Dichiarazione Fraudolenta: Quando la Prova Logica Basta per la Condanna
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati fiscali, in particolare per la dichiarazione fraudolenta. La sentenza in esame chiarisce come, di fronte a una ricostruzione dei fatti logica e coerente da parte dei giudici di merito, il ricorso che mira a una semplice rivalutazione delle prove sia destinato all’inammissibilità. Analizziamo insieme questo caso per capire le implicazioni pratiche della decisione.
I Fatti del Processo
La vicenda riguarda due soci di una società a responsabilità limitata, condannati in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era di aver utilizzato, nella dichiarazione fiscale relativa all’anno d’imposta 2017, due fatture per operazioni inesistenti per un importo totale di quasi 11.000 euro. L’obiettivo era, evidentemente, quello di abbattere l’imponibile e, di conseguenza, evadere le imposte.
La Corte d’Appello di Torino aveva confermato la sentenza di primo grado, ritenendo gli imputati colpevoli e condannandoli a pene detentive (rispettivamente un anno e quattro mesi e un anno di reclusione). Contro questa decisione, i due soci hanno proposto ricorso in Cassazione.
Il Ricorso in Cassazione e la Dichiarazione Fraudolenta
I ricorrenti hanno basato la loro difesa su due motivi principali: il vizio di motivazione e l’inosservanza della legge penale. In sostanza, hanno contestato il modo in cui i giudici di merito avevano valutato le prove, sostenendo che la loro colpevolezza non fosse stata adeguatamente dimostrata. Secondo la difesa, si sarebbe dovuta prefigurare una “rivalutazione alternativa delle fonti probatorie”.
Il nucleo della questione ruotava attorno alla solidità degli elementi che avevano portato alla condanna. Questi elementi includevano non solo le dichiarazioni di chi aveva emesso le false fatture, ma anche, e soprattutto, una conversazione registrata. In questa registrazione, uno degli imputati discuteva chiaramente con l’emittente della fattura e un altro socio dell’operazione illecita, confermando di fatto la natura fittizia della transazione.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto completamente le argomentazioni della difesa, dichiarando i ricorsi inammissibili per manifesta infondatezza. I giudici hanno sottolineato che la sentenza della Corte d’Appello era basata su una ricostruzione dei fatti adeguata e puntuale.
La motivazione della Corte di Cassazione si fonda su un punto cardine del nostro ordinamento processuale: il giudizio di legittimità non è un “terzo grado” di merito. La Cassazione non può riesaminare i fatti o sostituire la propria valutazione delle prove a quella, logicamente argomentata, dei giudici dei gradi precedenti. Il suo compito è verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza sia coerente e non palesemente illogica.
Nel caso specifico, i giudici di merito avevano stabilito un nesso logico inattaccabile tra le dichiarazioni dei testimoni e il contenuto della registrazione audio. Questa correlazione ha permesso di costruire un quadro probatorio solido, sufficiente a fondare il giudizio di colpevolezza per la dichiarazione fraudolenta. I ricorsi, al contrario, non hanno evidenziato alcuna reale violazione di legge o vizio logico, ma si sono limitati a proporre un diverso apprezzamento dei fatti, un’operazione preclusa in sede di legittimità.
Le Conclusioni
La decisione della Cassazione conferma che una condanna per reati fiscali come la dichiarazione fraudolenta può reggersi su elementi probatori che, seppur non diretti, formano un quadro d’insieme logico e coerente. La presenza di una registrazione che avvalora le accuse si è rivelata un elemento decisivo. L’ordinanza serve da monito: tentare di ribaltare in Cassazione una sentenza ben motivata proponendo una lettura alternativa delle prove è una strategia destinata al fallimento. Tale tentativo non solo non porta all’annullamento della condanna, ma comporta anche ulteriori conseguenze economiche per i ricorrenti, come la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso per dichiarazione fraudolenta?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi erano manifestamente infondati. Gli appellanti non hanno evidenziato vizi di legittimità, come una scorretta applicazione della legge o una motivazione illogica, ma hanno tentato di ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.
Quali prove sono state considerate decisive per la condanna per l’uso di fatture false?
La condanna si è basata sulla correlazione logica tra le dichiarazioni dei soggetti che avevano emesso le fatture e la registrazione di un dialogo in cui uno degli imputati, insieme ad altri interlocutori, discuteva chiaramente dell’operazione illecita relativa all’emissione della fattura falsa.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro (in questo caso fissata in 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18478 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18478 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/11/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a BIELLA il 12/12/1950
NOME nato a ASTI il 09/07/1974
avverso la sentenza del 07/03/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Premesso che è stata impugnata la sentenza della Corte di appello di Torino del 7 marzo 2024, che ha confermato la decisione resa dal G.U.P. del Tribunale di Asti il 16 dicembre 2020, con cu per quanto in questa sede rileva, NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati condannati, entrambi con i doppi benefici di legge, alle rispettive pene, COGNOME, di anni 1 e mesi 4 di reclu e, COGNOME, di anni 1 di reclusione, in quanto ritenuti colpevoli del reato ex art. 2 del d.l del 2000, commesso il 30 ottobre 2018 in Rocchetta Tanaro.
Rilevato che i due motivi dei comuni ricorsi di COGNOME e COGNOME, con i quali si censura, so duplice profilo del vizio di motivazione e dell’inosservanza della legge penale, la conferma giudizio di colpevolezza degli imputati, sono manifestamente infondati, in quanto vol prefigurare una rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, a fronte dell’ade ricostruzione operata dai giudici di merito, i quali, all’esito di una puntuale disamina dell acquisite, hanno rimarcato la configurabilità del reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 ascritto ai ricorrenti, quali soci della società RAGIONE_SOCIALE risultati entram a vario titolo nella condotta illecita, consistita nell’aver utilizzato nella dichiarazi relativa all’anno di imposta 2017 due fatture per operazioni inesistenti emesse rispettivamen da NOME COGNOME (fattura n. 1 del 10 febbraio 2017 di 4.450 euro) e da NOME COGNOME (fattura n. 1 del 2 febbraio 2017 di 6.445 euro); il giudizio di responsabilità è invero scaturit correlazione logica tra le sovrapponibili dichiarazioni dei soggetti che hanno emesso le fattu la registrazione del dialogo effettuata da COGNOME, nella quale gli interlocutori, ossia NOME COGNOME e NOME COGNOME socio di COGNOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE nonché firmatario della dichiarazione fraudolenta per cui si procede, parlano dell’opera relativa all’emissione della falsa fattura, come ricostruito dai giudici di appello con motiv non illogica e dunque non censurabile in questa sede (cfr. pag. 5-7 della sentenza impugnata).
Considerato che la motivazione della decisione gravata risulta sorretta da considerazion razionali, cui la difesa contrappone differenti apprezzamenti di merito, che tuttavia esulano perimetro del giudizio di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 2806
Ritenuto, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e rilevato ch declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere pagamento delle spese del procedimento, nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processua della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 1’8 novembre 2024.