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Dichiarazione fraudolenta e interesse a ricorrere

Un’imprenditrice condannata per dichiarazione fraudolenta ricorre in Cassazione sostenendo che le fatture, non essendo mai state materialmente create, dovrebbero configurare il reato meno grave di dichiarazione infedele. La Corte Suprema, pur concordando sulla qualificazione giuridica del fatto, dichiara il ricorso inammissibile. La motivazione risiede nella mancanza di un interesse concreto e rilevante dell’imputata: una diversa qualificazione del reato non avrebbe comportato alcuna modifica favorevole né sulla pena, già determinata al minimo, né sull’importo della confisca.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione Fraudolenta: Inammissibile il Ricorso Senza un Vantaggio Pratico

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. Num. 8073 Anno 2025) offre un importante chiarimento sui confini del reato di dichiarazione fraudolenta e, soprattutto, sul principio processuale dell’interesse a ricorrere. La Corte, pur concordando con la tesi difensiva sulla corretta qualificazione giuridica del fatto, ha rigettato il ricorso perché il suo accoglimento non avrebbe portato alcun beneficio concreto all’imputata. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

I Fatti del Caso: Dalla Condanna al Ricorso in Cassazione

Il caso riguarda un’imprenditrice, amministratrice unica di una società, condannata in primo e secondo grado per una serie di reati fiscali. La Corte d’Appello, dopo aver dichiarato prescritti alcuni capi d’imputazione, aveva rideterminato la pena per i reati residui, tra cui la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, come previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000.

La difesa ha proposto ricorso in Cassazione contestando la configurabilità di tale reato per una parte della condotta. In particolare, si sosteneva che le fatture di una delle società fornitrici non erano mai state materialmente emesse; l’imputata si era limitata a registrare in contabilità dati fittizi che ne simulavano l’esistenza. Secondo la tesi difensiva, questa condotta non integrava il più grave reato di dichiarazione fraudolenta, ma quello meno grave di dichiarazione infedele (art. 4 D.Lgs. 74/2000), poiché mancava l’elemento materiale del documento falso, caratterizzato da una maggiore capacità ingannatoria.

La Distinzione tra Dichiarazione Fraudolenta e Infedele

La Corte di Cassazione ha accolto, sul piano teorico, la distinzione operata dalla difesa. I giudici hanno ribadito che l’elemento che differenzia il reato di cui all’art. 2 da quello dell’art. 3 (e, per estensione, dall’art. 4) è proprio la documentazione dell’operazione fittizia. Il reato di dichiarazione fraudolenta presuppone una struttura “bifasica”:

1. L’acquisizione e la conservazione di fatture o altri documenti fiscalmente rilevanti che attestano operazioni mai avvenute.
2. L’utilizzo di tali documenti per indicare elementi passivi fittizi nella dichiarazione dei redditi o IVA.

La Corte ha sottolineato che la maggiore gravità del reato di dichiarazione fraudolenta risiede proprio nell’idoneità probatoria dei documenti falsi, che creano un supporto contabile e documentale al mendacio dichiarato al Fisco. Se questo supporto documentale non esiste fisicamente, come nel caso di mere annotazioni contabili di fatture mai create, la condotta rientra nella fattispecie di dichiarazione infedele, che punisce la semplice indicazione di elementi passivi fittizi non supportata da documentazione esterna.

Le motivazioni della Cassazione: L’Inammissibilità per Mancanza di Interesse

Nonostante la correttezza della ricostruzione giuridica, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nel principio dell'”interesse a ricorrere”, secondo cui un’impugnazione è ammissibile solo se il ricorrente può ottenere un vantaggio concreto e tangibile dal suo accoglimento.

Nel caso di specie, l’eventuale riqualificazione del fatto da dichiarazione fraudolenta a dichiarazione infedele non avrebbe prodotto alcun effetto pratico favorevole per l’imputata, per diverse ragioni:

1. Trattamento sanzionatorio: La Corte d’Appello aveva già condannato l’imputata al minimo edittale previsto, concedendo le attenuanti generiche nella massima estensione. Una diversa qualificazione non avrebbe potuto portare a una pena inferiore.
2. Confisca: L’importo della confisca per equivalente era stato calcolato sulla base dell’IVA evasa, un valore che non dipende dalla qualificazione giuridica del reato ma dall’imposta sottratta all’erario.
3. Concorso di reati e divieto di reformatio in peius: La condanna per il capo f) si basava anche sull’utilizzo di altre fatture, queste sì materialmente esistenti. Pertanto, l’imputata sarebbe rimasta comunque condannata per il reato di dichiarazione fraudolenta in relazione a quella parte della condotta. Riqualificare l’altra parte come dichiarazione infedele avrebbe significato configurare un ulteriore reato, che però non avrebbe potuto essere sanzionato a causa del divieto di peggiorare la situazione dell’imputato in sede di ricorso (reformatio in peius).

In sostanza, l’accoglimento del ricorso avrebbe rappresentato una vittoria puramente formale, senza alcun impatto sulla pena, sulla confisca o sulla fedina penale dell’imputata.

Le conclusioni: L’Importanza dell’Interesse Concreto nell’Impugnazione

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale del diritto processuale: le impugnazioni non servono a ottenere mere rettifiche teoriche, ma a conseguire risultati pratici. L’interesse ad agire deve essere concreto, attuale e rilevante. Un ricorso che mira a una diversa qualificazione giuridica del fatto, senza che ciò incida sul dispositivo della sentenza (pena, misure accessorie, ecc.), è destinato a essere dichiarato inammissibile. La giustizia, come ci ricorda la Corte, non si occupa di questioni di principio astratte, ma di risolvere controversie con effetti tangibili sulla vita delle persone.

Qual è la differenza sostanziale tra dichiarazione fraudolenta (art. 2) e dichiarazione infedele (art. 4)?
La differenza fondamentale risiede nell’esistenza di un supporto documentale. La dichiarazione fraudolenta (art. 2) richiede l’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, che creano un impianto contabile falso. La dichiarazione infedele (art. 4), invece, punisce la semplice indicazione di elementi passivi fittizi in dichiarazione senza che questi siano supportati da tale documentazione.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile nonostante la Corte abbia ritenuto corretta la tesi difensiva sulla qualificazione del reato?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per mancanza di un “interesse concreto e rilevante”. Anche se la qualificazione del reato fosse stata modificata, non ci sarebbe stato alcun vantaggio pratico per la ricorrente: la pena, già fissata al minimo, non sarebbe diminuita, e l’importo della confisca, legato all’imposta evasa, sarebbe rimasto invariato.

Cosa significa che un ricorso è inammissibile per “mancanza di interesse concreto”?
Significa che l’accoglimento dell’impugnazione non comporterebbe alcun beneficio pratico per chi l’ha proposta. Il sistema giudiziario richiede che un ricorso miri a un risultato tangibile (es. una riduzione della pena, l’annullamento di una confisca) e non solo a una correzione formale della qualificazione giuridica del fatto, se questa non ha effetti sul dispositivo della sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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