Determinazione della pena: Quando il ricorso in Cassazione è inutile?
La determinazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice, sulla base dei criteri di legge, stabilisce la giusta sanzione per il reato commesso. Ma fino a che punto questa decisione può essere criticata in sede di legittimità? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per fare chiarezza, confermando un principio consolidato: i ricorsi generici contro la quantificazione della pena sono destinati all’insuccesso.
I Fatti del Caso: un Furto Aggravato
La vicenda trae origine da una condanna per furto aggravato commesso all’interno di un esercizio commerciale. Due soggetti, ritenuti responsabili del reato, venivano condannati sia in primo grado dal Tribunale di Arezzo sia in secondo grado dalla Corte di Appello di Firenze. La pena stabilita era di 9 mesi di reclusione e 300 euro di multa, una sanzione di poco superiore al minimo previsto dalla legge per quel tipo di reato.
Il Ricorso in Cassazione e la questione della determinazione della pena
Ritenendo la condanna ingiusta nella sua quantificazione, i due imputati presentavano ricorso per Cassazione. L’unico motivo di doglianza riguardava proprio la violazione di legge nella determinazione della pena. A loro avviso, i giudici di merito non avevano adeguatamente motivato le ragioni che li avevano portati a stabilire una pena superiore al minimo edittale, rendendo la decisione generica e arbitraria.
La Decisione della Cassazione e la corretta determinazione della pena
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, bollandolo come generico. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: la quantificazione della pena rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito. Quest’ultimo adempie al suo obbligo di motivazione semplicemente dando conto di aver utilizzato i criteri guida previsti dall’articolo 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del colpevole, etc.).
Un obbligo di motivazione più specifico e dettagliato scatta, invece, solo in un’ipotesi precisa: quando la pena inflitta è di gran lunga superiore alla misura media di quella prevista dalla legge. In tal caso, il giudice deve spiegare in modo approfondito il percorso logico che lo ha condotto a una sanzione così severa. Nel caso di specie, una pena di soli 9 mesi e 300 euro di multa, di poco superiore al minimo, era ampiamente giustificata dalle modalità della condotta e dal valore della merce rubata, come correttamente evidenziato dalla Corte di Appello.
Le Conseguenze dell’Inammissibilità
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso non è priva di conseguenze. Oltre a rendere la condanna definitiva, la Corte ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in aggiunta, al versamento di una somma di tremila euro ciascuno in favore della Cassa delle Ammende. Una sanzione economica che funge da deterrente contro la proposizione di ricorsi palesemente infondati o generici.
le motivazioni
La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione sul principio consolidato secondo cui la determinazione della pena è espressione del potere discrezionale del giudice di merito. L’obbligo di motivazione è rispettato quando il giudice fa riferimento ai criteri dell’art. 133 del codice penale. Una motivazione analitica e dettagliata è richiesta solo qualora la pena si discosti notevolmente dalla media edittale. Nel caso in esame, la pena di 9 mesi di reclusione e 300 euro di multa, essendo di poco superiore al minimo, è stata ritenuta congrua e adeguatamente giustificata in relazione alle modalità della condotta e al valore dei beni sottratti. Pertanto, il motivo di ricorso è stato qualificato come generico e, di conseguenza, inammissibile.
le conclusioni
Questa ordinanza conferma che non è sufficiente lamentare genericamente l’entità della pena per ottenere una sua revisione in Cassazione. È necessario dimostrare una manifesta illogicità nella motivazione del giudice o una palese violazione di legge. In assenza di una pena sproporzionata e immotivata, i ricorsi basati esclusivamente sulla quantificazione della sanzione hanno scarse probabilità di successo e rischiano di comportare per il ricorrente ulteriori oneri economici, come la condanna al pagamento di una somma alla Cassa delle Ammende, oltre alle spese processuali.
È sempre possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa da un giudice?
No. Secondo la Corte, la determinazione della pena è un potere discrezionale del giudice di merito. Si può contestare efficacemente solo se la motivazione è mancante, palesemente illogica, o se la pena è di gran lunga superiore alla misura media prevista dalla legge e il giudice non ha fornito una spiegazione specifica e dettagliata.
Quando un giudice deve fornire una motivazione dettagliata per la pena inflitta?
Il giudice ha l’obbligo di fornire una spiegazione specifica e dettagliata del suo ragionamento solo quando la pena inflitta è notevolmente superiore alla media di quella prevista dalla legge per quel reato. Per pene vicine al minimo, una motivazione sintetica che faccia riferimento ai criteri di legge è considerata sufficiente.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la condanna diventa definitiva. Inoltre, come stabilito in questa ordinanza, i ricorrenti vengono condannati al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, 3.000 euro ciascuno) in favore della Cassa delle Ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8515 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8515 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/02/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: RAGIONE_SOCIALE nato il DATA_NASCITA BRUTA NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/12/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato ricorso, con atto unico, avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze del 15.12.2022 di conferma della condanna del Tribunale di Arezzo in ordine al reato di cui agli artt. 110, 624 e 625 n. 2 cod. pen., commesso in Ponte a Poppi il 27 settembre 2017 (furto all’interno di un esercizio commerciale).
Rilevato che il motivo, con cui hanno dedotto la violazione di legge in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio, è inammissibile in quanto generico. La determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione se dà conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197) La Corte di Appello, soffermandosi sullo specifico motivo di doglianza, ha ritenuto congruo il trattamento sanzionatorio individuato dal primo giudice in misura di poco superiore al minimo edittale ( mesi 9 di reclusione e euro 300 di multa ), in ragione RAGIONE_SOCIALE modalità della condotta e del valore della merce sottratta.
Ritenuto pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2024
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