Detenzione stupefacenti: la Cassazione stabilisce i confini con l’uso personale
La distinzione tra detenzione stupefacenti per uso personale e quella finalizzata allo spaccio è una delle questioni più delicate e ricorrenti nel diritto penale. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata sul tema, ribadendo i criteri oggettivi che guidano i giudici in questa valutazione. La decisione offre spunti fondamentali per comprendere come una condotta possa essere qualificata come reato, con tutte le conseguenze che ne derivano.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da una condanna a 8 mesi di reclusione e 2.000 euro di multa, emessa dal Tribunale di Brindisi e successivamente confermata dalla Corte d’Appello di Lecce. L’imputato era stato ritenuto colpevole di detenzione di sostanze stupefacenti. Contro la sentenza di secondo grado, l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la sua condotta avrebbe dovuto essere inquadrata nell’ipotesi di detenzione per uso personale, un fatto che non costituisce reato.
L’argomentazione difensiva si basava sull’assenza di prove dirette di un’attività di spaccio, chiedendo ai giudici di riconsiderare la natura della detenzione.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici hanno confermato la decisione della Corte territoriale, la cui valutazione è stata giudicata logica e coerente. Di conseguenza, è stata confermata la condanna per il reato di detenzione stupefacenti ai fini di spaccio e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di un’ulteriore somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale in caso di ricorsi inammissibili.
Le Motivazioni: i criteri per escludere l’uso personale
Il cuore dell’ordinanza risiede nelle motivazioni con cui la Cassazione ha respinto la tesi difensiva. La Corte ha evidenziato come i giudici di merito avessero correttamente escluso l’ipotesi dell’uso personale sulla base di elementi oggettivi e non su mere congetture. I fattori determinanti sono stati:
1. La quantità della sostanza: Lo stupefacente rinvenuto era sufficiente a ricavare un numero non esiguo di dosi medie singole, circa 800. Un quantitativo così ingente è stato ritenuto incompatibile con un consumo puramente personale.
2. La disponibilità di strumenti: L’imputato aveva a disposizione tutto il necessario per la pesatura e il confezionamento della sostanza. La presenza di bilancini di precisione o materiale per suddividere la droga in dosi è un classico indice che depone a favore dell’ipotesi dello spaccio.
3. Il quadro normativo e giurisprudenziale: La Corte ha richiamato i principi già consolidati dalla giurisprudenza, secondo cui per configurare una condotta penalmente non rilevante (come la coltivazione domestica per autoconsumo) devono sussistere specifici requisiti, tra cui uno “scarso numero di piantine da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto”. Nel caso di specie, questi presupposti non erano presenti, e il ragionamento è stato esteso per analogia alla mera detenzione.
La valutazione della Corte territoriale, secondo la Cassazione, non è stata manifestamente illogica, ma al contrario, si è basata su una lettura combinata di questi indici, che nel loro complesso delineavano un quadro probatorio chiaro a sfavore dell’imputato.
Le Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza
Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale in materia di detenzione stupefacenti: la qualificazione del fatto non dipende dalla sola affermazione dell’imputato, ma da un’analisi rigorosa di elementi fattuali concreti. La quantità della droga detenuta rimane l’indicatore principale, ma non l’unico. La presenza di strumenti per il confezionamento o altre circostanze indicative di un’attività commerciale possono essere decisive.
Inoltre, la pronuncia serve da monito sulla serietà del ricorso per cassazione. Proporre un ricorso manifestamente infondato non solo non porta a una riforma della sentenza, ma comporta anche significative conseguenze economiche per il ricorrente, con la condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende. Questo meccanismo mira a scoraggiare impugnazioni puramente dilatorie o prive di un solido fondamento giuridico.
Quando la detenzione di droga è considerata spaccio e non uso personale?
Secondo la Corte, la detenzione si qualifica come spaccio sulla base di indici oggettivi, come la quantità della sostanza (in questo caso, circa 800 dosi), che deve essere superiore alle esigenze di un consumo personale, e la disponibilità di strumenti per la pesatura e il confezionamento.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la persona che lo ha proposto viene condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, fissata equitativamente dal giudice, in favore della Cassa delle ammende (qui stabilita in 3.000 euro).
È sufficiente la grande quantità di droga per escludere l’uso personale?
Sebbene la quantità sia un elemento centrale, la decisione si basa su una valutazione complessiva. La Corte ha considerato il numero “non esiguo” di dosi ricavabili insieme alla disponibilità di materiale per il confezionamento, ritenendo che l’insieme di questi elementi escludesse logicamente la destinazione al solo consumo personale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 38541 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 38541 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a BRINDISI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/02/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che con sentenza depositata il 15 giugno 2023 la Corte di appello di Lecce confermava la sentenza con cui il G.I.P. del Tribunale di Brindisi, il giorno 4 luglio 2017, aveva condanNOME COGNOME NOME alla pena di mesi 8 di reclusione ed C 2.000 di multa, avendolo ritenuto colpevole del reato ascritto;
che avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il prevenuto articolando un unico motivo di impugnazione con cui eccepiva il vizio di motivazione e la violazione di legge censurando il provvedimento impugNOME nella parte in cui i Giudici del merito avevano escluso la qualificabilità del fatt contestato nell’ipotesi di detenzione ad uso personale.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che il motivo di impugnazione in esso contenuto è manifestamente infondato atteso che la Corte territoriale, con valutazione non manifestamente illogica, ha escluso la ricorrenza dell’invocata ipotesi di condotta non punibil penalmente dando rilievo al numero non esiguo di dosi medie singole ricavabili dallo stupefacente rinvenuto in possesso del prevenuto, circa 800, alla disponibilità di quanto necessario alla sua pesatura ed al suo confezionamento nonché al difetto di uno dei requisiti, in specie lo “scarso numero di piantine da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto”, individuati dalla Suprema Corte quale presupposto oggettivo per qualificare la condotta nell’ambito della non rilevanza penale;
che il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativamente fissata in C 3.000 in favore della Cassa delle ammende
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1 marzo 2024
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