Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9477 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9477 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Gela il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2023 della Corte di appello di Caltanissetta visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modiff., dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176 che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni rassegnante nell’interesse del ricorrente dall’AVV_NOTAIO
NOME, la quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 aprile 2023, la Corte d’appello di Caltanissetta ha parzialmente confermato la sentenza con cui NOME COGNOME, all’esito del giudizio abbreviato, era stato ritenuto responsabile del reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti di tipo marijuana e hashish, riconoscendo tuttavia l’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 riducendo conseguentemente la pena.
Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo, la violazione degli artt. 73 d.P.R. 309 del 1990 e 125, comma 3, cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione per avere la Corte territoriale respinto il motivo di gravame con cui si sosteneva l’insussistenza di prova della destinazione allo spaccio dello stupefacente rinvenuto. In particolare – si lamenta – con motivazione contraddittoria, rispetto alle premesse in diritto affermate, e manifestamente illogica, la sentenza non spiega da quali elementi poteva desumersi la destinazione dello stupefacente detenuto a fini di spaccio piuttosto che a fini esclusivamente personali.
Con il secondo motivo di ricorso si lamentano la violazione degli artt. 73 d.P.R. 309 del 1990, 131 bis cod. pen. e 125, comma 3, cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione per il mancato accoglimento della richiesta subordinata volta ad ottenere la dichiarazione di non punibilità per particolare tenuità del fatto valorizzandosi il solo dato quantitativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
1.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto e l’eventuale superamento dei limiti tabellari oggi indicati nell’art. 75, comma 1-bis, lett. a), del d.P.R. n. 309 del 1990 non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione (Sez. 3, n. 46610 del 09/10/2014, COGNOME, Rv. 260991; Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv.
256611; Sez. 6, n. 12146 del 12/02/2009, Delugan, Rv. 242923). Più in AVV_NOTAIO, la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogni qualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, deve essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto, secondo parametri di apprezzamento sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità dell motivazione (Sez. 4, n. 7191 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 272463; Sez. 6, n. 44419 del 13/11/2008, COGNOME, Rv. 241604).
1.2. Ciò premesso sul piano del diritto sostanziale, su quello processuale va ricordato che, trattandosi di una doppia decisione di merito conforme quanto all’illecita destinazione della sostanza detenuta, sul punto la motivazione della sentenza d’appello si salda con quella di primo grado. Il cennato principio dell’integrazione delle argomentazioni contenute nelle sentenze di merito è in particolare valido quando la motivazione del primo giudice sia autosufficiente rispetto alle censure che le sono mosse con i motivi di gravame, risolvendosi questi ultimi nella mera riproposizione di questioni già esaurientemente valutate e decise, senza che venga richiesto un concreto vaglio critico sulla ratio decidendi della sentenza impugnata. Laddove, cioè, i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice e richiamando i passaggi logico-giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615).
1.3. Nel caso di specie, con riguardo all’esclusione dell’esclusiva destinazione al consumo personale dello stupefacente sequestrato, ricorre questa situazione e la struttura argomentativa della doppia sentenza conforme resiste alle critiche, peraltro anche generiche, mosse in ricorso, avendo peraltro l’imputato, già con il gravame di merito, prospettato doglianze che non si confrontavano con le puntuali osservazioni svolte nella sentenza di primo grado.
In particolare, quest’ultima – dato atto dell’esito della perquisizione domiciliare e del sequestro all’imputato di sostanza stupefacente di tipo marijuana (per pochi grammi, da cui erano ricavabili 22 dosi medie singole) e, soprattutto, di oltre un ettogrammo di hashish con elevato grado di purezza (circa il 40%, da cui erano ricavabili 1777 dosi) – ha non illogicamente escluso che la detenzione, in particolare di quest’ultima sostanza, potesse essere finalizzata all’esclusivo consumo personale, tenendo conto delle stesse dichiarazioni rese dall’imputato circa le modalità e le quantità di assunzione della
droga. La sentenza di primo grado – rilevando che la notoria !abilità del principio attivo della richiamata sostanza si riduce gradualmente col decorso del tempo e che ciò ben era a conoscenza dell’imputato, il quale si è detto consumatore da circa tre anni – ha argomentato come non vi fossero ragioni per procurarsi una simile scorta, eccessiva rispetto al consumo personale dichiarato, e ha disatteso motivatamente le giustificazioni che l’imputato aveva al proposito addotto in sede di esame per spiegare le ragioni del consistente acquisto di un panetto di hashish di un ettogrammo effettuato tramite un canale Telegram con ricarica di una carta PostePay comunicatogli da un non meglio individuato spacciatore (egli aveva allegato che la propria “timidezza” e le restrizioni dovute alla pandemia da Covid-19 lo avrebbero ostacolato nel procurarsi lo stupefacente sul mercato locale, salvo contraddirsi in modo patente nel dichiarare che solo pochi giorni prima del sequestro aveva acquistato “in giro” lo stupefacente diverso da quello acquistato on line). Con queste non illogiche argomentazioni, nell’appello l’imputato non si era in alcun modo confrontato, insistendo unicamente – come pure riproposto nel ricorso di legittimità – sulla considerazione per cui la destinazione allo spaccio doveva essere esclusa per il solo fatto che nell’acquisto del panetto l’imputato aveva ricaricato una carta PostePay utilizzando i propri documenti e che le buone condizioni economiche della propria famiglia gli avevano consentito di sostenere la spesa-
La prima circostanza – che, diversamente da quanto opina il ricorrente, considerata anche la giovane età, non è logicamente decisiva per escludere la destinazione allo spaccio dello stupefacente acquistato – è stata dalla Corte territoriale non illogicamente valorizzata soltanto per affermare la “assenza di professionalità” nella modalità della condotta e derubricare quindi il reato nella fattispecie della lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, T.U. stup., esclusa invece dal primo giudice. Quanto al fatto che giungere a tale conclusione la Corte territoriale abbia ulteriormente addotto la «verosimile destinazione di parte della sostanza stupefacente al consumo personale», diversamente da quanto opina il ricorrente, trattasi di affermazione che attesta non già a contrario una soltanto “verosimile”, e per ciò insufficiente, conclusione nel senso della destinazione della restante parte allo spaccio, bensì, in favor rei, il parziale accoglimento delle giustificazioni allegate dall’imputato per ritenere che non tutto l’elevato quantitativo di sostanza fosse destinato alla cessione a terzi sì da poter giungere alla riqualificazione dell’addebito invocata in via subordinata.
Quanto alla rilevanza penale, piuttosto che soltanto amministrativa, della condotta, è del tutto neutro, poi, l’elemento della provenienza del denaro impiegato nell’acquisto dello stupefacente dalle regalie dei familiari conviventi che, con buone condizioni reddituali, provvedevano al suo mantenimento.
1.4. Va rammentato, inoltre, che alla Corte di cassazione sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e perché sollecita a questa Corte non consentite valutazioni di merito.
2.1. Il giudice richiesto di valutare l’applicabilità dell’istituto di cui al 131 bis cod. pen. è tenuto a motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, al fine di valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, essendo insufficiente il richiamo a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018, dep. 2019, Venezia, Rv. 275940). Ai fini dell’esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell’assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall’art. 131-bis ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta e a., Rv. 273678) ed il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 d 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647).
2.2. Nel caso di specie la Corte territoriale ha reso effettiva e non illogica motivazione circa il diniego della causa di non punibilità, osservando che l’offesa al bene protetto non era di minima entità in relazione al significativo dato quantitativo della sostanza illecitamente detenuta, che – già lo si è detto – aveva un principio attivo decisamente elevato. Si tratta di valutazione di merito non apparentemente – né illogicamente – motivata, che non può essere in questa sede diversamente sindacata.
Né rileva il fatto che la Corte abbia qualificato il reato come di lieve entità, trattandosi di fattispecie strutturalmente e teleologicamente non coincidente con
la particolare tenuità del fatto che esclude la penale responsabilità (cfr. Sez. 3, n. 18155 del 16/04/2021, Diop, Rv. 281572).
Il ricorso, nel complesso infondato, dev’essere pertanto rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 febbraio 2024.