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Dichiarazione di assenza: quando è legittima?

La Corte di Cassazione conferma una condanna per frode informatica, ritenendo legittima la dichiarazione di assenza dell’imputato. Nonostante le notifiche corrette al domicilio eletto, l’imputato ha deliberatamente evitato di ritirare gli atti giudiziari. La Corte ha stabilito che questa scelta volontaria, unita alla costante assistenza di un difensore di fiducia, dimostra la sua piena conoscenza del procedimento, rendendo valida la dichiarazione di assenza secondo il diritto nazionale ed europeo.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione di Assenza: Quando il Processo Va Avanti Senza l’Imputato

L’imputato che, pur essendo a conoscenza del processo, sceglie deliberatamente di non presentarsi, non può bloccare la giustizia. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce sulla legittimità della dichiarazione di assenza, un istituto fondamentale della procedura penale che permette al processo di proseguire anche quando l’imputato decide di non partecipare. Questo caso offre spunti cruciali non solo sulla procedura, ma anche sul reato di frode informatica e sui rapporti tra diritto nazionale e diritto dell’Unione Europea.

I Fatti di Causa: Notifiche Ignorate e una Frode Informatica

Il caso riguarda un individuo imputato per frode informatica. Durante le fasi iniziali del procedimento, le notifiche degli atti giudiziari, inclusa la citazione a giudizio, sono state inviate al domicilio che lui stesso aveva dichiarato. Nonostante due tentativi da parte dell’ufficiale giudiziario, l’imputato è risultato assente e non ha mai ritirato le raccomandate che lo avvisavano del deposito degli atti presso la Casa Comunale. Di conseguenza, il processo è proseguito con la notifica al suo difensore di fiducia.
Anche un successivo rinvio d’udienza, dovuto all’emergenza pandemica, è stato notificato con le stesse modalità, e nuovamente ignorato. All’udienza, alla presenza del solo avvocato, l’imputato è stato dichiarato assente. Il processo di primo grado si è concluso con una condanna, poi confermata in appello.

La frode informatica contestata consisteva nell’aver alterato, tramite “hackeraggio”, l’IBAN contenuto in un’email inviata da una ditta fornitrice a un condominio. Il condominio, indotto in errore, ha così accreditato una somma di denaro su una carta intestata all’imputato, il quale ha poi provveduto a utilizzare rapidamente i fondi.

La Questione della Dichiarazione di Assenza

Il punto centrale del ricorso in Cassazione era la presunta illegittimità della dichiarazione di assenza. La difesa sosteneva che non vi fosse prova certa della conoscenza del processo da parte dell’imputato.
La Corte, tuttavia, ha respinto questa tesi. Ha sottolineato che le notifiche erano state eseguite correttamente presso il domicilio eletto dall’imputato, un luogo dove egli era reperibile e da cui non si era mai allontanato. La scelta deliberata di non ritirare gli atti giudiziari, unita alla costante assistenza di un difensore di fiducia con cui i contatti non si erano mai interrotti, costituiva una prova sufficiente della sua conoscenza del procedimento e della sua volontà di non parteciparvi.

Il Rifiuto del Rinvio Pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE

La difesa aveva anche richiesto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) per verificare la conformità della normativa italiana sulla dichiarazione di assenza con la Direttiva UE 2016/343. La Cassazione ha ritenuto la richiesta infondata.
Ha chiarito che le norme italiane sono pienamente conformi alla Direttiva, la quale consente lo svolgimento del processo in assenza dell’imputato a condizione che questi sia stato informato del processo e delle conseguenze della mancata comparizione, oppure che sia rappresentato da un difensore. Inoltre, la Corte ha ribadito che il rinvio alla CGUE non è un obbligo automatico per un giudice di ultima istanza quando la norma europea è chiara (“acte clair”) e la sua corretta applicazione non lascia adito a dubbi ragionevoli, come nel caso di specie.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sulla base di due pilastri fondamentali.
In primo luogo, per quanto riguarda la dichiarazione di assenza, i giudici hanno stabilito che la volontaria sottrazione alla conoscenza degli atti processuali equivale a una scelta consapevole. Quando un imputato elegge un domicilio, ha il dovere di essere diligente nel ricevere le comunicazioni. Ignorare sistematicamente le notifiche inviate a quell’indirizzo, pur rimanendo in contatto con il proprio avvocato, non può essere interpretato come una mancanza di conoscenza, ma come una deliberata volontà di non partecipare al processo. Di conseguenza, la dichiarazione di assenza è stata ritenuta correttamente pronunciata, sia secondo la normativa vigente all’epoca dei fatti, sia secondo le più recenti modifiche legislative.

In secondo luogo, riguardo alla condanna per frode informatica, la Corte ha ritenuto logica e corretta la valutazione dei giudici di merito. L’aver fornito i propri dati bancari per ricevere i proventi di un’attività illecita e l’averli poi immediatamente utilizzati per prelievi e ricariche di altre carte dimostra un pieno coinvolgimento nella condotta criminosa. Questo comportamento, secondo la Corte, integra il reato di cui all’art. 640-ter c.p.p., quantomeno a titolo di dolo eventuale, poiché l’imputato ha accettato il rischio che i suoi dati bancari venissero usati per perfezionare la truffa.

Conclusioni

La sentenza consolida principi importanti in materia processuale e penale. Conferma che il diritto dell’imputato a presenziare al processo non può trasformarsi in un potere di veto sul suo svolgimento. La scelta volontaria e consapevole di ignorare le notifiche e di non comparire in udienza legittima la prosecuzione del processo in assenza. Inoltre, la decisione ribadisce una linea dura contro chi partecipa a frodi informatiche, anche solo fornendo il supporto logistico per l’accredito dei fondi illeciti. Chi mette a disposizione il proprio conto corrente per operazioni truffaldine risponde del reato, poiché la sua condotta è un anello essenziale per il consolidamento del profitto illecito.

Quando è legittima la dichiarazione di assenza dell’imputato?
La dichiarazione di assenza è legittima quando vi sono elementi sufficienti per ritenere che l’imputato sia a conoscenza della pendenza del processo e che la sua mancata comparizione sia una scelta volontaria e consapevole. Tali elementi includono la corretta notifica degli atti al domicilio eletto, la scelta deliberata di non ritirare gli atti e la costante assistenza da parte di un difensore di fiducia.

Un giudice nazionale è sempre obbligato a effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE se richiesto dalla difesa?
No, un giudice di ultima istanza non è obbligato a disporre il rinvio pregiudiziale se la questione non è rilevante per la decisione, se la disposizione del diritto UE è già stata interpretata dalla Corte di Giustizia, o se la sua corretta applicazione è così evidente da non lasciare spazio a dubbi ragionevoli (principio dell'”acte clair”).

Fornire il proprio IBAN per ricevere denaro da una truffa informatica costituisce reato?
Sì. Secondo la sentenza, mettere a disposizione i propri dati bancari per consentire l’accredito di somme provenienti da una condotta truffaldina, e poi adoperarsi per consolidare il profitto illecito (ad esempio, prelevando o trasferendo il denaro), integra il reato di frode informatica, quantomeno a titolo di dolo eventuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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