Determinazione della Pena: la Cassazione sui Limiti del Ricorso
La corretta determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, un equilibrio complesso tra la gravità del reato, le circostanze e le norme procedurali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre spunti cruciali su come vengono applicati istituti come il reato continuato e il rito abbreviato, e quali sono i limiti di un ricorso quando alcuni elementi della condanna sono già diventati definitivi.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello che aveva ricalcolato la sua pena. Il ricorrente lamentava una violazione di legge nella determinazione della pena finale, in particolare per quanto riguarda l’aumento stabilito per i singoli reati commessi in continuazione. L’imputato sosteneva che il calcolo fosse errato, chiedendo una revisione da parte della Suprema Corte.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. Secondo i giudici supremi, il calcolo della Corte d’Appello era esente da vizi. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato non solo a pagare le spese processuali, ma anche una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende, come previsto in caso di ricorsi inammissibili.
Le Motivazioni e la corretta determinazione della pena
La Corte ha basato la sua decisione su alcuni punti fermi del diritto penale e processuale. In primo luogo, ha evidenziato come alcune parti della sentenza precedente fossero già diventate irrevocabili, cioè non più contestabili. Nello specifico:
1. La Pena Base: La pena di partenza, individuata in venti anni di reclusione, era ormai un dato definitivo.
2. La Recidiva: Anche la sussistenza della recidiva era stata accertata in via definitiva e comportava un aumento di pena di dieci anni.
La Corte d’Appello, nel suo ricalcolo, si era attenuta a queste statuizioni, specificando correttamente l’aumento per i reati in continuazione (dieci anni) e applicando poi la riduzione di un terzo prevista per il rito abbreviato. La Cassazione ha confermato che questo procedimento era corretto. Inoltre, i giudici hanno osservato che, dati i punti fermi (pena base di 20 anni), la pena finale non avrebbe mai potuto essere inferiore a tale soglia. Questo ha fatto venire meno anche il cosiddetto “interesse all’impugnazione”, ovvero il vantaggio pratico che il ricorrente avrebbe potuto ottenere con l’accoglimento del suo ricorso. Se il risultato finale non può cambiare, l’impugnazione diventa priva di scopo.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame ribadisce alcuni principi fondamentali con importanti implicazioni pratiche. Innanzitutto, conferma la solidità del giudicato parziale: quando alcuni aspetti di una sentenza diventano definitivi, non possono essere rimessi in discussione nei gradi di giudizio successivi. In secondo luogo, chiarisce che il ricorso in Cassazione deve essere supportato da un interesse concreto e attuale. Non è sufficiente lamentare un presunto errore di calcolo se la sua correzione non porterebbe a nessun beneficio effettivo per l’imputato. Infine, la decisione serve da monito: la proposizione di un ricorso inammissibile comporta conseguenze economiche significative per il ricorrente, che viene condannato al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.
Un ricorso in Cassazione può rimettere in discussione la pena base già divenuta irrevocabile?
No, l’ordinanza chiarisce che le statuizioni sulla determinazione della pena base e sulla sussistenza della recidiva, se divenute irrevocabili, non possono essere riesaminate in gradi di giudizio successivi.
Qual è l’effetto del rito abbreviato sulla pena per reati continuati?
Il rito abbreviato comporta una riduzione di un terzo della pena finale, la quale viene calcolata dopo aver stabilito la pena per il reato più grave e averla aumentata per i reati commessi in continuazione.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità, e in assenza di colpa nella sua determinazione, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36660 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36660 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/10/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il ricorso proposto da NOME COGNOME, che deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) con riferimento agli artt. 78, 81, 442, 627, comma 3, cod. proc. pen. in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio, è manifestamente infondato, in quanto la Corte di merito, come richiesto dalla sentenza rescindente, ha specificato l’aumento di pena per i singoli reati posti in continuazione, pari a complessivi dieci anni di reclusione, ridotti di u terzo a sei anni e otto mesi di reclusione per il rito (cfr. il calcolo effettuato a p. 4 della sentenza impugnata), essendo peraltro divenute irrevocabili le statuizioni inerenti sia alla determinazione della pena base, individuata in venti anni di reclusione, sia alla sussistenza della recidiva, che, ai sensi dell’art. 81, comma 4, cod. pen., comporta un aumento di dieci anni, ed avendo la Corte d’appello correttamente applicato il criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., nonché la riduzione di un terzo per il rito abbreviato, sicché la pena finale certamente non può essere inferiore a venti anni di reclusione, sicché, sotto questo profilo, non pare nemmeno sussistere, né il ricorrente l’ha evidenziato, un concreto interesse all’impugnazione;
stante l’inammissibilità del ricorso e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2024.