Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30044 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30044 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a NAPOLI il 28/12/1980 COGNOME nato a NAPOLI il 08/02/1983 COGNOME nato a BENEVENTO il 30/03/1981 COGNOME nato a POZZUOLI il 02/02/1977 NOME COGNOME nato a NAPOLI il 04/11/1972 COGNOME nato a NAPOLI il 20/10/1968
avverso la sentenza del 05/07/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME che conclude chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
udito il difensore delle parti civili, avv. COGNOME che conclude riportandosi alle conclusioni scritte, che deposita;
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
udito l’avvocato COGNOME che conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME che conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso. udito l’avvocato NOME COGNOME che conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATI -0
Con sentenza del 5 luglio 2024 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma di quella emessa il 31 gennaio 2014 dal Tribunale di Avellino, ha, tra l’altro, rideterminato le pene inflitte a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione al reato di devastazione e saccheggio pluriaggravato e confermato, invece, la decisione di primo grado con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, concorrente nel medesimo reato.
Il procedimento penale nell’ambito del quale sono state emesse le menzionate decisioni è scaturito dai gravi incidenti occorsi, all’interno dello stadio INDIRIZZO di Avellino, il 20 settembre 2003, in occasione dell’incontro tra la locale squadra di calcio ed il Napoli che, proprio in ragione di quanto ivi accaduto e della morte di un giovane tifoso del Napoli, precipitato in un locale adibito a palestra sottostante le gradinate della INDIRIZZO a causa della rottura, sotto il suo peso, della copertura in plexiglas avente funzione di lucernaio, non venne, di fatto, disputato.
I giudici di merito hanno, in proposito, accertato, tra l’altro:
-che, alle ore 19:40, vennero rinvenuti, nascosti tra le auto in sosta nel piazzale antistante l’area dell’impianto sportivo riservato ai tifosi del Napoli, alcuni oggetti contundenti e circa quaranta aste di plastica dura, della lunghezza di poco superiore al metro;
-che, alle 19:50, i tifosi del Napoli, trovandosi all’esterno dello stadio, perché privi di biglietto, ovvero già sugli spalti, diedero avvio ad un fitto lancio di sassi e bottiglie di vetro, così cagionando lesioni al personale delle forze dell’ordine ivi presente in servizio di ordine pubblico;
che la violenza della tifoseria partenopea si propagò all’interno dello stadio, giacché il personale delle forze dell’ordine fu subito pressato, da un lato, da chi tentava di entrare senza biglietto e, dall’altro, da chi died vita ad un’aggressione fisica in danno degli agenti, mentre altri tifosi si dedicavano alla distruzione dei bagni ovvero al lancio, dalle gradinate della curva Nord, di oggetti di ogni tipo all’indirizzo della Polizia, in tal modo ostacolando, peraltro, i soccorsi al giovane caduto dal lucernario;
-che, all’apertura dei cancelli, disposta per consentire l’ingresso dell’ambulanza, circa duecento supporters del Napoli, travisati con passamontagna, sciarpe e cappucci, si portarono sul terreno di gioco, brandendo mazze, cinghie con fibbie in ferro ed oggetti atti ad offendere e posero in essere una immediata ed indiscriminata azione di sistematico
danneggiamento di tutto ciò che incontravano sul loro cammino (ivi compresi i servizi igienici e le pertinenze della struttura), accompagnata dalla contestuale aggressione in pregiudizio delle forze dell’ordine, costrette a fuggire e cercare riparo negli spogliatoi, e resa ancor più efficace dall’uso degli idranti;
che, nella circostanza, i tifosi già scesi in capo incitavano, con gesti eloquenti, quelli rimasti sulle tribune a raggiungerli.
La Corte di appello è pervenuta alla conferma della penale responsabilità di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di devastazione e saccheggio pluriaggravato sul rilievo, tra l’altro, della sussumibilità delle condotte da lor poste in essere nell’ambito applicativo del contestato delitto ex art. 419 cod. pen. anziché, come dedotto con gli atti di impugnazione, dei meno gravi reati di danneggiamento aggravato e resistenza a pubblico ufficiale, ormai estinti per intervenuta prescrizione.
Sotto altro, connesso aspetto, ha, anche in questo caso in accordo con il primo giudice, attribuito la qualità di concorrenti nel reato anche a coloro che, pur non rendendosi autori materiali degli atti di danneggiamento, avevano, comunque, consapevolmente preso parte ai disordini diffusi.
NOME COGNOME propone, con il ministero dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione per avere i giudici di merito ritenuto la sua responsabilità concorsuale nella perpetrata devastazione benché egli, lungi dal compiere condotte di distruzione di beni o aggressione alle persone, si sia limitato ad entrare sul terreno di gioco, correre verso la panchina, prendere un pallone ed impugnare una bottiglietta, minacciandone il lancio all’indirizzo delle forze dell’ordine, condotte prive di legame di sorta con quelle dei presunti correi e, per di più, non espressive del dolo tipico della fattispecie incriminatrice in contestazione.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato a due motivi, con i quali deduce, costantemente, violazione di legge e vizio di motivazione.
Con il primo motivo, contesta la legittimità della qualificazione giuridica dei fatti operata dai giudici di merito senza tener conto degli esiti dell’istruttor dibattimentale e, in particolare, del ridimensionamento della vicenda che, per quanto emerso in aula, non ha comportato concreto pericolo per la collettività, tanto che, a dire dello stesso responsabile del servizio di ordine pubblico, la partita,
trascorso il breve lasso temporale interessato dai disordini e considerata la contenuta portata dei danni provocati, avrebbe potuto essere disputata.
Lamenta, in relazione alla propria posizione, che l’avere egli sferrato un calcio ad un altoparlante non è comportamento idoneo a comprovare la consapevole partecipazione ad una vasta ed indiscriminata azione distruttiva e che difettano, di conseguenza, tanto il requisito materiale quanto quello psicologico del delitto ascrittogli, in tal senso militando, vieppiù, sia il provvidenziale intervento da lu compiuto ostacolando il tentativo di un altro supporter del Napoli di colpire un tifoso della compagine avversaria che le spiegazioni offerte in sede di interrogatorio in ordine alle ragioni che lo avevano spinto a procurarsi una cintura, sottratta ad un sodale di fede calcistica, che intendeva utilizzarla in danno di un tifoso irpino.
Con il secondo motivo, COGNOME si duole dell’omesso riconoscimento della circostanza attenuante dell’avere egli agito per suggestione di una folla in tumulto, che sarebbe stato imposto dalla congiunta presenza dei relativi presupposti applicativi, costituiti: dalla concomitante presenza, in un determinato luogo, di una moltitudine di persone, mosse da sentimenti che determinano un diffuso stato di agitazione ed eccitazione collettiva; dal trovarsi l’agente, privo dell’intenzione di commettere l’illecito, in mezzo alla folla; dal nesso di causalità psichica tra la suggestione derivante dalla folla e la condotta illecita.
5. NOME COGNOME propone, tramite l’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione articolato su tre motivi, con il primo dei quali deduce violazione della legge processuale per avere la Corte di appello proceduto in sua assenza ad onta della nullità della notifica del decreto di citazione per il giudizio di secondo grado – eseguita mediante consegna di copia dell’atto al difensore, ai sensi dell’art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., senza tener conto della rinuncia, formalizzata con l’atto di nomina, a tale forma di notifica né tentare, prima, di notificare l’atto domicilio da lui eletto nel corso del procedimento – che si è riverberata sull’intero giudizio e, quindi, sulla sentenza emessa al suo esito.
Con il secondo motivo, eccepisce, ancora, violazione della legge processuale in ragione del mancato rispetto del termine a comparire per il giudizio di appello, fissato dal codice di rito in venti giorni, da lui tempestivamente dedotto, che avrebbe dovuto indurre il giudice procedente a disporre il differimento dell’udienza, con la concessione di un nuovo, intero termine di pari durata e la notifica dell’ordinanza di rinvio all’imputato non comparso.
Con il terzo motivo, si duole, nell’ottica della violazione di legge, delle conclusioni raggiunte dalla Corte di appello in ordine alla sussistenza della contestata devastazione, distoniche rispetto al concreto svolgimento della vicenda,
connotato dalla circoscritta dimensione dei danneggiamenti e, in sostanza, dall’assenza di pericolo per l’ordine pubblico e per la generalità dei cittadini.
Rileva, per altro verso, che egli, tifoso dell’Avellino e non del Napoli, non ha in alcun modo cooperato, dal punto di vista morale o materiale, agli atti di violenza, cui si è limitato ad assistere, senza, peraltro, palesare alcun riconoscibile compiacimento, così tenendo un contegno meramente passivo, del tutto privo di efficienza causale in relazione alle condotte autonomamente realizzate da altri soggetti e con lui non concertate.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Con il primo motivo, analogo a quello sviluppato dagli stessi difensori con i ricorsi redatti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME contesta la legittimità della qualificazione dei fatti accertati ai sensi dell’art. 419 cod. pe anziché di danneggiamento aggravato o attentato ad impianti di pubblica utilità.
Ricorda, al riguardo, che la giurisprudenza, di merito e legittimità ha, a più riprese, sottolineato che la devastazione presuppone che i danneggiamenti siano indiscriminati, vasti e profondi ed abbiano ad oggetto una notevole quantità di cose mobili o immobili, caratteristiche che, nel caso di specie, non è dato apprezzare, posto che l’azione illecita si è esaurita nello spazio di poche decine di minuti ed in un’area di limitata estensione, ha interessato una ridotta quantità di beni e non ha avuto ripercussioni di sorta sulla sicurezza degli spettatori presenti, a migliaia, all’evento sportivo.
Con il secondo motivo, deduce, anche in questo caso evocando, a sostegno della censura, precedenti pronunce di legittimità e di merito, che, non avendo egli materialmente compiuto atti di danneggiamento, la sua condotta – consistita nell’accendere e lanciare un artifizio pirotecnico in campo, entrare sul terreno di gioco insieme ai facinorosi intenti a saccheggiare e distruggere la cartellonistica, lanciare oggetti in direzione del personale di polizia giudiziaria presente sul campo ed intento a riportare l’ordine – rientra nel paradigma applicativo della resistenza a pubblico ufficiale e non anche del delitto ascrittogli, volto a tutelare l’ordin pubblico, bene che egli non ha consapevolmente concorso a mettere a repentaglio.
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In proposito, lamenta la contraddittorietà tra la decisione impugnata e quanto già affermato dal Tribunale, all’esito del giudizio di primo grado, con riferim alla posizione di un coimputato il quale, versando in una posizione assimilabile alla sua perché impegnato, dopo che l’asportazione delle suppellettili dai bagni del settore curva INDIRIZZO era iniziata, in un conflitto armato contro la polizia, è stato, nondimeno, assolto dall’addebito di devastazione o saccheggio.
Con il terzo ed ultimo motivo, COGNOME ascrive alla Corte di appello, nell’ot del vizio di motivazione, di avere ritenuto, all’esito del giudizio di comparazion ex art. 69 cod. pen., l’equivalenza tra le aggravanti e le circostanze attenuanti generiche, così cadendo in contraddizione rispetto a quanto statuito per altro imputato, cui è stata riconosciuta la prevalenza delle generiche quantunque autore di comportamenti non meno gravi e che è stato, per di più, condannato, in passato, per reato della stessa indole, e trascurando, inoltre, il positivo contegno da lui serbato nel processo, concretatosi nell’ammissione dell’invasione di campo e nel riconoscersi quale soggetto effigiato nelle fotografie in atti.
Il ricorso di NOME COGNOME che si è detto essere sottoscritto dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME è strutturato su tre motivi, il primo dei quali è identico a quello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il secondo motivo attiene alla partecipazione concorsuale dell’imputato, che si assume essere stata illecitamente ritenuta pur in assenza di sicura prova in merito alla commissione, da parte sua, di condotte di danneggiamento, tale non potendo reputarsi quella connessa al sollevamento da terra di un brandello di tabellone pubblicitario, in precedenza divelto da altri soggetti.
Il ricorrente mutua, sul punto, le osservazioni svolte a sostegno dei ricorsi di Treglia ed Abbruzzese e riferite alla necessità di individuare con precisione l’apporto offerto all’impresa delittuosa ed il correlato sostrato psicologico ed al contrasto tra la logica che ispira la sentenza impugnata e quella che ha indotto il giudice di primo grado ad assolvere un presunto correo dall’addebito elevato ai sensi dell’art. 419 cod. pen..
Con il terzo ed ultimo motivo, Mauro ascrive alla Corte di appello, nella prospettiva del vizio di motivazione, di avere ritenuto, all’esito del giudizio di comparazione ex art. 69 cod. pen., l’equivalenza tra le aggravanti e le circostanze attenuanti generiche, così cadendo in contraddizione rispetto a quanto statuito per altro imputato, cui è stata riconosciuta la prevalenza delle generiche quantunque autore di comportamenti non meno gravi e che è stato, per di più, condannato, in passato, per reato della stessa indole, e trascurando, inoltre, il positivo contegno da lui serbato nel processo, concretatosi nell’ammissione dell’invasione di campo e nel riconoscersi quale soggetto effigiato nelle fotografie in atti.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato a tre motivi, con il primo dei quali deduce violazione di legge con riferimento all’assenza, nel dispositivo della sentenza impugnata, di ogni statuizione che lo riguardi, fatta eccezione per la
condanna al pagamento delle spese processuali ed a quelle sopportate dalle parti civili.
Richiamato, in ordine al secondo motivo, quanto esposto con riferimento al primo motivo del ricorso di NOME COGNOME va detto che la terza ed ultima doglianza concerne l’attitudine della condotta di Abbruzzese – posta in essere «travisandosi, entrando in campo, facendo roteare la cintura e inseguendo le forze dell’ordine, nonché tentando di colpire con la cintura un poliziotto che scortava la barella nei pressi del cancello di accesso al campo e permanendo all’interno del campo armato di spranga» – a contribuire con causalità efficiente alla lesione dell’ordine pubblico, bene giuridico a cui presidio è posta la fattispecie incriminatrice.
Il ricorrente segnala, al riguardo, di non avere, con il proprio atteggiamento, determinato o istigato altri al compimento degli atti di devastazione, cui è rimasto estraneo, e di non essere stato animato dal dolo proprio del reato ascrittogli ed aggiunge che l’interpretazione avallata dai giudici di merito si traduce nell’impropria dilatazione della nozione di partecipazione e nella sovrapposizione tra la condotta di mera agevolazione, anche psichica, di un singolo fatto di danneggiamento o di resistenza e quella di consapevole e fattivo contributo alla condotta collettiva, ciò che, nelle condizioni date, si risolve, in ultimo nell’inaccettabile estensione della responsabilità penale per fatto altrui.
Abbruzzese, infine, fa proprie le osservazioni dedicate dai correi COGNOME e Mauro alla contraddizione tra la soluzione adottata dai giudici di merito nei suoi confronti e quella prescelta dal Tribunale all’atto di vagliare, con opposto esito, la responsabilità di altro imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché vedenti su censure manifestamente infondate.
In via preliminare, è opportuno precisare che il termine prescrizionale massimo previsto per il reato in contestazione, pari – sulla base delle previsioni introdotte dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, più favorevoli, per gli imputati, rispetto a quella vigente al tempo di commissione dei fatti di causa – a diciotto anni e nove mesi, non era ancora decorso, tenuto conto della sospensione, per 865 giorni complessivi, intervenuta in primo grado, al 5 luglio 2024, data di emissione della sentenza impugnata, sicché del tutto priva di rilievo si palesa, alla luce della manifesta infondatezza dei motivi di ricorso per cassazione, preclusiva
della formazione di un valido rapporto processuale, la sua successiva maturazione (in questo senso, cfr. Sez. U, n. 32 del 22/1/2000, D.L., Rv. 217266 – 01).
Passando alla disamina dei motivi di ricorso, e prendendo le mosse dalle doglianze di ordine processuale articolate da NOME COGNOME e NOME COGNOME, deve osservarsi, in primo luogo, che la nullità, a regime intermedio, derivata dalla notificazione a COGNOME del decreto di citazione per il giudizio d appello in luogo diverso dal domicilio da lui validamente eletto è stata sanata dalla partecipazione al giudizio di secondo grado del difensore di fiducia dell’imputato, il quale, in appello, nulla dedusse al riguardo, per poi sollevare l’eccezione solo con il ricorso per cassazione.
La consegna dell’atto da notificare al difensore di fiducia dell’imputato, il quale partecipò al processo di appello e sottoscrisse il ricorso per cassazione, attesta, invero, che la notifica, quantunque irrituale, è stata idonea a consentire l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario il quale, peraltro, non ha indicato le ragioni che, pur in costanza del rapporto fiduciario con il professionista che la ricevette, gli avrebbero precluso di essere informato della fissazione del giudizio di secondo grado.
Pertinente appare, in proposito, il richiamo al consolidato e condiviso indirizzo ermeneutico secondo cui «In tema di notificazioni, ove il decreto di citazione per il giudizio di appello sia notificato all’imputato in luogo diverso rispetto al domicil validamente eletto o dichiarato, si determina una nullità di ordine generale a regime intermedio, che va dedotta entro i termini decadenziali previsti dall’art. 182 cod. proc. pen., salvo che l’irrituale notifica risulti, in concreto, inidonea consentire l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario, configurandosi, in tal caso, una nullità assoluta per omessa notificazione di cui all’art. 179 cod. proc. pen.» (Sez. 5, n. 27546 del 03/04/2023, COGNOME, Rv. 284810 – 01; Sez. 5, n. 48916 del 01/10/2018, 0., Rv. 274183 – 01) e, specificamente, «La nullità conseguente alla notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizio presso lo studio del difensore di fiducia anziché presso il domicilio dichiarato è di ordine generale a regime intermedio in quanto detta notifica, seppur irritualmente eseguita, non è inidonea a determinare la conoscenza dell’atto da parte dell’imputato, in considerazione del rapporto fiduciario che lo lega al difensore» (Sez. 2, n. 48260 del 23/09/2016, COGNOME, 268431 – 01).
Privo di pregio è, del pari, il motivo, dedotto da COGNOME vert sull’omesso rispetto del termine a comparire per il giudizio di appello che, nel presente procedimento, è di venti giorni – anziché di quaranta, come sostenuto
dal ricorrente – come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, nella sua composizione più autorevole (Sez. U, n. 42125 del 27/06/2024, COGNOME, Rv. 287096 – 01), che ha stabilito che «La disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni il termine a comparire nei giudizi di appello, è applicabile ai soli atti di impugnazione proposti a far data dal 10 luglio 2024».
Considerato, quindi, che l’appello di COGNOME venne presentato prima della data appena indicata e che il decreto di citazione venne notificato il 22 marzo 2023, cioè ventisei giorni prima dell’udienza, fissata per il successivo 17 aprile, tangibile appare l’inconsistenza della doglianza.
Manifestamente infondato è, ugualmente, il motivo articolato da NOME COGNOME con riferimento al dispositivo della sentenza impugnata, che dà conto, in termini di assoluta univocità, dell’integrale rigetto dell’impugnazione da lui proposta avverso la decisione di primo grado, secondo quanto si evince: dall’iniziale menzione dell’essere stata la sentenza del Tribunale di Avellino del 31 gennaio 2014 resa nei confronti, tra gli altri, di NOME COGNOME e dallo stesso impugnata; dalla conferma «nel resto» della sentenza di primo grado che, in quanto successiva alle statuizioni dedicate ad altri imputati, per i quali la decisione di primo grado è stata, invece, riformata, deve intendersi riferita anche alla posizione di Abbruzzese il quale, coerentemente, è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute, in quel grado, dalle parti civili.
A dispetto dell’obiezione del ricorrente, il dispositivo appare, dunque, completo e privo di ambiguità, imprecisioni o omissioni.
Nel merito, tutti i ricorrenti, ad eccezione di NOME COGNOME si dolgono, innanzitutto, della sussunzione dei fatti accertati nell’ambito applicativo dell’art. 419 cod. pen..
Il tema è stato affrontato funditus dalla Corte di appello alle pagg. 9-12 sulla base di un percorso argomentativo nitido e tetragono alle censure difensive.
I giudici partenopei – premessa la ricostruzione, incontroversa nelle sue coordinate generali, della vicenda in esame – hanno improntato la decisione ai principi di diritto affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimità e ribad proprio con riferimento ai gravi disordini avvenuti preso lo stadio di Avellino il 20 settembre 2003 sia nella fase cautelare (Sez. 1, n.25104 del 16/04/2004, COGNOME, Rv. 228133 – 01) che in quella a cognizione piena (Sez. 1, n. 11912 del 18/01/2019, COGNOME, Rv. 275322 – 03).
Hanno, in particolare, ritenuto che «Integra il reato di devastazione previsto dall’art. 419 cod. pen., e non quello di danneggiamento previsto dall’art. 635
stesso codice, in quanto lede l’ordine pubblico inteso come forma di civile e corretta convivenza, la condotta tenuta da un numeroso gruppo di persone che, in occasione di una partita di calcio, tentino di forzare lo schieramento di polizia, al fine di entrare nello stadio pur essendo sprovviste del biglietto e, dopo la morte accidentale di uno spettatore, avvenuta nei disordini seguitine, si scatenino in una inconsulta reazione, aggredendo violentemente le forze dell’ordine, distruggendo o danneggiando vari impianti e strutture dello stadio e mettendo fuori uso gli altoparlanti e le apparecchiature di ripresa a circuito chiuso».
In tal modo, si sono determinati in continuità con l’indirizzo ermeneutico secondo cui «L’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 419 cod. pen. (devastazione e saccheggio) consiste, nell’ipotesi della commissione di fatti di devastazione, in qualsiasi azione, con qualsivoglia modalità posta in essere, produttiva di rovina, distruzione o anche danneggiamento, che sia comunque complessivo, indiscriminato, vasto e profondo, di una notevole quantità di cose mobili o immobili, sì da determinare non solo un pregiudizio del patrimonio di uno o più soggetti e con esso il danno sociale conseguente alla lesione della proprietà privata, ma anche offesa e pericolo concreti dell’ordine pubblico inteso in senso specifico come buon assetto o regolare andamento del vivere civile, cui corrispondono, nella collettività, l’opinione e in senso della tranquillità e dell sicurezza» (Sez. 1, n. 22633 del 01/04/2010, COGNOME, Rv. 247818 – 01; nello stesso senso, cfr. anche Sez. 6, n. 37367 del 06/05/2014, Seppia, Rv. 261932 01; Sez. 1, n. 946 del 05/07/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251665 – 01; Sez. 1, n. 16553 del 01/04/2010, COGNOME, Rv. 246941 – 01), nonché con quello che ricomprende nell’ambito applicativo della fattispecie «la condotta tenuta da un gruppo di tifosi che, prima dell’inizio di una partita di calcio, realizzi plurime gratuite aggressioni nei confronti delle forze di polizia, facendo uso di ogni genere di oggetti contundenti» (Sez. 1, n. 20313 del 29/04/2010, COGNOME, Rv. 247451 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Corte di appello ha, per contro, disatteso le obiezioni degli imputati, imperniate, per un verso, sulla supposta non esorbitanza dei danni patrimoniali arrecati che, ove pure effettivamente, accertata, non inciderebbe in misura decisiva sulla qualificazione giuridica del fatto, discendente dall’esposizione a pericolo del bene protetto, comprovata dall’ampiezza e dalla peculiarità dell’assalto portato alle forze dell’ordine, costrette addirittura ad abbandonare il terreno di gioco ed a cercare riparo all’interno degli spogliatoi: tanto, in perfetta linea d continuità con il principio per cui «Ai fini della configurabilità del delitto devastazione e saccheggio, trattandosi di reato contro l’ordine pubblico, è indifferente la gravità del danno in concreto prodotto, purché sia accertato che i fatti posti in essere abbiano leso non soltanto il patrimonio, ma anche l’ordine
pubblico» (Sez. 1, n. 3759 del 07/11/2013, dep. 2014, Chiacchieretta, Rv. 258600 – 01).
Avuto riguardo all’obiezione vedente sulla circoscritta durata dei tafferugli e, quindi, della pretesa esposizione a pericolo del bene tutelato dalla norma incriminatrice, la Corte di appello ha mutuato le considerazioni svolte dalla Corte di cassazione nella fase cautelare ed espressamente ribadito:
-che l’accurata descrizione degli ingenti danni subiti dallo stadio dimostra il loro carattere diffuso, l’ampiezza e la varietà del loro manifestarsi su strutture ed attrezzature le più diverse, la necessità di interventi complessi e coordinati per la loro riparazione, indipendentemente dall’ingente onere economico, elemento, di per sé non rilevante, ma che assume significato nella costruzione giuridica del concetto di devastazione, a causa della complessità, della pluralità e della necessità di coordinamento degli interventi di riparazione;
-che, se poi si considera su quali attrezzature dello stadio i danni abbiano inciso, è facile constatare che essi hanno determinato una condizione di inagibilità della struttura; infatti è ben vero che le condizioni del campo, dopo l’evento, avrebbero pur sempre consentito a 22 giocatori di scambiare calci al pallone secondo le regole del gioco, ma è altrettanto vero che le norme di ordine pubblico, di sicurezza e di igiene (nella cui osservanza certificata si compendia il concetto di agibilità di una struttura destinata al servizio pubblico) impedivano di utilizzare lo stadio per lo scopo cui è destinato, che non consiste soltanto nel consentire ai 22 giocatori di portare a termine la partita, ma anche nel farvi partecipare – in condizioni di sicurezza, di igiene e di idoneità dei servizi – un pubblico indifferenziato e tendenzialmente molto numeroso;
-che l’insistito riferimento ad oggetti divelti e, quindi, resi inservib rispetto alla loro oggettiva funzione, o allo scopo di aggredire e colpire gli agenti, compiere in genere atti di violenza e protesta rispetto allo svolgersi degli eventi, rendersi irriconoscibili, giustifica il positi apprezzamento della devastazione, primo degli elementi materiali del reato di cui all’ad. 419 cod. pen.;
che, d’altro canto, la ricostruzione di fatto scaturita dal dibattimento comprova l’avvenuta esposizione a pericolo, attuale e concreto, dell’ordine pubblico, indipendentemente dalla circostanza che gli spettatori non coinvolti negli scontri (per fortuna la stragrande maggioranza) siano potuti restare al loro posto senza che la loro incolumità fosse messa a repentaglio;
che l’effettiva consistenza dell’attività illecita degli imputati e dei correi coglie ove si rilevi che gli spettatori furono privati dello spettacolo per la quale erano affluiti in quel luogo, tanto è vero che, per decisione arbitrale seguita da provvedimenti della giustizia sportiva nei confronti dei soggetti responsabili, la partita venne sospesa, nonché, e soprattutto, che venne messo gravemente in pericolo il pacifico svolgimento dei compiti di ordine pubblico affidati alle forze di polizia, atteso che gli agenti addetti al servizio furono messi in gravissima difficoltà, tanto da essere costretti a chiedere rinforzi, e subirono ogni forma di attacco e di violenza, al punto che trenta di loro riportarono lesioni;
che, in definitiva, l’attacco ad opera di un numero indifferenziato e rilevante di facinorosi armati di armi improprie e di oggetti in ogni caso idonei ad offendere (proprio gli oggetti divelti dallo stadio) contro un servizio statale legittimamente operante, al punto di provocare lesioni a ben trenta agenti, integri, senza necessità di ulteriori commenti, una grave lesione dell’ordine pubblico.
La Corte di appello ha, infine, disatteso, con dovizia di argomenti, l’assunto, propugnato da alcuni imputati, stando al quale i disordini sarebbero stato frutto delle difficoltà di ordine logistico nel prestare i soccorsi al giovane precipitato da lucernario, atteso – hanno rimarcato i giudici di merito – che furono, piuttosto, la violenta aggressione alle forze dell’ordine, l’ingresso in massa dei tifosi sul campo da gioco, il danneggiamento a tappeto di tutti gli oggetti incontrati dai sedicenti appassionati di calcio (travisati con passamontagna, sciarpe e cappucci) lungo il loro cammino ad intralciare l’intervento dell’ambulanza.
A fronte dell’iter motivazionale testé sintetizzato, i ricorrenti ripropongono, sotto varie angolazioni, le obiezioni già sottoposte all’attenzione della Corte di appello, che le ha respinte senza incorrere in vizi logici ed operando l’inquadramento giuridico dei fatti enucleati, il cui svolgimento è stato accuratamente e nitidamente ricostruito, in termini assolutamente coerenti con i richiamati approdi giurisprudenziali.
Per tale via, sollecitano il giudice di legittimità a compiere un’operazione volta, in buona sostanza, alla diversa esegesi del compendio istruttorio, che, tuttavia, risulta, in questa sede, in radice preclusa.
In proposito, occorre ricordare, con la giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217), che il sindacato demandato alla Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza impugnata non può concernere né la ricostruzione del fatto, né il relativo apprezzamento, ma
deve limitarsi al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di una diretta rivisitazione delle acquisizioni processuali.
Il controllo di legittimità, invero, non è diretto a sindacare l’intrinsec attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove, né a ripercorrere l’anali ricostruttiva della vicenda processuale operata nei gradi anteriori, ma soltanto a verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee giustificative adeguate, che rendano persuasive, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074-01).
Sono, quindi, inammissibili le censure, quali quelle articolate dagli odierni ricorrenti, che si fondano su alternative letture del quadro istruttorio, stimolando il diverso apprezzamento del materiale probatorio acquisito da parte di questa Corte, secondo lo schema tipico di un gravame di merito, il quale esula, tuttavia, dalle funzioni dello scrutinio di legittimità, volto ad enucleare l’eventuale sussistenza di uno dei vizi logici, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, tassativamente previsti dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (Sez. 6 n. 13442 dell’8/03/2016, COGNOME, Rv. 266924; Sez. 6 n. 43963 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 258153).
Ne discende, è stato, da ultimo, ribadito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747), che «In tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spesso della valenza probatoria del singolo elemento».
Non dissimili sono le considerazioni che devono essere dedicate ai motivi di ricorso che tutti gli imputati hanno sviluppato con riferimento all’idoneità dell’attività illecita da ciascuno di loro posta in essere ad integrare concorso penalmente rilevante nel delitto di devastazione e saccheggio.
Anche in questo caso, la Corte di appello ha deliberatamente seguito il solco tracciato dalla Corte di cassazione nelle pronunce rese, in precedenza, in relazione alla medesima vicenda e, precipuamente, dalla sentenza n. 11912 del 18/01/2019,
resa su ricorso del coimputato NOME COGNOME dalla quale è stata tratta la seguente massima (Rv. 275322 – 02): «In tema di reato di devastazione, ai fini della sussistenza della responsabilità a titolo di concorso non è necessario che l’agente compia materialmente un atto di danneggiamento, purché partecipi consapevolmente ai disordini diffusi».
Richiamate le linee ispiratrici della disciplina codicistica sul concorso di persone nel reato, ha ritenuto che i comportamenti tenuti dai partecipi, che ha dettagliatamente descritto, abbiano esplicato una significativo effetto sul piano causale, quantomeno nel senso di rafforzare il proposito criminoso di coloro che, in quel contesto, si sono dedicati ai più gravi atti di devastazione, e che la complessiva ricostruzione dell’episodio convince, al di là di ogni ragionevole dubbio, della piena consapevolezza, in capo agli agenti, del fatto che la loro azione illecita si inseriva nell’ambito di un’attività collettivamente promossa, organizzata ed attuata, volta non solo a danneggiare una moltitudine di beni ed a paralizzare i compiti di controllo e vigilanza istituzionalmente affidati alle forze dell’ordine, m anche a ledere l’ordine pubblico, impedendo lo svolgimento del programmato evento sportivo, ed affermare, nell’enclave rappresentata dallo stadio, la primazia del tifo organizzato sul potere costituito.
Rebus sic stantibus, inammissibili, nell’ottica del giudizio di legittimità, si rivelano le prospettazioni difensive, costantemente incentrate sull’assenza di prova in ordine alla commissione, da parte degli odierni ricorrenti, dei comportamenti più eclatanti ed offensivi, profilo che, per le ragioni testé richiamate e più compiutamente esplicitate nella sentenza impugnata, non incide in misura decisiva sulla rilevanza penale di condotte che sono state correttamente qualificate ai sensi degli artt. 110 e 419 cod. pen. all’esito di uno scrutini effettuato in perfetto ossequio alle coordinate ermeneutiche preventivamente tracciate.
Ulteriore, concorrente causa di inammissibilità si rinviene, poi, nella pretesa, avanzata da alcuni ricorrenti – quali: COGNOME il quale rivendica, in contrasto con quanto esposto dai giudici di merito (che ricordano come egli indossasse, nell’occasione, una sciarpa con i colori del Napoli), la propria fede avellinese; COGNOME, che si autoassegna il ruolo di estemporaneo difensore di un tifoso avellinese, che egli avrebbe sottratto alla furia di un aggressore napoletano; COGNOME, che descrive in termini assai meno allarmanti, fino a sfiorare la neutralità, la sua partecipazione ai tafferugli – di accreditare una narrazione differente e parallela rispetto a quella consacrata nelle decisioni di merito che, come detto, è aliena da fratture razionali e aderente ai dati disponibili.
Manifestamente infondati sono, infine, i motivi concernenti il trattamento sanzionatorio.
9.1. Per quanto concerne il diniego della circostanza attenuante dell’avere il reo agito perché spinto dalla suggestione della folla in tumulto, la Corte di appello ha, in primis, segnalato come l’applicazione dell’istituto presupponga che l’autore del reato non abbia concorso e non sia confluito con altri per provocare l’assembramento delle persone e compiere il fatto di reato (in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 52172 del 27/09/2017, COGNOME, Rv. 271957 – 01).
Ha, quindi, rimarcato che tale condizione, nel caso di specie, è senz’altro assente, posto che Marigliano, insieme agli altri protagonisti delle violenze perpetrate il 20 settembre 2003 all’esterno ed all’interno dello stadio Partenio, si è deliberatamente dissociato dalla moltitudine di pacifici tifosi napoletani – recatisi in trasferta ad Avellino animati dal solo desiderio di supportare la squadra del cuore – per concorrere fattivamente (emerge, invero, dalle sentenze di merito che egli, cintura in mano, cercò di colpire un tifoso avellinese, fronteggiò con atteggiamento minaccioso le forze di polizia, si travisò con un giubbino e sferrò un calcio ad un altoparlante) alla scorribanda che ha creato la situazione di disordine collettivo, poi tracimata nella successiva invasione di campo.
La motivazione addotta a sostegno della decisione impugnata appare, anche sotto questo versante, impermeabile alle critiche dell’imputato, che partono dal presupposto – che si è detto essere insussistente – della sua estraneità alla causazione dello stato di agitazione ed eccitazione collettiva che ha fatto da sfondo alla scena del crimine.
9.2. Avuto riguardo, infine, alla doglianza, avanzata da NOME COGNOME e NOME COGNOME, vedente sull’esito del giudizio di comparazione tra le circostanze attenuanti generiche e le riconosciute aggravanti, deve ricordarsi che le statuizioni sul punto, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931 – 01).
Nella specie, il giudice di appello ha comunque illustrato in maniera adeguata le ragioni della propria scelta (cfr. pag. 23, per NOME, e pag. 25, per COGNOME), ponendo l’accento sulla tipologia dei reati e sull’effettivo coefficiente di offensivit delle condotte rispettivamente poste in essere dagli imputati, la cui capacità a delinquere è, peraltro, attestata dalle precedenti condanne, una delle quali, per NOME, relativa a fatto analogo, ed ha, quindi, stimato la concreta irrilevanza, ai fini considerati, del contegno serbato da entrambi nel processo, tradottosi
nell’ammissione della partecipazione ai disordini, dato, al tempo, già acquisito grazie alle immagini acquisite ed agli accertamenti di polizia giudiziaria.
Peraltro, deve anche ricordarsi che in tema di bilanciamento di circostanze eterogenee, non incorre nel vizio di motivazione il giudice di appello che, nel
formulare il giudizio di comparazione, dimostri di avere considerato e sottoposto a disamina gli elementi enunciati nella norma dell’art. 133 cod. pen. e gli altri dati
significativi, apprezzati come assorbenti o prevalenti su quelli di segno opposto
(Sez. 2,. n. 3610 del 15/01/2014, COGNOME, Rv. 260415 – 01).
10. Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186,
della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro. , wt… cx.)234. GLYPH tA4A-10.ow2–e-x GLYPH …. e GLYPH e.3 0 ^ 7 L
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, i ricorrenti COGNOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COGNOME Antonio, COGNOME e COGNOME che liquida in complessivi euro 5.000, oltre accessori di legge, da distrarre in favore dell’avv. NOME COGNOME procuratore anticipatario.
Condanna, inoltre, gli stessi ricorrenti COGNOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Misericordia di Avellino, COGNOME Domenico, COGNOME Nicola e COGNOME Domenico, che liquida in complessivi euro 6.000, oltre accessori di legge.
Così deciso il 14/05/2025.