Determinazione della pena: la discrezionalità del giudice e i limiti alla motivazione
La determinazione della pena è una delle fasi più delicate del processo penale, in cui il giudice è chiamato a tradurre un giudizio di colpevolezza in una sanzione concreta e proporzionata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi che governano questa attività, chiarendo i confini della discrezionalità del giudice e l’onere di motivazione richiesto. Il caso in esame riguardava un ricorso contro una condanna a quattro anni di reclusione e 14.000 euro di multa per un reato legato agli stupefacenti.
Il caso: ricorso contro la quantificazione della condanna
L’imputato, condannato in primo grado dal Tribunale e la cui pena era stata confermata dalla Corte d’Appello, ha presentato ricorso in Cassazione. L’unico motivo di doglianza riguardava un presunto vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena. Secondo la difesa, i giudici di merito non avevano adeguatamente giustificato la scelta di una pena così severa, rendendo la decisione infondata.
La decisione della Cassazione e la discrezionalità del giudice
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno colto l’occasione per riaffermare alcuni capisaldi in materia.
La discrezionalità del giudice di merito
In primo luogo, la Cassazione ha sottolineato che la graduazione della pena, inclusi gli aumenti per le aggravanti e le diminuzioni per le attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere, esercitato nel rispetto dei criteri indicati dagli articoli 132 e 133 del codice penale (gravità del reato e capacità a delinquere del reo), non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che non sia frutto di puro arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico.
L’onere di motivazione e il “medio edittale”
Il punto centrale della decisione riguarda l’estensione dell’obbligo di motivazione. La Corte ha precisato che l’onere argomentativo del giudice è assolto quando la sentenza fa un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi per la quantificazione della pena (nel caso specifico, il numero di dosi ricavabili dalla sostanza e le altre modalità del fatto). Non è necessario, invece, che il giudice prenda in esame e confuti ogni singolo elemento favorevole o sfavorevole dedotto dalle parti.
Un aspetto cruciale, evidenziato dalla Corte, è il rapporto tra la pena inflitta e il cosiddetto “medio edittale”, ovvero il valore intermedio della forbice di pena prevista dalla legge per quel reato. La Cassazione ha ribadito il suo orientamento consolidato: solo l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una motivazione specifica e rafforzata sui criteri oggettivi e soggettivi dell’art. 133 c.p. Al contrario, quando la pena base, come nel caso di specie, si attesta su un livello inferiore a tale soglia, non è richiesta una motivazione analitica.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di bilanciare il diritto dell’imputato a una decisione motivata con l’esigenza di non appesantire eccessivamente il lavoro del giudice di merito con obblighi argomentativi sproporzionati. La discrezionalità riconosciuta al giudice nella determinazione della pena è funzionale a personalizzare la sanzione in base alle specificità del caso concreto, tenendo conto delle finalità rieducativa, retributiva e preventiva della pena stessa. Imporre un obbligo di motivazione analitica anche per pene miti o comunque lontane dal massimo edittale sarebbe contrario ai principi di economia processuale e non aggiungerebbe reali garanzie per l’imputato, il cui diritto è già tutelato dal divieto di decisioni arbitrarie o illogiche.
Le conclusioni
In conclusione, l’ordinanza conferma che il controllo della Cassazione sulla determinazione della pena è limitato alla verifica della logicità e della sufficienza della motivazione, non potendo estendersi al merito della scelta operata dal giudice. L’imputato che intende contestare la quantificazione della pena deve dimostrare un’irragionevolezza manifesta o una carenza argomentativa macroscopica, soprattutto quando la sanzione applicata è inferiore al punto medio della cornice edittale. La decisione rafforza la centralità e la responsabilità del giudice di merito nel delicato compito di commisurare la pena alla gravità del fatto e alla personalità dell’autore del reato.
Il giudice deve sempre motivare in dettaglio come ha deciso la pena?
No. Il giudice non è tenuto a motivare analiticamente ogni singolo elemento considerato. L’obbligo di motivazione è adempiuto se fa riferimento agli elementi ritenuti decisivi, a condizione che il ragionamento non sia illogico o arbitrario.
Cosa succede se la pena base è inferiore alla metà del massimo previsto dalla legge?
Se la pena base è determinata in misura inferiore al “medio edittale” (il punto intermedio tra il minimo e il massimo), non è richiesta una motivazione specifica e rafforzata. Una motivazione più dettagliata sui criteri dell’art. 133 c.p. è necessaria solo per pene pari o superiori a tale soglia.
Quando un ricorso sulla quantificazione della pena è considerato inammissibile?
Un ricorso è considerato inammissibile quando la lamentela è manifestamente infondata, come nel caso in cui si contesti la decisione discrezionale del giudice senza dimostrare che essa sia frutto di mero arbitrio, di un ragionamento illogico o che sia priva di una motivazione sufficiente, specialmente se la pena è al di sotto del medio edittale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 17973 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 17973 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 02/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 25/10/1993
avverso la sentenza del 16/09/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Catanzaro in data 16 settembre 2024, di conferma della sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Castrovillari in data 28 novembre 2023, con la quale è stato condannato alla pena di anni 4 di reclusione ed euro 14.000 di multa per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 390;
rilevato che il motivo di ricorso, con cui si lamenta vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena, è manifestamente infondato;
ritenuto, infatti, che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nell discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negl artt. 132 e 133 cod. pen. e sfugge al sindacato di legittimità qualora, come nella specie, non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficient motivazione (sentenza ricorsa, p. 1, con riguardo al numero di dosi ricavabili ed alle altre modalità del fatto), fermo restando che l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti, non essendo invece necessario che il giudice di merito prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevab dagli atti (Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; conformi, Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, COGNOME, Rv. 271269 -01);
posto che la pena base è stata determinata in misura comunque inferiore al “medio edittale”, e che questa Corte ha già precisato che solo l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenend conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 4, n. 11620 del 26/02/2025, Palma, non mass.; Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932 – 01; Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153 – 01);
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
I
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025
Il Consi7 estensore
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Il Ppesidente