Determinazione della Pena: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
La corretta determinazione della pena rappresenta uno dei momenti più delicati del processo penale, affidato alla discrezionalità del giudice. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione (n. 982/2024) offre un importante chiarimento sui limiti entro cui tale discrezionalità può essere contestata in sede di legittimità. La Corte ha ribadito un principio consolidato: un ricorso che si limita a criticare l’entità della pena senza dimostrare un’evidente illogicità nella motivazione del giudice è destinato all’inammissibilità.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dal ricorso presentato da due individui condannati dalla Corte di Appello di Bari per i reati di furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale, commessi in concorso tra loro. Gli imputati, non contestando la loro colpevolezza, hanno deciso di impugnare la sentenza di secondo grado dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando un unico motivo di ricorso: la presunta erronea quantificazione della pena da parte dei giudici di merito.
Secondo i ricorrenti, la pena inflitta era eccessiva. Tuttavia, il loro ricorso si concentrava su una generica doglianza, senza articolare specifiche critiche al percorso logico-giuridico seguito dalla Corte d’Appello nella sua decisione.
La Questione Giuridica: I Limiti al Sindacato sulla Determinazione della Pena
Il cuore della questione riguarda i confini del sindacato della Corte di Cassazione sulla determinazione della pena. Il nostro ordinamento, agli articoli 132 e 133 del codice penale, conferisce al giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello) un potere discrezionale nella quantificazione della sanzione, da esercitare all’interno della cornice edittale prevista dalla legge per il singolo reato.
Questo potere non è assoluto, ma deve essere esercitato tenendo conto di precisi indicatori, quali la gravità del reato e la capacità a delinquere del reo. La Corte di Cassazione, essendo giudice di legittimità e non di merito, non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice precedente. Il suo compito è verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza sia logica e non contraddittoria. Di conseguenza, un ricorso che chiede semplicemente una pena più mite, senza denunciare un vizio di legittimità, esula dalle competenze della Suprema Corte.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile, definendolo ‘generico’ e ‘manifestamente infondato’. I giudici hanno sottolineato che i ricorrenti non avevano addotto alcun elemento concreto, né in fatto né in diritto, a sostegno della loro censura. La doglianza si traduceva in una richiesta di nuova valutazione della congruità della pena, operazione preclusa in sede di legittimità.
La Corte ha ricordato il suo pacifico insegnamento: la graduazione della pena è un esercizio di discrezionalità del giudice di merito. La decisione può essere censurata in Cassazione solo se è ‘frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico’ e non è sorretta da una ‘sufficiente motivazione’.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato la sua decisione, ritenendo la pena finale congrua in considerazione di due fattori chiave:
1. La gravità dei fatti: i reati commessi erano stati valutati come particolarmente seri.
2. La personalità degli imputati: entrambi i soggetti erano già gravati da plurimi precedenti penali, un elemento che incide negativamente sulla valutazione della loro capacità a delinquere.
Poiché la motivazione della Corte territoriale era logica, coerente e sufficiente, non vi era spazio per un intervento della Cassazione.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
La decisione della Suprema Corte consolida un principio fondamentale del nostro sistema processuale penale. Chi intende contestare la determinazione della pena in Cassazione non può limitarsi a esprimere un dissenso sulla sua entità. È necessario, invece, individuare e dimostrare un vizio specifico nel ragionamento del giudice di merito, come una palese illogicità, una contraddittorietà o una carenza assoluta di motivazione riguardo ai criteri dell’art. 133 cod. pen.
In assenza di tali vizi, il ricorso sarà inevitabilmente dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. Questa pronuncia serve da monito: l’appello alla Cassazione deve essere fondato su precise questioni di diritto, non su mere aspettative di un trattamento sanzionatorio più favorevole.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa da un giudice?
Sì, ma solo a condizioni molto specifiche. Non si può chiedere una nuova valutazione sulla ‘giustezza’ della pena. Si può contestare solo se la decisione del giudice è palesemente illogica, arbitraria o priva di una motivazione sufficiente, come chiarito in questa ordinanza.
Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato ‘generico’, ovvero non ha specificato in modo concreto e argomentato perché la motivazione del giudice d’appello fosse illogica o arbitraria. Si è limitato a lamentare l’entità della pena senza individuare un vizio specifico nel ragionamento del giudice.
Cosa ha considerato il giudice d’appello per stabilire la pena?
La Corte d’Appello ha ritenuto la pena congrua tenendo conto di due elementi principali: la gravità dei fatti commessi e la personalità degli imputati, i quali avevano già numerosi precedenti penali.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 982 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 982 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/12/2023
sui ricorsi proposti da: NOME nato il 19/08/1972 NOME COGNOME nato a BARI il 25/04/1998
RITENUTO IN FATTO
che COGNOME e COGNOME propongono ricorso per cassazione, articolando un solo motivo, avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari in data 22 marzo 2023, d conferma della condanna inflittagli per i delitti di cui agli artt. 110, 624, commi 1 e 3, comma 1, nn. 2 e 7-bis cod. pen. e 110 e 337 cod. pen. (fatti commessi in Agro del Comune di Terlizzi il 5 febbraio 2019);
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il proposto motivo, con il quale i ricorrenti si dolgono dell’operata determinazi della pena, è generico, nulla di concreto essendo stato addotto né in fatto né in diritto a sost della sollevata censura, non consentito in questa sede e manifestamente infondato, tenuto conto del pacifico insegnamento di questa Corte secondo cui la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negl 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in Cassazione miri ad una nuova valutazione della sua congruità ove la relativa determinazione non sia frutto d mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. del 30/09/2013 – dep. 04/02/2014, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007 – dep. 11/01/2008, Rv. 238851), come, parimenti, accaduto nel caso di specie (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata, in cui la Corte di merito ha ritenuto congrua la pena finale irrogata, tenu conto della gravità dei fatti e della personalità degli imputati, già gravati da plurimi pre penali),
ritenuto, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conda dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore del Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processua e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13 dicembre 2023
Il consigliere estensore
Il Presiden