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Dichiarazione fraudolenta: Cassazione conferma condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da due soci di un’impresa, condannati in appello per il reato di dichiarazione fraudolenta. Gli imputati avevano utilizzato fatture per operazioni inesistenti nella dichiarazione fiscale del 2017. La Corte ha ritenuto che le motivazioni della sentenza d’appello fossero logiche e ben fondate, basate su dichiarazioni e una conversazione registrata, e che il ricorso rappresentasse un mero tentativo di riesaminare i fatti, non consentito nel giudizio di legittimità.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione Fraudolenta: Quando la Prova Logica Basta per la Condanna

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati fiscali, in particolare per la dichiarazione fraudolenta. La sentenza in esame chiarisce come, di fronte a una ricostruzione dei fatti logica e coerente da parte dei giudici di merito, il ricorso che mira a una semplice rivalutazione delle prove sia destinato all’inammissibilità. Analizziamo insieme questo caso per capire le implicazioni pratiche della decisione.

I Fatti del Processo

La vicenda riguarda due soci di una società a responsabilità limitata, condannati in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era di aver utilizzato, nella dichiarazione fiscale relativa all’anno d’imposta 2017, due fatture per operazioni inesistenti per un importo totale di quasi 11.000 euro. L’obiettivo era, evidentemente, quello di abbattere l’imponibile e, di conseguenza, evadere le imposte.

La Corte d’Appello di Torino aveva confermato la sentenza di primo grado, ritenendo gli imputati colpevoli e condannandoli a pene detentive (rispettivamente un anno e quattro mesi e un anno di reclusione). Contro questa decisione, i due soci hanno proposto ricorso in Cassazione.

Il Ricorso in Cassazione e la Dichiarazione Fraudolenta

I ricorrenti hanno basato la loro difesa su due motivi principali: il vizio di motivazione e l’inosservanza della legge penale. In sostanza, hanno contestato il modo in cui i giudici di merito avevano valutato le prove, sostenendo che la loro colpevolezza non fosse stata adeguatamente dimostrata. Secondo la difesa, si sarebbe dovuta prefigurare una “rivalutazione alternativa delle fonti probatorie”.

Il nucleo della questione ruotava attorno alla solidità degli elementi che avevano portato alla condanna. Questi elementi includevano non solo le dichiarazioni di chi aveva emesso le false fatture, ma anche, e soprattutto, una conversazione registrata. In questa registrazione, uno degli imputati discuteva chiaramente con l’emittente della fattura e un altro socio dell’operazione illecita, confermando di fatto la natura fittizia della transazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto completamente le argomentazioni della difesa, dichiarando i ricorsi inammissibili per manifesta infondatezza. I giudici hanno sottolineato che la sentenza della Corte d’Appello era basata su una ricostruzione dei fatti adeguata e puntuale.

La motivazione della Corte di Cassazione si fonda su un punto cardine del nostro ordinamento processuale: il giudizio di legittimità non è un “terzo grado” di merito. La Cassazione non può riesaminare i fatti o sostituire la propria valutazione delle prove a quella, logicamente argomentata, dei giudici dei gradi precedenti. Il suo compito è verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza sia coerente e non palesemente illogica.

Nel caso specifico, i giudici di merito avevano stabilito un nesso logico inattaccabile tra le dichiarazioni dei testimoni e il contenuto della registrazione audio. Questa correlazione ha permesso di costruire un quadro probatorio solido, sufficiente a fondare il giudizio di colpevolezza per la dichiarazione fraudolenta. I ricorsi, al contrario, non hanno evidenziato alcuna reale violazione di legge o vizio logico, ma si sono limitati a proporre un diverso apprezzamento dei fatti, un’operazione preclusa in sede di legittimità.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione conferma che una condanna per reati fiscali come la dichiarazione fraudolenta può reggersi su elementi probatori che, seppur non diretti, formano un quadro d’insieme logico e coerente. La presenza di una registrazione che avvalora le accuse si è rivelata un elemento decisivo. L’ordinanza serve da monito: tentare di ribaltare in Cassazione una sentenza ben motivata proponendo una lettura alternativa delle prove è una strategia destinata al fallimento. Tale tentativo non solo non porta all’annullamento della condanna, ma comporta anche ulteriori conseguenze economiche per i ricorrenti, come la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso per dichiarazione fraudolenta?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi erano manifestamente infondati. Gli appellanti non hanno evidenziato vizi di legittimità, come una scorretta applicazione della legge o una motivazione illogica, ma hanno tentato di ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

Quali prove sono state considerate decisive per la condanna per l’uso di fatture false?
La condanna si è basata sulla correlazione logica tra le dichiarazioni dei soggetti che avevano emesso le fatture e la registrazione di un dialogo in cui uno degli imputati, insieme ad altri interlocutori, discuteva chiaramente dell’operazione illecita relativa all’emissione della fattura falsa.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro (in questo caso fissata in 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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