Determinazione della pena: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile
La determinazione della pena è uno degli aspetti più delicati del processo penale, affidato alla saggezza e all’equilibrio del giudice. Ma quali sono i limiti di questo potere? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di quando la scelta del trattamento sanzionatorio diventa insindacabile, anche di fronte a un ricorso.
Il caso analizzato riguarda una condanna per detenzione di un ingente quantitativo di stupefacenti, confermata sia in primo grado che in appello. L’imputato ha tentato la via del ricorso in Cassazione, lamentando proprio un’errata applicazione della legge nella quantificazione della pena. Vediamo come la Suprema Corte ha risolto la questione.
I Fatti del Processo
Un individuo veniva condannato dal Tribunale di Rimini per il reato previsto dall’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti (d.P.R. 309/1990), con l’aggravante della recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale. La condanna veniva integralmente confermata dalla Corte d’Appello di Bologna.
L’accusa si fondava sul possesso di un quantitativo di sostanza stupefacente di oltre 1 kg, dal quale sarebbe stato possibile ricavare circa 4.000 dosi singole. La pena inflitta, seppur superiore al minimo edittale, teneva conto di questa notevole gravità del fatto.
Il Ricorso e la questione della determinazione della pena
L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione, basandolo su un unico motivo: l’erronea applicazione dell’art. 133 del codice penale, la norma che elenca i criteri guida per la determinazione della pena. Secondo la difesa, la Corte d’Appello non avrebbe motivato adeguatamente la scelta di infliggere una sanzione superiore al minimo previsto dalla legge.
In sostanza, il ricorrente contestava non la sua colpevolezza, ma l’entità della punizione, ritenendola sproporzionata e frutto di una valutazione non corretta da parte dei giudici di merito.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione chiara e lineare. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: la determinazione della pena è un’attività rimessa alla discrezionalità del giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non può essere oggetto di un nuovo esame in sede di legittimità, a meno che non sia frutto di un palese arbitrio o di una motivazione manifestamente illogica.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la decisione dei giudici di appello fosse tutt’altro che illogica. La motivazione fornita era congrua e ben ancorata ai fatti: la scelta di una pena di poco superiore al minimo edittale era ampiamente giustificata dall’enorme quantità di sostanza stupefacente sequestrata. La Corte territoriale aveva, infatti, correttamente illustrato le ragioni della sua decisione, rendendola incensurabile in Cassazione.
Conclusioni: I Limiti al Sindacato sulla Pena
Questa ordinanza conferma che non è sufficiente dissentire dalla pena inflitta per ottenere una sua riforma in Cassazione. Il ricorso deve evidenziare un vero e proprio ‘vizio di motivazione’, ovvero dimostrare che il ragionamento del giudice è stato irrazionale o arbitrario. Quando, invece, la decisione è supportata da argomentazioni logiche e pertinenti ai fatti – come l’ingente quantitativo di droga – la discrezionalità del giudice di merito è sovrana. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa da un giudice?
Sì, ma solo se si dimostra che la decisione del giudice è basata su una motivazione manifestamente illogica o arbitraria. Non è sufficiente semplicemente non essere d’accordo con la pena inflitta, poiché la sua determinazione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito.
Cosa significa che un ricorso è “inammissibile”?
Significa che la Corte di Cassazione non entra nel merito della questione sollevata perché il ricorso non possiede i requisiti richiesti dalla legge. In questo caso, il motivo era infondato perché criticava una decisione discrezionale e correttamente motivata del giudice d’appello.
Quali fattori hanno giustificato una pena superiore al minimo in questo caso?
Il fattore decisivo è stato l’ingente quantitativo di sostanza stupefacente detenuta, pari a oltre 1 kg, da cui si sarebbero potute ricavare 4.000 dosi singole. Questo elemento è stato considerato un indice di particolare gravità del fatto, tale da giustificare una pena superiore al minimo previsto dalla legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1166 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1166 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a TORRE ANNUNZIATA il 09/02/1961
avverso la sentenza del 17/10/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza, in epigrafe indicata, della Corte di appello di Bologna che ha confermato la pronuncia di condanna del Tribunale di Rimini, per avere il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, con la recidiva specifica reiterata infraquinquennale.
Ritenuto che l’unico motivo sollevato (Erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 133 cod. pen. per la determinazione della pena e vizio di motivazione sul punto) è inammissibile perché è incensurabile la determinazione del trattamento sanzionatorio, naturalmente rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, qualora, come nel caso di specie, non sia frutto di arbitrio o sia assistita da motivazione manifestamente illogica. Sul punto, la Corte territoriale ha congruamente illustrato le ragioni per le quali ha confermato la pena individuata dal primo Giudice in misura di poco al di sopra del minimo edittale, a fronte di un quantitativo di stupefacente di oltre 1 kg, da cui s sarebbero potute ricavare 4.000 dosi singole (pp. 2 e 3 sent. app.);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 settembre 2024
Il Consigliere estensore
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