Determinazione della Pena: Il Potere Discrezionale del Giudice
La determinazione della pena è una delle fasi più delicate del processo penale, in cui il giudice, dopo aver accertato la colpevolezza dell’imputato, deve stabilire la giusta sanzione da applicare. L’articolo 133 del codice penale elenca una serie di criteri che guidano questa scelta, ma fino a che punto il giudice è vincolato a esaminarli tutti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 26789/2024) offre un’importante chiarificazione sui limiti del potere discrezionale del magistrato e sulla sindacabilità della sua decisione in sede di legittimità.
Il Caso: Ricorso contro l’Entità della Pena
Il caso analizzato dalla Suprema Corte nasce dal ricorso di un’imputata contro una sentenza della Corte di Appello di Bologna. La ricorrente lamentava che i giudici di merito non avessero applicato correttamente i criteri previsti dall’art. 133 del codice penale nel quantificare la sanzione, deducendo un vizio di motivazione. In sostanza, si contestava non la colpevolezza, ma l’ammontare della pena inflitta, ritenuta sproporzionata.
La Decisione della Corte di Cassazione sulla Determinazione della Pena
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Secondo gli Ermellini, la Corte territoriale aveva correttamente confermato l’entità della pena stabilita in primo grado, giudicandola adeguata alla gravità del fatto e alla personalità dell’imputata. La motivazione faceva esplicito riferimento ai precedenti penali, anche specifici, della ricorrente, elemento ritenuto sufficiente a giustificare la decisione.
Le Motivazioni: I Criteri dell’Art. 133 cod. pen. e la Discrezionalità
Il cuore della decisione risiede nella riaffermazione di un principio consolidato in giurisprudenza. Per una corretta determinazione della pena, non è necessario che il giudice di merito analizzi e si pronunci su ogni singolo parametro indicato dall’art. 133 c.p. (gravità del danno, intensità del dolo, capacità a delinquere, etc.).
È invece sufficiente che il giudice prenda in esame quello o quegli elementi che ritiene prevalenti e più significativi nel caso specifico. La scelta di quali fattori valorizzare rientra nel suo potere discrezionale.
L’apprezzamento del giudice diventa incensurabile in sede di legittimità (cioè davanti alla Cassazione) a una condizione: che sia supportato da una motivazione idonea. La motivazione non deve essere necessariamente lunga o complessa, ma deve far emergere in misura sufficiente il ragionamento che ha portato a quella specifica quantificazione della pena, collegandola alla gravità del reato e alla personalità del reo. Nel caso di specie, il richiamo ai precedenti penali è stato considerato una motivazione adeguata e sufficiente.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma che contestare l’entità della pena in Cassazione è un’operazione complessa. Non basta essere in disaccordo con la valutazione del giudice; è necessario dimostrare un vero e proprio vizio di legge o una motivazione inesistente, illogica o contraddittoria. Il semplice fatto che il giudice abbia dato più peso a un elemento (es. i precedenti penali) piuttosto che a un altro (es. il comportamento processuale) non costituisce, di per sé, un motivo valido di ricorso. La decisione sottolinea inoltre le conseguenze di un ricorso inammissibile: la condanna al pagamento non solo delle spese processuali, ma anche di una somma in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto in questo caso.
Un giudice deve considerare tutti gli elementi dell’art. 133 cod. pen. per decidere una pena?
No. Secondo la Corte di Cassazione, è sufficiente che il giudice prenda in esame e motivi la sua decisione basandosi sugli elementi che ritiene prevalenti e decisivi per la determinazione della pena nel caso specifico.
È possibile contestare l’ammontare di una pena davanti alla Corte di Cassazione?
Sì, ma solo se si dimostra un errore nell’applicazione della legge o un vizio di motivazione (ad esempio, se la motivazione è assente, illogica o contraddittoria). La Corte non può riesaminare la valutazione discrezionale del giudice se questa è supportata da un ragionamento adeguato.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La persona che ha presentato il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e, se viene ravvisata una colpa nella proposizione del ricorso, anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26789 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26789 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/11/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che con un unico motivo di ricorso si deduce inosservanza dell’art. 133 cod.pen. e vizio di motivazione;
Ritenuto che il motivo è manifestamente infondato. La Corte territoriale ha confermato l’entità della pena determinata dal primo giudice, ritenendola adeguata al fatto e richiamando i precedenti penali, anche specifici, dell’imputata; va ricordato che, ai fini del trattamento sanzionatorio, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod.pen., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare la determinazione della pena; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato – come nella specieda una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità.
Ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle emende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, 21/06/2024