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Detenzione stupefacenti: quando è uso personale?

La Corte di Cassazione ha annullato una misura cautelare per detenzione stupefacenti, stabilendo che la quantità di sostanza e lo stato di tossicodipendenza non sono sufficienti a provare l’intento di spaccio se mancano altri elementi indiziari. La Corte ha ritenuto la quantità rinvenuta compatibile con una scorta per uso personale, annullando senza rinvio il provvedimento restrittivo.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Detenzione Stupefacenti: Quando la Quantità Non Basta a Provare lo Spaccio

La distinzione tra uso personale e detenzione stupefacenti ai fini di spaccio è una delle questioni più delicate e complesse del diritto penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 37640/2025) ha fornito importanti chiarimenti, annullando una misura cautelare e ribadendo che la sola quantità di sostanza, se non accompagnata da altri elementi, non può fondare un’accusa di spaccio, specialmente in presenza di una condizione di tossicodipendenza.

I Fatti del Caso

Due persone venivano sottoposte alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria con l’accusa di detenzione illecita di hashish ai fini di spaccio. La misura era stata confermata dal Tribunale del riesame. Gli indagati decidevano quindi di presentare ricorso in Cassazione, sostenendo che gli elementi raccolti non fossero sufficienti a dimostrare la destinazione della sostanza alla vendita a terzi.

La difesa evidenziava diversi punti a favore degli indagati:

1. La loro condizione documentata di assuntori abituali di sostanze stupefacenti.
2. La quantità e le modalità di confezionamento (sei dosi per uno e un panetto da 100 grammi per l’altra) potevano essere considerate una scorta personale.
3. L’assenza di altri tipici ‘indicatori’ dello spaccio, come bilancini di precisione o materiale per il confezionamento.
4. Il ritrovamento di un ‘grinder’, strumento usato per triturare la sostanza per uso personale.

Il Tribunale, nel confermare la misura, aveva invece valorizzato la gravità del fatto e lo status di assuntori abituali, senza però considerare adeguatamente altri elementi come l’attività lavorativa svolta dagli indagati.

La Decisione della Corte sulla detenzione stupefacenti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando senza rinvio sia l’ordinanza impugnata sia il provvedimento genetico del G.i.p. che aveva disposto la misura. Questo significa che la misura cautelare è stata dichiarata immediatamente inefficace, senza la necessità di un nuovo giudizio da parte del Tribunale.

La Corte ha ritenuto che gli elementi a disposizione non fossero idonei a fondare un ‘giudizio di qualificata probabilità’ riguardo alla destinazione illecita della sostanza.

Le Motivazioni: Indizi Insufficienti per lo Spaccio

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nell’insufficienza degli elementi indiziari. I giudici hanno sottolineato che, per giustificare una misura cautelare per detenzione stupefacenti a fini di spaccio, è necessaria la presenza di prove concrete che puntino inequivocabilmente a tale finalità. Nel caso specifico, questi elementi mancavano.

La Corte ha osservato che la condizione di tossicodipendenza degli indagati, unita alla quantità e al modo in cui la sostanza era conservata, rendeva del tutto plausibile l’ipotesi della ‘scorta’ per consumo personale. Il fatto che la droga fosse suddivisa in dosi per un indagato e in un unico pezzo per l’altra non è stato ritenuto un fattore decisivo. In assenza di altri elementi sintomatici (come contatti telefonici sospetti, ritrovamento di ingenti somme di denaro di provenienza illecita, ecc.), il quadro indiziario è stato giudicato debole e ambiguo.

In sostanza, la Corte ha stabilito che non si può presumere lo spaccio basandosi unicamente sulla quantità, ma occorre una valutazione complessiva di tutti gli elementi disponibili, che devono convergere in modo univoco verso l’ipotesi accusatoria.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza rafforza un principio fondamentale dello stato di diritto: le misure che limitano la libertà personale devono essere fondate su un quadro probatorio solido e non su mere congetture. La decisione ha importanti implicazioni pratiche:

* Onere della prova: Spetta all’accusa dimostrare, con elementi concreti e non ambigui, che la sostanza detenuta è destinata allo spaccio.
* Valore della condizione di assuntore: Lo status di consumatore abituale, se documentato, deve essere attentamente considerato dal giudice, poiché può fornire una spiegazione alternativa e lecita (per l’uso personale) alla detenzione di un quantitativo non modico di droga.
* Necessità di indizi plurimi: Per configurare il reato di spaccio, non basta un singolo elemento (la quantità), ma serve un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti che escludano ragionevolmente la destinazione al consumo personale.

La sola quantità di droga è sufficiente per essere accusati di spaccio?
No. Secondo questa sentenza, la quantità da sola non è sufficiente a provare l’intento di spaccio, specialmente se altri elementi (come lo stato di tossicodipendenza e l’assenza di strumenti per il confezionamento) suggeriscono che la sostanza sia una scorta per uso personale.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la misura cautelare ‘senza rinvio’?
La Corte ha annullato senza rinvio perché ha ritenuto che gli elementi indiziari a carico degli indagati fossero intrinsecamente insufficienti e che non fossero necessari ulteriori accertamenti di fatto. La decisione è quindi definitiva e la misura ha perso immediatamente efficacia.

Quale importanza ha avuto lo stato di assuntore abituale degli indagati?
Ha avuto un’importanza cruciale. La loro documentata condizione di dipendenza ha fornito una spiegazione plausibile e alternativa alla detenzione della sostanza, indebolendo l’ipotesi accusatoria dello spaccio e rendendo credibile quella della scorta per consumo personale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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