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Determinazione della pena: discrezionalità del giudice

Un soggetto ricorre in Cassazione contestando la determinazione della pena per la violazione del foglio di via. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, affermando che una pena leggermente superiore al minimo non richiede una motivazione dettagliata, se giustificata da precedenti penali e personalità dell’imputato, rientrando nella discrezionalità del giudice.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Determinazione della pena: quando la motivazione del giudice è sufficiente?

La determinazione della pena è uno degli aspetti più delicati del processo penale, in cui il giudice esercita un potere discrezionale guidato dai criteri stabiliti dall’articolo 133 del codice penale. Ma fino a che punto deve spingersi l’obbligo di motivazione quando la sanzione si discosta di poco dal minimo previsto dalla legge? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su questo tema, tracciando una linea netta tra la valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità, e il controllo sulla logicità della motivazione.

Il Caso: Violazione del Foglio di Via e Ricorso in Cassazione

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato per aver violato le prescrizioni contenute in un foglio di via obbligatorio, recandosi in un comune dal quale era stato allontanato. L’imputato, dopo la conferma della condanna in appello, ha presentato ricorso per cassazione lamentando un’errata valutazione in merito al trattamento sanzionatorio. In particolare, contestava la decisione dei giudici di merito di infliggere una pena leggermente superiore al minimo edittale, ritenendo la motivazione insufficiente e basata su una lettura a lui sfavorevole dei fatti.

La Determinazione della Pena e i Limiti del Giudice

Il ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel non accogliere le sue argomentazioni, limitandosi a confermare una pena che, seppur di poco superiore al minimo, non era stata adeguatamente giustificata. Secondo la difesa, i giudici avrebbero dovuto fornire una spiegazione più dettagliata delle ragioni che li avevano portati a superare la soglia minima prevista per quel reato.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto completamente questa linea argomentativa, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno sottolineato che il tentativo del ricorrente era quello di ottenere una nuova e più favorevole valutazione dei fatti, un’operazione preclusa in sede di legittimità, dove il controllo è limitato alla correttezza giuridica e alla logicità della motivazione della sentenza impugnata.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto che la decisione dei giudici di merito fosse pienamente legittima e motivata in modo congruo e razionale. La pena, pari a un mese di arresto, era stata determinata tenendo in considerazione elementi specifici e rilevanti ai sensi dell’art. 133 c.p., ovvero le informazioni negative sulla personalità dell’imputato e le sue numerose condanne definitive per reati di notevole allarme sociale.

La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire un importante principio giurisprudenziale sulla motivazione della pena. Ha richiamato un indirizzo ermeneutico consolidato secondo cui l’obbligo di motivazione è “speculare”:

1. Pena superiore al minimo: Quanto più il giudice si allontana dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di fornire una motivazione specifica e dettagliata, indicando i criteri oggettivi e soggettivi che hanno guidato la sua scelta.
2. Pena inferiore alla media: Al contrario, quando la pena inflitta è al di sotto della media edittale (e, a maggior ragione, di poco superiore al minimo), non è necessaria una motivazione analitica. È sufficiente un richiamo generico al criterio di adeguatezza della pena, poiché in esso si considerano implicitamente contenuti tutti gli elementi dell’art. 133 c.p.

Nel caso di specie, la pena era solo lievemente superiore al minimo ma ampiamente inferiore alla media. Pertanto, la motivazione fornita dalla Corte d’Appello, che faceva riferimento ai precedenti penali e alla personalità dell’imputato, è stata giudicata più che sufficiente a giustificare la decisione.

Le conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione riafferma la netta distinzione tra il giudizio di merito e quello di legittimità. La valutazione delle circostanze di fatto e la quantificazione della pena rientrano nella fisiologica discrezionalità del giudice di merito. Il suo operato può essere censurato in Cassazione solo se la motivazione risulta manifestamente illogica, contraddittoria o assente, e non quando l’imputato si limita a proporre una diversa interpretazione dei fatti. La decisione conferma che una pena leggermente superiore al minimo, se ancorata a elementi concreti come i precedenti penali, non necessita di una motivazione prolissa per essere considerata legittima.

Quando un giudice deve motivare dettagliatamente la determinazione della pena?
Secondo la Cassazione, l’obbligo di fornire una motivazione specifica e dettagliata aumenta progressivamente quanto più la pena inflitta si discosta dal minimo edittale previsto dalla legge per quel reato.

È necessaria una motivazione specifica per una pena di poco superiore al minimo?
No. Se la pena irrogata è solo leggermente superiore al minimo edittale e comunque inferiore alla media, non è necessaria una motivazione specifica e dettagliata. È sufficiente un richiamo al criterio di adeguatezza della pena, giustificato da elementi come i precedenti penali dell’imputato.

I precedenti penali di un imputato possono giustificare un aumento della pena rispetto al minimo?
Sì. Nel caso di specie, la Corte ha confermato che le negative informazioni sulla personalità dell’imputato e le sue numerose condanne definitive sono elementi validi per giustificare una pena leggermente superiore al minimo, in quanto rientrano nei criteri di valutazione previsti dall’art. 133 del codice penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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