Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10975 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10975 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME nata il 08/08/1997 a VASTO COGNOME nata il 03/11/1994 a VARESE COGNOME NOME nato il 08/09/1994 a VARESE
avverso la sentenza in data 02/05/2024 della CORTE DI APPELLO DI MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento del provvedimento impugnato per tutti i ricorrenti limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, e dichiararsi il ricorso di NOME NOME inammissibile nel resto;
l’Avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOMECOGNOME ha illustrato i motivi d’impugnazione e ne ha chiesto l’accoglimento;
l’Avvocato NOME COGNOME in sostituzione per delega scritta dell’Avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME e COGNOME si riporta ai motivi d’impugnazione.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per il tramite dei rispettivi procuratori speciali e con separati ricorsi, impugnano la sentenza in data 02/05/2024 della Corte di appello di Milano, che-nei loro confronti- ha confermato la sentenza in data 20/06/2023 del Tribunale di Milano, che li aveva condannati per il reato di cui all’art. 633, comma primo e secondo, cod. pen..
Deducono:
1. GLYPH COGNOME Ada.
1.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 110 cod.
pen..
Secondo la ricorrente, gli elementi raccolti nel giudizio non sono idonei a far ritenere il concorso dell’imputata all’occupazione contestata, non essendo a tal fine sufficiente evidenziare che la Iuliani ha partecipato a un presidio a sostegno degli occupanti con la diffusione di musica a tutto volume che avrebbe reso più difficile lo sgombero.
A sostegno dell’assunto vengono compendiati e illustrati i contenuti delle emergenze dibattimentali, al fine di evidenziare le contraddizioni presenti nella sentenza impugnata, che si risolvono in errori percettivi in particolare rispetto ai contenuti delle annotazioni della DIGOS.
1.2. GLYPH Erronea applicazione dell’art. 633 cod. pen..
Si sostiene l’irrilevanza ai fini del concorso nel reato contestato di tutte le condotte poste in essere dopo lo sgombero dell’interno dell’immobile, quando la condotta di occupazione doveva considerarsi esaurita.
A tale proposito si sostiene che la condotta di stazionare sul tetto dell’immobile realizzata da due persone non equivale a disporre e a signoreggiare sullo stesso, così che essa non è idonea per fare ritenere la permanenza del reato.
Si assume, quindi, che occorre verificare se la COGNOME avesse realizzato condotte riconducibili al paradigma dell’art. 633 cod. peli. prima dello sgombero dei locali, non essendo penalmente rilevante lo stazionamento di due persone sul tetto del fabbricato al fine di prolungare la permanenza del reato.
1.3. Violazione di legge per la mancata indicazione della pena base, della diminuzione per circostanze attenuanti generiche e dei calcoli effettuati per arrivare alla pena finale.
In questo caso si fa presente che la corte di appello riconosceva la fondatezza del motivo di appello con cui si lamentava la mancata indicazione del percorso seguito nella determinazione del trattamento sanzionatorio. Osserva che, però, la stessa corte di appello è incorsa nello stesso errore, atteso che anch’essa
non ha indicato la pena base, né la misura della diminuzione applicata per le circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti alle aggravanti.
1.4. Violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata applicazione della riduzione di pena prevista dall’art. 442, comma 2, cod. proc. pen..
In questo caso si denuncia la mancanza grafica della motivazione, nella parte in cui la corte di appello non ha dato risposta al motivo di gravame con cui si censurava una non corretta quantificazione della pena, atteso che il tribunale non applicava la riduzione prevista dall’art. 442 cod. proc. pen., mancando nella sentenza di primo grado ogni riferimento a tale riguardo.
1.5. Violazione del divieto di reformatio in peius.
Sotto tale profilo si assume che la Corte di appello ha violato il divieto di reformatio in peius in quanto applicava una pena base superiore a quella determinata dal giudice di primo grado.
1.6. Sono pervenuti motivi nuovi per la posizione di COGNOME a ulteriore sostegno delle ragioni già esposte con il ricorso principale, con particolare riferimento al tema del concorso di persone nel reato.
2. COGNOME NOME COGNOME NOME
2.1. “Impossibile determinazione della pena base: violazione dell’art. 132 cod. pen.., violazione di legge o comunque carenza assoluta di motivazione”.
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la mancata indicazione della pena base nella determinazione della pena e la mancata indicazione della diminuzione per le circostanze attenuanti generiche.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata applicazione della riduzione di pena prevista dall’art. 442 cod. proc. pen..
Rispetto al motivo precedente, si assume che la mancata indicazione della pena base non consente di ritenere applicata la riduzione prevista per la scelta della celebrazione del processo con le forme del rito abbreviato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME NOME è inammissibile in relazione ai motivi che contestano la sussistenza del concorso nel reato e la configurabilità del reato di occupazione stazionando sul tetto.
1.1. La Corte di appello ha puntualmente affrontato il tema della responsabilità della Iuliani.
Il fatto in esame riguarda l’occupazione di un immobile sito in Milano e che ebbe luogo tra il 23.10.2020 e il 28.10.2020.
I giudici hanno osservato che l’immobile era stato occupato senza il consenso del proprietario che, all’epoca dei fatti, si trovava all’estero e, appena appresa la notizia dell’occupazione, ritornava in Italia per sporgere la denuncia; che fin dalla prima segnalazione a opera di alcuni residenti, la COGNOME (insieme ad altri) veniva individuata dalla Polizia davanti al portone dello stabile, senza fornire spiegazioni circa la sua presenza sul luogo; che le operazioni di sgombero si protraevano sino al tardo pomeriggio del 28.10.2020, dopo essere state sospese per ragioni di sicurezza, atteso che tali COGNOME e COGNOME si rifugiavano sul tetto dello stabile, così costringendo gli operanti a non intervenire.
Con specifico riguardo alla posizione della ricorrente, dalla lettura della doppia sentenza conforme emerge che condotta partecipativa della COGNOME è consistita, in un primo momento, nell’essersi posizionata davanti allo stabile il 23/10/2020, frapponendosi all’ingresso delle forze di polizia, così agevolando la condotta di occupazione che nel frattempo veniva portata a esecuzione dagli altri coimputati, con l’uso di flessibili, di picconi e di martelli per rimuovere le protezioni che impedivano l’accesso al fabbricato. In un secondo momento, con l’avere presidiato l’immobile fino al al 28/10/2020, riunendosi in gruppo e trasmettendo musica ad alto volume, così rendendo più difficoltosa l’evacuazione dell’immobile dei piani abitabili, nel mentre COGNOME e COGNOME stazionavano sul tetto.
1.2. La difesa sostiene che la sentenza impugnata è viziata da contraddittorietà, in quanto le annotazioni di polizia non indicano mai la Iuliani quale partecipe al presidio del 27 e del 28 ottobre, quando veniva diffusa musica ad alto volume.
Il motivo si mostra inammissibile al solo rilevare come con esso si solleciti alla Corte di legittimità l’esame di elementi fattuali, sulla scorta della lettura di att che, per di più, sono riportati in maniera parziale.
Pur in presenza di tale preliminare e assorbente rilievo, va tuttavia osservato come la ricorrente limiti le sue censure a una parte della condotta contestatale (quella di avere presidiato l’occupazione), senza nulla obiettare circa l’ulteriore condotta agevolativa o comunque di supporto che le viene addebitata, ossia quella di essersi frapposta rispetto all’ingresso nell’immobile del Vice Ispettore e di avergli impedito il suo intervento, così consentendo e agevolando l’attività di occupazione, nel frattempo svolta da altri coimputati.
Tanto vale a significare che il motivo non si confronta con la motivazione nella sua interezza, così che la doglianza risulta (anche per questo motivo) affetta dal vizio di aspecificità, che si configura non solo nel caso della indeterminatezza e genericità, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 Gomma 1 lett, c), all’inarnmissibilità (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268823; Sez. 2, Sentenza n. 11951 del
29/01/2014 Rv. 259425, Lavorato; Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
1.3. tale vizio di aspecificità si rinviene anche con riguardo all’ulteriore argomentazione, circa la possibilità di configurarsi il permanere dell’occupazione dal fatto che due degli occupanti stazionassero sul tetto dell’immobile dopo lo sgombero degli interni.
In realtà, tale questione attiene piuttosto alla durata della permanenza, ma risulta ininfluente rispetto alla condotta partecipativa realizzata dalla ricorrente che, come visto, si è prodotta soprattutto nel momento iniziale dell’occupazione, frapponendosi alle forze dell’ordine e agevolando l’iniziale materiale attività di occupazione, perpetrata (con violenza) mediante il ricorso a flessibili, picconi e martelli.
Da ciò discende che tutte le argomentazioni spese circa la possibilità che la condotta di stazionare sul tetto possa prolungare la permanenza risultano superflue, a fronte di una condotta già pienamente perfezionata nel momento iniziale dell’occupaione.
Tanto conduce alla inammissibilità del ricorso in relazione a tali motivi, attesa la loro connotazione meramente valutativa, disancorata dalle argomentazioni esposte dai giudici della doppia sentenza conforme a carico della COGNOME in punto di responsabilità.
Lo stesso ricorso di COGNOME e i ricorsi di COGNOME e di COGNOME sono fondati, invece, con i motivi relativi alla determinazione della pena.
A tal fine risulta utile riportare la motivazione del giudice di primo grado in punto di commisurazione della pena: «nel giudizio di bilanciamento le circostanze attenuanti generiche si considerano prevalenti sulle circostanze aggravanti contestate. Tutto ciò premesso la pena può in concreto essere commisurata, avuto riguardo ai parametri di cui all’art. 133 c.p., in mesi otto di reclusione».
Va specificato che nel dispositivo veniva applicata la pena di mesi otto di reclusione ed euro 200,00 di multa.
Va annotato che in tale brano di motivazione non viene indicata la pena base, non viene indicata la misura della diminuzione per effetto delle circostanze attenuanti generiche e, soprattutto, non si fa alcun cenno all’applicazione della riduzione per la scelta del rito abbreviato.
Tali lacune non sono state colmate dalla corte di appello, che si è limitata a riscontrare l’assenza della motivazione e a integrarla indicandone le ragioni giustificatrici, senza tuttavia indicarla.
Pur integrando in tal senso la motivazione, va -dunque- rimarcato come la corte di appello, a sua volta, non abbia realmente emendato le lacune contenute
o a fl
nella sentenza di primo grado quanto alla omessa indicazione dell’iter seguito in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio, continuando a mancare la precisa indicazione della pena base, della misura della diminuzione per le circostanze attenuanti generiche e mancando ogni riferimento all’avvenuta applicazione della riduzione per il rito.
Indicazioni certamente necessarie, ove si consideri che il minimo edittale per il delitto di in esame è di anni uno di reclusione, così che risulta incerto come i giudici siano pervenuti alla pena di mesi otto di reclusione ed euro 200,00 di multa, dovendosi applicare una riduzione fino a un terzo della pena base per le circostanze attenuanti generiche e un’ulteriore riduzione di un terzo per la scelta del rito abbreviato.
La sentenza va, perciò, annullata in punto di trattamento sanzionatorio.
L’annullamento, tuttavia, può essere disposto senza rinvio, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lettera I), cod. proc. pen., atteso che si può procedere alla determinazione della pena sulla base delle statuizioni dei giudici di merito.
Deve ritenersi, invero, che il giudice di primo grado abbia applicato le circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, rispetto al minimo edittale previsto dall’art. 633, comma primo, cod. pen., non dovendosi considerare l’aggravante dell’art. 633, comma secondo, cod. pen., in quanto elisa dalla prevalenza delle circostanze attenuanti generiche.
Con riguardo alla pena pecuniaria, analogamente, deve ritenersi che il giudice di primo grado sia pervenuto alla misura di euro 200,00 di multa considerando la misura di euro 300,00 di multa quale pena base.
La pena base di anni uno di reclusione ed euro 300,00 di multa, quindi, va diminuita a mesi otto di reclusione ed euro 200,00 di multa per effetto delle circostanze attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulle aggravanti.
La pena va ulteriormente ridotta di un terzo, ai sensi dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., per la celebrazione del giudizio con rito abbreviato, così pervenendosi alla pena finale di mesi cinque, giorni dieci di reclusione ed euro 133,00 di multa per ciascun imputato.
Il motivo con cui si denuncia la violazione del divieto di reformatio in peius rimane assorbito.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio che, previa riduzione per il rito, ridetermina per ciascun imputato in mesi 5 giorni 10 di reclusione ed euro 133,00 di multa.
Così deciso il 22/01/2025