LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Dichiarazione fraudolenta: il dolo specifico non escluso

Un imprenditore, condannato per dichiarazione fraudolenta tramite l’uso di elementi passivi fittizi, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che il suo scopo principale non era evadere le tasse, ma ottenere liquidità dalle banche. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che il dolo specifico del reato fiscale non è escluso dalla presenza di finalità ulteriori. Inoltre, ha chiarito che per il superamento della soglia di punibilità si considera l’ammontare del credito inesistente esposto in dichiarazione, nel caso di specie pari a oltre 53.000 euro.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione Fraudolenta: Anche con Altri Scopi Scatta il Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso di dichiarazione fraudolenta, fornendo chiarimenti cruciali sul dolo specifico e sul calcolo delle soglie di punibilità. La decisione conferma che il reato fiscale sussiste anche quando l’evasione non è l’unico, né il principale, obiettivo dell’imprenditore. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

Un imprenditore, legale rappresentante di una società, è stato condannato in primo e secondo grado per il reato di dichiarazione fraudolenta previsto dall’art. 3 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa si basava sull’aver indicato, nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2012, elementi passivi fittizi per un importo complessivo di oltre 53.000 euro.

Il meccanismo fraudolento consisteva nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti, seguita dalla successiva emissione di note di credito altrettanto fittizie. Lo scopo, secondo la difesa, non era primariamente quello di evadere le imposte, ma di ottenere liquidità immediata attraverso lo sconto bancario delle fatture false. Successivamente, le note di credito servivano a stornare contabilmente tali operazioni, abbattendo l’imponibile fiscale.

L’imprenditore ha quindi proposto ricorso per Cassazione, basandolo su tre motivi principali:
1. Difformità tra accusa e sentenza: la condanna si basava su una ricostruzione dei fatti diversa da quella originariamente contestata.
2. Insussistenza dell’elemento psicologico: il dolo specifico di evasione non sussisteva, poiché la finalità era quella di ottenere credito finanziario.
3. Mancato superamento della soglia di punibilità: l’imposta effettivamente accertata a suo carico era inferiore alla soglia di 30.000 euro prevista dalla norma.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi manifestamente infondati e confermando la condanna dell’imprenditore. La sentenza ha ribadito principi consolidati e ne ha chiariti altri, in particolare per quanto riguarda la coesistenza di più finalità nell’agire dell’imputato e il calcolo delle soglie di punibilità.

Le Motivazioni della Corte sulla dichiarazione fraudolenta

La Corte ha smontato punto per punto le doglianze del ricorrente con una motivazione chiara e precisa.

Sul primo motivo, relativo alla presunta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, i giudici hanno osservato che il nucleo centrale della condotta fraudolenta – l’utilizzo di fatture e note di credito fittizie per alterare l’imponibile – era rimasto invariato in tutti i gradi di giudizio. L’imputato ha sempre avuto la possibilità di difendersi pienamente su questo meccanismo, rendendo irrilevanti eventuali divergenze marginali nella ricostruzione dei fatti.

Sul secondo motivo, cuore della questione, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’esistenza del dolo specifico di evasione fiscale non è incompatibile con il perseguimento di altri scopi. Anche se la finalità preminente era ottenere liquidità, tale obiettivo era raggiungibile proprio attraverso il meccanismo di frode fiscale architettato. L’evasione delle imposte sul valore aggiunto, che sarebbero state comunque dovute sulle fatture per operazioni inesistenti, era una conseguenza diretta e strumentale al raggiungimento dello scopo finanziario. Pertanto, la volontà di frodare il Fisco era indubitabile.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Infine, riguardo al terzo motivo, la Corte ha risolto ogni dubbio sul calcolo della soglia di punibilità per la dichiarazione fraudolenta. Citando l’art. 1, comma 1, lettera g) del D.Lgs. 74/2000, ha specificato che le soglie si applicano anche all’ammontare del credito d’imposta inesistente esposto in dichiarazione. Nel caso di specie, l’importo di 53.112,58 euro era ben al di sopra della soglia prevista, rendendo il reato pienamente integrato. Questa sentenza rafforza l’orientamento secondo cui, nei reati fiscali, la presenza di un movente economico o finanziario non scalfisce la sussistenza del dolo di evasione, quando la frode al Fisco è parte integrante del piano dell’agente. Inoltre, offre un’interpretazione chiara e rigorosa delle modalità di calcolo delle soglie di punibilità, un aspetto tecnico ma decisivo per la configurabilità del reato.

Commettere il reato di dichiarazione fraudolenta richiede che l’evasione fiscale sia l’unico o principale scopo dell’agente?
No, la Corte ha chiarito che il dolo specifico di evasione non è escluso se l’agente persegue anche altri scopi, come ottenere liquidità bancaria. Il raggiungimento di un fine non esclude l’altro ed è anzi spesso strumentale ad esso.

Come si calcola il superamento della soglia di punibilità nel reato di dichiarazione fraudolenta?
Ai fini del superamento della soglia, è sufficiente fare riferimento al valore dell’inesistente credito d’imposta che il contribuente ha falsamente indicato nella propria dichiarazione fiscale, a prescindere dall’imposta evasa poi effettivamente accertata.

Una condanna è valida se i fatti accertati in sentenza sono leggermente diversi da quelli contestati nell’imputazione?
Sì, la condanna è valida purché il nucleo centrale del fatto contestato rimanga invariato e l’imputato abbia avuto la piena possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa su di esso durante tutto il processo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati