Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6827 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6827 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
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COGNOME NOME, nato a Parma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 17/11/2022 dalla Corte d’Appello cfi Bologn visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 17/11/2022, la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la sentenza emessa con rito abbreviato dal Tribunale di Parma, in data 06/11/2019, con la quale COGNOME NOME era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta, a lui ascritto nell qualità di titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE.
Ricorre per cassazione lo COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di penale responsabilità. Si censura la sentenza per aver ritenuto configurabile il reato di dichiarazione fraudolente, essendosi in presenza di reali contratti di sponsorizzazione, con effettive erogazioni di danaro da parte del ricorrente senza che risultassero retrocessioni dei pagamenti. Si lamenta pertanto l’erronea valutazione delle prove e l’illegittima inversione degli oneri probatori circa l’inesistenza delle operazioni, in realtà gravanti sull’accusa. Si deduce comunque l’erronea valutazione delle dichiarazioni testimoniali, e il mancato apprezzamento di quanto dedotto in appello con apposita memoria.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta inesistenza delle sponsorizzazioni sottese alle fatture.
2.3. Omessa motivazione in ordine al motivo di appello concernente l’eccessività della pena inflitta.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il AVV_NOTAIO Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, ritenendo assorbente il rilievo per cui si era in presenza di una “doppia conforme”.
Con memoria ritualmente trasmessa, la difesa replica alle argomentazioni del P.G., osservando che la mancanza di adeguata risposta ai rilievi svolti in appello impediva l’applicazione dei principi in tema di “doppia conforme”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente alla censura relativa al trattamento sanzionatorio.
Con riferimento ai primi due motivi di ricorso, che possono essere qui trattati congiuntamente, viene in rilievo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte secondo cui «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spesso della valenza probatoria del singolo elemento» (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01).
In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, le doglianze difensive non superano lo scrutinio di ammissibilità, risolvendosi nella censura del merito delle
valutazioni espresse dalla Corte territoriale (in piena sintonia con il primo giudice), e nella prospettazione di una diversa lettura delle risultanze acquisite, il cui apprezzamento, in questa sede, è evidentemente precluso.
2.1. D’altra parte, la Corte d’Appello ha delineato con esaustiva chiarezza il percorso argomentativo alla base della conferma della decisione di condanna in primo grado, anzitutto richiamando un indirizzo interpretativo ben presente nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui «ai fini della configurabilità del delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti, quando risulti provata dalla pubblica accusa la fittizietà dell’intestazione delle fatture, è onere del soggetto emittente dimostrare la corrispondenza fra il dato fattuale, relativo ai rapporti giuridici che si affermano essere effettivamente intercorsi, e quello documentale, attraverso il quale tali rapporti sono attestati» (Sez. 3, n. 34534 del 21/04/2017, Matracchi, Rv. 270962 – 01).
In tale prospettiva, la Corte territoriale ha poi esposto (pag. 7 segg.) gli elementi fondanti la valutazione di inesistenza del rapporto di sponsorizzazione sotteso alle fatture contestate (valutazione formulata anche in considerazione dell’assenza di elementi idonei a comprovare la effettività del predetto rapporto). SI è in particolare fatto riferimento: alle deposizioni testimoniali relativ all’assenza di una squadra di basket che svolgesse attività sotto le insegne della RAGIONE_SOCIALE; alla mancanza di riscontri documentali circa l’effettività della sponsorizzazione, al di là dell’apparente erogazione di danaro (si è posto in rilievo che le immagini prodotte erano relative ad un periodo successivo all’annualità di imposta di riferimento, ed erano identiche a quelle prodotte da soggetti terzi); alle attestazioni di sei diversi comuni di non aver avuto mai rapporti con la RAGIONE_SOCIALE, nonostante la contraria apparenza desumibile dalle immagini prodotte dallo COGNOME.
Infine, la Corte d’Appello ha diffusamente motivato la propria valutazione di inconsistenza della tesi difensiva, secondo cui l’odierno ricorrente sarebbe stato raggirato dal rappresentante della RAGIONE_SOCIALE con cui aveva concluso, in buona fede, i contratti di sponsorizzazione.
Al riguardo, si è per un verso osservato che gli importi fatturati e – secondo l’ipotesi accusatoria – fraudolentemente portati in detrazione erano pari o superiori al reddito risultante dal conto economico degli anni 2014 e 2015: circostanza che evidenziava non solo l’incongruenza insita nel versare ad una società dilettantistica – perciò connotata da una prospettiva di ritorno economico modesto – una somma pari al reddito annuo di impresa, ma anche il fatto che una tale decisione avrebbe necessariamente dovuto implicare una adeguata vigilanza sull’effettività di tale ritorno economico: non essendo “ragionevole affermare che un imprenditore possa investire una quota così elevata del proprio fatturato non solo in una attività molto incerta sotto il profilo del ritorno, ma oltretutto senza minimamente curarsi
nemmeno della effettiva esistenza della compagine sportiva che va a sponsorizzare” (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).
Per altro verso, è stata tutt’altro che illogicamente valorizzata l’ulteriore anomalia per cui il contratto di sponsorizzazione relativo al 2015 era stato concluso prima ancora che vi fossero evidenze contabili attestanti il pagamento delle somme relative al 2014: circostanza non certo spiegabile – come prospettato dalla difesa – con l’esistenza di un rapporto fiduciario tra lo COGNOME e il presidente della RAGIONE_SOCIALE (posto che quest’ultima avrebbe dovuto cessare l’attività senza i soldi dello sponsor, e comunque avrebbe dovuto considerare inaffidabile la società sponsorizzatrice interrompendo ogni rapporto (pag. 9 seg.).
2.2. L’impianto motivazionale fin qui sintetizzato appare del tutto immune da profili di illogicità manifesta o contraddittorietà qui deducibili, mentre le doglianze difensive appaiono da un lato imperniate su una prospettata violazione dei principi in tema di oneri probatori, che deve essere esclusa per le ragioni in precedenza evidenziate.
D’altro lato, i rilievi difensivi si risolvono – come già accennato – nella riproposizione di una lettura alternativa degli elementi acquisiti, qui non consentita: non potendo in particolare conferirsi l’auspicato rilievo liberatorio alla mancanza di riscontri probatori circa la “retrocessione” del danaro allo COGNOME, alla luce di quanto compiutamente esposto in ordine sia alle gravi incongruenze di ordine logico rilevate nell’attività del ricorrente (ove si accogliesse la prospettazione difensiva), sia alle risultanze testimoniali e documentali indicative dell’inesistenza di un effettivo rapporto di sponsorizzazione.
A diverse conclusioni deve invece pervenirsi quanto alla residua censura.
Pur avendo la Corte d’Appello specificamente menzionato, nel riepilogo dei motivi di appello, la censura relativa all’eccessività del trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata non tratta minimamente l’argomento.
Le considerazioni fin qui svolte impongono l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bologna per nuovo giudizio sul punto. Nel resto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente declaratoria di irrevocabilità dell’affermazione di penale responsabilità dello COGNOME, ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bologna. Dichiara i mmissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 30 novembre 2023 Il Consiglie e gften ·re
Il Presidente