaricato alla consegna. Al riguardo, ha posto in luce come la documentazione attestava che il materiale fatturato e pagato da RAGIONE_SOCIALE non fosse mai stato consegnato alla stessa, circostanza che l’imputato non poteva avere ignorato con conseguente sua piena consapevolezza della inesistenza delle prestazioni e, quindi, del carattere fittizio dei relativi elementi passivi inseriti dichiarazioni fiscali.
Con riferimento alle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE, società anch’essa riconducibile a NOME COGNOME, la Corte di merito ha valorizzato, quali indici inequivocabili della inesistenza oggettiva delle operazioni sottostanti, la totale assenza di documenti di trasporto allegati a talune fatture, la circostanza che altre recavano la menzione, quale vettore ovvero intermediario, della “RAGIONE_SOCIALE” RAGIONE_SOCIALE (società priva di struttura operativa e di mezzi di trasporto che, peraltro, non risulta avere mai emesso fatture per la indicata intermediazione) e la mancanza di modelli ” intrastat” richiesti in caso di scambi intracomunitari.
Con tale articolato quadro, il ricorrente non si confronta limitandosi ad affermare che la mancanza di documento di “sdoganamento” della merce acquistata trovava giustificazione nel fatto che la Croazia, all’epoca dei fatti, era già membro dell’Unione Europea, obliterando tutti gli ulteriori elementi che la Corte
GLYPH
di appello ha posto a base del giudizio di inesistenza oggettiva delle prestazioni fatturate da RAGIONE_SOCIALE
4.2. Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
Ribaditi i principi di legittimità esposti nel paragrafo 3.3. del considerato in diritto, il ricorrente non si confronta con la puntuale motivazione della sentenza impugnata (pagg. 70) che ha innanzitutto escluso il riconoscimento di circostanze attenuanti generiche evidenziando la gravità della condotta dell’imputato realizzata nell’ambito di entrambe le aziende da lui gestite dalle quali era conseguita una evasione di imposta superiore al milione di euro e ritenendo, pertanto, del tutto recessiva la condizione di incensuratezza e le parziali e minimali ammissioni dei fatti.
Con riferimento alla quantificazione della pena, la Corte di appello ha ritenuto congrua la determinazione della sanzione base in misura superiore al minimo edittale in ragione della significativa incidenza della violazione tributaria più grave così facendo corretta applicazione di uno degli indici previsti dall’art. 133 cod. pen. ed ha riconosciuto la proporzionalità dell’esiguo incremento operato dal primo Giudice a titolo di continuazione per ciascuno dei reati satellite, a loro volt contraddistinti da rilevante disvalore.
4.3. Manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso, con correlato motivo nuovo, con cui si deduce la violazione dell’art. 12-bis D.Lgs. n. 74 del 2000 e il vizio di motivazione con riferimento alla conferma delle statuizioni di confisca degli immobili siti in Olgiate Olona ed in San Teodoro che, nell’atto di appello, l’odierno ricorrente assumeva essere di proprietà esclusiva della propria moglie NOME COGNOME la quale li aveva acquistati con disponibilità proprie di provenienza lecita e in epoca ben anteriore al sequestro preventivo anticipatorio da cui gli stessi sono attinti.
La Corte di appello ha puntualmente motivato le ragioni per le quali ha disatteso la deduzione difensiva richiamando, al riguardo, i dati fattuali contenuti nell’ordinanza emessa in data 16/9/2022 dal giudice di primo grado con cui era stata rigettata l’istanza di dissequestro degli immobili (il provvedimento è agli atti del processo e rispetto ad esso il ricorrente nulla ha dedotto in ordine ad una irrituale acquisizione) e dando conto che essi dimostravano come entrambi gli immobili (seppure intestati alla coniuge) erano nella disponibilità di NOME COGNOME (l’abitazione di Olgiate Olona era addirittura la sua dimora di residenza) ed erano stati acquistati principalmente con redditi di costui.
Tale apparato argomentativo non è manifestamente illogico e risulta conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la nozione di
“disponibilità” con riferimento ai beni suscettibili di confisca per equivalente come
D.Lgs. n. 74 del 2000, deve intendersi come previsto anche ai sensi dell’art.
12-bis relazione effettiva con gli stessi da parte del reo, seppure non formalmente
titolare, connotata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto proprietà (cfr., Sez. 1, n. 19081 del 30/11/2022, COGNOME, Rv. 284548; Sez. 2,
n. 29692 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 277021; Sez. 3, n. 14605 del 24/03/2015,
COGNOME, Rv. 263118 ove in motivazione si afferma che “… la disponibilità coincide, res
pertanto, con la signoria di fatto sulla e non è necessario che i beni siano nella
titolarità del soggetto indagato o condannato”).
Priva di rilievo è la sentenza emessa, ai sensi dell’art. 425 cod. proc. pen., dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Milano in data 06/12/2024 che
ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME e della coniuge
NOME COGNOME per il delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen. in relazione ai due immobili in questione (allegati ai motivi nuovi tempestivamente depositati).
Invero, premesso che si tratta di pronuncia non definitiva, tale provvedimento giudiziario non esclude la contestata attribuzione fittizia dei cespiti ma perviene
all’epilogo di non procedibilità non essendovi prova che, all’epoca delle intestazioni, l’odierno ricorrente avesse motivo di temere l’applicazione, nei suoi confronti, l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali.
4.4. L’inammissibilità dei motivi principali finisce per investire anche i proposto motivo aggiunto collegato ad uno o più di essi, non potendo, attraverso i motivi aggiunti, essere tardivamente sanato il vizio radicale – conducente all’inammissibilità – dell’impugnazione originaria (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 8439 del 24/01/2020, L., Rv. 278387).
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila, ciascuno, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il giorno 13/02/2025
Il Presidente