Detenzione Stupefacenti: Quantità e Confezionamento Frazionato valgono come Prova di Spaccio
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di detenzione stupefacenti: la distinzione tra uso personale e spaccio può basarsi su elementi oggettivi come la quantità e le modalità di confezionamento della sostanza. La sentenza in esame chiarisce come questi fattori possano essere sufficienti a fondare una condanna, anche in assenza di prove dirette come bilancini di precisione o ingenti somme di denaro.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un individuo che ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione contro una sentenza di condanna della Corte d’Appello. L’imputato era stato trovato in possesso di una quantità di hashish suddivisa in otto stecche. La sua difesa sosteneva che tale sostanza fosse destinata esclusivamente all’uso personale e che la condanna per spaccio fosse immotivata, dato che durante la perquisizione domiciliare non erano stati rinvenuti né strumenti per il confezionamento né somme di denaro riconducibili a un’attività di cessione a terzi.
La Decisione della Corte e la Prova della detenzione stupefacenti
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo “manifestamente infondato”. I giudici hanno confermato la validità del ragionamento seguito dalla Corte d’Appello, secondo cui gli elementi raccolti erano più che sufficienti per escludere la tesi dell’uso personale e configurare l’ipotesi della detenzione stupefacenti finalizzata allo spaccio.
Gli Indizi Chiave: Quantità e Confezionamento
Il punto centrale della decisione risiede nell’analisi di due elementi specifici:
1. Il numero considerevole di dosi: La quantità di sostanza detenuta, sebbene non specificata nel peso, era tale da poter essere suddivisa in un numero significativo di dosi. Questo dato, unito al naturale processo di decadimento della sostanza, rendeva improbabile una scorta per uso strettamente personale.
2. Il confezionamento frazionato: La suddivisione dell’hashish in otto stecche è stata considerata un “elemento sintomatico della destinazione alla cessione”. Questa modalità di preparazione è tipica di chi intende vendere la sostanza in singole dosi e non di chi la conserva per sé.
La Corte ha inoltre specificato che tali elementi impedivano di inquadrare il fatto nell’ipotesi di lieve entità prevista dal comma 5 dell’art. 73 del D.P.R. 309/1990.
Le Motivazioni della Cassazione
Nelle motivazioni, la Corte di Cassazione sottolinea come la sentenza d’appello abbia operato una “ricostruzione dei fatti precisa e circostanziata” e un “corretto inquadramento giuridico”. I giudici di merito avevano esaminato tutte le argomentazioni difensive, arrivando a conclusioni logiche e giuridicamente corrette basate sulle risultanze processuali. La censura dell’imputato, pertanto, si è rivelata infondata, poiché il ragionamento dei giudici di secondo grado era completo, approfondito e privo di vizi logici. La dichiarazione di inammissibilità è stata la naturale conseguenza di un ricorso che non presentava validi motivi di contestazione della decisione impugnata.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza rafforza l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la prova dell’intento di spaccio può essere desunta da elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. Non è sempre necessario trovare l’arsenale completo dello spacciatore (bilancini, materiale per il taglio, elenchi di clienti) per arrivare a una condanna. La quantità della sostanza, rapportata al numero di dosi medie ricavabili, e soprattutto le modalità di confezionamento, possono costituire da sole una prova sufficiente della finalità di cessione a terzi. La decisione serve da monito: detenere droga già suddivisa in dosi espone a un rischio molto elevato di essere accusati e condannati per spaccio, con conseguenze penali ben più gravi rispetto alla detenzione per uso personale.
La sola quantità di sostanza stupefacente e il suo confezionamento possono bastare per una condanna per spaccio?
Sì. Secondo questa ordinanza, un numero considerevole di dosi ricavabili e il confezionamento frazionato della sostanza sono considerati elementi sintomatici sufficienti a dimostrare la destinazione alla cessione a terzi, e quindi a fondare una condanna per spaccio.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché la Corte di Cassazione ha giudicato la censura dell’imputato “manifestamente infondata”. La motivazione della corte d’appello era completa, logica e giuridicamente corretta, basata su una precisa ricostruzione dei fatti che non lasciava spazio a diverse interpretazioni.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per l’imputato?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4389 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4389 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a FASANO il 19/07/1975
avverso la sentenza del 26/01/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
COGNOME NOME ricorre per cassazione avverso sentenza di condanna per reato di cui all’art. 73 comma 4, d.P.R. 309/1990, deducendo con unico motivo di ricorso, vizio della motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità, non essendo stato rinvenuto alcun tipo di sostanz stupefacente presso la sua abitazione né alcuno strumento atto al confezionamento delle sostanze droganti o alcuna somma di denaro, in contanti e di rilevanza, da ricondurre alla cessione a terzi della sostanza stupefacente di tipo hashish, che il ricorrente deteneva sulla s persona per uso esclusivamente personale.
La censura è manifestamente infondata. Il giudice a quo ha ritenuto che lo stupefacente detenuto all’interno del giubbotto suddiviso in 8 stecche non fosse destinato esclusivamente al consumo personale in ragione del numero considerevole di dosi ricavabili, considerato anche il natural processo di decadimento della sostanza, evidenziando peraltro il confezionamento frazionato, elemento sintomatico della destinazione alla cessione. In ragione di ciò ha ritenuto neppure inquadrabile i fatti ai sensi del comma quinto dell’art. 73 d.P.R. 309/1990. Dalle cadenz motivazionali della sentenza d’appello è dato quindi desumere una ricostruzione dei fatti precis e circostanziata e un corretto inquadramento giuridico degli stessi, avendo i giudici di second grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso una disamina completa ed approfondita, in fatto e in diritto, delle risult processuali, dalle quali hanno tratto conseguenze corrette sul piano giuridico.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’on delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 06/12/2024
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