Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 35715 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 35715 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/11/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita del ricorso.
udito il Difensore: è presente l’AVV_NOTAIO, del Foro di LECCE, in difesa di COGNOME NOME, che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Lecce il 10 novembre 2023, in parziale riforma della sentenza, appellata dall’imputato, con cui il Tribunale di Brindisi il 17 dicembre 2012, all’esito del dibattimento in processo plurisoggettivo, ha riconosciuto COGNOME NOME (detto “NOME“) colpevole del reato di partecipazione, in posizione apicale, ad associazione ex art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo A dell’editto), e di più violazioni dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 (capi B, E e L), e, essendo più grave il reato di cui al capo A), con le circostanze attenuanti generiche e operato l’aumenio per la continuazione con gli ulteriori illeciti, lo ha condannato alla pena stimata di giustizia, invece, dichiarati estinti per prescrizione i reati di cui ai capi B) ed E), ha rideterminato la pena per i residui capi sub lett. A) e L), riducendola; con conferma nel resto.
Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite Difensore di fiducia, affidandosi a due motivi con i quali denunzia violazione di legge (entrambi i motivi) e vizio di motivazione (il secondo motivo).
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione degli artt. 178, lett. c), e 179, comma 1, cod. proc. pen., essendo nullo, ad avviso della RAGIONE_SOCIALE, il decreto di latitanza emesso dal G.i.p. del Tribunale di Lecce il 15 luglio 2009 (all. n. 2 al ricorso) e, conseguentemente, tutti gli atti successivi ossia l’avviso di conclusione delle indagini, l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, il decreto di rinvio giudizio ed entrambe le sentenze di merito.
La questione, già posta con il primo motivo di appello (all. n. 4 al ricorso, pp. 2-4), è stata risolta con affermazione che si stima erronea ed illegittima, avendo la Corte territoriale (alle pp. 4-6) qualificato tale nullità come intermedia, mentre essa sarebbe, in realtà, una nullità assoluta ed insanabile, come sostenuto da più pronunzie di legittimità e, tra le altre, da Sez. 2, n. 33618 dell’11/06/2021, NOME. Rv. 281864;
mancherebbe la prova che COGNOME NOME abbia mai saputo dell’esistenza dell’ordinanza cautelare emessa dall’A.G. di Lecce nei suoi confronti;
non avrebbe alcun rilievo la circostanza che fosse difeso fiduciariamente, in quanto la nomina di fiducia (all. n. 5 all’atto di impugnazione) sarebbe successiva alla redazione del verbale di vane ricerche e addirittura alla avvenuta pubblicazione sui quotidiani locali della notizia circa l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare (all. n. 5);
le ricerche, effettuate dalla polizia giudiziaria unicamente a Novara e a Brindisi, non potrebbero in alcun modo significare la volontà del ricorrente di sottarsi alla notifica dell’ordinanza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Lecce;
comunque, al momento delle ricerche effettuata solo a Novara e a Brindisi, l’imputato si trovava, «quasi sicuramente in Albania» (così testualmente alla p. 4 del ricorso), come ammette la stessa sentenza di primo grado, che alla p. 10 osserva che l’imputato coordinava le operazioni dall’Albania, sicchè non vi sarebbe alcuna prova che lo stesso si sia sottratto all’esecuzione del provvedimento restrittivo della libertà.
2.2. Con l’ulteriore motivo censura l’affermazione di penale responsabilità quanto alla contestazione associativa sub lett. A), in violazione dell’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e con motivazione generica e, anzi, assente.
L’attività dell’imputato, in realtà, sarebbe volta alla commissione solo ed esclusivamente di due reati-satellite (lett. B ed E) ma senza alcuna stabilità nella condotta sub lett. A) e nella perpetrazione di una serie indeterminata di episodi.
La sentenza impugnata si sarebbe limitata a richiamare quella di primo grado, censurando come generico l’atto di appello, affermando la partecipazione associativa soltanto perché l’esistenza dell’associazione è stata accertata con sentenza del G.u.p. del Tribunale di Lecce del 31 marzo 2010.
La partecipazione all’associazione (e, men che meno, il ruolo di vertice in essa) non potrebbe essere dimostrata dalla partecipazione a due soli reatisatellite, peraltro commessi a distanza di poco tempo.
“Coordinare dall’Albania” non significherebbe infatti assumere un ruolo direttivo ma, al massimo, partecipare; peraltro, come già sostenuto nell’atto di appello, COGNOME viene addirittura rimproverato da parte dei presunti sodali.
Si chiede, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata.
Il P.G. della Corte di cassazione nella requisitoria scritta dell’8 maggio 2024, da valere come memoria, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
E’ stata chiesta dalla RAGIONE_SOCIALE la trattazione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le seguenti ragioni.
Con il primo motivo, come si è visto (n. 2.1. del “ritenuto in fatto”), si deduce la nullità del decreto di latitanza (del 15 luglio 2009) e di tutti gli successivi.
La risposta che si legge al riguardo alle pp. 4-6 della sentenza impugnata è immune dai vizi denunziati.
Infatti: nonostante la diversa interpretazione, cui aderisce la RAGIONE_SOCIALE (cfr. Sez. 2, n. 33618 dell’11/06/2021, COGNOME NOME, cit.), la giurisprudenza di
legittimità più recente ritiene – condivisibilmente – essersi in presenza di una nullità non già assoluta ma di tipo intermedio (v. Sez. 6, n. 13485 del 12/01/2023, COGNOME, Rv. 284573; in pari senso v. già Sez. 6, n. 10957 del 24/02/2015, COGNOME NOME, Rv. 262634; Sez. 6, n. 53599 del 10/12/2014, COGNOME e altri, Rv. 261872; Sez. 1, n. 41305 del 07/10/2009, COGNOME e altro, Rv. 245037), da dedurre prima della pronuncia della sentenza di primo grado (Sez. 6, n. 10957 del 24/02/2015, COGNOME NOME, cit.; Sez. 6, n. 53599 del 10/12/2014, RAGIONE_SOCIALE e altri, cit.).
In ogni caso, non sarebbe applicabile nel caso di specie il principio di diritto richiamato dal ricorrente perché nel caso affrontato da Sez. 2, n. 33618 dell’11/06/2021, COGNOME NOME, cit. (la cui massima ufficiale recita: «L’erronea dichiarazione di latitanza dell’imputato, siccome fondata su decreto invalido, risultando dagli atti la stabile dimora all’estero dell’imputato medesimo, inficia la validità della citazione a giudizio che è da considerare “tamquam non esset” e travolge ogni atto successivo, imponendo la regressione del procedimento dinanzi al giudice dell’udienza preliminare») era emersa, diversamente dal caso in esame, la stabile dimora dell’imputato all’estero.
Peraltro, la Corte territoriale risponde con motivazione sufficiente, non illogica e non incongrua alla questione posta dalla RAGIONE_SOCIALE, spiegando (alle pp. 56) essere state le ricerche congrue, effettuate (il 26 giugno 2009) nei luoghi in cui l’imputato poteva ragionevolmente essere per averli frequentati (Novara e Brindisi), senza che sia necessario che vengano effettuate all’estero (affermazione in linea con l’insegnamento di Sez. U, n. 18822 del 27/03/2014, Avram, Rv. 258792: «Ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibili tale condizione con quella della irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. cod. proc. pen. – pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti – non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all’estero quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 169, comma quarto, dello stesso codice»; conformi le Sezioni semplici successive, tra cui Sez. 6, n. 31285 del 23/03/2017, Lleshaj, Rv. 270569).
Nel merito, osserva – non incongruamente – la Corte di appello che, essendo l’imputato difeso fiduciariamente (dal 3 luglio 2009 e sino al deposito della richiesta di rinvio a giudizio), lo stesso era sicuramente a conoscenza della pendenza del procedimento penale a suo carico, per gravi imputazioni, senza che
sia necessaria la emersione della prova positiva della volontà di sottrarsi ad esso, essendo sufficiente la prova della intenzione di porsi in condizioni di irreperibilità (pp. 5-6 della sentenza impugnata), in linea con Sez. 2, n. 47852 del 23/09/2016, Kennedy, Rv. 268174 («In tema di dichiarazione di latitanza, ai fini dell’accertamento della volontarietà della sottrazione al provvedimento restrittivo, non occorre dimostrare che l’interessato era a conoscenza dell’avvenuta emissione a suo carico di tale provvedimento essendo sufficiente che si sia posto in condizione di irreperibilità sapendo che un ordine o un mandato poteva essere emesso nei suoi confronti, evenienza che, una volta positivamente apprezzata con provvedimento del giudice, legittima l’esecuzione delle notificazioni mediante consegna al difensore»).
3.Passando ad esaminare il secondo motivo, che ha ad oggettó l’imputazione associativa di cui alla lett. A)’ il ricorso risulta assai generico costruito in fatto e meramente assertivo. Del resto, estremamente vago era l’appello in tema di insussistenza del reato associativo e di partecipazione dell’imputato allo stesso (pp. 5-6), come già riconosciuto dalla sentenza impugnata (pp. 7-9).
Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29/05/2024.