Detenzione Stupefacenti: Quando la Quantità Esclude l’Uso Personale? L’Analisi della Cassazione
La distinzione tra uso personale e spaccio è una delle questioni più delicate in materia di detenzione stupefacenti. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di come il criterio quantitativo sia spesso decisivo per determinare la natura del reato. Analizziamo insieme questa ordinanza per comprendere i principi applicati dai giudici.
Il Caso in Esame: Dalla Corte d’Appello alla Cassazione
Il caso nasce dal ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello, che lo aveva condannato per illecita detenzione di una notevole quantità di marijuana. L’imputato sosteneva che la sostanza, pari a 731 grammi, fosse destinata esclusivamente al proprio consumo personale. La difesa, nel ricorrere in Cassazione, ha riproposto censure relative a presunti vizi di motivazione e violazione di legge nella valutazione delle prove da parte dei giudici di merito.
La Decisione sulla Detenzione Stupefacenti: I Motivi dell’Inammissibilità
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo che i motivi proposti non fossero altro che una riproduzione delle stesse argomentazioni già adeguatamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. I giudici hanno evidenziato due punti cruciali che hanno portato a questa decisione.
Il Criterio Quantitativo come Indice Rivelatore
Il primo e più importante elemento è stato il dato ponderale. La Corte ha sottolineato che la quantità di 731 grammi di marijuana, da cui si potevano ricavare circa 2.200 dosi, era un fattore talmente significativo da rendere inverosimile la tesi dell’uso esclusivamente personale. Un quantitativo così ingente è considerato, secondo l’orientamento consolidato, un grave indizio della destinazione della sostanza al mercato dello spaccio.
La Condotta Accertata e le Osservazioni Precedenti
In secondo luogo, la Corte ha valorizzato le osservazioni effettuate dai militari nei giorni precedenti la perquisizione e il sequestro. Queste attività di indagine avevano contribuito a rafforzare il quadro accusatorio, suggerendo che la detenzione non fosse statica e finalizzata al solo consumo, ma inserita in un contesto più ampio. Inoltre, i giudici hanno chiarito che, ai fini della condanna, era determinante la condotta di illecita detenzione, che era stata pienamente accertata, rispetto a quella di coltivazione, che invece non era emersa dalle indagini. In altre parole, il solo possesso di quella quantità era sufficiente a integrare il reato contestato.
Le Motivazioni
La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione di inammissibilità sulla base di principi procedurali e sostanziali ben definiti. In primo luogo, ha rilevato che il ricorso era meramente riproduttivo delle censure già formulate in appello. La Corte d’Appello aveva fornito una risposta logica e coerente a tali censure, confutando la tesi dell’uso personale. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito, ma un giudice di legittimità, e non può riesaminare le prove se la motivazione della sentenza impugnata è priva di vizi logici. In secondo luogo, la motivazione si fonda sulla solidità degli indizi raccolti: il dato quantitativo dello stupefacente era oggettivamente troppo elevato per essere compatibile con un consumo personale, anche per un consumatore abituale. Questo elemento, unito alle risultanze delle osservazioni delle forze dell’ordine, ha creato un quadro probatorio che la difesa non è riuscita a scalfire con argomentazioni nuove e decisive.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale in materia di detenzione stupefacenti: di fronte a quantitativi ingenti, l’onere di dimostrare l’uso esclusivamente personale diventa estremamente gravoso per l’imputato. Il dato ponderale non è l’unico criterio, ma assume un peso preponderante che, se non controbilanciato da elementi concreti e plausibili, è sufficiente a fondare una condanna per spaccio. Per il cittadino, la lezione è chiara: il possesso di sostanze stupefacenti, specialmente in quantità superiori ai limiti tabellari ministeriali, comporta un altissimo rischio di essere perseguiti penalmente per un reato grave. La decisione comporta, oltre alla conferma della responsabilità penale, anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma in favore della Cassa delle ammende, aggravando ulteriormente la sua posizione.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano una semplice riproduzione di censure già adeguatamente analizzate e respinte dalla Corte d’Appello, la cui sentenza era motivata in modo logico e coerente.
Qual è stato l’elemento decisivo per escludere l’uso personale della sostanza?
L’elemento decisivo è stato il dato quantitativo: il possesso di 731 grammi di marijuana, da cui si potevano ricavare 2.200 dosi, è stato ritenuto un quantitativo talmente significativo da essere incompatibile con la tesi di un uso esclusivamente personale.
La mancata prova della coltivazione ha influito sulla decisione finale?
No, la mancata prova della coltivazione non è stata rilevante. La Corte ha ritenuto determinante e sufficiente per la condanna la condotta di illecita detenzione della sostanza, che era stata pienamente accertata e provata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6177 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6177 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANZARO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/04/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso di NOME NOME, letti i motivi nuovi da parte dell’AVV_NOTAIO che ribadisce la fondatezza dei motivi chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata
OSSERVA
Ritenuto che entrambi i motivi attraverso cui si deducono vizi di motivazione e violazione di legge con riferimento alla valutazione della prova e alla ritenuta responsabilità personale) sono riproduttivi di identiche censure formulate in sede di gravame adeguatamente confutate dalla Corte di appello che ha rilevato come determinante risultasse la condotta illecita detenzione accertata (ed oggetto di contestazione) rispetto a quella di il coltivazione prospettata e non dimostrata (condotta non emersa dalle indagini), evenienza che, anche in considerazione del dato ponderale significativo (grammi 731 di marijuana, quantità da cui erano ricavabili 2.200 dosi droganti) e dell’osservazione effettuata da parte dei militar giorni precedenti alla perquisizione che aveva condotto a sequestro dello stupefacente, faceva ritenere la stessa non destinata ad un uso esclusivamente personale;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore dell Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 08/01/2024.