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Determinazione della pena: discrezionalità del giudice

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso riguardante la determinazione della pena per la violazione di un foglio di via obbligatorio. La Corte ha ribadito che, quando la sanzione è di poco superiore al minimo edittale e ben al di sotto della media, il giudice non è tenuto a una motivazione dettagliata, essendo sufficiente il richiamo alla adeguatezza della pena, giustificata in questo caso dai precedenti penali dell’imputato.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Determinazione della pena: quando la motivazione del giudice è sufficiente?

La determinazione della pena è una delle fasi più delicate del processo penale, in cui il giudice esercita il proprio potere discrezionale per adeguare la sanzione alla gravità del reato e alla personalità del colpevole. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione chiarisce i confini di questo potere e gli obblighi di motivazione che ne derivano, specialmente quando la pena inflitta si discosta di poco dal minimo previsto dalla legge.

I fatti del caso

Il caso esaminato riguarda un individuo condannato per aver violato le prescrizioni di un foglio di via obbligatorio, recandosi in un comune dal quale era stato allontanato. Dopo la condanna, l’imputato ha proposto ricorso, lamentando che la Corte di Appello avesse irrogato una pena eccessiva, disattendendo le sue richieste di un trattamento sanzionatorio più mite.

La Corte di Appello aveva stabilito una pena di un mese di arresto, una misura leggermente superiore al minimo edittale ma comunque significativamente inferiore alla media prevista per quel tipo di reato. La decisione era stata giustificata sulla base delle “negative informazioni” acquisite sulla personalità dell’imputato, il quale vantava numerose condanne definitive per reati di notevole allarme sociale.

La decisione della Corte sulla determinazione della pena

L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, reiterando le medesime censure. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo gli Ermellini, la decisione della Corte di Appello era basata su una motivazione logica e coerente, sia con le prove emerse sia con la normativa vigente.

Il ricorrente, di fatto, non contestava un vizio logico nella sentenza, ma sollecitava una diversa e più favorevole interpretazione dei fatti, un’operazione che non rientra nelle competenze del giudice di legittimità. La Cassazione non può riesaminare il merito della vicenda, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

Il cuore della decisione risiede nel corretto esercizio del potere discrezionale del giudice di merito. La Corte di Cassazione ha sottolineato che l’iter argomentativo seguito dalla Corte di Appello rientra pienamente nella “fisiologica discrezionalità” del giudice nella determinazione della pena.

Per rafforzare questa conclusione, la Corte ha richiamato due principi giurisprudenziali consolidati:

1. Quando la pena si discosta molto dal minimo: Il giudice ha l’obbligo di fornire una motivazione specifica e dettagliata, indicando quali criteri, tra quelli oggettivi e soggettivi previsti dall’art. 133 del codice penale, ha ritenuto rilevanti per giustificare l’aumento (Cass. n. 24213/2013).
2. Quando la pena è inferiore alla media edittale: Non è necessaria una motivazione analitica. È sufficiente un richiamo generico al criterio di adeguatezza della pena, poiché in esso si considerano implicitamente contenuti gli elementi dell’art. 133 c.p. (Cass. n. 46412/2015).

Nel caso di specie, essendo la pena solo leggermente superiore al minimo e ben al di sotto della media, la motivazione fornita dalla Corte di Appello – basata sulla personalità dell’imputato e sui suoi precedenti – è stata ritenuta pienamente sufficiente e logica.

Conclusioni: le implicazioni pratiche

Questa ordinanza conferma un principio fondamentale per la determinazione della pena: la discrezionalità del giudice è ampia, ma non arbitraria. L’obbligo di motivazione è inversamente proporzionale alla vicinanza della pena al minimo edittale. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, ciò significa che contestare in Cassazione una pena ritenuta ‘troppo alta’ ha scarse probabilità di successo se questa si colloca nella fascia bassa della forbice edittale e se il giudice di merito ha fornito una giustificazione coerente, anche se sintetica, basata su elementi concreti come i precedenti penali. Il ricorso per cassazione non è una terza istanza di giudizio, ma un controllo di legittimità sulla corretta applicazione delle norme e sulla logicità delle decisioni.

Quando un giudice deve motivare in modo dettagliato la determinazione della pena?
Secondo la giurisprudenza citata, il giudice ha il dovere di fornire una motivazione specifica e dettagliata quanto più intende discostarsi dal minimo edittale, indicando i criteri oggettivi e soggettivi dell’art. 133 c.p. che giustificano la sua decisione.

Perché il ricorso sulla misura della pena è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure erano già state respinte dalla Corte di Appello con motivazione logica e coerente. Inoltre, il ricorrente chiedeva una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa alla Corte di Cassazione, la quale può solo verificare la legittimità e la logicità della decisione impugnata.

Quali elementi ha considerato il giudice per stabilire una pena superiore al minimo?
Il giudice ha stabilito una pena leggermente superiore al minimo in considerazione delle “negative informazioni acquisite in ordine alla personalità dell’imputato”, il quale risultava gravato da numerose condanne definitive per reati anche di notevole allarme sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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