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Determinazione della pena: quando il ricorso è generico

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso vertente sulla determinazione della pena per il reato di molestie. La motivazione del giudice di merito, che nega le attenuanti generiche basandosi sul comportamento processuale degli imputati, è ritenuta non sindacabile se non illogica o arbitraria, confermando l’ampia discrezionalità del giudice nella valutazione.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Determinazione della pena: i Limiti del Sindacato della Cassazione

La determinazione della pena è una delle fasi più delicate del processo penale, in cui il giudice esercita un potere ampiamente discrezionale. Un’ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire i confini di questa discrezionalità e i limiti del sindacato che la Suprema Corte può esercitare. Il caso riguarda un ricorso presentato da due imputati condannati per molestie, i quali lamentavano un’errata valutazione sia nella quantificazione della sanzione sia nel mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

Il caso: condanna per molestie e ricorso in Cassazione

Due soggetti venivano condannati dal Tribunale per la contravvenzione di cui all’art. 660 del codice penale (molestia o disturbo alle persone) alla pena di trecento euro di ammenda ciascuno. Ritenendo la pena ingiusta e la motivazione carente, i due imputati decidevano di presentare ricorso per Cassazione.

Con un unico motivo, lamentavano la violazione delle norme in materia di parametrazione della pena e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sostenendo che il giudice di merito non avesse adeguatamente motivato le sue scelte.

La decisione della Corte: ricorsi inammissibili

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza degli imputati, ma si concentra esclusivamente sulla correttezza formale e logica del ricorso e della sentenza impugnata. Secondo la Suprema Corte, i motivi presentati erano generici e non idonei a scalfire la logicità della decisione del Tribunale.

Le motivazioni: discrezionalità del giudice e la determinazione della pena

Il cuore della decisione risiede nella riaffermazione di un principio cardine del nostro ordinamento: l’ampia discrezionalità del giudice di merito nella determinazione della pena e nella valutazione delle circostanze attenuanti. La Cassazione può intervenire solo se tale valutazione è palesemente illogica, arbitraria o priva di motivazione, non potendo sostituire il proprio giudizio a quello del giudice che ha gestito il processo.

Il diniego delle attenuanti generiche

Sul punto delle attenuanti generiche, la Corte ha osservato che il Tribunale aveva fornito una motivazione sufficiente e non contraddittoria. Il giudice di merito aveva negato il beneficio basandosi sul comportamento processuale degli imputati: essi non si erano limitati a negare l’addebito, ma avevano addirittura accusato la parte civile di molestie. Questo comportamento è stato considerato un indice sfavorevole, sufficiente a giustificare il mancato riconoscimento delle attenuanti. La Cassazione ha ribadito che una simile valutazione, essendo espressione di un giudizio di merito, sfugge al sindacato di legittimità se, come in questo caso, è sorretta da una motivazione logica.

La quantificazione della sanzione

Anche per quanto riguarda la misura della pena, il ricorso è stato giudicato inammissibile per la sua genericità. La doglianza non specificava in che modo il giudice avesse violato i criteri dell’art. 133 c.p., che guidano la discrezionalità del magistrato. La Corte ha ricordato che, in tema di determinazione della pena, il giudice esercita un potere discrezionale che la legge gli conferisce. È sufficiente che egli fornisca una motivazione, anche sintetica, dei criteri seguiti (la gravità del fatto, la capacità a delinquere, etc.). Una valutazione di questo tipo è insindacabile in sede di legittimità, a meno che non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico.

Le conclusioni: cosa ci insegna questa ordinanza sulla determinazione della pena?

L’ordinanza ribadisce che il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. Le valutazioni relative alla concessione delle attenuanti e alla quantificazione della pena sono prerogativa del giudice che ha esaminato le prove e conosciuto direttamente le parti del processo. Per poter contestare efficacemente tali decisioni davanti alla Suprema Corte, non basta un generico dissenso, ma è necessario dimostrare un vizio logico manifesto o una violazione di legge specifica nella motivazione del giudice. In assenza di tali vizi, la decisione di merito, seppur severa, rimane valida e insindacabile. Infine, la condanna al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende serve da monito contro la presentazione di ricorsi palesemente infondati o pretestuosi.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso sulle attenuanti generiche?
La Corte lo ha ritenuto inammissibile per genericità, poiché la sentenza impugnata aveva motivato in modo logico e sufficiente il diniego. Il giudice di merito aveva basato la sua decisione sul comportamento processuale degli imputati, i quali non si erano solo difesi ma avevano accusato a loro volta la parte civile, un elemento considerato sfavorevole e idoneo a giustificare la mancata concessione del beneficio.

Il giudice di merito ha piena libertà nella determinazione della pena?
No, non ha piena libertà, ma un’ampia discrezionalità guidata dai criteri stabiliti dall’art. 133 del codice penale. La sua decisione deve essere motivata e non può essere frutto di arbitrio o di un ragionamento illogico. Tuttavia, se la motivazione è presente e logica, la scelta del giudice non è sindacabile dalla Corte di Cassazione.

Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, se l’inammissibilità è dovuta a colpa del ricorrente (ad esempio, per la manifesta infondatezza dei motivi), può essere condannato anche al pagamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso con una sanzione di tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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