Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18411 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18411 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato in Marocco il 01/01/1975
avverso la sentenza del 04/04/2024 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in relazione al punto della determinazione della pena; lette le conclusioni, per il ricorrente, dell’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento della sentenza impugnata per intervenuta estinzione del reato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 4 aprile 2024, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pistoia pronunciata in data 11 aprile 2019 a seguito di giudizio abbreviato, ha confermato la dichiarazione di penale
responsabilità di NOME per il reato di cui agli artt. 81, 110 cod. pen. e 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 e, ritenuta la continuazione tra il reato per cui si procede e quello già giudicato con sentenza della Corte di appello di Firenze (n. 3571/22 emessa in data 10 ottobre 2022), ha rideterminato la pena per il reato per cui si procede, quale reato-satellite, in un anno di reclusione e 3.000,00 euro di multa.
Secondo quanto ricostruito dai Giudici di merito, NOME COGNOME con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, talvolta in concorso con altra persona, avrebbe detenuto, procurato, ceduto e venduto sostanza stupefacente del tipo cocaina a numerosi acquirenti, con condotte commesse dal mese di marzo 2015 al mese di marzo 2017.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME con atto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME articolando tre motivi, preceduti da una breve premessa sullo svolgimento del procedimento.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 125, comma 3, cod. proc. pen., 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e 133 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b ) ed e ), cod. proc. pen., avuto riguardo alla proporzionalità della pena e alla qualificazione dei fatti.
Si premette che l’imputato, appellata la sentenza di primo grado, ha depositato in sede di discussione la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione confermativa della sentenza n. 357/2022, relativa a fatti commessi in tempi sovrapponibili a quelli oggetto del presente procedimento.
Si deduce che la Corte d’appello, nell’escludere la riqualificazione del fatto nell’ipotesi di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, è incorsa in vizio di motivazione e travisamento della prova, non avendo adeguatamente valorizzato i seguenti rilievi: a) alcune delle cessioni contestate (circa 170) sono già state giudicate con sent. n. 357/2022 dal G.u.p del Tribunale di Pistoia; b) in relazione alla posizione degli imputati NOME e NOME, ai quali è stato contestato un numero analogo di cessioni, la Corte è pervenuta, in maniera opposta e dunque contraddittoria, a un giudizio di lieve entità del fatto; c) la posizione di COGNOME è sovrapponibile a quella dei due coimputati, dovendosi considerare, oltre al numero di cessioni, anche il valore economico delle stesse, la rudimentale organizzazione dell’attività di spaccio, il mancato rinvenimento di denaro o sostanza stupefacente all’esito delle attività di sequestro, la reiterazione nel tempo delle condotte e il numero di acquirenti.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 133 cod. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b ), cod. proc. pen., avuto riguardo al rispetto dei principi del ne bis in idem , della proporzionalità ed adeguatezza della pena e dell’esorbitanza dell’aumento in continuazione.
Si deduce che la Corte territoriale, in violazione del principio del ne bis in idem , ha omesso di considerare che 170 cessioni contestate all’imputato erano già state oggetto di un precedente giudizio. Si osserva, pertanto, che, in considerazione di tale dato, i giudici avrebbero dovuto riqualificare il fatto nell’ipotesi di lieve entità di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, risultando altrimenti sproporzionata la pena comminata.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e ), cod. proc. pen., avuto riguardo all’omesso esame di uno dei motivi di appello inerente alla determinazione della pena sulla quale operare la diminuente di rito.
Si deduce che, con il quarto motivo di appello, era stato evidenziato un palese errore di calcolo della pena in cui era incorso il G.u.p. nella sentenza di primo grado e che, però, sul punto, non vi è stata alcuna risposta. Si rappresenta, precisamente, che la sentenza di primo grado aveva individuato la pena base in sei anni di reclusione e 27.000,00 euro di multa, e un aumento a titolo di continuazione pari ad un anno di reclusione e 9.000,00 euro di multa, e poi, applicando la riduzione per il rito, pari ad un terzo, aveva calcolato erroneamente la pena finale in cinque anni di reclusione e di 27.000,00 euro di multa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
Diverse da quelle consentite in sede di legittimità, o comunque manifestamente infondate, sono le censure esposte nei primi due motivi, tra loro strettamente connesse, le quali contestano la mancata riqualificazione della condotta in termini di lieve entità del fatto, deducendo che la sentenza impugnata non ha tenuto conto della parziale sovrapposizione delle cessioni di cui al presente processo e delle cessioni oggetto delle imputazioni di cui al processo definito dal G.u.p. del Tribunale di Pistoia, che gli episodi sono modesti anche per lo scarso valore delle transazioni e per la rudimentale organizzazione, e che occorre tener conto del principio di proporzionalità.
La sentenza impugnata rappresenta che, secondo quanto accertato nel presente processo, l’attuale ricorrente, come dal medesimo parzialmente ammesso e sostanzialmente non contestato, nel periodo dal mese di marzo 2015
al mese di marzo 2017, ha spacciato cocaina ad almeno venticinque persone identificate, nonché altri clienti che la polizia giudiziaria non è riuscita ad identificare sulla base delle utenze utilizzate. Precisa, inoltre, che l’attività di spaccio non è stata episodica, perché i tre clienti sentiti a sommarie informazioni hanno affermato: a) COGNOME di aver acquistato almeno centoventi dosi di cocaina, con frequenza tra le due e le tre volte a settimana, per un prezzo di 30,00 euro a dose; b) Turi di aver acquistato almeno centoottanta dosi di cocaina, per un prezzo di 50,00 euro a dose, spendendo circa 9.000,00 euro complessivi; c) Ballerini di aver acquistato circa duecentodieci dosi di cocaina, per un prezzo di 50,00 euro a dose, spendendo circa 10.500,00 euro complessivi. Aggiunge, quindi, che le cessioni oggetto delle imputazioni di cui al processo definito dal G.u.p. del Tribunale di Pistoia (e poi dalla Corte d’appello di Firenze) coincidono con parte di questo periodo, in quanto sono state effettuate tra il novembre 2016 e il marzo 2017, hanno avuto come acquirenti almeno settantuno persone compiutamente identificate, per un totale di cinquecentosettantasei transazioni e oltre cinquecentotrentatré dosi, per un giro di affari per decine di migliaia di euro. Segnala, pure, che l’attuale ricorrente è persona regolarmente residente in Italia, in quanto munito di carta di soggiorno a tempo indeterminato.
Sulla base degli elementi indicati e sopra sintetizzati, risultano correttamente motivate le conclusioni della Corte d’appello in ordine alla qualificazione delle condotte dell’imputato a norma dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, con esclusione, quindi, della fattispecie della minore gravità del fatto.
Invero, la sistematicità ed intensità nel tempo delle condotte di spaccio, il numero elevatissimo delle cessioni e degli acquirenti, nonché i notevoli ricavi conseguiti sono tutti elementi puntuali e concludenti ai fini del giudizio espresso dalla sentenza impugnata sulla gravità della condotta.
Né le indicate conclusioni sono messe in dubbio dalla dedotta parziale sovrapposizione tra i fatti di cui al presente processo e quelli di cui al processo definito dal G.u.p. del Tribunale di Pistoia (e poi dalla Corte d’appello di Firenze). Non solo questa coincidenza è priva di indicazioni sufficientemente specifiche, ma, in ogni caso, non è dirimente. Invero, la sovrapponibilità sarebbe relativa a circa 170 cessioni, di cui, in particolare, nove a Ballerini, quattordici a Turi e ventinove a Cipriani; e, però, nel presente giudizio, vengono in rilievo, in generale, un periodo di tempo molto più lungo (marzo 2015/marzo 2017, invece che novembre 2016/marzo 2017), nonché duecentodieci cessioni a COGNOME, centoottanta cessioni a Turi e centoventi cessioni a COGNOME.
Prive di specificità, o comunque manifestamente infondate, sono le censure formulate nel terzo motivo, le quali contestano l’omesso esame di un motivo di
appello, relativo all’errore di calcolo della pena rilevabile dalla sentenza di primo grado con riferimento alla riduzione della pena per il rito abbreviato.
L’errore denunciato è il seguente: la sentenza di primo grado aveva individuato la pena base in sei anni di reclusione e 27.000,00 euro di multa, e un aumento a titolo di continuazione pari ad un anno di reclusione e 9.000,00 euro di multa, e poi, applicando la riduzione per il rito, pari ad un terzo, aveva calcolato la pena finale in cinque anni di reclusione e di 27.000,00 euro di multa.
Questo errore, pur obiettivamente constatabile, è del tutto irrilevante per gli esiti del giudizio di appello.
Invero, la Corte d’appello ha ravvisato la continuazione tra i fatti oggetto del presente processo e quelli di cui al processo definito dal G.u.p. del Tribunale di Pistoia e poi dalla Corte d’appello di Firenze, ed ha ritenuto più gravi quelli cui al capo 18, lett. a), di questo secondo processo. Di conseguenza, la pena irrogata per il reato contestato nel presente processo è stata considerata unitariamente, come relativa ad un reato satellite, ed apportata a titolo di aumento per la continuazione. Precisamente, la sentenza impugnata, dopo aver ricalcolato la pena per i fatti di cui al processo definito dal G.u.p. del Tribunale di Pistoia (e poi dalla Corte d’appello di Firenze) in quattro anni di reclusione e 24.000,00 euro di multa, per i fatti di cui al presente processo ha apportato un aumento pari ad un anno di reclusione e 3.000,00 euro di multa, cui è pervenuta fissando un aumento pari a un anno e sei mesi di reclusione e 4.500,00 euro di multa, poi ridotto per il rito; ha anche specificato che l’aumento in questione è stato quantificato in questa misura, in considerazione delle centinaia di dosi cedute, pari a cinquecentodieci per i soli Turi, COGNOME e COGNOME)), ed ai numerosi acquirenti, pari almeno a venticinque.
In altri termini, la Corte d’appello, una volta ritenuto che i fatti oggetto del presente processo costituivano reati satellite, ha correttamente e doverosamente rideterminato la pena ad essi relativa ex novo ed in via del tutto autonoma rispetto a quanto previsto nella sentenza di primo grado, sicché gli errori di calcolo commessi dal primo Giudice hanno perso ogni significato.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 14/04/2024