Detenzione Stupefacenti: Oltre il Peso per Escludere l’Uso Personale
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, torna a pronunciarsi su un tema cruciale in materia di reati legati agli stupefacenti: la distinzione tra uso personale e detenzione stupefacenti finalizzata allo spaccio. Questa decisione chiarisce che il solo quantitativo di sostanza non è sufficiente a fondare una condanna, ma è necessaria un’analisi complessiva del contesto e del comportamento del soggetto. Vediamo insieme i dettagli di questo caso e i principi affermati dai giudici.
I Fatti del Caso: La Condanna per Spaccio
Un individuo veniva condannato in primo grado e in appello alla pena di 4 mesi di reclusione e 688,00 euro di multa per la detenzione di 3,5 grammi di cocaina. L’accusa contestava la detenzione della sostanza, suddivisa in 5 dosi, con la finalità di cederla a terzi. La condanna era stata emessa a seguito di un giudizio abbreviato.
L’imputato, tramite il suo difensore, presentava ricorso in Cassazione, sollevando due questioni principali: la mancanza di motivazione sulla sua effettiva responsabilità, data l’assenza di una perizia tossicologica, e l’errata applicazione della legge riguardo al diniego delle pene sostitutive, come i lavori di pubblica utilità.
La Valutazione della Detenzione Stupefacenti in Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le argomentazioni della difesa infondate e generiche. I giudici hanno confermato la solidità della decisione della Corte d’Appello, che aveva correttamente valutato tutti gli elementi a disposizione per escludere la destinazione della droga all’uso esclusivamente personale.
I motivi del ricorso, infatti, si limitavano a riproporre censure già esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio con motivazioni logiche e giuridicamente corrette. La Corte ha sottolineato come la tesi difensiva, secondo cui parte della sostanza fosse di proprietà di un amico, fosse stata giudicata inverosimile e priva di ragionevolezza.
Le Motivazioni
La Cassazione ha evidenziato diversi punti cruciali che hanno portato alla conferma della condanna per detenzione stupefacenti ai fini di spaccio. In primo luogo, la tesi difensiva è stata ritenuta implausibile: l’imputato era consapevole di doversi recare in Tribunale, circostanza che rendeva poco credibile la detenzione di droga per conto terzi. Inoltre, la sua precaria condizione economica – viveva in un dormitorio e non percepiva redditi – mal si conciliava con l’acquisto di 5 dosi per un valore di 140 euro.
Fondamentale è stato il richiamo a un principio consolidato della giurisprudenza: per distinguere tra uso personale e spaccio, il giudice non deve limitarsi al solo dato ponderale. Occorre, invece, una valutazione complessiva delle modalità comportamentali dell’imputato che possano, in astratto, giustificare una destinazione esclusivamente personale della sostanza. In questo caso, il quantitativo, sebbene non enorme, era superiore a quello che si presume per uso personale, e nessun altro elemento supportava la tesi difensiva.
Per quanto riguarda il diniego della pena sostitutiva, la Corte ha chiarito che la decisione della Corte d’Appello era corretta. Il riferimento alla pena complessiva, derivante anche da precedenti condanne, rendeva l’imputato non meritevole neanche della sospensione condizionale della pena. La valutazione negativa sulla personalità dell’imputato ha costituito, quindi, una motivazione implicita ma evidente per escludere l’accesso a misure alternative.
Le Conclusioni
L’ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. La condanna per detenzione stupefacenti finalizzata allo spaccio può reggersi su un quadro indiziario solido, dove elementi come la condizione economica, il numero di dosi e le circostanze del ritrovamento assumono un ruolo centrale. La decisione ribadisce che il processo penale non si basa su prove matematiche, ma su una valutazione logica e complessiva degli elementi disponibili. Di conseguenza, la mera assenza di una perizia tossicologica non è sufficiente a invalidare una condanna se altri fattori convergono nel dimostrare la finalità di spaccio. Infine, viene sottolineato come i precedenti penali e una valutazione negativa della personalità possano precludere l’accesso a benefici come le pene sostitutive, anche quando la pena inflitta sarebbe, in teoria, compatibile.
Il solo peso della sostanza stupefacente è sufficiente a provare lo spaccio?
No, la Corte ribadisce che la valutazione non può limitarsi al solo dato ponderale (il peso). È necessario analizzare anche le modalità comportamentali dell’imputato e altre circostanze concrete, come la sua situazione economica, per determinare se la detenzione era finalizzata all’uso personale o allo spaccio.
Perché è stata negata la pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità all’imputato?
La pena sostitutiva è stata negata perché la Corte d’Appello ha formulato una valutazione negativa sulla personalità dell’imputato, basata anche su condanne precedenti. Questo giudizio negativo ha portato a ritenere insussistenti i presupposti per la concessione di misure alternative alla detenzione, inclusa la sospensione condizionale della pena.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso 3.000 euro) a favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37043 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37043 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/11/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME, a mezzo del proprio difensore, ha pro osto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bologn , in epigrafe indicata, con cui è stata confermata la pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia di condanna, in seguito a giudizio abbreviato, alla pena di mesi 4 di reclusione ed euro 688,00 di multa per il reato di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. 309/90. All’imputato era contestato di avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, detenuto sulla propria persona, al fine di spaccio a terzi, gr. 3,5 di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
La difesa ha articolato i seguenti motivi di ricorso. I) mancanza della motivazione, in carenza di perizia tossicologica, in ordine alla pronuncia sulla responsabilità, posto che la sentenza si era basata esclusivamente sul dato ponderale; II ) Inosservanza o erronea applicazione dell’art. 20 GLYPH cod.pen. e correlato vizio di motivazione circa la mancata applicazione della pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità.
Il ricorso è inammissibile.
4.11 primo motivo è privo di specificità, limitandosi a reiterare di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi dalla Corte territoriale con argomentazioni del tutto corrette in diritto. I giudici di merito hanno evidenziato, alla pagina 1 della sentenza impugnata che la tesi sostenuta dalla difesa, secondo cui l’imputato deteneva anche dosi di proprietà dell’amico COGNOME, risultava inverosimile in quanto non supportata da ragionevolezza, posto che l’imputato sapeva che si sarebbe recato in Tribunale; si trattava di 5 dosi acquistate per euro 140, ciò mal si conciliava con lo stato economico dell’imputato, che dormiva in un dormitorio e non risultava percepire redditi. Anche il peso dello stupefacente, superiore a quello per cui si presume un uso personale, era significativo.
La motivazione è conforme ai principi stabiliti in questa sede, in base ai quali non ci si può limitare a valutare il dato ponderale, ma occorre valutare le modalità comportamentali dell’imputato astrattamente idonee a giustificare una destinazione ad uso esclusivamente personale (Sez. 3, Sentenza n. 46610 del 09/10/2014, Rv. 260991 – 01).
Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso: la Corte di appello, nell’affermare che la pena inflitta all’imputato non consente Ii accedere alle pene sostitutive richieste ha evidentemente inteso riferirsi alla pena complessiva derivante dalle condanne precedenti e che rendevano non :oncedibile neanche la sospensione condizionale. Ad ogni modo, è possibile evincere dal complesso argomentativo della sentenza, nella parte in cui la Corte di appello si sofferma sulla negativa personalità dell’imputato, una evidente valutazione dell’insussistenza dei presupposti per accedere alla misura sostitutiva.
Consegue alla declaratoria di inammissibilità del ricorso la éondanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma {iell’art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro 3000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2024.