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Determinazione della pena: quando è insindacabile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per un reato minore legato agli stupefacenti, il quale lamentava un’eccessiva entità della pena. La Corte ha ribadito che la determinazione della pena è una valutazione riservata al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che non si discosti notevolmente dai minimi edittali o sia del tutto immotivata. In questo caso, la pena era considerata congrua e non richiedeva una motivazione specifica.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Determinazione della pena: quando la decisione del giudice è definitiva?

La corretta determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale. Ma fino a che punto un imputato può contestare la quantificazione della sanzione decisa dal giudice? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui limiti del ricorso in sede di legittimità, ribadendo un principio consolidato: la valutazione del giudice di merito è ampiamente discrezionale e, salvo casi eccezionali, insindacabile.

Il Caso in Analisi

Il caso trae origine da una condanna per un reato concernente sostanze stupefacenti, qualificato come di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990. La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva rideterminato la pena in dieci mesi e venti giorni di reclusione, oltre a una multa di 1.600,00 euro.

L’imputato, ritenendo la sanzione ancora eccessiva, ha proposto ricorso per cassazione. L’unico motivo di doglianza riguardava la presunta violazione dell’art. 133 del codice penale, norma che elenca i criteri (gravità del reato, capacità a delinquere del reo) che il giudice deve seguire per la determinazione della pena. In sostanza, la difesa lamentava che la pena applicata fosse sproporzionata.

I limiti al sindacato sulla determinazione della pena

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiarendo che il motivo proposto non era deducibile in quella sede. La decisione impugnata, secondo gli Ermellini, era supportata da un apparato argomentativo coerente e rispettoso delle norme sulla commisurazione della pena.

Il Collegio ha ribadito un principio fondamentale: il giudice non è tenuto a fornire una motivazione analitica e dettagliata per ogni singolo criterio dell’art. 133 c.p. quando applica una pena contenuta entro limiti medi o vicini al minimo edittale. Una motivazione specifica e puntuale si rende necessaria solo in due situazioni:

1. Quando la pena si attesta su livelli prossimi al massimo previsto dalla legge.
2. Quando la pena è significativamente superiore alla media edittale.

In assenza di queste condizioni, la scelta del giudice di merito è considerata insindacabile, poiché si presume che sia il frutto di un’implicita valutazione di tutti gli elementi previsti dalla legge. Tentare di contestarla in Cassazione equivarrebbe a chiedere un nuovo giudizio sui fatti, compito che non spetta alla Suprema Corte, quale giudice di legittimità e non di merito.

Le Motivazioni della Decisione

La ragione di questo orientamento risiede nella distinzione dei ruoli tra i diversi gradi di giudizio. I giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) hanno il compito di ricostruire i fatti e valutare le prove. La determinazione della pena rientra in questa sfera di valutazione discrezionale, guidata dai criteri di legge. La Corte di Cassazione, invece, ha il compito di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge. Non può, quindi, sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito sulla congruità della pena, a meno che quest’ultima non sia palesemente illegittima, arbitraria o del tutto priva di motivazione nei casi in cui essa è specificamente richiesta.

Nel caso di specie, la pena inflitta era ben lontana dal massimo edittale, rientrando in una fascia considerata media o prossima al minimo. Pertanto, la scelta della Corte d’Appello è stata ritenuta espressione di un corretto esercizio del potere discrezionale, non censurabile in sede di legittimità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza conferma che i ricorsi per cassazione basati unicamente sulla presunta eccessività della pena hanno scarse probabilità di successo se non sono supportati dalla denuncia di una palese violazione di legge o da un vizio logico manifesto della motivazione. Per i difensori, ciò significa che l’appello contro la quantificazione della pena deve concentrarsi sulla dimostrazione di un’errata applicazione dei criteri legali o di un’irragionevolezza della decisione, piuttosto che su una generica richiesta di riduzione. Per l’imputato, la decisione di ricorrere in Cassazione deve essere ponderata attentamente, poiché l’inammissibilità comporta, come in questo caso, la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende.

È possibile ricorrere in Cassazione lamentando solo che la pena inflitta sia troppo alta?
Generalmente no. Secondo la Corte, un ricorso è inammissibile se si limita a contestare l’entità della pena senza denunciare una specifica violazione di legge o un vizio di motivazione. La valutazione della congruità della pena è riservata al giudice di merito.

Quando il giudice deve motivare in modo specifico la misura della pena?
La sentenza chiarisce che una motivazione specifica e dettagliata sulla pena è richiesta solo quando questa è quantificata in una misura prossima al massimo previsto dalla legge (massimo edittale) o comunque superiore alla media. Per pene medie o vicine al minimo, la motivazione può essere anche implicita.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. Nel caso specifico, la somma è stata fissata in 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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