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Determinazione pena: il ricorso in Cassazione

Un imputato ricorre in Cassazione lamentando l’eccessiva entità dell’aumento di pena applicato in appello per la continuazione tra reati. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, ribadendo che la determinazione della pena è una valutazione di merito del giudice, non sindacabile in sede di legittimità se la sanzione non si discosta notevolmente dal minimo edittale e la motivazione non è manifestamente illogica.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Determinazione della Pena: Quando è Possibile Contestare la Scelta del Giudice?

La corretta determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice traduce in una sanzione concreta la valutazione sulla gravità del reato e sulla personalità dell’imputato. Ma quali sono i limiti della discrezionalità del giudice? E quando è possibile contestare la sua decisione davanti alla Corte di Cassazione? Un’ordinanza recente della Suprema Corte offre chiarimenti fondamentali su questo tema, delineando i confini tra la valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità, e i vizi che possono giustificare un annullamento.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dalla decisione di una Corte d’Appello che, in riforma di una sentenza di primo grado, aveva riconosciuto la sussistenza della continuazione tra i reati oggetto del procedimento e altri reati precedentemente giudicati con una sentenza divenuta irrevocabile. Di conseguenza, la Corte territoriale aveva ricalcolato la pena finale, applicando un aumento per i nuovi reati. L’imputato, ritenendo l’aumento di pena eccessivo, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge penale (art. 81 c.p.) in relazione all’entità della sanzione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo gli Ermellini, il motivo proposto dall’imputato non era deducibile in sede di legittimità. La contestazione riguardava, infatti, l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito nella quantificazione della pena, un aspetto che, salvo eccezioni specifiche, sfugge al controllo della Cassazione.

L’inammissibilità del motivo di ricorso

Il Collegio ha sottolineato che la valutazione sull’entità della pena rientra nel potere del giudice di merito. Un sindacato da parte della Corte di Cassazione è possibile solo in presenza di vizi logici evidenti nella motivazione o quando la pena applicata si discosti in modo ingiustificato dai criteri legali. Nel caso di specie, la critica dell’imputato si concentrava esclusivamente sulla misura dell’aumento di pena, senza evidenziare alcuna palese illogicità o violazione di legge nel ragionamento della Corte d’Appello.

Le Motivazioni: la discrezionalità del giudice e i limiti sulla determinazione della pena

Il cuore della decisione risiede nel principio, consolidato in giurisprudenza, secondo cui il giudice non è tenuto a fornire una motivazione analitica e dettagliata per ogni singolo aspetto della determinazione della pena quando si attiene a valori medi o vicini al minimo edittale. La legge (art. 133 c.p.) elenca una serie di criteri (gravità del danno, intensità del dolo, capacità a delinquere, etc.) che guidano il giudice, ma la scelta di applicare una pena all’interno della cornice edittale è ampiamente discrezionale. Un obbligo di motivazione rafforzata sorge, al contrario, solo quando la sanzione inflitta è prossima al massimo previsto dalla norma o comunque notevolmente superiore alla media. In assenza di tali condizioni, si presume che il giudice abbia implicitamente considerato tutti i criteri di legge, e la sua scelta non è censurabile in sede di legittimità.

Conclusioni: implicazioni pratiche

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. La sua funzione è quella di garantire l’uniforme interpretazione e la corretta applicazione della legge. Pertanto, un ricorso che si limiti a contestare l’equità o l’adeguatezza della pena, senza dimostrare una manifesta illogicità del percorso argomentativo del giudice di merito o una violazione di specifiche norme di legge, è destinato all’inammissibilità. Per gli operatori del diritto, ciò significa che l’atto di appello e il ricorso per cassazione devono essere costruiti non su una generica doglianza sull’entità della pena, ma sull’individuazione di specifici vizi logico-giuridici che inficiano la decisione impugnata.

È possibile contestare in Cassazione l’entità della pena decisa dal giudice di merito?
Generalmente no. La determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Un ricorso in Cassazione è ammissibile solo in casi eccezionali, ad esempio quando la pena si avvicina al massimo edittale senza un’adeguata motivazione, oppure quando la motivazione è palesemente illogica o contraddittoria.

Quando il giudice è obbligato a fornire una motivazione dettagliata sulla pena inflitta?
Secondo la Corte, una motivazione specifica e dettagliata è richiesta solo quando la sanzione è quantificata in misura prossima al massimo edittale o comunque superiore alla media. Per pene vicine al minimo o nella media, la motivazione può essere implicita nei criteri generali dell’art. 133 del codice penale.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. La sentenza impugnata diventa così definitiva e non più contestabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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