Determinazione della pena: i limiti del ricorso in Cassazione
La corretta determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice è chiamato a bilanciare la gravità del reato con la personalità dell’imputato. Ma cosa succede se la difesa ritiene la pena ingiusta o sproporzionata? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i ristretti limiti entro cui è possibile contestare tale valutazione in sede di legittimità, confermando un principio consolidato: non basta un semplice dissenso sulla quantità della pena per ottenere una riforma della sentenza.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dalla condanna di un individuo alla pena di un mese di arresto e duemila euro di ammenda per un reato previsto dall’art. 4 della legge n. 110 del 1975, normativa che disciplina il controllo delle armi. La decisione, emessa in primo grado dal Tribunale di La Spezia, era stata confermata dalla Corte di Appello di Genova. L’imputato, non rassegnato, proponeva ricorso per Cassazione affidandosi a un unico motivo: un vizio di motivazione e un’erronea applicazione della legge penale proprio in relazione alla determinazione della pena.
Il Motivo del Ricorso: una critica al potere discrezionale del giudice
La difesa sosteneva che la pena inflitta fosse eccessiva e che la motivazione a sostegno fosse illogica e insufficiente. In sostanza, si contestava il modo in cui i giudici di merito avevano esercitato il loro potere discrezionale nella quantificazione della sanzione. Questo tipo di doglianza, tuttavia, si scontra con la natura stessa del giudizio di Cassazione, che non è un terzo grado di merito, ma un giudizio sulla corretta applicazione del diritto (giudizio di legittimità).
La Decisione della Corte di Cassazione
Con una sintetica ma chiara ordinanza, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della congruità della pena, ma si ferma a un livello precedente, stabilendo che le censure mosse dalla difesa non erano proponibili in quella sede. Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: la discrezionalità del giudice sulla determinazione della pena
Il cuore della decisione risiede nella spiegazione dei limiti del sindacato di legittimità sul trattamento sanzionatorio. La Corte ha ribadito i seguenti principi fondamentali:
1. Potere Discrezionale del Giudice di Merito: La scelta della pena da infliggere rientra nel potere discrezionale del giudice di primo e secondo grado, che la esercita sulla base dei criteri indicati dall’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del colpevole).
2. Limiti del Controllo di Legittimità: La Cassazione può intervenire solo se la motivazione del giudice è manifestamente illogica, contraddittoria o del tutto assente, non quando è semplicemente non condivisa dal ricorrente.
3. Obbligo di Motivazione Rafforzata: Un obbligo di motivazione specifica e dettagliata sulla pena sorge solo quando il giudice si discosta notevolmente dai minimi edittali, applicando una sanzione prossima al massimo o comunque superiore alla media. Al contrario, per pene vicine al minimo o nella media, è sufficiente una motivazione sintetica o anche implicita, che faccia riferimento ai criteri generali dell’art. 133 c.p.
Nel caso specifico, la Corte ha osservato che la pena era stata adeguatamente giustificata con riferimento ai precedenti penali, anche specifici, dell’imputato e alla sua “elevata pericolosità sociale”. Tale giustificazione è stata ritenuta sufficiente e non manifestamente illogica, rendendo così l’impugnazione inammissibile.
Conclusioni
Questa ordinanza conferma che non è possibile utilizzare il ricorso per Cassazione come un terzo grado di giudizio per ridiscutere l’entità della pena. Le critiche al trattamento sanzionatorio sono ammesse solo in presenza di vizi gravi e palesi nel percorso logico-giuridico seguito dal giudice di merito. Per gli operatori del diritto, ciò significa che i motivi di ricorso devono concentrarsi su errori di diritto o su palesi illogicità della motivazione, piuttosto che su una generica richiesta di mitezza della pena, destinata, come in questo caso, a un’inevitabile declaratoria di inammissibilità.
È possibile impugnare in Cassazione una sentenza solo perché si ritiene la pena troppo alta?
No, non è possibile se il ricorso si limita a criticare la quantificazione della pena decisa dal giudice. Il ricorso è ammissibile solo se si dimostra che la motivazione del giudice è manifestamente illogica, contraddittoria o del tutto assente.
Il giudice deve sempre motivare in modo dettagliato la quantità di pena che infligge?
Secondo la Corte, una motivazione specifica e dettagliata è richiesta solo quando la pena si avvicina al massimo previsto dalla legge o è superiore alla media. Per pene medie o vicine al minimo, è sufficiente che la scelta sia implicitamente basata sui criteri legali, come i precedenti e la pericolosità sociale dell’imputato.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19832 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19832 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Lerici il 9/01/1971
avverso la sentenza del 8/11/2024 della Corte di appello di Genova
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che, con la sentenza impugnata, è stata confermata la condanna di NOME COGNOME alla pena di mesi uno di arresto ed euro duemila di ammenda per il reato di cui all ‘ art. 4 legge n. 110 del 1975, resa dal Tribunale di La Spezia in data 8 maggio 2024.
Rilevato che l’unico motivo di ricorso proposto dalla difesa, avv. NOME COGNOME ( vizio di motivazione ed erronea applicazione delle norme penali quanto alla determinazione della pena) è inammissibile, in quanto costituito da doglianze non consentite in sede di legittimità perché relative al trattamento sanzionatorio, benché sorretto da sufficiente e non manifestamente illogica giustificazione, nonché da adeguato esame delle deduzioni difensive devolute con il gravame (v. p. 3).
Ritenuto , infatti, che una specifica e dettagliata motivazione in merito ai
criteri seguiti dal giudice nella determinazione della pena si richiede nel caso in cui la sanzione sia determinata in misura prossima al massimo edittale o comunque superiore alla media, risultando insindacabile, in quanto riservata al giudice di merito, la scelta (anche implicitamente) basata sui criteri di cui all’art. 133 cod. pen. di irrogare una pena in misura media o prossima al minimo edittale (tra le molte altre, Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME, Rv.258356; Sez. 2, n.28852 del 8/05/2013, COGNOME, Rv. 256464; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197) e che, comunque, nel caso al vaglio, la misura della pena è giustificata con riferimento ai precedenti anche specifici e all ‘ elevata pericolosità sociale dell ‘ imputato, quindi ai criteri di cui all ‘ art. 133 cod. pen. esaminati con adeguato vaglio.
Considerato che deriva, da quanto sin qui rilevato, l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 3 aprile 2025