Determinazione della Pena: Quando la Motivazione del Giudice è Sufficiente
La determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice è chiamato a bilanciare la gravità del fatto con la necessità di rieducazione del condannato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 22378/2024, offre importanti chiarimenti sui limiti del sindacato di legittimità riguardo la motivazione sulla quantificazione della sanzione. Il caso analizzato riguarda un ricorso presentato contro una sentenza della Corte d’Appello, lamentando un presunto vizio di motivazione proprio sulla scelta del trattamento sanzionatorio.
I Fatti del Ricorso
L’imputata, tramite il suo difensore, aveva presentato ricorso in Cassazione deducendo un unico motivo: un vizio di motivazione in merito alla determinazione della pena. Secondo la difesa, il giudice d’appello non avrebbe adeguatamente spiegato le ragioni che lo avevano portato a stabilire una certa entità della sanzione, incluse le decisioni su attenuanti e aggravanti. La richiesta era, quindi, di annullare la sentenza su questo punto specifico.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La ricorrente è stata di conseguenza condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La decisione si fonda su principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità.
Le Motivazioni: Ampia Discrezionalità nella Determinazione della Pena
Il cuore della pronuncia risiede nel ribadire un principio fondamentale: la graduazione della pena rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito. Questo potere non è arbitrario, ma deve essere esercitato seguendo i criteri guida stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono di tener conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del colpevole.
La Corte ha specificato che, per adempiere all’obbligo di motivazione, non è sempre necessaria una disamina analitica di ogni singolo elemento. Secondo l’orientamento consolidato, è sufficiente l’uso di espressioni sintetiche come «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento». Queste formule, pur essendo concise, sono considerate idonee a manifestare che il giudice ha valutato il complesso degli elementi a sua disposizione e ha ritenuto la pena adeguata al caso specifico.
Un obbligo di motivazione più dettagliata e specifica sorge, invece, solo in una circostanza precisa: quando la pena inflitta è di gran lunga superiore alla misura media edittale. In tale ipotesi, il giudice deve fornire una spiegazione approfondita delle ragioni che giustificano una sanzione particolarmente severa.
Nel caso di specie, la Cassazione ha osservato che la pena comminata era addirittura inferiore alla media edittale, facendo venire meno la necessità di una motivazione analitica. Inoltre, la Corte ha rilevato che il motivo di appello originario sulla determinazione della pena era stato formulato in modo generico e, pertanto, era già di per sé inammissibile.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza conferma che contestare in Cassazione la misura della pena è un’operazione complessa. Il sindacato di legittimità non può entrare nel merito delle valutazioni discrezionali del giudice, ma si limita a verificare l’esistenza di un vizio logico o di una violazione di legge nella motivazione. L’uso di formule standard come “pena congrua” è legittimo e sufficiente nella maggior parte dei casi. Per poter sperare in un accoglimento del ricorso, è necessario dimostrare non solo che la pena è severa, ma che la motivazione del giudice è manifestamente illogica, contraddittoria o del tutto assente, specialmente quando la sanzione si discosta significativamente verso l’alto rispetto ai minimi previsti dalla legge.
Quando è necessario che un giudice fornisca una motivazione dettagliata per la determinazione della pena?
Secondo la Corte, una spiegazione specifica e dettagliata è necessaria soltanto quando la pena inflitta è di gran lunga superiore alla misura media prevista dalla legge per quel reato.
L’uso di espressioni come ‘pena congrua’ o ‘pena equa’ è sufficiente a motivare una sentenza?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che tali espressioni sono sufficienti per assolvere all’obbligo di motivazione, a meno che la pena non sia notevolmente superiore alla media edittale.
Cosa succede se un motivo di ricorso sulla quantificazione della pena è considerato ‘generico’?
Se il motivo di ricorso è ritenuto generico, come nel caso di specie, viene considerato inammissibile. Di conseguenza, il ricorso basato su tale motivo viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22378 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22378 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
TANINGHER NOME COGNOME, nata a Palestrina il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/07/2023 della Corte d’appello di Roma
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
reputato che l’unico motivo di ricorso, con il quale si deduce il vizio di motivazione in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio, non è consentito in sede di legittimità in quanto la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. e, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, è sufficiente che il giudice, per assolvere al proprio obbligo di motivazione, utilizzi espressioni del tipo: «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media;
che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la pena comminata nella specie si è assestata al di sotto della misura media edittale;
ritenuto che, comunque, il motivo di appello dell’imputata su determinazione della pena era generico e, perciò, inammissibile;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, c condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma d euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso, in data 16 aprile 2024.