Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11177 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11177 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: GLYPH
2 0 MAR. 2025
NOME nato a UDINE il 16/10/1984
IL I.Ci,710NARI
NOME
avverso la sentenza del 30/05/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 30/5/2024 la Corte d’appello di Bologna, confermando la decisione del GUP del Tribunale di Reggio Emilia in data 17/3/2022, ritenne Giudice NOME responsabile del reato di cui all’articolo 73 comma 5 d.P.R. 309/90 ed, esclusa la recidiva e applicata la diminuzione prevista per il rito, lo condannò alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 800,00 di multa, con pena sospesa.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, che denuncia, con il primo motivo, la violazione della legge 242/2016 e degli artt. 111 Cost e 546 cod. proc. pen. e la mancanza di motivazione. Si assume, in estrema sintesi, che nella sostanza in sequestro erano
stati rinvenuti percentuali di THC inferiori a 0,60% con la conseguenza che “l’erba” era liberamente detenibile.
2.1 Con il secondo motivo si denuncia la violazione della “tabella di riferimento 309/90” sostenendo che la condotta accertata non integrava il delitto ritenuto in quanto il quantitativo di principio attivo rinvenuto era inferiore alla “quantità media detenibile” pari a gr. 5.
2.2 Con il terzo motivo si denuncia la mancata applicazione art. 5 cod. pen. sull’assunto che la legge 242/2016 ha creato una situazione di confusione tant’è che erano emersi filoni interpretativi opposti.
2.3 Con ultimo motivo si denuncia l’illogicità della motivazione nella parte in cui si dà atto della bassissima percentuale di THC e poi si afferma la responsabilità dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto articolato in motivi manifestamente infondati.
La sentenza innanzitutto espone le circostanze, richiamando le prove che le rivelavano, che consentivano di inferire che la detenzione incriminata fosse destinata alla cessione a terzi nonché la consapevolezza in capo all’imputato della rilevanza penale della condotta.
Tali argomenti, del tutto ignorati dal ricorso, consentono già di disattendere il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso.
Giova ribadire che l’introduzione di limiti massimi di principio attivo detenibili non ha inciso sulla struttura della fattispecie incriminatrice contestata potendo integrare il delitto anche la detenzione di quantitativi inferiori se, come nel caso in esame, sulla base di una valutazione globale, che tenga conto anche degli altri parametri normativi, sia da escludere una finalità meramente personale della detenzione (Sez. 4, n. 265 del 10/12/2019, dep. 2020, COGNOME; ).
Il mancato confronto con la motivazione sviluppata dal Tribunale per inferire la destinazione alla cessione rende i motivi in esame inammissibili.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è innanzitutto, e indefettibilmente, il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. La mancanza di specificità del motivo va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che
conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (Sez. 2, n. 5506 del 3/11/2023, dep. 2024, Ewansiha).
Venendo al primo motivo, va osservato che “in tema di stupefacenti, la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio e resina, integrano il reato di cui all’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, legge 2 dicembre 2016, n. 242, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività” ( Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019 COGNOME, Rv. 275956 – 01). Efficacia drogante, vale a dire una effettiva attitudine a produrre effetti psicotropi che, giova precisarlo, è configurabile anche in relazione a dosi inferiori a quella media singola di cui al D.M. 11 aprile 2006, con esclusione solo di quelle condotte afferenti a quantitativi di sostanze stupefacenti talmente minimi da non poter modificare, neppure in maniera trascurabile, l’assetto neuropsichico dell’utilizzatore (Sez. 3, n. 47670 del 09/10/2014, COGNOME, Rv. 261160; Sez. 4, n. 39675 del 12/9/2024, COGNOME ).
Alla luce di tal principi giurisprudenziali di riferimento, non può che concludersi che la condotta contestata- avente ad oggetto quantitativo di stupefacente dal quale era comunque presente una percentuale apprezzabile di THC e in relazione al quale lo stesso ricorrente neppure allega l’assenza di qualsivoglia “effetto drogante” – assume rilievo penale.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché- ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/2/2025.