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Determinazione della pena: quando il ricorso è infondato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro la determinazione della pena per detenzione di stupefacenti e armi. Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato perché la pena era stata correttamente commisurata alla gravità dei fatti (ingenti quantitativi di droga, una pistola) e alla personalità negativa del soggetto, recidivo specifico. La decisione sottolinea che la quantificazione della pena, se ben motivata, non è sindacabile.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Determinazione della pena: la Cassazione conferma la decisione dei giudici di merito

La corretta determinazione della pena è uno dei cardini del diritto penale, un processo che deve bilanciare la gravità del reato con la personalità del suo autore. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come i giudici valutano questi elementi e perché un ricorso basato su censure generiche sulla quantificazione della sanzione rischi di essere dichiarato inammissibile. Analizziamo insieme la vicenda.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine dalla condanna di un individuo, a seguito di un giudizio abbreviato, alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione e 24.000 euro di multa. Le accuse erano molto gravi: detenzione di sostanze stupefacenti ai sensi dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti) e detenzione illegale di armi e munizioni secondo la legge n. 895 del 1967. I reati erano stati unificati sotto il vincolo della continuazione (art. 81 c.p.).

Nello specifico, i fatti contestati includevano la detenzione di 98 grammi lordi di cocaina, 566 grammi lordi di hashish, una pistola automatica e numerose munizioni. Insoddisfatto della pena inflitta dalla Corte d’Appello, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione.

Il Ricorso in Cassazione sulla Determinazione della Pena

L’imputato ha articolato un unico motivo di ricorso, contestando un presunto vizio di motivazione proprio con riguardo alla determinazione della pena. In sostanza, egli riteneva che la sanzione fosse eccessiva e che i giudici di merito non avessero adeguatamente giustificato la loro scelta.

Questo tipo di ricorso mira a censurare il percorso logico-giuridico seguito dal giudice nel quantificare la sanzione, sostenendo che non siano stati correttamente ponderati gli elementi previsti dalla legge, come la gravità del fatto e la capacità a delinquere del reo.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, la decisione della Corte d’Appello era, al contrario, ben motivata e immune da censure. La Corte ha spiegato punto per punto perché la pena fosse adeguata:

1. Pena Base: La pena base di partenza (sette anni di reclusione e 27.000 euro di multa) era stata fissata in una misura di poco superiore al minimo edittale. Tale scelta era ampiamente giustificata da due fattori cruciali:
* La gravità dei fatti: La detenzione non riguardava una modica quantità, ma quasi 100 grammi di cocaina, oltre mezzo chilo di hashish, una pistola automatica e munizioni. Questi elementi denotano una notevole pericolosità della condotta.
* La personalità dell’imputato: Il soggetto era stato qualificato come ‘recidivo reiterato specifico ed infraquinquennale’, un’indicazione chiara di una spiccata e persistente propensione a delinquere.

2. Aumento per la Continuazione: Anche l’aumento di pena per i reati satellite (un anno di reclusione e 9.000 euro di multa) è stato ritenuto congruo. La Corte ha anzi sottolineato che tale aumento era stato contenuto e persino fissato in misura inferiore ai limiti massimi previsti dall’articolo 81 del codice penale.

In sintesi, i giudici di legittimità hanno concluso che la motivazione della sentenza impugnata era logica, coerente e fondata su elementi concreti, rendendo le censure dell’imputato prive di qualsiasi fondamento.

Le Conclusioni: Quando un Ricorso è Manifestamente Infondato

La pronuncia si conclude con una dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Questa decisione comporta non solo la conferma definitiva della condanna, ma anche l’obbligo per il ricorrente di pagare le spese processuali e una somma aggiuntiva di 3.000 euro a favore della Cassa delle Ammende. La Corte ha infatti ravvisato profili di colpa nella proposizione di un ricorso palesemente infondato.

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il giudice di merito gode di un’ampia discrezionalità nella determinazione della pena all’interno dei limiti edittali. Tale discrezionalità può essere censurata in sede di legittimità solo se la motivazione è assente, manifestamente illogica o contraddittoria, cosa che in questo caso non è avvenuta. Un ricorso che si limita a contestare l’entità della pena senza evidenziare vizi concreti nel ragionamento del giudice è destinato all’insuccesso.

Quando un ricorso contro la quantificazione della pena può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando i motivi sono manifestamente infondati. Ciò accade se il giudice di merito ha determinato la pena in modo logico e coerente, basandosi su elementi concreti come la gravità dei fatti e la personalità dell’imputato, e ha applicato gli aumenti nel rispetto dei limiti di legge.

Quali elementi considera il giudice per la determinazione della pena?
Secondo questa ordinanza, il giudice valuta principalmente la gravità oggettiva dei fatti (in questo caso, l’ingente quantità di stupefacenti e la presenza di un’arma automatica con munizioni) e la personalità dell’imputato (in questo caso, una storia di recidiva specifica e reiterata).

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità rende definitiva la condanna impugnata. Inoltre, comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, di una somma aggiuntiva (3.000 euro) in favore della Cassa delle Ammende, qualora la Corte ravvisi una colpa nel proporre un ricorso privo di fondamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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