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Detenzione stupefacenti: ricorso inammissibile

Un soggetto condannato per detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la sostanza fosse per uso personale e priva di effetto drogante. La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, poiché le argomentazioni erano una mera ripetizione di motivi già respinti in appello e chiedevano una inammissibile rivalutazione delle prove. Di conseguenza, la condanna è stata confermata e il ricorrente condannato al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione Stupefacenti: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un caso di detenzione stupefacenti e chiarisce i limiti del ricorso in sede di legittimità. Un individuo, condannato per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti), ha visto il suo ricorso respinto perché ritenuto inammissibile. Questa decisione offre spunti importanti su come strutturare un ricorso efficace e su quali argomenti non possono essere portati all’attenzione della Suprema Corte.

I Fatti del Caso e la Condanna Iniziale

Il caso nasce dalla condanna di un uomo sorpreso nel tentativo di cedere una dose di sostanza stupefacente a un’altra persona. La Corte d’Appello aveva confermato la sua colpevolezza per il reato di detenzione ai fini di spaccio, seppur nella sua forma lieve (comma 5 dell’art. 73).

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, basandolo su due argomenti principali:

1. Violazione di legge e vizio di motivazione: Secondo la difesa, i giudici di merito avrebbero errato nel non qualificare la detenzione come finalizzata all’uso personale, escludendo così la rilevanza penale del fatto.
2. Inefficacia drogante della sostanza: Il ricorrente sosteneva che il principio attivo della sostanza sequestrata fosse talmente basso da renderla inidonea a produrre un qualsiasi effetto stupefacente concreto.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla detenzione stupefacenti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12306/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito delle argomentazioni difensive, ma si concentra sulla loro non ricevibilità per motivi procedurali. I giudici supremi hanno condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende.

Le motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione di inammissibilità su due pilastri fondamentali.

In primo luogo, ha rilevato che i motivi del ricorso erano in gran parte una semplice ripetizione delle censure già presentate e respinte dalla Corte d’Appello. I giudici di merito avevano già fornito una motivazione logica e giuridicamente corretta per escludere l’uso personale, evidenziando come l’imputato fosse stato colto nell’atto di cedere la sostanza. Il ricorso non si confrontava con queste argomentazioni, limitandosi a riproporre la stessa tesi difensiva.

In secondo luogo, la questione relativa all’efficacia drogante della sostanza è stata considerata una richiesta di rivalutazione delle prove. La Cassazione ha ribadito di essere un giudice di legittimità, il cui compito non è riesaminare i fatti o le prove (come una perizia tossicologica), ma solo verificare la corretta applicazione del diritto. Chiedere alla Suprema Corte di stabilire se una sostanza fosse o meno efficace è un’istanza tipica del giudizio di merito, e quindi non ammissibile in questa sede. Inoltre, i giudici hanno sottolineato che tale specifico punto non era nemmeno stato sollevato con l’atto d’appello, rendendolo un motivo nuovo e tardivo.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale del processo penale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. Per avere successo, un ricorso deve evidenziare specifici errori di diritto o vizi logici manifesti nella motivazione della sentenza impugnata, senza limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già disattese o a chiedere una nuova e diversa lettura delle prove. La declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna a spese e sanzione pecuniaria, serve da monito contro l’abuso dello strumento processuale e per preservare la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione.

Perché il ricorso per detenzione stupefacenti è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché ripeteva argomenti già esaminati e respinti dalla Corte d’Appello e perché chiedeva alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove, un’attività che non rientra nelle sue competenze.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove del processo?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non può ricostruire i fatti o valutare nuovamente le prove, come l’efficacia di una sostanza stupefacente.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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