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Determinazione della pena: limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso riguardante la determinazione della pena per un reato di lieve entità in materia di stupefacenti. La Corte ha ribadito che la valutazione sulla congruità della sanzione è insindacabile in sede di legittimità se non palesemente illogica o arbitraria, e che non possono essere riproposti motivi di ricorso già decisi in un precedente giudizio di Cassazione.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Determinazione della pena: quando la Cassazione non può intervenire

L’Ordinanza n. 8589/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui limiti del ricorso in sede di legittimità, in particolare per quanto riguarda la determinazione della pena. La decisione ribadisce principi consolidati, sottolineando come la valutazione sulla congruità della sanzione da parte del giudice di merito sia ampiamente discrezionale e censurabile solo in casi di manifesta illogicità. Esaminiamo il caso e le motivazioni della Suprema Corte.

I Fatti Processuali

La vicenda trae origine da un procedimento penale per detenzione di sostanze stupefacenti. In un primo momento, la Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio una precedente sentenza, incaricando la Corte d’Appello di rivalutare la qualificazione del fatto come reato di lieve entità, ai sensi dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90. Nella stessa occasione, la Suprema Corte aveva già escluso in via definitiva la tesi difensiva dell’uso esclusivamente personale dello stupefacente.

La Corte d’Appello, in sede di rinvio, procedeva quindi alla riqualificazione del reato come fatto di lieve entità e rideterminava la pena. Contro questa nuova sentenza, l’imputato proponeva un ulteriore ricorso in Cassazione, sollevando due questioni:
1. La mancata valutazione della destinazione della sostanza all’uso esclusivamente personale.
2. L’eccessività della pena inflitta, anche a seguito della riqualificazione giuridica.

La Decisione della Suprema Corte: L’inammissibilità del Ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi distinti, uno di natura processuale e l’altro di merito.

Le Motivazioni: Punti Già Decisi e Discrezionalità del Giudice

La Corte ha affrontato separatamente le due doglianze dell’imputato, fornendo una motivazione chiara per ciascuna.

Il Principio del ‘Ne Bis in Idem’ Processuale

In primo luogo, i giudici di legittimità hanno dichiarato inammissibile il motivo di ricorso relativo all’uso personale dello stupefacente. La ragione è netta: la questione era già stata esaminata e decisa dalla stessa Corte di Cassazione nella precedente sentenza di annullamento. Secondo l’art. 625, comma 2, del codice di procedura penale, non è possibile riproporre in un successivo giudizio di legittimità questioni già decise. Si tratta di un’applicazione del principio di preclusione, che mira a garantire la stabilità delle decisioni giudiziarie e ad evitare un uso strumentale del processo.

I Limiti alla Censura sulla Determinazione della Pena

Per quanto riguarda la seconda doglianza, relativa alla misura della pena, la Corte l’ha ritenuta infondata. I giudici hanno osservato che la sentenza della Corte d’Appello era sorretta da una motivazione adeguata. Il trattamento sanzionatorio era stato definito congruo sulla base dei criteri stabiliti dall’art. 133 del codice penale, tenendo conto dell’entità del fatto e della personalità negativa dell’imputato.

La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire un orientamento giurisprudenziale consolidato: nel giudizio di legittimità, la valutazione sulla congruità della pena è insindacabile se non risulta frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Inoltre, quando la pena inflitta non si discosta in modo rilevante dal minimo edittale previsto dalla legge, non è richiesta al giudice di merito una motivazione specifica e dettagliata per giustificare la sua scelta. La decisione sulla pena rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito, che valuta le circostanze del caso concreto.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma due principi fondamentali del nostro ordinamento processuale penale. Da un lato, la definitività delle decisioni della Corte di Cassazione, che non possono essere rimesse in discussione nello stesso procedimento. Dall’altro, l’ampia discrezionalità del giudice di merito nella determinazione della pena, un potere che può essere sindacato in sede di legittimità solo in presenza di vizi logici evidenti o di arbitrio. Questa pronuncia serve da monito: il ricorso in Cassazione non è una terza istanza di giudizio sui fatti, ma un controllo sulla corretta applicazione del diritto, e la quantificazione della sanzione, se motivata e non irragionevole, è un terreno su cui la Suprema Corte non può e non deve intervenire.

È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa dal giudice di merito?
No, la censura sulla congruità della pena è inammissibile nel giudizio di cassazione, a meno che la determinazione non sia il risultato di un mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico.

Si può riproporre in un secondo ricorso per Cassazione un argomento già esaminato e respinto in un precedente giudizio?
No, in base all’art. 625, comma 2, del codice di procedura penale, gli aspetti già decisi in sede di legittimità non possono essere nuovamente oggetto di doglianza.

Quando il giudice deve motivare in modo dettagliato la scelta della pena?
Secondo l’orientamento consolidato della Corte, non è richiesta una motivazione specifica e dettagliata quando la pena irrogata si attesta su livelli medi o prossimi al minimo edittale previsto dalla legge per quel reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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