Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21847 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21847 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 10/07/1974
avverso la sentenza del 30/01/2008 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME hJ
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con trasmissione degli atti al giudice competente.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Firenze ha confermato, in punto di responsabilità penale, la decisione del Tribunale di Firenze che aveva riconosciuto il cittadino di Santo Domingo NOME COGNOME colpevole in concorso di due importazioni di sostanza stupefacente del tipo cocaina in Firenze e a Rapolano Terme rispettivamente in data 29 maggio e 26 giugno 2003. La pena veniva peraltro rideterminata in anni undici di reclusione ed euro 60.000 di multa e condonata, limitatamente ad anni tre ai sensi dell’art.1 L.241/2006.
La pronuncia veniva dichiarata irrevocabile in data 30 giugno 2008 a seguito di notifica di estratto contumaciale all’imputato, già dichiarato latitante, e pertanto mediante consegna al difensore nominato di ufficio.
La Corte di Cassazione sez.1, a seguito di istanza della difesa dell’imputato in relazione alla quale si era dichiarata incompetente a provvedere la Corte di appello di Firenze, disponeva che NOME COGNOME fosse rimesso nei termini per proporre impugnazione avverso la sentenza della Corte di appello, della quale veniva revocata la esecutività, con conseguente revoca dell’ordine di esecuzione della sentenza di condanna e, contestualmente, disponeva la scarcerazione dell’imputato nei cui confronti, medio tempore, era stata eseguita la misura cautelare in carcere in relazione ai fatti di cui all’odierno giudizio e rispetto ai quali era stato emesso decreto di latitanza, se non detenuto per altra causa.
La difesa dell’imputato ha pertanto proposto ricorso per cassazione articolando quattro motivi di ricorso.
3.1 Con il primo motivo di ricorso deduce violazione di legge processuale in quanto la sentenza impugnata è stata pronunciata all’esito di un giudizio instaurato sulla base di un decreto di latitanza privo dei requisiti previsti dall’art.296 cod. proc. pen., non essendo stata accertata, né in altro modo indicata, la volontaria sottrazione dell’indagato alla misura cautelare applicata nei suoi confronti.
Premesso che il giudizio nei confronti di NOME COGNOME si era svolto con rito ordinario, in assenza dell’imputato, con citazione a giudizio notificata al difensore di ufficio dell’imputato, in ragione della dichiarata latitanza dello stesso enelle stesse forme era stata eseguita la citazione dell’imputato per il giudizio di appello, la difesa del ricorrente evidenzia che il decreto di latitanza, che faceva riferimento al verbale di vane ricerche redatto dalla polizia giudiziaria nei confronti della persona ricercata, era sprovvisto della indicazione delle ricerche eseguite, così da potersi escludere il presupposto della volontaria sottrazione del cautelato alla esecuzione della misura, essendo evidente che il LORA, sottoposto a intercettazioni telefoniche, operava dall’estero e in particolare nel territorio
della Repubblica Dominicana e che non aveva mai fatto ingresso in territorio nazionalettl momento dello svolgimento delle indagini. Deduce che la concreta impossibilità di notificare una ordinanza cautelare nel territorio nazionale non può costituire espressione di una volontaria sottrazione del cautelato alla esecuzione della stessa soprattutto nel caso jg specie / in cui le indagini si erano sviluppate anche mediante la collaborazione delle autorità di Santo Domingo e che alcuni appartenenti della polizia giudiziaria, al fine di confortare la esatta identificazione dell’indagato, non solo si erano recati nella Repubblica Dominicano ma, ma, anche mediante accesso presso uffici pubblici, avevano acquisito lo stato di famiglia del soggetto titolare della utenza telefonica intercettata e avevano altresì individuato il suo domicilio in Santo Domingo, cui corrispondeva il nominativo acquisito presso gli uffici anagrafici, fino a stabilire un contatto personale con l’indagato. Di converso nessun elemento era stato acquisito dalla polizia giudiziaria per stabilire che il LORA, all’esito delle attività di indagine e della emissione del titolo cautelare, fosse stato consapevole della misura applicata nei suoi confronti e del procedimento penale che ne era scaturito. D’altro canto la giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite Avram sottolinea l’assenza di alcun automatismo tra il verbale di vane ricerche e il provvedimento che dichiara la latitanza, richiedendosi un rigoroso controllo giurisdizionale sulla completezza e sulla esaustività delle ricerche, nel senso di riconoscere la impossibilità di procedere alla esecuzione della misura cautelare solo nel caso in cui non constino elementi idonei a consentire il rintraccio dell’indagato e, al contempo, possa legittimamente desumersi la volontaria sottrazione di questi alla esecuzione della misura. Nella specie era mancato il sindacato giurisdizionale sull’attività svolta dalla PG, essendosi il giudice limitato ad una presa d’atto della impossibilità di eseguire la notificazione della ordinanza cautelare emessa dal GIP di Firenze senza alcun approfondimento o verifica, che pure era dovuta e possibile atteso che il GIP della cautela era a conoscenza che il cautelato LORA si muoveva in territorio dominicano e che gli operanti di PG ivi si erano recati per la identificazione dell’importatore. Tale carenza, peraltro, era stata sostanzialmente certificata dallo stesso giudice di legittimità, il quale aveva disposto la rimessione nel termine del LORA per proporre ricorso per cassazione, riconoscendo la mancata conoscenza del procedimento penale da parte di questi. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con un secondo motivo assume violazione dell’art.179 cod. proc. pen. in quanto la sentenza impugnata è stata pronunciata senza che sia stata disposta la citazione dell’imputato, in quanto la notifica del decreto di citazione a giudizio di secondo grado è stata eseguita con il rito previsto per gli imputati latitanti, mediante consegna di copia al difensore di ufficio, con conseguente nullità anche della sentenza di primo grado e del decreto dispositivo del giudizio.
Assume che l’erronea dichiarazione di latitanza ha comportato l’automatica nomina del difensore di ufficio e la notifica di tutti gli atti presso quest’ultimo, in assenza di alcun elemento da cui inferire la conoscenza del processo da parte del LORA o l’esistenza di contatti ovvero di collegamenti con il difensore, come risulta evidenziato dal fatto che solo il LORA, a differenza degli altri coimputati, aveva omesso di eccepire la nullità del decreto dispositivo del giudizio, il quale era stato dichiarato nullo in relazione agli altri coimputati, di talchè la mancata conoscenza del decreto dispositivo del giudizio ha impedito al LORA di predisporre qualsiasi forma di difesa o di richiedere la celebrazione del giudizio con riti alternativi. La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come l’erronea dichiarazione di latitanza infici la validità della citazione a giudizio che è da considerare tamquam non esset travolgendo ogni atto successivo ed imponendo la regressione del procedimento dinanzi al giudice dell’udienza preliminare.
Con un terzo motivo di ricorso assume violazione di legge per avere la sentenza impugnata applicato pena che, allo stato, si presenta illegale, in quanto non tiene conto della pronuncia del giudice delle leggi n.40/2019 la quale ha ridisegnato i limiti edittali della pena per il reato di cui all’art.73 dPR 309/90.
Con una ultima articolazione assume manifesta illogicità della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento del beneficio delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in accoglimento dei primi due motivi di ricorso avanzati dalla difesa di NOME aventi carattere assorbente in quanto deducono la nullità del decreto di latitanza del ricorrente e, di conseguenza, la nullità della vocatio in iudicium del COGNOME in entrambi i gradi di giudizio essendo state eseguite le notifiche al difensore nominato di ufficio ai sensi dell’art.165 cod. proc. pen..
2. Con ordinanza n. 39719 del 25.9.2024 la Prima Sezione della Corte di cassazione ha riconosciuto che “nella intestazione della sentenza di appello l’odierno ricorrente è indicato come latitante e contumace e dagli atti inviati dalla Corte territoriale non risulta che lo stesso abbia mai nominato un difensore di fiducia, né che abbia dichiarato o eletto domicilio e neppure che sia mai stato attinto da atti (per esempio, arresto in flagranza, perquisizione, interrogatorio, esecuzione di ordinanza cautelare) da cui può risultare la conoscenza del procedimento a suo carico. Inoltre, le sentenze di primo grado e di appello sono state, rispettivamente, notificate al difensore di ufficio avv. NOME COGNOME in data 23 giugno 2006 e 30 maggio 2008 ai sensi dell’art. 165 cod. proc. pen.; anche i
decreti di citazione a giudizio in primo ed in secondo grado risultano notificati, sempre a norma dell’art. 165 del codice di rito, al citato difensore di ufficio (in data 16 aprile 2004 e 16 ottobre 2007). Deve poi aggiungersi che NOME COGNOME era stato dichiarato latitante con decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze in data 18 novembre 2003, con il quale veniva dato atto che non era stato possibile notificare la ordinanza con la quale era stata disposta la custodia cautelare in carcere nei suoi confronti. Per completezza deve evidenziarsi che dalla sentenza di appello è emerso che uno degli operanti (il maresciallo COGNOME) aveva preso contatto telefonicamente con NOME COGNOME in Santo Domingo, che conosceva il suo domicilio e che lo aveva anche incontrato sul posto (pagg. 6 e ss.); ne consegue che nel caso in esame ricorrevano le condizioni per procedere a norma dell’art. 169 cod. proc. pen.”.
2.1. In sostanza il giudice di legittimità, ai fini della rimessione nel termine dell’odierno ricorrente, ha riconosciuto che, risultando dagli atti notizia precisa del luogo di residenza o di dimora all’estero, il giudice o il pubblico ministero avrebbero dovuto inviare raccomandata con avviso di ricevimento, contenente l’indicazione della autorità che procede, il titolo del reato e la data e il luogo in cui è stato commesso nonché l’invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato; decorsi trenta giorni dalla ricezione della raccomandata in assenza di dichiarazione o elezione di domicilio ovvero in caso di insufficienza o inidoneità, le notificazioni potevano essere eseguite mediante consegna al difensore.
Invero, a seguito di Sezioni Unite (Sez. U, n. 18822 del 27/03/2014, Avram, Rv. 258793) la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto la tesi secondo cui “Ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibile tale condizione con quella dell’irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 295 cod. proc. pen. – pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti – non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all’estero quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 169, comma quarto, dello stesso codice” (Sez. 5, n.5583 del 28/10/2014, T., Rv.262227-01; Sez. 6, n. 31285 del 23/03/2017, Rv. 270569 – 01, fattispecie nella quale, al momento dell’esecuzione della misura, non sussistevano elementi certi dai quali desumere che l’imputato fosse stabilmente dimorante nel paese estero di origine).
2.2. Si è infatti osservato che la distinzione concettuale che separa lo status dell’irreperibile da quello del latitante si riflette anche sui presupposti sui quali s fonda il relativo accertamento e la declaratoria della relativa condizione: nel caso della latitanza, infatti, la base normativa di riferimento è costituita dal verbale di vane ricerche, che la polizia giudiziaria redige a seguito della mancata esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare, indicando in modo specifico le indagini svolte nei luoghi nei quali si presume che l’imputato possa trovarsi, senza essere vincolata, quanto ai luoghi di ricerca, dai criteri indicati in tema di irreperibilità. Il verbale redatto dalla polizia giudiziaria, peraltro, pur costituendo il presupposto processuale per l’emissione del decreto di latitanza, non determina automaticamente tale dichiarazione, la quale è subordinata alla positiva valutazione del giudice, il quale è chiamato ad effettuare un apprezzamento rebus sic stantibus circa la adeguatezza e completezza delle ricerche, senza che possano incidere sulla validità del provvedimento le eventuali informazioni pervenute successivamente.
2.3. Quanto, poi, al carattere di esaustività delle ricerche effettuate, si è puntualizzato come il relativo esame non debba essere condotto in base a parametri prefissati, come indicativamente enunciato dall’art. 159 cod. proc. pen., circa i luoghi di ricerca dell’imputato irreperibile, ma debba essere piuttosto ragguagliato alle specifiche e particolari condizioni del soggetto da ricercare, così da consentire al giudice, in relazione alle peculiarità del caso concreto, di valutare la completezza o meno delle indagini svolte. Né tale situazione postula necessariamente la conoscenza dell’interessato in ordine alla avvenuta emissione a suo carico del provvedimento restrittivo della libertà personale, essendo semplicemente sufficiente che egli sappia che un ordine o un mandato può essere emesso nei suoi confronti, evenienza che, una volta positivamente apprezzata con provvedimento del giudice, legittima alle notificazioni mediante consegna al difensore (sez.5, n.4114 del 9/12/2009, COGNOME, Rv.246098); ove l’accertamento della volontarietà dell’imputato di sottrarsi alle ricerche, che costituisce presupposto necessario del relativo decreto, può fondarsi anche su presunzioni, purché le stesse abbiano una base fattuale idonea a dimostrare tale volontà, tenuto anche conto delle concrete abitudini di vita del ricercato (sez.3, n.10733 del 10/02/2023, COGNOME, Rv.284315-01). Dalle profonde differenze che è possibile cogliere tra gli istituti della latitanza e quello della irreperibilità, avu riguardo alle diverse finalità che animano le disposizioni che li regolano, nonché ai diversi presupposti che ne stanno alla base – con particolare riferimento alla volontarietà che caratterizza la latitanza e che presuppone la conoscenza del procedimento e del provvedimento che è stato o può essere emesso, a differenza dell’irreperibile – se ne è tratto il corollario che l’emissione del decreto di
latitanza non deve essere necessariamente preceduto dallo svolgimento all’estero di ricerche tese a rintracciare il soggetto nei cui confronti è stato adottato il provvedimento cautelare e della cui dimora o residenza in un paese straniero si abbia avuto generica notizia, non sussistendo i presupposti per l’applicazione in via analogica delle regole dettate per le ricerche dell’irreperibile dall’art. 169 c.p.p., comma 4.
Nella specie peraltro a fronte di decreto di irreperibilità, allegato per l’autosufficienza dalla difesa del LORA, che si basa sul verbale di vane ricerche ad opera della PG, dal contenuto del tutto generico e recettizio, risulta dal contenuto delle sentenze di merito che agli atti del procedimento, al momento della emissione del titolo cautelare nei confronti del LORA, non solo esisteva notizia certa del domicilio del prevenuto nella Repubblica Dominicana, ma risultava altresì che un ufficiale di Polizia Giudiziaria si era recato in Santo Domingo proprio per risalire alla identificazione del prevenuto sulla base della utenza telefonica intercettata e che, in territorio dominicano, aveva proceduto a eseguire ricerche anagrafiche nei suoi confronti fino a risalire al luogo di residenza del LORA e a stabilire un contatto con questi, come peraltro già rilevato dalla Prima Sezione della Corte, che espressamente sottolinea che nel caso in esame ricorrevano le condizioni per procedere a norma dell’art. 169 comma 1 cod. proc. pen. risultando agli atti “notizia precisa del luogo di residenza e di dimora all’estero” dell’indagato sottoposto a misura cautelare.
Deve pertanto ritenersi fondata la censura difensiva che assume la nullità del decreto di latitanza emesso dal Tribunale di Firenze, Ufficio GIP, in data 18 novembre 2003 ai sensi dell’art.296 cod. proc. pen., in ragione dell’assenza del carattere di completezza ed esaustività delle ricerche del cautelato NOME COGNOME nei luoghi indicati dalla legge. L’erronea dichiarazione di latitanza dell’imputato, siccome fondata su decreto invalido, risultando dagli atti la stabile dimora all’estero dell’imputato medesimo, inficia la validità della citazione a giudizio che è da considerarsi tanquam non esset e travolge ogni atto successivo, imponendo la regressione del procedimento dinanzi al giudice dell’udienza preliminare ovvero al pubblico ministero (sez.2, n. 33618 del 11/06/2021, COGNOME, Rv.281864-01; Sez.3, n. 1621 del 30/09/2015, COGNOME, Rv.266687-01).
In conclusione deve essere pronunciato l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, di quella di primo grado e della citazione a giudizio, con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, quella di primo grado e il decreto che dispone il giudizio, disponendo la trasmissione degli atti al Procuratore dell
Repubblica presso il Tribunale di Firenze.
Così deciso nella camera di consiglio del 17 aprile 2025
Il consigliere estensore
Il Presidente