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Determinazione della pena: discrezionalità del giudice

Un soggetto condannato per reati legati agli stupefacenti ricorre in Cassazione lamentando una pena eccessiva. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, ribadendo l’ampio potere discrezionale del giudice di merito nella determinazione della pena. La decisione è legittima se motivata, anche sinteticamente, in base alla gravità della condotta, come nel caso di un reato commesso in carcere durante un permesso premio.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Determinazione della pena: quando la discrezionalità del giudice è insindacabile?

La determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice è chiamato a bilanciare la gravità del reato con la necessità di rieducazione del condannato. Ma fino a che punto questa valutazione può essere contestata in sede di legittimità? Con l’ordinanza n. 8502 del 2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio consolidato: l’ampio potere discrezionale del giudice di merito, se correttamente motivato, non è censurabile. Analizziamo il caso specifico per comprendere meglio i confini di questo potere.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una condanna emessa a seguito di un giudizio abbreviato. L’imputato era stato ritenuto colpevole per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti, commessi in continuazione tra loro. La Corte di Appello aveva confermato la pena inflitta in primo grado: due anni e due mesi di reclusione, oltre a cinquemila euro di multa.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, contestando un unico aspetto della sentenza: l’eccessività del trattamento sanzionatorio. In altre parole, si lamentava che la pena fosse sproporzionata rispetto ai fatti commessi.

Il Ricorso e la Posizione della Difesa

Il motivo del ricorso si concentrava esclusivamente sulla presunta violazione di legge nella quantificazione della pena. La difesa sosteneva che i giudici di merito avessero irrogato una sanzione troppo severa, senza tenere adeguatamente conto di tutti gli elementi a favore dell’imputato. Nello specifico, il ricorrente si limitava a evidenziare la propria condizione di povertà, auspicando una pena inferiore.

I Criteri per la Determinazione della Pena nella Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo importanti chiarimenti sul tema della determinazione della pena. I giudici supremi hanno innanzitutto ricordato che la scelta della misura della pena, all’interno dei limiti minimi e massimi previsti dalla legge (la cosiddetta ‘forbice edittale’), rientra nel potere discrezionale del giudice di merito.

Questo potere non è arbitrario, ma deve essere esercitato seguendo i criteri indicati dall’art. 133 del codice penale, che includono la gravità del danno, l’intensità del dolo o il grado della colpa, i motivi a delinquere e il carattere del reo. Tuttavia, la Corte ha specificato che il giudice assolve al suo obbligo di motivazione anche quando valuta tali elementi in modo globale e sintetico, senza doverli analizzare uno per uno in modo dettagliato.

Le Motivazioni della Decisione

Nel caso di specie, la pena non era superiore al massimo edittale e la sua quantificazione era stata ampiamente giustificata dai giudici di merito. La Corte d’Appello aveva correttamente ponderato elementi di particolare gravità:

1. L’offensività della condotta: L’introduzione in carcere di stupefacenti e di un telefono cellulare è un fatto di notevole allarme sociale.
2. Il contesto del reato: L’illecito era stato commesso all’interno di un istituto penitenziario, un luogo che dovrebbe essere immune da tali attività.
3. La condizione del reo: Il reato era stato perpetrato mentre l’imputato usufruiva di un permesso premio, tradendo così la fiducia accordatagli dal sistema giudiziario.

Di fronte a una motivazione così solida, il ricorso dell’imputato è apparso generico e inconsistente. La Cassazione ha sottolineato che non è sufficiente lamentare una pena eccessiva o fare riferimento a condizioni personali come la povertà. È necessario, invece, confrontarsi specificamente con le argomentazioni della sentenza impugnata, spiegando perché la valutazione del giudice sarebbe illogica o arbitraria. Il sindacato di legittimità, infatti, interviene solo in questi casi estremi, e non per sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito.

Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma che la determinazione della pena è una prerogativa del giudice di merito, il cui esercizio è sindacabile in Cassazione solo in caso di manifesta illogicità o arbitrarietà. Un ricorso che si limiti a contestare l’entità della pena senza smontare l’apparato argomentativo della sentenza impugnata è destinato all’inammissibilità. Questa decisione rafforza l’autonomia valutativa dei giudici di primo e secondo grado e chiarisce che la gravità della condotta, analizzata nel suo contesto specifico, è un fattore determinante per giustificare una pena anche severa, ma comunque all’interno dei limiti di legge.

Quando è possibile contestare in Cassazione l’entità di una pena?
È possibile contestarla solo quando la sua quantificazione è il frutto di un palese arbitrio o di un ragionamento manifestamente illogico da parte del giudice, e non semplicemente perché la si ritiene troppo severa.

Quali elementi ha considerato il giudice per la determinazione della pena in questo caso?
Il giudice ha considerato la gravità della condotta, il suo rilevante grado di offensività, la commissione del reato durante la fruizione di un permesso premio e il contesto specifico, ovvero l’introduzione di droga e di un telefono cellulare in carcere.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché generico. L’imputato non si è confrontato con l’ampio apparato argomentativo della sentenza, ma si è limitato a prospettare censure di fatto e a evidenziare la propria condizione di povertà, senza illustrare le ragioni per cui la pena avrebbe dovuto essere inferiore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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