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Determinazione della pena e reato continuato: il caso

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro una condanna per spaccio. Si discute la corretta determinazione della pena in caso di reato continuato e i criteri per escludere l’ipotesi di lieve entità, nonostante la parziale sovrapposizione con un altro giudizio. La Corte ha ritenuto irrilevante un errore di calcolo della pena del primo grado, poiché la Corte d’Appello aveva ricalcolato la sanzione ex novo.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Determinazione della pena: la Cassazione su reato continuato e lieve entità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18411/2025, offre importanti chiarimenti sulla corretta determinazione della pena in casi complessi di spaccio di stupefacenti. La pronuncia affronta due temi cruciali: i criteri per escludere l’ipotesi di lieve entità e l’applicazione dell’istituto del reato continuato, anche quando questo assorbe un precedente errore di calcolo del giudice di primo grado.

I fatti di causa

Il caso riguarda un individuo condannato per aver detenuto e ceduto cocaina a numerosi acquirenti in un arco temporale di due anni (dal marzo 2015 al marzo 2017). La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva confermato la responsabilità penale ma aveva ricalcolato la sanzione.

I giudici di secondo grado avevano riconosciuto la continuazione tra il reato in esame e un altro, già giudicato con una precedente sentenza. Pertanto, il nuovo reato è stato considerato “reato-satellite”, comportando un aumento della pena già inflitta per il reato più grave, per un totale di un anno di reclusione e 3.000 euro di multa.

I motivi del ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:

1. Errata qualificazione giuridica del fatto: La difesa sosteneva che il reato dovesse essere qualificato come di “lieve entità” (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990). A supporto di questa tesi, si evidenziava che circa 170 delle cessioni contestate erano già state giudicate in un altro procedimento e che altri coimputati, con un numero analogo di cessioni, avevano ottenuto tale qualificazione più favorevole.
2. Violazione del principio del ne bis in idem: Si lamentava che la Corte d’Appello non avesse tenuto adeguatamente conto della sovrapposizione dei fatti con il precedente giudizio, portando a una pena sproporzionata.
3. Omesso esame di un motivo d’appello: La difesa aveva segnalato un palese errore di calcolo della pena commesso dal Tribunale in primo grado, motivo che la Corte d’Appello avrebbe completamente ignorato.

La corretta determinazione della pena secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le censure manifestamente infondate. La sentenza chiarisce in modo netto i principi che regolano la determinazione della pena in queste circostanze.

L’esclusione della lieve entità del fatto

La Corte ha respinto la richiesta di riqualificare il reato come di lieve entità. Le motivazioni della Corte d’Appello sono state giudicate corrette e ben argomentate. Gli elementi decisivi che hanno escluso la minore gravità del fatto sono stati:

* La sistematicità e l’intensità delle condotte di spaccio, protrattesi per due anni.
* L’elevatissimo numero di cessioni e di acquirenti (almeno venticinque identificati, oltre ad altri non identificati).
* I notevoli ricavi conseguiti, con un giro d’affari di decine di migliaia di euro.

La parziale sovrapposizione con un altro processo è stata ritenuta non dirimente, poiché il procedimento in esame copriva un periodo temporale molto più ampio e un numero di episodi di spaccio significativamente maggiore.

L’irrilevanza dell’errore di calcolo in appello

Anche il terzo motivo, relativo all’errore di calcolo della pena del primo giudice, è stato considerato privo di specificità e infondato. La Cassazione ha spiegato che, una volta riconosciuta la continuazione, la Corte d’Appello ha proceduto a rideterminare la pena ex novo e in modo del tutto autonomo.

La pena per il reato in esame è stata considerata come un aumento di quella inflitta per il reato principale (già giudicato). Questo ricalcolo completo ha di fatto superato e reso irrilevante qualsiasi errore commesso in precedenza. La Corte d’Appello ha correttamente quantificato l’aumento di pena basandosi sulla gravità dei fatti, ovvero le centinaia di dosi cedute e il vasto numero di acquirenti.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha sottolineato che la valutazione sulla gravità del reato di spaccio deve basarsi su un’analisi complessiva degli elementi fattuali. La sistematicità, la durata dell’attività criminale e il volume d’affari sono indicatori inequivocabili di una condotta che non può rientrare nella fattispecie di lieve entità. Inoltre, la Corte ha ribadito un principio procedurale fondamentale: quando il giudice d’appello applica l’istituto del reato continuato, la sua valutazione sulla pena è autonoma e assorbe le eventuali doglianze relative al calcolo effettuato in primo grado. L’errore del primo giudice perde di ogni significato, poiché la sanzione viene interamente ridefinita in un nuovo quadro giuridico.

Le conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la qualificazione di un reato di spaccio come di “lieve entità” è esclusa in presenza di un’attività organizzata, continuativa e redditizia. In secondo luogo, chiarisce che l’applicazione del reato continuato in appello comporta una rideterminazione autonoma della pena, rendendo irrilevanti gli errori di calcolo commessi nel giudizio precedente. La decisione finale, quindi, non è più una “correzione” della vecchia pena, ma una pena nuova, calcolata su basi giuridiche diverse.

Quando si può escludere l’ipotesi di “lieve entità” in un reato di spaccio?
L’ipotesi di lieve entità viene esclusa quando l’attività di spaccio presenta caratteri di sistematicità e intensità, si protrae per un lungo periodo di tempo e coinvolge un numero elevatissimo di cessioni e acquirenti, generando notevoli ricavi.

Un errore di calcolo della pena commesso in primo grado è sempre motivo di annullamento della sentenza?
No. Secondo la sentenza, un errore di calcolo del primo giudice diventa irrilevante se la Corte d’Appello, applicando l’istituto del reato continuato, ricalcola la pena ex novo in via del tutto autonoma. La nuova determinazione assorbe e supera l’errore precedente.

Come viene gestita la determinazione della pena quando i fatti di un processo si sovrappongono a quelli di un altro già giudicato?
In questi casi, si può applicare l’istituto del reato continuato. I giudici individuano il reato più grave (già giudicato o quello in esame) e determinano la pena per i reati meno gravi (reati-satellite) come un aumento della pena base, assicurando una sanzione unitaria e proporzionata al disvalore complessivo dei fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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