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Determinazione della pena: Cassazione e motivazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato contro la determinazione della pena. Il reato, originariamente qualificato come tentato omicidio, era stato derubricato in lesioni aggravate. La Corte ha ritenuto adeguata e ben motivata la scelta del giudice di merito di applicare una pena base pari al massimo edittale, considerata la gravità del fatto.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Determinazione della Pena: Quando il Massimo è Giustificato

L’ordinanza della Corte di Cassazione che analizziamo oggi offre spunti cruciali sul tema della determinazione della pena da parte del giudice. In particolare, la Suprema Corte si è pronunciata sulla legittimità di una pena base fissata al massimo edittale, anche a seguito di una derubricazione del reato da un’ipotesi più grave a una meno grave. Questo caso ci permette di comprendere meglio i confini del potere discrezionale del giudice e l’importanza di una motivazione solida e coerente.

I Fatti del Processo: Da Tentato Omicidio a Lesioni Aggravate

Il caso ha origine da una condanna per il delitto di tentato omicidio, emessa all’esito di un giudizio abbreviato. In sede di appello, la Corte territoriale ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado. Pur confermando la responsabilità penale dell’imputato, i giudici hanno ritenuto di dover riqualificare il fatto. L’accusa non era più di tentato omicidio, ma di lesioni personali aggravate dall’uso di un’arma.

Questa derubricazione ha comportato, come conseguenza diretta, una rideterminazione della pena, che è stata fissata in due anni e otto mesi di reclusione.

Il Ricorso in Cassazione: Una Questione di Motivazione sulla Pena

Contro la sentenza d’appello, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo. La difesa ha lamentato una violazione di legge e un vizio di motivazione proprio sul punto della determinazione della pena.

Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente giustificato la scelta di partire da una pena base di tre anni di reclusione, corrispondente al massimo edittale previsto per il reato di lesioni personali aggravate. In sostanza, si contestava la congruità di una sanzione così severa per un reato che era stato giudicato meno grave di quello inizialmente contestato.

La Decisione della Suprema Corte e la corretta determinazione della pena

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile perché manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, la critica mossa dalla difesa non aveva pregio. La decisione della Corte d’Appello, infatti, era supportata da una motivazione logica e giuridicamente corretta.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha chiarito un principio fondamentale: sebbene la Corte d’Appello abbia derubricato il reato, ciò non le impedisce di tenere conto della gravità concreta del fatto storico al momento di commisurare la sanzione. Nel caso di specie, i giudici di secondo grado hanno esplicitamente motivato la scelta di applicare una pena base pari al massimo edittale proprio in considerazione della condotta originaria, che era stata così grave da essere inizialmente qualificata come tentato omicidio.

La motivazione fornita dalla Corte d’Appello è stata ritenuta adeguata e sufficiente. I giudici hanno spiegato le ragioni che li hanno indotti a muovere da una pena così elevata, ancorandole alla gravità intrinseca dell’azione commessa dall’imputato. La determinazione della pena non è stata quindi arbitraria, ma frutto di una valutazione ponderata delle circostanze del caso concreto. Pertanto, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Le Conclusioni

Questa pronuncia ribadisce che la derubricazione di un reato non comporta automaticamente l’applicazione di una pena minima o mite. Il giudice conserva un’ampia discrezionalità nella quantificazione della sanzione, purché fornisca una motivazione logica, coerente e non contraddittoria. La gravità del fatto, nella sua dimensione storica e oggettiva, rimane un parametro centrale per la determinazione della pena, anche quando la sua qualificazione giuridica viene modificata in una meno grave. Per gli operatori del diritto, ciò sottolinea l’importanza di non concentrarsi solo sulla qualificazione giuridica, ma anche sulla ricostruzione fattuale e sulla sua intrinseca gravità.

A cosa può portare un ricorso in Cassazione basato su motivi ‘manifestamente infondati’?
Porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, tremila euro) a favore della Cassa delle ammende.

Un giudice può applicare la pena massima per un reato anche se è stato derubricato da un’accusa più grave?
Sì, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittima la decisione del giudice di merito di applicare una pena base pari al massimo edittale per il reato di lesioni aggravate, motivandola con la gravità dei fatti che originariamente erano stati contestati come tentato omicidio.

Qual era l’unico motivo di ricorso presentato dall’imputato?
L’unico motivo di ricorso riguardava la violazione di legge e il vizio di motivazione in merito alla determinazione della pena, sostenendo che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente giustificato la scelta di una pena base così elevata, pari al massimo previsto dalla legge per quel reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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