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Determinazione della pena: la discrezionalità del giudice

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1966/2024, ha esaminato un caso di illecito impiego di prodotti petroliferi, soffermandosi sui criteri per la determinazione della pena. È stato rigettato il ricorso di un imputato che lamentava un’eccessiva severità della sanzione. La Corte ha chiarito che il giudice, pur avendo un potere discrezionale, deve motivare adeguatamente le sue scelte, specialmente quando si discosta dal minimo edittale. In questo caso, l’aumento di pena era giustificato dalla recidiva qualificata, che imponeva un incremento obbligatorio, rendendo la decisione della Corte d’Appello legittima e correttamente motivata.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Determinazione della pena: la Cassazione sui limiti alla discrezionalità del giudice

La corretta determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice è chiamato a bilanciare la gravità del reato con la personalità dell’imputato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 1966 del 2024, offre importanti chiarimenti sui limiti del potere discrezionale del giudice e sull’obbligo di motivazione, specialmente in presenza di recidiva. Il caso riguardava un reato fiscale legato all’illecito utilizzo di prodotti petroliferi a imposta agevolata.

I fatti del processo

Il processo vedeva imputato l’amministratore di una società operante nel settore dei prodotti energetici. L’accusa era di aver impiegato gasolio e benzina agricola, soggetti a un’imposta ridotta, per usi diversi da quelli consentiti, commettendo così un grave reato fiscale. La Corte d’Appello, in sede di rinvio, aveva rideterminato la pena per l’imputato in un anno e tre mesi di reclusione, oltre a una multa.

L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 133 del codice penale, che elenca i criteri per la commisurazione della pena (gravità del reato e capacità a delinquere). Secondo la difesa, la Corte d’Appello non aveva fornito una motivazione adeguata per giustificare una pena base superiore al minimo edittale, aggravata poi di due terzi per la recidiva.

L’analisi sulla determinazione della pena

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici supremi hanno colto l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali in materia di determinazione della pena.

Innanzitutto, l’articolo 132 del codice penale conferisce al giudice un potere discrezionale nell’applicazione della pena, che deve però essere esercitato entro i limiti della legge e con un’adeguata motivazione. Questo potere non è arbitrario, ma deve essere orientato dai parametri oggettivi e soggettivi indicati nell’articolo 133 c.p.

La pena, hanno ricordato i giudici, non ha solo una funzione retributiva (punire il colpevole in proporzione alla gravità del fatto), ma anche una funzione di prevenzione e, soprattutto, una funzione rieducativa, come sancito dalla Costituzione. Per questo motivo, la pena deve essere sempre individualizzata, cioè adattata alle caratteristiche personali del condannato.

L’obbligo di motivazione e il ruolo della recidiva

La Corte ha chiarito che l’obbligo di motivazione diventa più stringente quanto più il giudice si allontana dal minimo edittale. Se si applica una pena pari o superiore al medio edittale, è necessaria una motivazione specifica che dia conto dei criteri utilizzati.

Nel caso di specie, tuttavia, la Corte ha osservato che la pena base applicata dalla Corte d’Appello (nove mesi di reclusione) non si collocava al di sopra del medio edittale, dato che la forbice di legge andava da sei mesi a tre anni. Pertanto, una motivazione meno dettagliata era sufficiente.

L’elemento decisivo, però, è stato il ruolo della recidiva. All’imputato era stata contestata la recidiva reiterata e specifica, prevista dall’art. 99, comma 4, del codice penale. Questa forma di recidiva comporta un aumento obbligatorio della pena nella misura di due terzi. La Corte d’Appello, quindi, non ha esercitato un potere discrezionale nell’aumentare la pena, ma ha semplicemente applicato un obbligo di legge. L’aumento non era una scelta, ma una conseguenza giuridica della condizione di recidivo dell’imputato.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha stabilito che la motivazione della Corte d’Appello era adeguata e logica. Il trattamento sanzionatorio non era frutto di una valutazione sproporzionata, ma della corretta applicazione delle norme sulla recidiva. Il potere discrezionale del giudice è stato esercitato correttamente nella fissazione della pena base, che non superava il medio edittale, e l’aumento successivo era un atto dovuto per legge. La censura del ricorrente, che lamentava una mancanza di motivazione sull’aumento, è stata quindi ritenuta infondata, poiché l’aumento non derivava da una scelta discrezionale ma da un preciso obbligo normativo.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce che la discrezionalità del giudice nella determinazione della pena è un potere guidato e non assoluto. L’obbligo di motivazione serve a garantire che la pena sia giusta, proporzionata e finalizzata alla rieducazione. Tuttavia, quando la legge prevede aumenti obbligatori, come nel caso della recidiva qualificata, il margine di discrezionalità si riduce e la motivazione può limitarsi a dare atto dell’applicazione della norma. Questa pronuncia conferma la necessità di un’attenta analisi di tutti gli elementi del caso, distinguendo tra scelte discrezionali, che richiedono una giustificazione approfondita, e applicazioni automatiche di legge.

Quando il giudice deve motivare in modo più specifico la determinazione della pena?
Il giudice ha il dovere di fornire una motivazione specifica e dettagliata quando decide di irrogare una pena base pari o superiore al medio edittale, cioè al valore intermedio tra il minimo e il massimo previsti dalla legge per quel reato. In questi casi, non basta un generico richiamo alla gravità del fatto.

In che modo la recidiva ha influenzato la pena in questo caso?
Nel caso esaminato, all’imputato era contestata una forma di recidiva qualificata (art. 99, comma 4, c.p.) che impone per legge un aumento obbligatorio della pena di due terzi. Pertanto, l’aumento non è stato una scelta discrezionale del giudice, ma l’applicazione di una norma imperativa.

La Corte d’Appello ha applicato una pena base eccessiva?
No. Secondo la Cassazione, la pena base di 9 mesi di reclusione non si collocava al di sopra del medio edittale, poiché la legge prevedeva una pena da sei mesi a tre anni. Di conseguenza, la scelta della pena base era legittima e non richiedeva una motivazione particolarmente approfondita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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