Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13846 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13846 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/03/2025
presso il domicilio dichiarato dall’imputato e poichØ il COGNOME risultò assente in occasione di due successivi accessi da parte dell’ufficiale notificatore, gli fu inviata la prescritta raccomandata con la quale l’imputato veniva avvertito del deposito dell’atto notificando presso la Casa Comunale;
c) l’imputato, tuttavia, non ebbe a provvedere al ritiro dell’atto giudiziario, con la conseguenza che ne Ł seguita una ulteriore notifica del decreto di citazione a giudizio dell’imputato presso il difensore di fiducia ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen.
d) poichØ la prima udienza non si tenne in ragione della situazione emergenziale determinata dalla pandemia di Covid-19, detta udienza fu differita d’ufficio all’udienza del 14 aprile 2021 ed il decreto di rinvio fu notificato all’imputato sempre presso il domicilio dichiarato ai sensi dell’art. 157 cod. proc. pen. ed anche in questo caso l’imputato non si curò del ritiro della raccomandata inviata al proprio domicilio con la quale lo si avvisava del deposito dell’atto presso la Casa Comunale;
e) all’udienza del 14 aprile 2021, alla presenza del difensore di fiducia che nulla eccepì con riguardo alla notificazione degli atti, l’imputato fu dichiarato assente, dopodichØ il processo di primo grado proseguì, con alcuni rinvii, fino al 15 novembre 2023 allorquando il Tribunale pronunciò la sentenza sopra indicata.
Rileva l’odierno Collegio che la dichiarazione di assenza dell’imputato fu correttamente pronunciata nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 420-bis cod. proc. pen.
La stessa Corte di appello ha doverosamente osservato (v. pag. 3 della sentenza impugnata) che, allorquando fu dichiarata l’assenza dell’imputato non vi era alcun elemento per ritenere che il COGNOME non fosse a conoscenza del processo sol che si pensi che le procedure di notificazione dell’atto di citazione a giudizio e dell’atto di rinvio d’ufficio della prima udienza a seguito dell’emergenza pandemica sono state eseguite proprio presso il luogo (domicilio dichiarato) nel quale l’imputato aveva espressamente richiesto di ricevere gli atti ed era ancora reperibile (come attestato dall’ufficiale notificatore), luogo dal quale neppure la difesa del ricorrente contesta che il COGNOME si fosse allontanato per qualsivoglia motivo.
Da ciò ne consegue una prima osservazione: in assenza dell’indicazione di qualsivoglia prospettazione di cause fortuite o di forza maggiore impeditive della conoscenza del processo si deve logicamente dedurre che il COGNOME ha deliberatamente scelto di non ritirare gli atti a lui notificati secondo la procedura prevista dalla legge.
A ciò si aggiunge:
a) che l’imputato Ł stato assistito per tutta la durata del processo dal proprio difensore di fiducia con il quale aveva il potere-dovere di informarsi circa gli sviluppi delle attività processuali;
b) che il difensore di fiducia non ha mai sostenuto di avere perso i contatti con il proprio assistito e, anzi, risulta esattamente il contrario tanto da avergli confermato la nomina anche per i gradi successivi di giudizio e da avergli conferito la nomina per la presentazione dell’impugnazione, così evidenziando di avere piena conoscenza dell’esistenza del processo e dei suoi sviluppi.
In punto di diritto deve osservarsi, sul doveroso presupposto che l’imputato dichiarato assente Ł rappresentato in giudizio dal proprio difensore, che non solo risultano rispettati i criteri per la dichiarazione di assenza previsti dall’art. 420-bis cod. proc. pen. vigente all’epoca dei fatti, ma anche quelli dell’attuale testo della predetta norma.
Il testo dell’art. 420-bis cod. proc. pen. vigente all’epoca dell’esecuzione della procedura di notificazione prevedeva al comma secondo che il Giudice poteva procedere in assenza dell’imputato che «nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio … ovvero risulti comunque che lo stesso Ł a conoscenza del procedimento o si Ł volontariamente sottratto alla conoscenza del
procedimento o di atti del medesimo».
Il vigente testo dell’art. 420-bis cod. proc. pen. sostituito dal d.lgs. n. 150/2022, pur avendo previsto il compimento da parte del Giudice di un piø rigoroso accertamento prima della dichiarazione di assenza dell’imputato prevede comunque che «Il giudice procede in assenza dell’imputato anche quando ritiene altrimenti provato che lo stesso ha effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza all’udienza Ł dovuta ad una scelta volontaria e consapevole. A tal fine il giudice tiene conto delle modalità della notificazione, degli atti compiuti dall’imputato prima dell’udienza, della nomina di un difensore di fiducia e di ogni altra circostanza rilevante».
Orbene, nel caso in esame, come si Ł detto, risultano pienamente rispettati i parametri per la dichiarazione di assenza dell’imputato anche secondo la normativa vigente ricorrendo tutte le condizioni previste nell’ultimo inciso della norma da ultimo citata dalle quali palesemente emerge che l’assenza dell’imputato Ł dovuta ad una scelta volontaria e consapevole.
Del resto opinare al contrario porterebbe alla paradossale conseguenza – non prevista dalla legge che in tutti i casi in cui l’imputato, nonostante il pieno rispetto della procedura di notificazione degli atti processuali, non si degni di andare a ritirare l’atto depositato presso la Casa Comunale e non adduca alcuna giustificazione al riguardo, ciò imporrebbe la notificazione (personale) allo stesso degli atti a mezzo di polizia giudiziaria come previsto dal comma 5 dello stesso art. 420-bis.
2. Osserva l’odierno Collegio che l’infondatezza delle argomentazioni difensive riguarda anche la richiesta rivolta a questa Corte di legittimità di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di verificare se siano stati rispettati i parametri della Direttiva n. 2016/343/UE, rinvio che a detta di parte ricorrente sarebbe obbligatorio ai sensi dell’art. 267 TFUE. Al di là della assoluta genericità della richiesta difensiva che non confronta le proprie doglianze con le disposizioni normative contenute nella citata Direttiva, il che sarebbe di per sØ sufficiente per dichiarare l’inammissibilità della richiesta, per solo dovere di completezza, occorre ricordare: a) che l’art. 8 della Direttiva n. 2016/343/UE relativo al ‘Diritto di presenziare al processo’ si limita genericamente a stabilire per la parte qui di esclusivo interesse che: «1. Gli Stati membri garantiscono che gli indagati e imputati abbiano il diritto di presenziare al proprio processo; 2. Gli Stati membri possono prevedere che un processo che può concludersi con una decisione di colpevolezza o innocenza dell’indagato o imputato possa svolgersi in assenza di quest’ultimo, a condizione che: a) l’indagato o imputato sia stato informato in un tempo adeguato del processo e delle conseguenze della mancata comparizione; oppure b) l’indagato o imputato, informato del processo, sia rappresentato da un difensore incaricato, nominato dall’indagato o imputato oppure dallo Stato».
Non sfugge che tali previsioni sono espressamente contemplate nel sistema processuale italiano e che – giova ribadirlo – tali principi sono certamente stati rispettati nel caso in esame.
A ciò si aggiunge che il primo comma dell’art. 267 del TFUE prevede che il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia può essere fatto solo se si ponga una questione sull’interpretazione dei trattati o sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione.
La stessa norma poi prevede ai commi 2 e 3 due diversi scenari: quello in cui le questioni pregiudiziali vengono sollevate da organi giurisdizionali le cui decisioni siano appellabili e quelle sollevate da organi giurisdizionali di ultima istanza.
Mentre nel primo caso il giudice ha la facoltà di sollevare la questione presso la CGUE nel secondo caso ne avrebbe l’obbligo e la ratio Ł chiara: essendo un organo giudicante di ultima istanza c’Ł la massima preoccupazione che il diritto europeo venga applicato correttamente e ne venga chiarita la validità, non essendo piø possibile impugnare la decisone dinnanzi altri organi.
Occorre tuttavia interrogarsi, pertanto, se nel caso di specie la Corte di cassazione sia tenuta al rinvio pregiudiziale, in quanto giudice di ultima istanza, ovvero se in capo alla stessa residui comunque un potere valutativa circa l’eventuale manifesta infondatezza della stessa.
E’, innanzitutto, pacifico che il rinvio pregiudiziale può essere sollevato solo qualora la questione sia indispensabile per la risoluzione della controversia pendente avanti gli organi interni, non invece nei casi in cui nulla aggiungerebbe alla questione interna l’interpretazione o la validità della norma europea.
La stessa Corte di Giustizia (v. Grande Sezione, 6 ottobre 2021, causa C-561/19) ha chiarito che « L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non Ł rilevante o che la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi Ł già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi. La configurabilità di siffatta eventualità deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione».
Il tema Ł stato altresì affrontato in altra decisione della Corte di giustizia che, con la sentenza del 6 ottobre 1982, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE contro Ministero della sanità, si Ł pronunciata sull’obbligo del rinvio, all’epoca previsto dall’art. 177 del Trattato CEE, il cui contenuto Ł stato trasfuso nell’art. 267 TFUE, sicchØ deve considerarsi tuttora valida l’affermata esclusione dell’obbligatorietà del rinvio, in presenza di questioni manifestamente infondate o non rilevanti. La giurisprudenza interna, sia pur in sede civile, ha recepito tale principio, ritenendo che non sussiste alcun diritto della parte all’automatico rinvio pregiudiziale alla CGUE ai sensi dell’art. 267
TFUE, ogni qualvolta la Corte di cassazione non ne condivida le tesi difensive, bastando che le ragioni del diniego siano espresse, ovvero implicite laddove la questione pregiudiziale sia manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Sez. L, n. 14828 del 7/6/2018, Rv. 648997).
In tal senso, peraltro, si sono espresse anche le Sezioni Unite civili, affermando che il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità (Sez. U. civ., n.20701 del 10/9/2013, Rv. 627458).
Tali precedenti consentono di affermare che, pure in sede penale, la Corte di Cassazione non Ł obbligata a disporre il rinvio pregiudiziale alla CGUE sulla base della mera richiesta di parte, dovendo preliminarmente verificare se la questione dedotta attiene o meno all’interpretazione del diritto comunitario e se Ł rilevante nel giudizio de quo , nonchØ se la disposizione comunitaria ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della Corte, ovvero se la corretta applicazione del diritto comunitario si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi.
Osserva l’odierno Collegio che nel caso in esame, per tutte le ragioni sopra evidenziate non ricorre alcuna delle condizioni per ritenere sussistente l’obbligo di questa Corte di legittimità di procedere ad un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea, essendo il dettato della norma di cui al citato art. 8 della Direttiva 216/343/UE caratterizzato da assoluta chiarezza interpretativa al punto che il legislatore italiano vi ha dato corretta applicazione con le disposizioni processuali sopra indicate.
Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea presuppone, infatti, il dubbio interpretativo su una norma comunitaria, che non ricorre allorchØ l’interpretazione della stessa sia autoevidente così come altrettanto evidente sia il rispetto della normativa comunitaria da parte della normativa nazionale.
A ciò si aggiunge che questa Corte di legittimità ha chiarito che «Nel giudizio di cassazione non sussistono i presupposti per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 TFUE, ove la parte si limiti a censurare direttamente l’incompatibilità con il diritto eurounitario delle conseguenze di fatto derivanti dall’interpretazione del diritto interno, senza sollecitare un’esegesi generale e astratta della normativa nazionale ritenuta incompatibile con quella europea» (Sez. 6, n. 44436 del 04/10/2022, Palamara, Rv. 284151 – 04).
Non fondato Ł, infine, anche il secondo motivo di ricorso che pedissequamente ripropone in questa sede di legittimità una questione già sottoposta alla Corte di appello ed alla quale Ł stata data nella sentenza impugnata una risposta congrua e conforme ai principi di diritto che regolano la materia.
Osserva l’odierno Collegio che, innanzitutto, non possa essere messo in dubbio che la condotta posta in essere dall’imputato (in eventuale ma non dimostrato concorso anche con terze persone), realizzata attraverso l’artifizio di sostituire nel messaggio di posta elettronica spedito dalla RAGIONE_SOCIALE al condominio il codice IBAN della predetta ditta con quello che consentiva l’accredito della somma sulla carta bancaria intestata all’imputato, fosse idonea – come in effetti Ł avvenuto – a trarre in inganno la persona offesa dal reato.
Risulta poi (v. pagine 3 e 4 della sentenza di primo grado) che il personale della Polizia Postale che ebbe a svolgere le indagini ha accertato che la sostituzione del codice IBAN nella mail inviata dalla ditta RAGIONE_SOCIALE avvenuta con l’utilizzo di una tecnica cosiddetta di ‘hakeraggio’ attraverso l’intercettazione e la manipolazione del messaggio di posta elettronica con cui l’azienda comunicò alla signora COGNOME responsabile per il condominio, gli estremi per l’effettuazione del pagamento. Detta azione certamente consente di ricondurre detto tipo di azione nell’alveo dell’art. 640-ter cod. pen.
Rimane solo da aggiungere che la Corte di appello ha, con motivazione congrua e logica, evidenziato come l’imputato, successivamente all’accredito della somma proveniente dal condominio sulla propria carta di credito ebbe immediatamente ad utilizzarla ricaricando carte PostePay ed effettuando due prelevi presso sportelli bancomat, situazione questa indubbiamente dimostrativa di come il COGNOME non solo si Ł predisposto – all’evidenza prima del perfezionamento del raggiro – a fornire a terzi le coordinate della propria carta affinchØ su di essa venissero accreditate le somme illecitamente carpite ma ha, successivamente, ulteriormente concorso nella condotta che gli Ł ascritta adoperandosi per consolidare il profitto illecitamente conseguito.
Tutto ciò rende evidente come corretta sia stata la valutazione dei Giudici di merito circa l’apporto del COGNOME (quantomeno a livello concorsuale) nella consumazione del reato per il quale Ł intervenuta la decisione di condanna.
Inoltre, deve essere evidenziato come corretta appare l’affermazione della Corte di appello laddove ha affermato che non sussiste un vizio logico tra la pronuncia di assoluzione dell’imputato dal reato di captazione della corrispondenza informatica (già capo 7 della rubrica delle imputazioni) e la condanna dello stesso per il reato di cui all’art. 640-ter cod. pen. poichØ di quest’ultimo reato risponde, quantomeno a titolo di dolo eventuale, chi abbia messo a disposizione i propri dati bancari per il perfezionamento della condotta truffaldina.
Infine, del tutto inconsistente, per le regioni sopra descritte, Ł l’ipotesi difensiva secondo la quale la condotta del COGNOME potrebbe al piø rilevare ai sensi dell’art. 647 cod. pen. (reato peraltro abrogato nel 2016).
Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 05/03/2025.
Il Consigliere estensore
NOME
Il Presidente NOME COGNOME