Detenzione stupefacenti: Quando si supera il limite dell’uso personale?
La distinzione tra la detenzione stupefacenti per uso personale e quella finalizzata allo spaccio è uno dei temi più dibattuti nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti, ribadendo come la valutazione non possa basarsi sulla sola dichiarazione dell’imputato, ma debba fondarsi su un’analisi complessiva di elementi oggettivi. Analizziamo insieme questo caso per capire quali indizi possono trasformare un possesso in un reato di spaccio.
Il caso in esame: dal Tribunale alla Cassazione
Il percorso giudiziario inizia con una sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Milano, con rito abbreviato, nei confronti di un soggetto accusato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti. La decisione viene confermata anche in secondo grado dalla Corte d’Appello di Milano.
Non arrendendosi, l’imputato decide di presentare ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando un vizio di motivazione da parte dei giudici di merito. La sua tesi difensiva è sempre la stessa: la droga rinvenuta era destinata esclusivamente al proprio consumo personale e non alla vendita a terzi.
La difesa e la tesi della detenzione stupefacenti per uso personale
Nel suo ricorso, la difesa si è limitata a riproporre la tesi della detenzione per uso personale. L’imputato sosteneva che l’affermazione della sua responsabilità penale per spaccio fosse ingiusta e basata su una motivazione insufficiente. Tuttavia, come sottolineato dalla Cassazione, questa linea difensiva non ha affrontato in modo critico e specifico le argomentazioni ben precise formulate dalla Corte d’Appello per giustificare la condanna.
Le motivazioni della Corte di Cassazione: perché il ricorso è inammissibile
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando le censure proposte come “reiterative e comunque generiche”. In altre parole, la difesa non ha fatto altro che ripetere argomenti già esposti e respinti nei precedenti gradi di giudizio, senza contestare efficacemente le fondamenta della decisione impugnata. La Corte d’Appello aveva infatti basato la sua convinzione su una serie di elementi fattuali che, nel loro insieme, rendevano inverosimile la tesi dell’uso personale. Questi elementi erano:
* Il numero di dosi: La quantità di sostanza sequestrata era tale da superare le esigenze di un consumatore individuale.
* La deperibilità della sostanza: Un fattore che suggerisce la necessità di una rapida cessione a terzi.
* Le precarie condizioni di vita: L’imputato si era dichiarato privo di un’attività lavorativa stabile, una condizione che rende difficile giustificare l’acquisto di un quantitativo non modesto di stupefacenti per solo uso personale.
* L’ingente somma di denaro: Il ritrovamento di una considerevole somma di denaro contante è stato ritenuto incompatibile con lo stato di disoccupazione dichiarato e, al contrario, un tipico indizio dell’attività di spaccio.
Secondo la Cassazione, la difesa non ha fornito alcuna spiegazione alternativa o contro-argomentazione valida per smontare questo quadro indiziario, limitandosi a una generica riaffermazione della propria tesi.
Le conclusioni: gli indizi che escludono l’uso personale
Questa ordinanza conferma un principio consolidato nella giurisprudenza: per distinguere tra uso personale e spaccio, il giudice deve valutare un complesso di circostanze oggettive. La sola parola dell’imputato non è sufficiente, soprattutto se smentita da prove logiche e fattuali. La presenza di una quantità significativa di droga, unita a una cospicua somma di denaro e a uno stato di disoccupazione, costituisce un quadro probatorio grave, preciso e concordante che legittima una condanna per detenzione stupefacenti ai fini di spaccio. La decisione si conclude con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro a favore della Cassa delle Ammende, ponendo fine alla vicenda giudiziaria.
Perché il ricorso per detenzione stupefacenti è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano generici e si limitavano a ripetere la tesi dell’uso personale, senza contestare specificamente le prove (numero di dosi, ingente somma di denaro, stato di disoccupazione) che la Corte d’Appello aveva usato per confermare la condanna per spaccio.
Quali elementi ha considerato la Corte per escludere l’uso personale della sostanza?
La Corte ha considerato un insieme di indizi: l’elevato numero di dosi, la deperibilità della sostanza, le precarie condizioni di vita dell’imputato (che si era dichiarato privo di attività lavorativa) e l’incompatibilità di tali condizioni con la consistente somma di denaro contante trovata in suo possesso.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, come avvenuto in questo caso con una condanna al pagamento di tremila Euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8954 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8954 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 13/11/1997
avverso la sentenza del 22/05/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME – imputato del reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti – ha proposto ricorso per cassazione avve la sentenza del 22/05/2024, con cui la Corte d’Appello di Milano ha confermato sentenza di condanna in primo grado emessa con rito abbreviato dal Tribunale d Milano, lamentando vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di pena responsabilità;
ritenuto che le censure siano reiterative e comunque generiche, essendosi difesa limitata a riproporre la tesi della detenzione ad uso personale senza in modo confrontarsi con le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale imperni sul numero di dosi, sulla deperibilità della sostanza, sulle precarie condiz vita del ricorrente, privo di attività lavorativa come da lui stesso precisato, sulla incompatibilità con tali condizioni della consistente somma contante tro nella disponibilità dell’AMIR (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata);
ritenuto che debba conseguentemente adottarsi una declaratoria d inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagament delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa d Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa de Ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025
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